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Analisi teologica del “Canone di Natale” di Cosma di Maiuma

P. Onufry (Oleh Kindratyshyn)
Dissertatio ad Licentiam
Romae 2009
Moderator: Carlo Dell’Osso
Relator: Angelo Di Berardino

Abbreviazioni
Introduzione
Il canone come genere letterario
1. Cosma di Maiuma
1.1. Questione prosopografica
1.2. Cosma il Melodo poeta e compositore
2. Il Canone di Natale di Cosma di Maiuma
2.1. Osservazioni generali
2.2. Analisi esegetica
2.3. Analisi soteriologica
2.4. Analisi cristologica
Conclusione
Bibliografia
Edizioni
Edizioni parziali
Studi
Manoscritti menzionati nel testo
Fonti
Studi
Appendice: Il Canone di Natale

Abbreviazioni

Sigle
NDPAC – Nuovo dizionario patristico e di antichità cristiane, 3 vol. (a cura di Di Berardino A.). Roma 2006-2008.
PG – Patrologia Graeca
SCh – Sources Chrétiennes, collana bilingue dei testi patristici. Paris, Les Éditions du Cerf.
Libri della Bibbia
AT – Antico Testamento
Gen – Genesi
Es – Esodo
Num – Numeri
Dt – Deuteronomio
Sm – Samuele
Is – Isaia
Dan – Daniele
Ab – Abacuc
Gion – Giona
Sal – Salmi
NT – Nuovo Testamento
Mt – Matteo
Lc – Luca
Gv – Giovanni
Rm – Romani
Cor – Corinti
Ef – Efesini
Fil – Filippesi
Gal – Galati
Tm – Timoteo
Pt – Pietro

Introduzione

Il Canone di Natale “Cristo nasce, rendete gloria” (Χριστὸς γεννᾶται· δοξάσατε) è una delle opere migliori di Cosma di Maiuma (674/676 – 751/752), un grande poeta e compositore della Chiesa Bizantina. Il poema del grande Melodo fa parte della preghiera liturgica e viene cantato all’ufficio mattutino della festa della Natività di Cristo il 25 dicembre e nei giorni successivi. L’acrostico «Χριστὸς βροτωθεὶς ἦν ὅπερ Θεὸς μένῃ» (Cristo, fatto mortale, rimane, qual era, Dio) esprime l’idea teologica del Canone che celebra il grande mistero dell’incarnazione del Logos basandosi sulla dottrina calcedonese che afferma le due nature di Cristo unite ma non confuse. Il Canone di Natale afferma la totalità della natura umana assunta dal Logos incarnato e la perpetua verginità e vera maternità di Maria. Il Canone, pieno di citazioni dei Padri e dei concili, presenta molti esempi di esegesi biblica allegorica e letteraria. Per il suo pensiero teologico Cosma si attiene strettamente alla tradizione patristica precedente, dando la preferenza a Gregorio di Nazianzo, ad Atanasio di Alessandria e a Giovanni Crisostomo. La sua cristologia si basa sull’esigenza di carattere soteriologico espressa da molti Padri, soprattutto dal Teologo Nazianzeno: Cristo ha redento dell’uomo tutto ciò che ha assunto.

Tramite il Canone di Natale molti concetti importanti della dottrina cristologica e soteriologica della Chiesa sono stati trasmessi alla vita liturgica della Chiesa, diventando accessibili ad ogni cristiano che li contempla durante la preghiera liturgica.

La ricerca si articola in due punti fondamentali. La prima tratta la questione prosopografica di Cosma di Maiuma che è una questione assai difficile a causa delle informazioni scarse e contraddittorie delle fonti che possediamo sull’argomento. Qui presentiamo Cosma il Melodo anche come poeta e compositore. La seconda parte della ricerca propone un’analisi profonda dell’intero Canone di Natale dal punto di vista dell’esegesi, della soteriologia e della cristologia. L’opera rivela un grande ingegno dell’autore, che è stato capace di rappresentare tutta la tradizione dell’epoca patristica in modo sintetico e di trasmetterla per mezzo della parola poetica. Il fine principale della nostra analisi consiste nel mettere in rilievo la grande ricchezza e profondità teologica del Canone di Natale, uno degli inni migliori della liturgia bizantina.

Il canone come genere letterario

La parola «κανών» (regola, norma) nella tradizione bizantina ecclesiastica è il termine definitivo per tre concetti diversi: una regola del diritto canonico, la preghiera eucaristica, un genere dell’innografia ecclesiale. In questa sede tratteremo del canone, un genere proprio dell’innografia nato nella liturgia orientale nella prima metà del VII secolo. Il canone è un grande inno poetico e musicale dedicato alle glorificazioni delle feste e dei santi della Chiesa. Occorre cercare l’origine del canone nelle 9 odi bibliche che godevano una grande stima tra i cristiani da tempi molto antichi[1]. Questi canti erano nell’uso liturgico cristiano già da antichissimi tempi. Prima furono inclusi come una parte dell’officio notturno, poi sono stati trasferiti all’officio mattutino[2]. Dal secolo VI si diffonde l’abitudine di intrecciare i versi delle odi bibliche con nuove composizioni chiamate troparia[3]. Il numero dei troparia nel canone oscilla da una ventina nei canoni di Cosma fino a 250 in un canone di Andrea di Creta. In seguito nasce un canto chiamato irmos[4] che precede a troparia essendo il modello metrico e musicale per tutti i troparia che lo seguono[5]. Per collegare l’ode biblica con il tema della festa cristiana lodata con i troparia, l’irmos ha sempre un contenuto corrispondente alla sua ode biblica. Per esempio, l’irmos della prima ode di ciascun canone racconta il passaggio del Mar Rosso, l’irmos dell’ode ottava loda i tre giovani che proclamano i benefici di Dio nella fornace di Babilonia, ecc. L’ultimo troparion d’ogni ode viene spesso dedicato alla Madre di Dio ottenendo il nome theotokion[6] o staurotheotokion[7].

In conseguenza di questo sviluppo storico liturgico nella prima metà del VII secolo è nato un nuovo genere dell’innografia bizantina – il canone. Il primo autore dei canoni sembra di essere Sofronio il patriarca di Gerusalemme (560 ca. – 638) che ha composto i triodia[8] per tutti i giorni della Quaresima e per la festa di Risurrezione[9]. Dal fatto che dapprima durante un officio mattutino non si cantavano tutte le 9 odi insieme, concludiamo che la forma originale del canone era triodion, diodion[10] e tetraodion[11]. Con i grandi innografi della prima metà dell’VIII secolo il canone assume la sua forma classica, cioè una sequenza di 9 odi unite in un sistema secondo uno degli otto modi musicali (ἦχος) della musica ecclesiale bizantina. All’inizio d’ogni canone è posto sempre l’ἦχος secondo il quale viene cantato questo canone. Spesso i canoni dei grandi poeti sono forniti di acrostico[12] composto delle lettere iniziali di tutti i troparia, formando una frase o l’ordine alfabetico[13]. Oltre tutto questo, secondo il costume antico, il canone viene interrotto due volte (dopo la 3° e la 6° odi) da cosiddetti «μεσὼδια», che stanno in mezzo alle odi, cioè da καθίσματα[14] o da κοντάκιον[15]. Qualche tempo dopo la connessione delle 9 odi bibliche con le odi del canone piano pianoil componente biblico scompare[16]. Rimane soltanto il poema di canone con ritornelli brevi (per esempio: Δόξα σοι, ὁ Θεὸς ἡμῶν, δόξα σοι) al posto dei versi delle odi bibliche. Alcuni poeti pero continuano comporre i canoni con 4, 3 o 2 odi (τετραώδια, τριώδια, διώδια)[17].

Malgrado la tradizione delle 9 odi del canone in realtà ne troviamo quasi sempre 8. La 2° ode è presente in pochissimi canoni, soprattutto nei canoni di Quaresima. Non possiamo neanche affermare la presenza primitiva pensando alla caduta successiva perché gli acrostici testimoniano che quasi tutti i canoni furono composti senza la 2° ode già dall’inizio. L’unico canone di cui l’acrostico risente di un vuoto per la mancanza della 2° ode è il Canone sul terremoto di Giuseppe l’Innografo (+883). È probabile, però, che il canone sia stato composto in memoria di un terremoto durante la Quaresima e soltanto dopo spostato alla memoria di un altro terremoto terribile in Costantinopoli 26 ottobre 740[18].

Come esempi illustri dell’innografia bizantina presento qui alcune odi dei canoni famosi di Cosma il Melodo. Il Canone d’Universale Esaltazione della Croce preziosa e vivificante[19], ode 1a:

Σταυρὸν χαράξας Μωσῆς ἐπ᾿ εὐθείας ῥάβδῳ, τὴν ἐρυθρὰν διέτεμε τῷ Ἰσραὴλ πεζεύσαντι· τὴν δὲ ἐπιστρεπτικῶς Φαραὼ τοῖς ἅρμασι κροτήσας ἥνωσεν, ἐπ᾿ εὔρους διαγράψας τὸ ἀήττητον ὅπλον· διὸ Χριστῷ ᾄσωμεν τῷ Θεῷ ἡμῶν, ὅτι δεδόξασται. Tracciando una croce, Mosè, col bastone verticale, divise il Mar Rosso per Israele che lo passò a piedi asciutti, poi lo riunì su se stesso con frastuono volgendolo contro i carri di faraone, disegnando, orizzontalmente, l’arma invincibile. Cantiamo dunque al Cristo nostro Dio, perché si è reso glorioso.
Τὸν τύπον πάλαι Μωσῆς τοῦ ἀχράντου πάθους ἐν ἑαυτῷ προέφηνε τῶν ἱερῶν μεσούμενος· Σταυρῷ δὲ σχηματισθεὶς τεταμέναις τρόπαιον παλάμαις ἤγειρε, τὸ κράτος διολέσας Ἀμαλὴκ τοῦ πανώλους· διὸ Χριστῷ ᾄσωμεν τῷ Θεῷ ἡμῶν, ὅτι δεδόξασται. Stando in mezzo ai due sacerdoti, Mosè prefigurò un tempo in se stesso l’immacolata passione. Atteggiandosi poi a forma di croce, elevò il trofeo con le braccia spalancate, annientando il potere del malvagio Amalek. Cantiamo dunque a Cristo Dio nostro, perché si è grandemente glorificato.    
Ἀνέθηκε Μωϋσῆς ἐπὶ στήλης ἄκος φθοροποιοῦ λυτήριον καὶ ἰοβόλου δήγματος, καὶ ξύλῳ τύπῳ Σταυροῦ τὸν πρὸς γῆν συρόμενον ὄφιν προσέδησεν ἐγκάρσιον, ἐν τούτῳ θριαμβεύσας τὸ πῆμα· διὸ Χριστῷ ᾄσωμεν τῷ Θεῷ ἡμῶν, ὅτι δεδόξασται. Mosè pose su una colonna il rimedio che salvava dal morso velenoso e distruttore: al legno immagine della croce legò trasversalmente il serpente che striscia per terra, e con questo trionfò del flagello. Cantiamo dunque a Cristo Dio nostro, perché si è grandemente glorificato.
Ὑπέδειξεν οὐρανός τοῦ Σταυροῦ τὸ τρόπαιον τῷ εὐσεβείας κράτορι καὶ Βασιλεῖ θεόφρονι, ἐχθρῶν ἐν ᾧ δυσμενῶν κατεβλήθη φρύαγμα, ἀπάτη ἀνετράπη δέ καὶ πίστις ἐφηπλώθη γῆς τοῖς πέρασι θεία· διὸ Χριστῷ ᾄσωμεν τῷ Θεῷ ἡμῶν, ὅτι δεδόξασται. Il cielo mostrò il trofeo della croce al principe pio, al re dal divino sentire, e in esso fu abbattuta la boria dei nemici ostili, fu rovesciato l’errore e la fede divina si diffuse fino all’estremità della terra. Cantiamo dunque a Cristo Dio nostro, perché si è grandemente glorificato.

Il Canone di Pentecoste[20], ode 8a:

Ἄφλεκτος πυρὶ ἐν Σινᾷ προσομιλοῦσα, βάτος Θεὸν ἐγνώρισε τῷ βραδυγλώσσῳ καὶ δυσήχῳ Μωσεῖ· καὶ παῖδας ζῆλος Θεοῦ τρεῖς ἀναλώτους τῷ πυρὶ ὑμνῳδοὺς ἔδειξε· πάντα τὰ ἔργα τὸν Κύριον ὑμνεῖτε καὶ ὑπερυψοῦτε εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας. Sul Sinai, il roveto preso dal fuoco e non consumato ha fatto conoscere Dio a Mosè, lento di lingua e dalla voce sgradevole; e lo zelo per Dio ha reso inattaccabili dal fuoco i tre fanciulli che cantavano: Opere tutte, inneggiate al Signore e sovresaltatelo per tutti i secoli.
Ζωτικῆς ἐξ ὕψους βιαίας φερομένης ἠχητικῶς τοῦ Πνεύματος τοῦ παναγίου ἁλιεῦσι πνοῆς πυρίνων εἴδει γλωσσῶν, τὰ μεγαλεῖα τοῦ Θεοῦ ἐρρητορεύοντο· πάντα τὰ ἔργα τὸν Κύριον ὑμνεῖτε καὶ ὑπερυψοῦτε εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας. Quando il soffio di vita dello Spirito santissimo venne gagliardo e sonoro dall’alto sui pescatori, sotto forma di lingue di fuoco, essi presero a proclamare con eloquenza le meraviglie di Dio: Opere tutte del Signore, inneggiate al Signore e sovresaltatelo per tutti i secoli.
Οἱ μὴ θιγομένῳ προβαίνοντες ἐν ὄρει μὴ πεφρικότες πῦρ δειματοῦν δεῦτε καὶ στῶμεν ἐν τῷ ὄρει Σιών, ἐν πόλει ζῶντος Θεοῦ, πνευματοφόροις μαθηταῖς νῦν συγχορεύοντες· πάντα τὰ ἔργα τὸν Κύριον ὑμνεῖτε καὶ ὑπερυψοῦτε εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας. Venite, stiamo sul monte Sion e nella città del Dio vivente, noi che non ci siamo accostati a un monte tangibile né siamo stati atterriti da orrendo fuoco, e insieme ai discepoli pneumatofori cantiamo: Opere tutte del Signore, inneggiate al Signore, e sovresaltatelo per tutti i secoli.

Capitolo 1. Cosma di Maiuma

1.1. Questione prosopografica

Cosma il Melodo (674/676 – 751/752), detto poi princeps melodorum, nella storia della poesia ecclesiale bizantina è uno dei più grandi rappresentanti del genere letterario di canone. Alla sua mano appartengono molti canoni dedicati alle feste più importanti: Natale, Epifania, Presentazione del Signore, Domenica delle Palme, Pentecoste, Trasfigurazione, Dormizione della Madre di Dio, Esaltazione della Croce, ecc. I canoni di Cosma dimostrano un’arte ingegnosa e un misticismo teologico molto profondo.

Secondo la biografia tradizionale Cosma nacque intorno al 674/676 a Damasco. Rimasto orfano fu allevato dal padre di Giovanni Damasceno insieme con Giovanni. I due fratelli adottivi divengono monaci nella laura di S. Saba. Nel 735 Cosma fu elevato alla sede vescovile di Maiuma. Morì nel 751/752[21].

Nel secolo XVIII Montfaucon e Le Quien hanno ordinato i primi dati biografici elementari[22]. Th.E. Detorakes nel 1979 ha fatto la prima monografia di Cosma il Melodo[23], costatando che le notizie sulla vita di Cosma che possediamo sono molto limitate ed oscure. Gli elementi storici ricavati dalle fonti sono scarsi e svaniti nel mare delle oscurità e delle informazioni contraddittorie. La guasta confusione riguardo alla sua origine, infanzia, educazione, data di nascita e quella di morte, rapporti con Damasceno ecc. hanno complicato gravemente la possibilità del trovare la verità storica[24].

La grande opera poetica di Cosma in poco tempo è stata diffusa e ben nota in mondo cristiano. Sembra che già nei tempi di Teodoro Studita (758-826) i testi liturgici degli innografi palestinesi, di Andrea di Creta, di Cosma di Maiuma e di Giovanni Damasceno, sono accolti nella regola liturgica studita[25]. Con l’estensione di questa regola che già dall’inizio risentiva un forte influsso delle costituzioni liturgiche sabbaitico-palestinesi, nell’XI secolo le opere di Cosma si diffondono nell’Impero Bizantino e la persona dell’autore sta nel centro dell’interesse. Proprio nel secolo XI inizia la venerazione liturgica di San Cosma[26]. Incontriamo il nome di Cosma nei sinassari[27]. Allora troviamo le più antiche memorie nei libri liturgici. La venerazione liturgica bizantina è sempre collegata alla composizione degli inni dedicati a questo Santo. Nei monasteri bizantini durante il mattutino si legge il sinassario – un racconto degli acta et dicta del Santo, mentre durante il pranzo un monaco legge ad alta voce la Vita del Santo. Tutto questo spinse i monaci bizantini a cercare con diligenza le notizie su San Cosma per poter comporre la sua Vita. Proprio nel secolo XI sono stati composti i primi sinassari e le prime Vite di San Cosma. Però trecento anni separavano i primi biografi dalla vita di Cosma. Tra i monaci palestinesi circolavano diverse tradizioni orali che sono divenute le fonti per le prime biografie. La Vita bizantina, come anche l’icona, mira a comporre piuttosto un racconto utile per la salvezza dell’anima, che una biografia vera e propria. Il biografo della Vita bizantina considera il suo personaggio non tanto come una persona storica, quanto come prototipo della vita e della virtù cristiana e come un modello da imitare[28]. Oltre a questo i biografi dotti nell’arte retorica tendevano ad ampliare le lodi con le figure retoriche.

Nonostante il suo talento eccezionale, Cosma sembra essere stato una persona modesta e nascosta che non parla quasi mai di se stesso. L’unica fonte per conoscere che cosa egli abbia detto di se stesso sono gli acrostici delle sue opere. I ricchi acrostici furono un fenomeno quasi generale per tutti gli innografi bizantini[29]. Dagli acrostici di Cosma i primi biografi potevano ricavare che il nome dell’autore stesso è Cosma che deriva dall’acrostico del contakion della festa della Dormizione di Madonna: «Τοῦ ταπεινοῦ Κοσμᾶ ὕμνός»[30] dall’acrostico di stichera[31] prosomoia[32] della festa d’Epifania: «Εἴς τὰ προεόρτια τῶν Φώτων Κοσμᾶ ᾠδή»[33]( e dall’acrostico del canone della domenica del 4° tono: «Ὕμνος Κοσμᾶ τέταρτος, δόξα τῷ Θεῷ· ἀμήν»[34]. L’autore è un monaco come ricaviamo dall’acrostico del Canone a Cristo: «Πένθος Κοσμᾶ μοναχοῦ ἐπὶ νοός»[35]. L’autore in qualche modo è collegato con Gerusalemme: «Δεύτερος ὕμνος Κοσμᾶ ἁγιοπολίτου»[36] (il canone di domenica del 2° tono), «Τρίτος ὕμνος Κοσμᾶ Ἱεροσολυμίτου»[37] (il canone di domenica del 3° tono)[38].

Oltre a questo, è molto probabile che la memoria orale avesse conservato le notizie che Cosma fosse vissuto al tempo di San Giovanni Damasceno, appartenendo alla prima generazione dei compositori del canone. Si può anche immaginare che questi due grandissimi poeti furono in qualche rapporto tra di loro, o in rapporto maestro-allievo, o come due confratelli.

Vi sono tre gruppi di fonti agiografiche da quali possiamo ricavare le notizie sulla vita e sull’opera di Cosma: 1) le vitae e sinassari di Cosma stesso; 2) le vitae e sinassari di Giovanni Damasceno; 3) le vitae comuni dei poeti Cosma e Damasceno. Queste fonti non appartengono tutte alla stessa tradizione e spesso le loro notizie sono contraddittorie. Spesso ci troviamo di fronte delle difficoltà insormontabili nel tentativo di conciliare le contraddizioni che derivano da esse[39].

Il problema dell’interconnessione tra le vitae greche di Damasceno e Cosma è molto complicato. M. Jugie, J. Nasrallah e J. M. Hoeck consideravano la Vita Damascenica Hierosolymitana come la più antica biografia greca. M. Gordillo, invece, riteneva come la più antica la Vita Damascenica Marciana[40].

Paragonando le notizie riguardo alla provenienza, educazione e ai rapporti con Damasceno, sulla base dei rapporti e delle differenze dei testi stessi tra loro Detorakes li raggruppa in tre tipi[41]. Il primo tipo dei testi presenta Cosma come proveniente da Damasco e come il fratello adottivo di Damasceno. Il maestro dei due era un Bizantino (Costantinopolitano), un’ἀσηκρήτης (segretario privato). Sembra che questo tipo rispecchia la tradizione manoscritta costantinopolitana. Qui appartiene il Sinassario della Chiesa di Costantinopoli[42] che è il più antico testo agiografico su Cosma (secondo Detorakes è stato composto nell’XI sec.[43], secondo Kazhdan-Gero sarebbe più motivato datarlo col X sec)[44]. A questo tipo aderisce anche un’opera di genere laudativo Vita Athoniensis Laurae[45] di cui il più antico manoscritto è dal XIII secolo, mentre il testo originale sembra di essere stato composto nell’XI secolo. Il terzo rappresentante di questo tipo di testi è la Vita Damascenica Marciana[46] (X – inizio del XI).

Il secondo tipo dei testi riunisce i manoscritti che esprimono la tradizione orientale ed arabica cioè quelli che provengono dall’ambiente del patriarcato di Gerusalemme. Secondo questi testi Cosma proveniva da Gerusalemme, pur essendo il fratello adottivo di Damasceno. Il maestro comune dei due fratelli è un intelligente monaco d’Italia, che si chiamava anche lui Cosma. A questo tipo appartiene la Vita Damascenica Hierosolymitana[47], l’opera di un certo Giovanni. Secondo un gruppo di manoscritti Giovanni sarebbe stato il patriarca di Gerusalemme, secondo altri manoscritti egli era il patriarca d’Antiochia. Siccome possediamo i due manoscritti della Vita Hierosolymitana datati col X sec.[48], potremmo presupporre come l’autore Giovanni VII di Gerusalemme (964-966) oppure, meno probabile, Giovanni V di Antiochia (995-1000). Giovanni dichiara di aver tradotto questa vita dall’arabo. È la più conosciuta biografia, di cui, a quanto sappiamo, si conservano almeno 57 sue manoscritti[49]. La seconda fonte del secondo tipo dei testi è la Biografia comune dei due poeti Cosma e Damasceno[50], opera del patriarca di Gerusalemme Giovanni Mercuropolo (1156-1165), che dipende molto dalla Vita Damascenica Hierosolymitana.

Il terzo tipo riporta i dati completamente diversi dai due tipi precedenti. I testi del terzo tipo sono sopravvissuti nei manoscritti più tardi rispetto a quelli dei gruppi precedenti, però copiano prototipi più antichi[51], secondo i quali Cosma proveniva da Creta, essendo il maestro di Damasceno, oppure da Creta proveniva il maestro comune dei due fratelli adottivi Cosma il monaco. In questo tipo rientrano i 3 testi seguenti. La Vita di Chalce[52] (XII) appartiene ad una tradizione completamente differente sia da quella orientale, sia dalla costantinopolitana. L’autore prende elementi da molte fonti, facendo un prodotto di grande confusione[53]. La Vita Atheniensis[54] di Cosma (XI-XII) costituisce una correzione della Vita di Chalce, seguendola fedelmente sia nella struttura sia nel contenuto[55]. La Vita Vaticana (Barberiniana)[56] di Cosma costituisce un ponte tra secondo e terzo tipo. Il manoscritto è datato con lo XV secolo, mentre il testo originale sembra di essere stato composto nello XII secolo[57].

La Vita di Chalce fornisce uno schema del tutto nuovo e molto curioso. Mansur, il padre di Damasceno è un arabo, emiro di Damasco, musulmano. Non si dice niente sull’adozione di Cosma. Non si tratta del maestro comune dei poeti Cosma e Damasceno. Cosma proviene di Creta e diventa il maestro di Damasceno. Damasceno si considera come un martire. Si parla pochissimo dell’opera poetica dei due poeti[58].

Il maestro comune dei due poeti nei testi del primo tipo è anonimo e definito con il termine «ἀσηκρήτης» (segretario privato). Nei testi del secondo tipo il maestro si chiama Cosma, ma non è definito con il titolo «ἀσηκρήτης». La Biografia dei poeti di Mercuropolo attribuisce il titolo «ἀσηκρήτης» a Cosma il Poeta. Nei testi del terzo tipo, invece, Cosma (il Poeta oppure il Maestro) proviene da Creta. È molto probabile la confusione dei termini «ἀσηκρήτης» (segretario privato) – «ἀσύγκριτος» – (incomparabile), «ἀσηκρήτης» – «ἐκ Κρήτης» oppure «ἀπὸ τὴν ἀσηκρήτην» (ἀπὸ + accusativo) – «εἰς Κρήτην» (da Creta)[59].

Detorakes, dunque, nella sua monografia sostiene che Cosma nacque nel 674/676 a Damasco invece che Gerusalemme o Creta. Questo affermano la Vita Athoniensis Laurae[60] e l’Heirmologion di Grottaferrata[61] (XIV sec.), secondo il quale: «Κοσμᾶ μοναχοῦ τοῦ Δαμασκηνοῦ»[62]. Anche l’autore della Vita Atheniensis è consapevole della tradizione dell’origine da Damasco, dicendo: “Egli (Cosma) non è nato a Damasco, ma in Creta”[63]. Cosma stesso si definisce come «Ἱεροσολυμίτης» oppure «ἁγιοπολίτης» nei due acrostici dei canoni: «Δεύτερος ὕμνος Κοσμᾶ ἁγιοπολίτου» (il canone di domenica del 2° tono) e «Τρίτος ὕμνος Κοσμᾶ Ἱεροσολυμίτου» (il canone di domenica del 3° tono). Però, queste definizioni non significano necessariamente che Cosma è nato a Gerusalemme. Con questi titoli sono definiti molti altri monaci della Laura di San Saba che sicuramente non erano nati in Gerusalemme[64]. Detorakes, difendendo la versione tradizionale sull’adozione e sul maestro comune costantinopolitano, polemizza contro M. Jugie, il quale riteneva soltanto spirituale la fraternità dei due monaci dello stesso monastero e dei poeti concorrenti, e che il maestro comune è una persona leggendaria inesistente[65]. Secondo la Vita di Chalce e Vita Atheniensis Cosma è vissuto 78 anni, ovvero dagli anni 674/676 fino a 752/754[66]. Cosma fu ordinato vescovo di Maiuma nell’anno 735 probabilmente dal patriarca di Gerusalemme Giovanni V (705-735), essendo vescovo degli ultimi 17 anni della sua vita, secondo la Biografia comune dei due poeti Cosma e Damasceno di Mercuropolo[67].

Come abbiamo notato sopra, la venerazione liturgica di San Cosma nasce nel secolo XI. Secondo Eustratiades, però, il canone encomiastico a San Cosma è stato composto da Teofane Graptos (+845) già nella prima parte del IX secolo[68]. Dal fatto che il nome di Cosma è assente negli antichi sinassari e menologie[69] prima dello XI sec. Detorakes rinnega l’attribuire del Canone di San Cosma a Teofane Graptos[70]. La Vita Athoniensis Laurae (XI) loda Cosma come Santo, dicendo che la festa di San Cosma ancora spesso “rimane sotto silenzio e sconosciuto fino ai nostri giorni”[71]. Diverse fonti forniscono il giorno di San Cosma in date diverse: il 15 o 16 gennaio, il 14 o 12 o 15 ottobre oppure il 25 ottobre insieme con Giovanni Damasceno[72]. Queste moltiplicazioni delle feste del Santo possono essere risultate dal processo complicato dello sviluppo della sua immagine[73].

Kazhdan-Gero nel loro Kosmas of Jerusalem: a more critical approach to his biography[74] mettono in discussione alcune tesi di Detorakes. Siccome i testi contemporanei di Cosma lo ignorano, i due studiosi sospettano che il ruolo di Cosma nel conflitto dell’iconoclastia non fosse stato così eminente come quello di Giovani Damasceno. In particolare gli anatemi contro Damasceno del Concilio iconoclasta dell’anno 754 (inclusi nei documenti del Concilio Niceno 787) non menzionano Cosma. Anche Teofane il Confessore (760-818) che scrisse nell’inizio dell’IX secolo, capendo il ruolo di Damasceno, non fa menzione di Cosma[75].

Però alla fine dello XI secolo Kedrenos, il cronista bizantino, revisionando Teofane, ritenne necessario menzionare Cosma. Il cronista parla di tre grandi difensori della venerazione delle icone: il patriarca Germano I (+730), il papa Gregorio III (+741) e Giovanni Damasceno, il Ruscello d’Oro e Mansur (il Benedetto da Dio per essere Vincitore). Poi Kedrenos cita un brano dello Pseudo-Simeone dalla cronaca dello X secolo: “Questo Santo Giovanni fu chiamato il Melodo insieme con Cosma, il vescovo di Maiuma, e con Teofane Graptos, il fratello di Teodoro, perché loro componevano inni e canti nelle chiese cristiane”[76].

Anche la dedica del Damasceno in annotazione della sua Dialettica a Cosma non è autentica perché non esiste in una traduzione georgiana dello XI secolo. Inoltre i destinatari nell’introduzione sono noti nel plurale: «μακάριοι, συγγνώμονες, τίμητοι».Quindi i destinatari sono un gruppo o una comunità, ma non una singola persona[77].

Ci sono altre notizie su Cosma dei secoli IX-XI che però non aggiungono niente alla biografia del grande poeta. Le citazioni provenienti da due canoni di Cosma (il Canone del Natale e il Canone del Santo Giovedì[78]) sono state usate dagli autori degli Epimerismoi per Salmi e per Omero datati alla metà dell’IX secolo[79]. La cronaca di Teofane Continuatus (X sec.) racconta che nei tempi di Leone VI (886-912) un monaco molto saggio Marco ha ricevuto l’ordine di completare il tetraodion di Santo Sabato “di grande Cosma”[80]. Alcuni inni di Cosma furono tradotti in siriaco e inclusi nell’orologion[81] dei giacobiti. Nel calendario dei melchiti, secondo Mohammad al-Biruni, c’era il giorno di un certo Cosma “che raccoglieva canoni e leggi ecclesiastiche” (22 gennaio)[82].

Abbiamo la prima testimonianza biografica su Cosma dall’autore anonimo del Suda-Lexikon[83] (il tardo X secolo). Secondo l’ipotesi di G. Wentzel[84], l’autore del Suda attinge i dati su Giovanni Damasceno e Cosma da una revisione del secolo IX da un storico bizantino Esichio Illustrius di Mileto (VI sec.). Il Suda-Lexikon scrive brevemente che Cosma proviene da Gerusalemme, fioriva contemporaneamente con Giovanni Damasceno e possedeva un grande talento “musicale e armonico”[85]. La provenienza da Gerusalemme coincide con la testimonianza dell’acrostico. È notevole che non ci sia menzione sul vescovato di Maiuma[86].

Per quanto riguarda i dati agiografici su Cosma, essi sono poveri e contradditori; i più antichi manoscritti sono datati col X secolo[87]. Sulla questione delle relazioni fra tradizioni greche ed arabe, Kazhdan-Gero propongono l’esistenza almeno di due vitae arabe. La prima, che non possediamo, fu usata da Giovanni VII di Gerusalemme (964-966) [oppure da Giovanni V di Antiochia (995-1000)] per comporre la Vita Damascenica Hierosolymitana. La seconda vita arabica fu composta da un monaco arabo Michele circa dopo l’anno 1084 e tradotta in greco da Samuele, metropolita d’Adana. In seguito questa versione fu tradotta in georgiano da Efrem Mzire alla fine dell’XI secolo[88]. La vita arabica del monaco arabo Michele[89] presenta i dati in modo molto simile, essendo vicino alla Vita Damascenica Hierosolymitana[90].

Kazhdan-Gero, analizzando il contenuto dei testi agiografici delle diverse tradizioni, giungono alle conclusioni seguenti. La storia più semplice si trova nel Sinassario Costantinopolitano e nella Vita Damascenica Marciana. Ambedue sono composti probabilmente nel X secolo. Raccontano che Cosma era un orfano allevato dal padre di Damasceno, divenuto un monaco e poi vescovo di Maiuma, che avrebbe composto tanti troparia e canoni. Queste versioni differiscono dalla storia del Souda-Lexikon (tardo X secolo) che non conosce l’adozione e vescovato in Maiuma[91].

La Vita Athoniensis Laurae è sopravvissuta in un unico manoscritto del XIII secolo. Però alla fine della Vita troviamo un’esortazione ad osservare la celebrazione della festa di San Cosma che “rimane silenzioso e sconosciuto fino ai nostri giorni”. Questa affermazione ci permette di datare il testo originale con l’XI secolo, cioè con il tempo della istituzione della venerazione liturgica di Cosma. In questa versione è omesso il vescovato in Maiuma, però si tratta della partecipazione alla crisi dell’iconoclastia, anche è stato detto che Cosma è morto in giovane età[92].

Il traduttore della Vita Damascenica Hierosolymitana, Giovanni di Gerusaleme (o d’Antiochia), conosce il vescovato di Maiuma e la cooperazione con Damasceno nel conflitto dell’iconoclastia, però evita l’episodio dell’adozione. È molto interessante che Cosma qui non è fratello adottivo di Giovanni Damasceno, ma solo suo compagno che condivide la fede cristiana (συμμύστης) e fratello spirituale (κατὰ πνεῦμα ἀδελφός). In versione arabica Cosma è il figlio spirituale di Mansur; in versione georgiana lui è il “amico e compagno” di Giovanni allevato nella casa del padre di Giovanni. Il tema dell’orfananza ed adozione rimane poco sviluppato nella biografia gerosolimitana e nei testi collegati. Infine, la Vita Hierosolymitana contraddice la Vita Athoniensis Laurae, sottolineando che Cosma è morto “in età avanzata”[93].

Mettendo a confronto le versioni agiografiche dei primi due tipi (secondo lo schema di Detorakes) con la versione del Souda-Lexikon, osserviamo l’evoluzione seguente: da contemporaneo di Giovanni (Souda) Cosma diventa il suo amico e compagno, perfino l’orfano adottato dal padre di Giovanni. Il vescovato in Maiuma che è sconosciuto nel Souda e nella Vita Athoniensis Laurae è introdotto dagli altri[94].

Il Sinassario Costantinopolitano ha due prefazioni: uno a Giovanni, l’altro a Cosma. È molto strano che nella prefazione a Giovanni si tratta di Cosma vescovo di Maiuma, coautore dei troparia e canoni, però non c’è nessuna menzione del maestro di Giovanni. Invece, nella prefazione a Cosma è dedicato uno spazio sostanziale all’anonimo ἀσηκρήτης, un saggio erudito che era il maestro di Giovanni delle scienze elleniche e divine. Sull’educazione di Cosma si tratta a parte senza relazione con l’ἀσηκρήτης. Sembra molto enigmatico che il maestro di Givanni è presentato nella prefazione a Cosma e non alla prefazione a Giovanni, e per di più il maestro occupa nella storia di Cosma più spazio che Cosma stesso[95].

Nella Vita Damascenica Marciana il tema del maestro anonimo è elaborato ancora di più. L’ἀσηκρήτης è maestro di Giovanni. Cosma (il Poeta) è presentato come un monaco, nonostante che l’agiografo sa, che lui era allevato alla casa del padre di Giovanni. Un elemento nuovo che l’ἀσηκρήτης fu uno dei prigionieri, il quale il padre di Giovanni poneva nei diversi posti[96]. Nella Vita Athoniensis Laurae l’ἀσηκρήτης è uno prigioniero, il quale il padre di Giovanni ha liberato dalla schiavitù e nominato insegnare non Giovanni, ma Cosma. Questo è più conveniente nella biografia di Cosma[97]. Il maestro occupa il posto centrale anche nella Vita Damascenica Hierosolymitana. Qui egli non è un l’ἀσηκρήτης, ma un monaco proveniente da Italia, prigioniero liberato dal padre di Giovanni. Il suo nome è Cosma, lo stesso come il nome dell’amico di Giovanni. Cosma il maggiore è maestro solo di Giovanni, ha finito la sua vita nel deserto del monastero di San Sabba[98]. Se accettiamo con Detorakes che le vitae del 1° tipo (che non portano il nome del maestro) sono primarie, ci si chiede da dove un narratore successivo abbia preso lo stesso nome dell’allievo per il maestro?[99] L’altra difficoltà: perché Giovanni Damasceno nelle sue opere, nominandosi il discepolo di Giovanni V di Gerusalemme (706-735), non menziona mai l’esistenza del maestro Cosma, il quale ha così grande ruolo nella biografia agiografica?[100]

Alcune vitae, per esempio la Vita Damascenica Hierosolymitana, avvertono di non confondere i due omonimi. Questo avvertimento diventa comprensibile perché esistevano i testi che conoscevano un solo Cosma, il maestro di Giovanni. Nella sua forma più semplice questa versione si trova nel Sinassario Etiopico, dove il maestro di Giovanni è un monaco e filosofo chiamato Quelherou-Quezma, discepolo di Cirillo[101]. Qui non c’è nessuna menzione di Cosma di Maiuma. Anche nella Vita di Chalce[102] e nella Vita Atheniensis[103] troviamo un solo Cosma il maestro di Giovanni[104]. La Biografia composta da Giovanni Mercuropolo (XII) mantiene i due Cosma, però attribuisce al Coma allievo alcune caratteristiche che nelle altre versioni appartengono a Cosma il maestro. Egli condivide la protosymboulia con Giovanni Damasceno, diventa l’ἀσηκρήτης, dopo entra nel monastero di San Sabba[105].

Kazhdan-Gero concludono che non si ha una “vera” biografia di Cosma il Melodo. Non possiamo esaminare il processo dello sviluppo dell’immagine di Cosma non soltanto perché tanti testi sono andati perduti, ma anche perché questo sviluppo in parte intercorreva in forma della tradizione orale, che non è registrabile dalla nostra ricerca. Tuttavia, le opere dette di Cosma sono indubbiamente i prodotti di un autore dell’VIII o IX secolo[106].

Dunque, con certezza affermiamo che nell’VIII secolo esisteva un tale Cosma, poeta e compositore di canti ecclesiastici, il quale aveva qualche connessione con Gerusalemme, come attestano alcuni suoi acrostici (Ἱεροσολυμίτης[107] oppure ἁγιοπολίτης[108]). Accettando con Detorakes[109] la paternità del Canone a Cristo con l’acrostico «Πένθος Κοσμᾶ μοναχοῦ ἐπὶ νοός»[110], pensiamo che Cosma sia stato un monaco. L’analisi del suo patrimonio poetico ci permette di porre Cosma accanto agli inventori di un nuovo genere poetico ecclesiale, il canone, ovvero con Giovanni Damasceno e Andrea di Creta, collocandolo nella stessa epoca dell’VIII secolo.

Infatti, è difficile stabilire lo sviluppo dell’immagine di Cosma alla base dei fonti che possediamo. Abbiamo un sacco dei documenti su Cosma che provengono più meno dalla stessa età, cioè dai secoli X-XI. I documenti appartengono alle tradizioni diverse, più o meno indipendenti, talvolta contraddittorie. Le tradizioni si occupano di descrivere i rapporti che collegano Cosma e Damasceno, i due poeti collaboratori nella grande riforma liturgica dell’VIII secolo. Le confusioni sono spesso causate da collegamenti ed intracciamenti dei dati di tradizioni diverse.

1.2. Cosma il Melodo poeta e compositore

Il nome di Cosma il Melodo è ben noto nella tradizione dell’innografia bizantina, ed è detto il princeps melodorum. Cosma è il secondo dopo Romano che ha meritato l’onore del titolo «Μελωδός». Le opere di Cosma[111], irmoi, canoni, stichira, idiomela[112], subito sono entrate nei libri liturgici[113] e sono cantate fino ad oggi. S. Eustratiades per la prima volta ha fatto un’indagine generale, sforzandosi di comporre un elenco delle opere autentiche di Cosma[114]. Egli ha pubblicato i testi degli irmoi in famoso Heirmologion[115] nel 1932 basandosi sui due manoscritti del XIII sec. (Paris. Coisl. gr. 220 e M. Lauras B 32). La tabella d’Eustratiades contiene 167 irmoi. Però Detorakes ne osserva errori ed omissioni importanti[116] che tende a correggere, facendo la nuova tabella degli inni di Cosma. L’elenco di Detorakes è più ricco e contiene 173 irmoi, 33 canoni, 83 idiomela e un contakion sulla Dormizione della Madre di Dio[117], anche 6 triodia, diodia e tetraodia[118], 30 stichira prosomoia[119].

Cosma nei canoni segue fedelmente certe regole che caratterizzano la sua poesia: l’uso degli acrostici, dell’efimnio (un ritornello dopo la strofe), l’assenza della seconda ode, l’uso raro dei theotokia, ecc. Queste caratteristiche distinguono la poesia di Cosma dagli altri innografi. Non troviamo questi indizi, almeno nella stessa misura, negli altri poeti. L’analisi precisa di questi elementi aiuta nell’attribuzione di opere dubbie[120].

L’usanza degli acrostici è un fenomeno quasi generale negli innografi bizantini. Cosma usa quasi sempre acrostici in versi in forma del giambo, senza l’aggiunta finale del suo nome. Anche gli acrostici molto brevi dei triodia e tetraodia sono in versi. È da notare che Cosma non esclude mai gli irmoi dall’acrostico, quando gli irmoi sono i suoi propri. Però, quando Cosma prende in prestito gli irmoi altrui, preferisce comporre canoni senza acrostici[121].

Come è ben noto, l’efimnio è una caratteristica particolare dei contakia, da dove è passato al canone. Di solito lo troviamo nella 1° ode e quasi sempre nelle 7° e 8° ode. Andrea di Creta non usa mai l’efimnio. Gli altri poeti contemporanei (Giovanni Damasceno, Germano di Costantinopoli, Elia di Gerusalemme) lo usano molto raramente. Negli autori più tardi l’efimnio è appena palesato in alcune odi. Cosma è un’eccezione unica. L’uso dell’efimnio è una sua caratteristica persistente. Infatti ci sono i canoni che contengono efimnio in tutte le odi. Questo dimostra che i canoni di Cosma non sono ancora liberi dall’influenza di contakion. È notevole che l’efimnio è incluso non solo in troparia, ma anche negli irmoi delle odi. Per cui l’efimnio fu una eccezione negli altri poeti, però in Cosma l’efimnio fu una regola[122].

Per quanto riguarda l’assenza della seconda ode, non troviamo nessun caso indubitabile in Cosma. In nessuno dei canoni conosciuti di Cosma esiste la seconda ode e nessuno può affermare che esisteva essendo persa a causa di disuso, perché gli acrostici servono come misure[123].

Un’altra particolarità dei canoni di Cosma è l’uso raro dei theotokia. Il theotokion diventa un elemento costante dall’IX secolo. I primi autori dei canoni lo usavano raramente (eccetto Andrea di Creta). Ci sono soltanto 3 canoni dove Cosma usa i theotokia in alcune odi e un solo canone, dove li usa in tutte le odi[124].

A differenza dalla ricca poesia d’Andrea di Creta, al quale piace comporre le odi con molti troparia, sembra che i poeti Damasceno e Cosma preferiscano comporre le odi con un piccolo numero dei troparia. Particolarmente Cosma è troppo parco in numeri dei troparia componendo le odi con 2-3 troparia, molto raramente lui raggiunge a 4 troparia e in un solo caso troviamo l’ode con 5 troparia (8° ode del Canone di Trasfigurazione), mentre esistono le odi con uno solo troparion (il Canone di Pentecoste, 3°, 5° e 7° odi), cosa che non troviamo in nessun altro innografo bizantino. Cosma non segue nessuno schema nel numero dei troparia nelle odi, infatti, nessun canone è simile all’altro né in struttura, né in numero dei troparia[125].

La poesia di Cosma è ricca del contenuto e di difficile comprensione. Il suo stile è elevato, le frasi, specialmente negli irmoi, sono maestose, i suoi voli poetici irripetibili, il lirismo sollevato. I suoi canoni sono i poemi della devozione equilibrata, nei quali lo spirito non contrasta con il cuore. È certo, che i canoni di Cosma sono distanti dall’ampollosità naturale e semplicità dei contakia di Romano il Melodo, nondimeno anche nei canoni esiste ispirazione, animazione, sensitività ed entusiasmo. Anche qui abbiamo una poesia piena di gioia e lirica disposizione d’animo[126]. “La fantasia di Damasceno sale instancabilmente sull’altezza dell’irraggiungibile poesia di Cosma. Giovanni Damasceno è caratterizzato con semplicità, chiarezza, limpidezza e dolcezza delle frasi, invece Cosma è caratterizzato con severità dell’espressioni, ma l’altezza della poesia e lirica è ispirata da Dio”[127]. La poesia di Cosma è irreprensibile dal punto di vista teologico, anche se non teologizza come faceva Damasceno. Cosma indirizza il suo sguardo verso all’uomo, stimolandolo alla gioia ed all’entusiasmo, all’afflizione e al pentimento. Cosma è veramente un poeta dotto, colto, aristocratico. La sua poesia possiede una solennità impressionante, la sua lingua sale ad altezze inaccessibili ad un uomo semplice ed incolto. Tuttavia, la potenza e la ricchezza delle immagini è un aspetto che lo caratterizza. Anche in Cosma incontriamo le immagini bibliche solenni a cui simili è difficile trovare in un altro innografo[128].

È ben noto che Cosma si è appellato all’eredità antica più di tutti gli innografi bizantini. Ci sono molte parole rare ed espressioni poetiche, che lui prende direttamente o indirettamente dalla cultura greca antica. Con audacia lui usa le parole e le frasi d’Omero e dei tragici, che adatta ai testi degli irmoi e canoni. Ci sono anche molte parole (soprattutto le quelle composte) che si incontrano per la prima volta e soltanto in Cosma, le quali dimostrano la plasticità della sua lingua[129].

Cosma usa anche i diversi modi dell’elocuzione, che danno allo stile una vivacità ed energia. Specialmente lui preferiva l’antitesi, l’isosillabia e la rima. Spesso le antitesi sono non solamente lessicali, ma anche concettuali, come una comparazione delle persone ed azioni contrarie:

  • Cristo, Figlio della Vergine, riceve la mirra dalle mani di una donna dissoluta;
  • La meretrice si salva attraverso la penitenza, Giuda, invece, diventa uno schiavo del peccato[130].

Ci sono molti esempi della rima vera e propria, soprattutto nei versi con lo stesso numero delle sillabe e con gli stessi accenti. Gli esempi analogici con isosillabia assoluta, con stessi accenti e con rima, ne troviamo molti nell’innografia liturgica, in particolare in Romano il Melodo e nell’Inno dell’Acatisto[131].

Nei poemi di Cosma incontriamo metafore molto coraggiose[132] e parecchi ossimori[133]. Bisogna anche rilevare l’amore di Cosma per il gioco di parole e per il riscontro di componenti della stessa parola composta[134]. Così la parola ottiene la leggerezza e la gioia[135].

Cosma nella sua poesia non segue i metri antichi. L’ipotesi di Pezopoulos, il quale scopre i metri antichi in Cosma è infondata e non sopporta una critica seria[136]. Cosma utilizza soltanto i metri tonici costanti. Solo negli acrostici dei suoi canoni utilizza il trimetro giambico, anche se non sempre, e in un solo caso utilizza esametro dattilico (nel Canone di Trasfigurazione: «Χριστὸς ἐνὶ σκοπιῇ σέλας ἄπλετον εἴδεος ἦκε»). Cosma è molto più attento agli accenti pari ed allo stesso numero delle sillabe in confronto d’altri poeti contemporanei. Abbiamo diversi esempi dell’isosillabia assoluta. I troparia di un canone di Cosma corrispondono alla melodia del suo irmos. Siccome la melodia di Cosma è ritmo-tonica, i metri sono determinati non solo dal numero delle sillabe, ma anche dalla melodia. Per questo troviamo talvolta alcune piccole deviazioni dall’isosillabia[137].

Cosma è contemporaneamente un poeta e compositore, proprio questo rispecchia il titolo greco «Μελωδός». Egli ha posto sul livello alto le conoscenze poetiche e musicali. I biografi di Cosma non si stancano d’esaltare le sue virtù[138]. Sembra che i grandi compositori dell’VIII secolo nel corso della grande riforma liturgica abbiano organizzato gli studi e l’arte musicale in generale[139].

Il problema dell’origine del canone come il nuovo genere poetico non è ancora risolto. Come si è detto, gli inizi del canone si riferiscono ai secoli VII-VIII.Detorakes sostiene che proprio Cosma sia l’inventore di questo nuovo genere poetico con le prove seguenti: i fonti antichi dei secoli XI-XII concordemente attribuiscono l’invenzione del canone a Cosma (Vita Atheniensis XI-XII sec., Vita Vaticana XII sec.)[140]; la poesia di Cosma è la più vicina al contakion, genere poetico precedente[141].

Come è stato detto, Cosma usa gli acrostici e l’efimnio molto più di tutti altri innografi. Questi elementi sono l’eredita dell’inno del contakion. Cosma è l’unico di tutti canonografi che ha composto il contakion con la propria melodia. Il contakion della festa della Dormizione di Madonna con l’acrostico «Τοῦ ταπεινοῦ Κοσμᾶ ὕμνος» è probabilmente una delle sue prime opere. Quindi, è naturale dimostrare che Cosma era un rappresentante del passaggio dal contakion al canone, al quale ha dato la forma conservando però alcuni elementi del contakion[142].

Il contakion è una poesia narrativa, dialogica e descrittiva, mentre il canone è prevalentemente una poesia laudativa, elevata ed emozionale. Si potrebbe dire che del contakion prevale lo stile epico, mentre del canone prevale il pathos lirico. Possiamo fare un parallelo tra il contakion ed epos didattico, mentre tra il canone e l’elegia della poesia greca antica. L’elegia è un passaggio dall’epos alla poesia lirica e conserva molti elementi dell’epos. Così anche il canone conserva elementi del contakion. In Cosma spesso osserviamo la tendenza alla narrazione che è fatta soprattutto con le parole: «ἐβόα» (diceva gridando), «ἔλεγε» (diceva), «ἔφη» (ha detto), «ἔφησας» (hai detto), ecc. Questo fenomeno è molto solito nei contakia, ma si trova molto raramente negli canonografi. Ci sono dei casi nei canoni di Cosma, quando una narrazione prende la forma del dialogo e si evolve con l’adattamento della sintassi e con il cambiamento dalla 3° persona alla 2° oppure 1°. Talvolta il dialogo si svolge in due o più troparia e così la parola acquista uno stile abbastanza drammatico. Per esempio, nella 8° ode del Canone della Dormizione di Madonna: il coro degli apostoli prega la Madre di Dio di non cessare mai d’essere la Mediatrice per i fedeli; la Madre di Dio trasmette questa preghiera al suo Figlio. Però il caso con la forma più drammatica è la 9° ode del tetraodion del Grande Sabato nella quale abbiamo il dialogo del Gesù morto con la sua Madre dolorosa. Gesù dice sua Madre di non piangere perché il trionfo e la gioia della Risurrezione è vicino[143]. Dialoghi drammatici analoghi li troviamo soltanto nei contakia, soprattutto, del Romano il Melodo e molto raramente nei poeti dei canoni, eccetto Cosma. Questa tendenza di inserire gli elementi dialogici e drammatici nella poesia di Cosma è influenzata dalla forma analoga dei contakia[144].

Osserviamo una cooperazione tra i due grandi poeti Cosma e Damasceno. Ci sono 7 canoni di Cosma che si fondano sugli irmoi prestiti tra cui 6 canoni si fondano sugli irmoi di Damasceno. In questi casi Cosma preferisce non usare acrostici oppure non includere gli irmoi in acrostici. Anche Giovanni Damasceno nei canoni che si fondano sugli irmoi prestiti usa quasi eccezionalmente gli irmoi di Cosma[145]. In genere si ritiene che nella forma iniziale dell’Oktoechos[146] collaboravano Damasceno e Cosma. Il contributo di Cosma era significativo. Però la collaborazione tra i due poeti non era limitata soltanto nel comporre degli inni, sembra che collaborassero anche nella costituzione degli uffici divini e nella innovazione degli statuti liturgici nel corso della grande riforma liturgica bizantina dell’VIII secolo[147].

Nella tradizione manoscritta bizantina Cosma è definito come «ποιητής» (il Poeta), «μέγας» (il Grande), «πνευματικὸς ᾀσματογράφος» (autore spirituale dei canti), «μελῳδός» (il Melodo), ecc. Le più solenni feste del calendario della Chiesa Orientale sono celebrate per mezzo dei canoni, triodia e idiomela di Cosma. La Settimana Santa, il più maestoso periodo dell’anno, è coperta quasi eccezionalmente con gli inni di Cosma. I canoni, triodia, diodia, tetraodia, molti idiomela dal Sabato di Lazzaro fino al Grande Sabato sono le opere di Cosma. Bisogna dire che Cosma è uno dei casi rari tra gli innografi bizantini le cui opere sono state tradotte e sono entrate nell’ufficio divino delle chiese d’altro rito. Alcuni canoni sono tradotti in siriaco e ancora sono in uso liturgico. Lo stichiron della festa di Presentazione del Signore è tradotta in latino e ancora in uso liturgico della Chiesa Cattolica Romana: Adorna thalamum tuum, Sion, et suscipe Regem Christum[148]. Nonostante tutto questo, Cosma non ha avuto seguaci. È un poeta ammirato da tutti, ma non seguito da nessuno. La sua poesia ha una maestà aristocratica che la fa quasi irraggiungibile. La sua parola è severa, antica, la sintassi è difficile, i concetti sono profondi con molti significati e non sono compresi facilmente. Tra i commentatori di Cosma ci sono i nomi famosi della letteratura bizantina: Michele Psello, Gregorio Korintu, Teodoro Prodromo. Gli inni di Cosma sono stati usati dai canonografi posteriori: Giuseppe l’Innografo, Teofane Graptos. Alcuni canoni di Cosma sono stati modificati e adattati alle altre feste[149].

Capitolo 2. Il Canone di Natale di Cosma di Maiuma

2.1. Osservazioni generali

Nella tradizione bizantina il Canone di Natale di Cosma di Maiuma viene cantato all’officio mattutino della festa della Natività di Cristo il 25 dicembre e nei giorni successivi fino alla conclusione della festa il 31 dicembre. Lo troviamo nel libro liturgico Minea[150] sotto il 25 dicembre con l’acrostico «Χριστὸς βροτωθεὶς ἦν ὅπερ Θεὸς μένη» (Cristo, fatto mortale, rimane, qual era, Dio). Il titolo del Canone compongono le prime parole dell’irmos della prima ode: «Χριστὸς γεννᾶται· δοξάσατε» (Cristo nasce, rendete gloria). Secondo le regole della musica ecclesiastica bizantina il Canone di Natale di Cosma si intona sulla base del primo tono, ogni troparion segue la melodia del suo irmos. Ciascuna ode è composta dell’irmos e dei 3 troparia, eccetto le odi quinta e sesta che sono forniti soltanto con i 2 troparia[151]. Per quanto riguarda la seconda ode, non la troviamo in nessun canone di Cosma e nemmeno nel Canone di Natale[152]. La maggior parte delle odi del Canone di Natale sono provvisti con gli efimni (ritornelli specifici alla fine delle strofe dell’irmos e dei troparia):

ode 1: «ὅτι δεδόξασται» (Es. 15,1, parafrasi);

ode 3: «ἅγιος εἶ, Κύριε» (1 Sm 2,10, secondo la LXX, parafrasi);

ode 4: «δόξα τῇ δυνάμει σου, Κύριε» (Ab. 3,19, parafrasi);

ode 7: «ὁ τῶν Πατέρων Θεὸς εὐλογητὸς εἶ» (Dan. 3,26.52, parafrasi);

ode 8: «εὐλογείτω ἡ κτίσις πᾶσα τὸν Κύριον καὶ ὑπερυψούτω εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας» (Dan. 3,57ss, parafrasi)[153].

Il Canone di Natale di Cosma è un’opera poetica brillante, piena di gioia e di liricità, con fiorite ricchezze del linguaggio e con tono laudativo elevato. Essa contiene delle immagini splendenti, delle metafore coraggiose, degli epiteti magnifici[154]. Troviamo molte parole arcaiche dalla letteratura greca antica, fra l’altro da poesie di Omero, di Pindaro, di Eschilo, di Euripide ecc[155]. Nella poesia di Cosma ci sono molte parole, soprattutto quelle composte, che si incontrano per la prima volta e solo in Cosma, e che dimostrano la grande plasticità della lingua e la forza del definire di Cosma. Una di queste «ἅπαξ εἰρημέναι» si trova nel secondo troparion della terza ode del Canone di Natale: «διαρτία» (formazione, conformazione)[156].

Accanto alle conoscenze profonde della letteratura greca antica, nel Canone di Natale Cosma si rivela anche come un grande esperto della tradizione patristica. L’irmos della prima ode è la trascrizione fedele dell’iniziodella Orazione 38di Gregorio Nazianzeno In Theophania:

Gregorio: Cristo nasce: glorificatelo! Cristo scende dal cielo: andategli incontro! Cristo è sulla terra: levatevi! «Cantate al Signore, tutta la terra» …[157] Cosma: Cristo nasce, rendete gloria; Cristo scende dai cieli, andategli incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi. Cantate al Signore da tutta la terra

Ma anche il primo troparion della prima ode è composto secondo l’ovvia influenza dello stesso discorso di Nazianzeno:

Gregorio: Io ebbi parte all’immagine di Dio, però non la conservai: Egli, allora, prende parte alla mia carne, sia per salvare l’immagine, sia per rendere immortale la carne. Egli si mette in comunione con l’uomo per la seconda volta, e in una comunione molto più straordinaria della prima, in quanto la prima volta mi fece partecipare alla sua natura migliore, ora, invece, è Lui che partecipa all’elemento peggiore. Questo fatto è più divino del primo …[158] Cosma: Colui che, fatto a immagine di Dio, era perito per la trasgressione, divenendo del tutto preda della corruzione, decaduto dalle altezze della vita divina, il sapiente Artefice di nuovo lo plasma, perché si è glorificato[159].

L’irmos dell’ode nona, invece, richiama all’introduzione del Discorso In natalem Christi diem di Giovanni Crisostomo: «Μυστήριον ξένον καὶ παράδοξον βλέπω» (Vedo un mistero strano e portentoso)[160].

2.2. Analisi esegetica

Siccome il canone come genere letterario e musicale deriva da 9 cantici scritturistici che stanno anche alla base del suo contenuto, spesso abbiamo a che fare con l’esegesi biblica. Il tema della nascita di Gesù stimola a ricordare le profezie messianiche: Cristo è il compimento dell’Antico Testamento.

Il Canone di Natale di Cosma presenta molti passi profetici, che erano espressi in futuro nell’Antico Testamento, come ormai compiuti. Per il fatto che lo scopo del Vangelo secondo Matteo è di chiarire la tesi che Gesù è il Messia e l’adempimento della legge e dei profeti[161], il racconto della nascita del Cristo (Mt 1,18-2,23) riporta numerosi riferimenti ai profeti veterotestamentari e molti testi contenenti il segreto della messianicità di Gesù. Le profezie spesso sono accompagnate con la formula tipica di Matteo “affinché si adempisse”[162]. Gli esperti religiosi di Erode scoprono che il luogo di nascita del Messia re è Betlemme di Giuda, la città di nascita di Davide re, e a conferma di ciò viene citata la profezia di Michea (5,1-3) su Betlemme, piccola città fra i capoluoghi di Giuda[163], con una fusione con il testo di 2 Sm 5,2[164]: Tu pascerai Israele mio popolo. Matteo 2,6: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele[165]. Questa accentuazione sul Messia che pascerà il popolo d’Israele viene collegata da Cosma con il Salmo 79,2 che proclama Dio pastore d’Israele assiso sui cherubini[166]. Il Salmo 88,18 si rivolge invece a Dio affinché Egli nella sua benevolenza elevi la nostra fronte. Nel Canone di Natale tutte queste immagini, ingegnosamente collegate nell’unico stornello poetico, trovano il suo compimento in Gesù Cristo (ode 3°, troparion 3°):

Βηθλεὲμ εὐφραίνου, ἡγεμόνων Ἰούδα βασίλεια· τὸν Ἰσραὴλ γὰρ ὁ ποιμαίνων, Χερουβὶμ ὁ ἐπ’ ὤμων, ἐκ σοῦ προελθὼν Χριστὸς ἐμφανῶς καὶ ἀνυψώσας τὸ κέρας ἡμῶν, πάντων ἐβασίλευσεν. Rallégrati, Betlemme, regina dei capoluoghi di Giuda: poiché colui che pasce Israele e sta sulle spalle dei cherubini, il Cristo, uscendo manifestamente da te e sollevando la nostra fronte, è divenuto re di tutti.

La benedizione di Giacobbe (Gen 49) si riferisce all’avvenire delle tribù d’Israele, continuazione della storia della salvezza iniziata con i patriarchi. Il figlio Giuda viene lodato in termini del significato messianico: Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza (secondo LXX: «προσδοκία» – attesa) dei popoli (Gen 49,10). Il carattere messianico dell’intero passo Gen 49,8-12, forse intravisto già dall’antico autore giudeo[167]. La profezia di Giacobbe viene collegata da Cosma con un avvertimento presente nel libro di Isaia (8,4)[168], con sostituzione però del suo significato. Isaia 8,4: Poiché prima che il bambino sappia chiamare babbo e mamma le ricchezze di Damasco e il bottino di Samaria saranno portati davanti al re di Assiria. Nel Canone di Natale di Cosma il Cristo discendente dalla tribù di Giuda predetto da Giacobbe è quello che è venuto a conquistare Damasco e Samaria con una nuova fede gradita a Dio (ode 4°, troparion 1°):

Ὃν πάλαι προεῖπεν Ἰακὼβ ἐθνῶν ἀπεκδοχήν, Χριστέ, φυλῆς Ἰούδα ἐξανέτειλας καὶ δύναμιν Δαμασκοῦ, Σαμαρείας σκῦλά τε ἦλθες προνομεύσων, πλάνην τρέπων εἰς πίστιν θεοτερπῆ· … Tu che un tempo Giacobbe aveva predetto come attesa delle genti, o Cristo, sei sorto dalla tribù di Giuda, e sei venuto a far preda delle ricchezze di Damasco e delle spoglie di Samaria, mutando l’errore in fede a Dio gradita …

I Magi venuti da oriente affermano di vedere la stella del re dei Giudei neonato (Mt 2,2). Benché la allusione non sia esplicita, il lettore giudeo riconoscerebbe in essa la stella che spunta da Giacobbe (Num 24,17), un’allusione a David, interpretato di solito in un senso messianico[169]. La parola profetica dell’antico indovino Balaam “La stella si muove da Giacobbe” (Num 24,17) si compie in Gesù riempiendo di gioia i Magi che, come primizia delle genti, vengono accolti con i loro doni[170] (ode 4°, troparion 2°):

Τοῦ μάντεως πάλαι Βαλαὰμ τῶν λόγων μυητὰς σοφοὺς ἀστεροσκόπους χαρᾶς ἔπλησας, ἀστὴρ ἐκ τοῦ Ἰακὼβ ἀνατείλας, Δέσποτα· ἐθνῶν ἀπαρχὴν εἰσαγομένους ἐδέξω δὲ προφανῶς· … Sorgendo come stella da Giacobbe, o Sovrano, hai riempito di gioia gli iniziati alle parole dell’antico indovino Balaam, i sapienti scrutatori degli astri, a te condotti come primizia delle genti, e li hai accolti pubblicamente …

“Angelo del gran consiglio” è l’espressione contenuta nei Settanta riferita al re messianico profetizzato da Isaia (Is 9,5). Fin dai primi secoli questo titolo regale fu applicato a Gesù Cristo da molti Padri della Chiesa (Clemente Alessandrino, Ireneo, Giustino, ecc.). L’irmos 5° del Canone di Natale loda Dio Padre misericordioso che ha inviato l’Angelo del suo gran consiglio per donarci la pace:

Θεὸς ὢν εἰρήνης, Πατὴρ οἰκτιρμῶν, τῆς μεγάλης Βουλῆς σου τὸν Ἄγγελον εἰρήνην παρεχόμενον ἀπέστειλας ἡμῖν· … Dio della pace, Padre delle misericordie, tu ci hai inviato l’angelo del tuo gran consiglio per donarci pace …

Per l’abbondanza e l’importanza fondamentale dei suoi annunci messianici, Isaia ha meritato il titolo di “profeta evangelista”. La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Is 7,14). Il solenne oracolo è pronunciato davanti alla corte, che temeva il rovesciamento della dinastia davidica. Una simile catastrofe significherebbe l’annientamento della grande promessa dinastica fatta alla casa di David (2 Sm 7,12-16). Perciò il bambino che sta per nascere potrebbe essere il giovane Ezechia nella cui nascita Giuda vedrebbe la continuità della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Però la solennità dell’oracolo ed il nome Emmanuele danno credito alla opinione che la prospettiva di Isaia non si fermi alla nascita di Ezechia, ma si spinge avanti verso il re ideale della discendenza di David attraverso la cui venuta si potrà dire definitivamente che Dio è con il suo popolo. Matteo (1,23) e la Chiesa hanno visto nella nascita di Cristo dalla Vergine Madre il perfetto compimento di questa profezia[171]. I Padri della Chiesa difendono, a cominciare già da Ignazio di Antiochia (+107) e Giustino (+165 ca.), il significato messianico di Isaia 7,14 e fanno osservare che le parole vanno intese nel senso che la Madre dell’Emmanuele concepisse e partorisse come Vergine[172]. In pieno accordo con tutta la tradizione patristica Cosma insiste sulla perpetua verginità di Maria (ode 5°, troparion 2°):

Ἰδοὺ ἡ Παρθένος, ὡς πάλαι φησίν, ἐν γαστρὶ συλλαβοῦσα ἐκύησε Θεὸν ἐνανθρωπήσαντα καὶ μένει Παρθένος· … Ecco che la Vergine, come un tempo fu detto, ha concepito e partorito il Dio fatto uomo, e vergine rimane …

Il 1° troparion dell’ode 3° del Canone di Natale di Cosma richiama alle tipologie più antiche: Adamo – il Cristo, Eva – Maria. San Paolo contrappone il Cristo Nuovo Adamo che viene dal cielo al Primo Adamo terreno, fatto di polvere: Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita … Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo (1 Cor 15,45, 47). Come il primo Adamo è la fonte e il prototipo della vita psichica naturale, così il Cristo risorto, il nuovo Adamo, è il prototipo e la fonte della vita spirituale. Il Cristo rende gli uomini partecipi della sua vita risuscitata e glorificata[173].

La tradizione esegetica dei padri dedica un grande valore all’interpretazione tipologica della Scrittura. La tipologia è basata sull’affermazione dell’unità di tutta la Scrittura: il Nuovo Testamento è nascosto nel Vecchio, e il Nuovo rivela il Vecchio. Per i cristiani l’unità dei due Testamenti portava a vedere una stretta connessione e corrispondenza tra persone, avvenimenti e istituzioni della prima alleanza con la seconda. La corrispondenza non riguarda i dettagli, ma l’elemento essenziale; tale corrispondenza in genere viene solo affermata. Essa si basa sulla convinzione che il carattere dell’azione di Dio non cambia nel corso della storia della salvezza. Quando una tradizione precedente o un personaggio viene interpretato come espressione di una nuova azione di Dio nella storia, esso è il typus di una nuova realtà, che ne è il compimento (antitypus). Nel vangelo di Giovanni si afferma che le Scritture parlano di Cristo (5,39); è Cristo che dà senso all’AT e al NT. Essendo Cristo il compimento dell’AT, molti personaggi ed episodi (Adamo, Abramo, Melchisedek, Isacco, Aronne, ecc.) sono interpretati come tipi di Cristo, accentuando il senso della continuità vivente della storia sacra[174].

I Padri della Chiesa, per esprimere la dignità della Madre di Dio, interpretavano le testimonianze della Scrittura nel contesto del mistero cristologico. Ignazio di Antiochia (+110 ca.) è il primo a inserire la dottrina mariologica nel patrimonio dogmatico della Chiesa. Egli considera Maria come partecipe del progetto divino nella storia della salvezza[175]. Giustino Martire (+165 ca.) per primo introduce il parallelismo antitetico Eva-Maria, rilevando l’importanza di Maria per la storia della salvezza. Mentre Eva con accettazione della parola del serpente fece nascere la disobbedienza e la morte, Maria è un modello di obbedienza e accettazione della Parola di Dio[176]. Ireneo di Lione (+202) sviluppò il confronto tra Eva e Maria, la quale scioglie il nodo della disobbedienza di Eva, diviene la causa della salvezza per il genere umano ed Advocata Evae[177]. Per i Padri della Chiesa le due figure di Eva e di Maria costituiscono i due poli entro cui si muove il discorso sulla donna. Eva rappresenta la donna nella sua situazione di inferiorità, che a causa del peccato perse la prima dignità[178]. Maria che partorì verginalmente Cristo ha pagato il debito della seduzione di Eva[179]. Così Maria diventa la meta con cui la donna è chiamata ad identificarsi[180].

Anche Cosma nel Canone di Natale riprende il parallelismo fra i due Adami e il discorso delle due donne: la prima ha sedotto Adamo al peccato, dalla seconda nasce il Cristo. Cosma introduce un appello drammatico, proprio un grido, da parte del primo Adamo terreno verso il Nuovo, il Cristo che viene dal cielo facendosi uomo (ode 3°, troparion 1°):

Ὁ τῆς ἐπιπνοίας μετασχὼν τῆς ἀμείνω Ἀδὰμ χοϊκὸς καὶ πρὸς φθορὰν κατολισθήσας γυναικείᾳ ἀπάτῃ Χριστὸν γυναικὸς βοᾷ ἐξορῶν· Ὁ δι’ ἐμὲ κατ᾿ ἐμὲ γεγονὼς ἅγιος εἶ, Κύριε. L’Adamo fatto di terra, che aveva partecipato di quel soffio superiore, ma era caduto nella corruzione, sedotto dalla donna, scorgendo il Cristo nato di donna, grida: O tu che per me sei divenuto come me, santo tu sei, Signore.

Nell’irmos dell’ode 4° vengono collegati due passi profetici:

  • La profezia messianica di Isaia (11,1) sul Re ideale della discendenza di David, figlio di Iesse[181]: Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici.
  • La visione del Signore di Abacuc (3,3): Dio viene da Teman, il Santo dal monte Paran (secondo i Septuaginta invece del monte Paran: dal boscoso monte adombrato). La sua maestà ricopre i cieli, delle sue lodi è piena la terra.

Abacuc vede in spirito la venuta del Signore ed effetto che ne consegue. Allusioni al glorioso evento del passato fanno sorgere la fiducia nell’aiuto del Signore, perché quella prima liberazione (l’Esodo) era la figura di un’altra che il profeta aspetta con ansia. Teman e Paran rappresentano il distretto e la montagna a sud e ad ovest di Giuda. Il Signore viene dalla direzione del Monte Sinai, ed il suo avvicinarsi è simile a quello di una violenta tempesta[182].

Troviamo questi due passi profetici messi insieme in un elenco di un poeta contemporaneo a Cosma: Andrea di Creta (+740), il quale nella IV Omelia Mariana raccoglie tutti i passi, i titoli e le allusioni bibliche riferite a Maria. Andrea di Creta ritiene: “Infatti, non c’è in tutta la Scrittura ugualmente ispirata da Dio, non c’è alcun luogo nel quale, chiunque vi si aggiri intorno, non veda variamente sparse le indicazioni che la riguardano (Maria) … In questi modi profeticamente la nominano i gloriosi interpreti dello Spirito secondo la mistica contemplazione espressa attraverso i simboli, e fra essi: … germoglio, come quando Isaia esclama: Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalla sua radice … Teman: Dio verrà da Teman; monte: Il santo verrà da un monte ombroso, boscoso[183]. Si potrebbe ipotizzare che Cosma si sia servito dell’elenco dei passi Mariani scritturistici di Andrea di Creta, oppure di un elenco simile a questo.

Collegando quindi la profezia di Isaia del virgultoe del fiore che spunta dalla radice di Iesse (Is 11,1) con la teofania di Abacuc di Dio che viene dal boscoso monte adombrato (Ab. 3,3), Cosma presenta una tipologia molto profonda: il fiore che procede dalla radice di Iesse è typos del Cristo Messia, che è venuto dal boscoso monte adombrato, typos della Vergine ignara d’uomo:

Ῥάβδος ἐκ τῆς ῥίζης Ἰεσσαὶ καὶ ἄνθος ἐξ αὐτῆς, Χριστέ, τῆς Παρθένου ἀνεβλάστησας· ἐξ ὄρους ὁ αἰνετὸς κατασκίου δασέος ἦλθες σαρκωθεὶς ἐξ ἀπειράνδρου … Virgulto dalla radice di Iesse, e fiore che da essa procede, o Cristo, dalla Vergine sei germogliato, dal boscoso monte adombrato, o degno di lode: sei venuto incarnato da una Vergine ignara d’uomo

Il Salmo 71 Dio, dà al re il tuo giudizio, al figlio del re la tua giustizia è un salmo per il re, probabilmente composto in occasione dell’incoronazione di un nuovo re in Gerusalemme. Il re è indubbiamente un discendente di David. Il profeta dinastico esprime le sublimi speranze per questo sovrano: giustizia, pace, vita eterna, regno universale. Il regno del re è descritto in termini messianici. Nei disegni di Dio, Gesù realizzò gli ideali regali in maniera trascendente[184]. Nel 3° troparion dell’ode 4° Cosma vi fa riferimento:

  • al Salmo 71,6: Scenderà come pioggia sull’erba (secondo i LXX: «ἐπὶ πόκον» – sul vello), come acqua che irrora la terra,
  • al Salmo 71,10-11: Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni.

Il passo 71,6 appartiene alla seconda parte del Salmo (71,5-8), nella quale si celebra il regno senza limiti di tempo e di spazio, cioè il regno messianico: Il suo regno durerà quanto il sole … per tutti i secoli … e dominerà da mare a mare … sino ai confini della terra. Il Re Messia scende beneficamente come pioggia sull’erba e come acqua che irrora la terra.

Il passo 71,10-11 appartiene alla terza parte del Salmo (71,9-11) nella quale sono presentati i rapporti del re con le nazioni straniere, sovrani del lontano occidente e del lontano meridione pagheranno ‘tributi’: A lui si piegheranno gli abitanti del deserto … il re di Tarsis e delle isole … i re degli Arabi e di Saba … A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni.

Pioggia sul vello e gocce che stillano sulla terra[185] in Cosma sono immagini allegoriche dell’incarnazione del Verbo e del mistero del parto della Vergine. Il velo è il simbolo del grembo della Vergine, la pioggia è il simbolo del Verbo nell’incarnazione. Questa stessa allegoria la troviamo già qualche secolo prima in Eusebio di Cesarea (+340)[186]. Le nazioni menzionate nel Salmo 71,10-11 si sono prostrate davanti al Salvatore (ode 4°, troparion 3°):

Ὡς πόκῳ γαστρὶ Παρθενικῇ κατέβης ὑετός, Χριστέ, καὶ ὡς σταγόνες ἐν γῇ στάζουσαι· Αἰθίοπες καὶ Θαρσεῖς καὶ Ἀράβων νῆσοί τε, Σαβᾶ, Μήδων, πάσης γῆς κρατοῦντες προσέπεσόν σοι, Σωτήρ· … Sei sceso nel grembo della Vergine come pioggia sul vello, o Cristo, e come gocce che stillano sulla terra; gli etiopi, la gente di Tarsis, le isole dell’Arabia, di Saba e della Media, i capi di tutta la terra, si sono prostrati davanti a te, Salvatore …

Il meraviglioso intervento del Signore, l’attività divina nella storia umana, che dimostra il suo potere su tutti i fatti e le creature, senza eccezione, usandoli come suoi strumenti, questo è argomento dominante del libro di Giona. Il profeta è vomitato dalla bocca del grosso pesce (2,11) grazie al misericordioso intervento del Signore[187]. Il Nuovo Testamento mette l’accento sul valore tipologico della vicenda di Giona. La liberazione di Giona nel terzo giorno per Gesù è figura della sua risurrezione[188]. Il tema del profeta Giona sputato fuori dal mostro marino e soprattutto la preghiera di Giona (Giona 2,3-10) stanno alla base della sesta ode di qualsiasi canone come genere letterario. Nel Canone di Natale Cosma considera la liberazione di Giona dal mostro marino attraverso un’ottica tipologica come typos della grandiosa nascita del Cristo dalla Vergine immacolata. Giona espulso indenne dal mostro marino è prototipo della Vergine immacolata nell’incarnazione del Cristo (ode 6°, irmos):

Σπλάγχνων Ἰωνᾶν ἔμβρυον ἀπήμεσεν ἐνάλιος θήρ, οἷον ἐδέξατο· τῇ Παρθένῳ δὲ ἐνοικήσας ὁ Λόγος καὶ σάρκα λαβὼν διελήλυθε φυλάξας ἀδιάφθορον· ἧς γὰρ οὐχ ὑπέστη ῥεύσεως τὴν τεκοῦσαν κατέσχεν ἀπήμαντον. Il mostro marino, dalle sue viscere, ha espulso come embrione Giona, quale lo aveva ricevuto; il Verbo, dopo aver dimorato nella Vergine e avere assunto la carne, da lei è uscito, custodendola incorrotta: poiché egli ha preservato la madre indenne dalla corruzione cui non era sottostata.

Il contenuto dell’irmos dell’ode 8° è composto sulla base della storia dei tre compagni di Daniele nella fornace ardente a Babilonia (Dan. 3). Lo scopo del racconto biblico è di mostrare che il Dio d’Israele protegge il suo popolo dal male finché gli rimane fedele[189]. Nel Canone di Natale di Cosma la fornace di Babilonia che effuse rugiada e non bruciò i giovani diviene il prototipo della divinità del Cristo che non bruciò il grembo della Vergine. Qui Cosma si serve esplicitamente della parola «τρόπος» riferibile alla tropologia, il termine tecnico del procedimento ermeneutico allegorico usato a partire da Giustino Martire (+165 ca.) e, poi, in Origene (+254)[190]:

Θαύματος ὑπερφυοῦς ἡ δροσοβόλος ἐξεικόνισε κάμινος τρόπον (τύπον)· οὐ γὰρ οὓς ἐδέξατο φλέγει νέους, ὡς οὐδὲ πῦρ τῆς Θεότητος Παρθένου ἣν ὑπέδυ νηδύν· … La fornace che effondeva rugiada è stata immagine di una meraviglia che oltrepassa la natura: essa infatti non bruciò i giovani che aveva ricevuto, come neppure il fuoco della divinità bruciò il grembo della Vergine in cui era disceso …

La settima ode racconta in stile narrativo la vicenda meravigliosa dei pastori che, vegliando nei campi la notte di Natale, ricevettero una luminosa visione degli angeli (Lc 2,8-20). Matteo, in contrasto con Luca, pone prima i Gentili (i Magi) come primi adoratori di Gesù, mentre i Giudei, anche dopo essere stati informati della nascita, rimangono indifferenti[191]. Secondo Luca, invece, i poveri (i pastori) sono i primi a ricevere il messaggio della salvezza attuata nella presenza di Gesù in mezzo agli uomini[192]. Cosma crea una parafrasi poetica del racconto di Luca adornandola con espressioni cariche della meraviglia e della gioia dei pastori. Questo fornisce al racconto una maggiore vivacità e forza (ode 7°, troparion 3°):

Ῥῆμα τὶ τοῦτο; εἶπον οἱ Ποιμένες, διελθόντες ἴδωμεν τὸ γεγονὸς θεῖον, Χριστόν … Che discorso è questo?, si dissero i pastori; andiamo a vedere l’evento, il Cristo divino …

Come abbiamo notato sopra, Cosma preferisce tra i diversi modi dell’elocuzione le antitesi concettuali, cioè comparazioni tra le persone ed azioni contrarie. In tutti tre i troparia dell’ode 8° Cosma contrappone i due concetti:

  • i babilonesi fecero prigionieri i figli di Sion, portando le loro ricchezze a Babilonia (586 a.C.), secondo il Salmo 136 che esprime la nostalgia degli esuli di Babilonia per la Città di Dio;
  • i Magi giunsero a Gerusalemme da Babilonia guidati dalla stella, portando i doni al Re neonato (Mt 2,1; 11).

Originariamente il termine «οἱ Μάγοι» (Magi) designava la colta casta sacerdotale dei Persiani, più tardi finì per designare qualsiasi persona esperta in scienze e forze occulte. La menzione della stella mostra che essi sono chiamati «οἱ Μάγοι» da Matteo perché sono esperti in astrologia. Dall’oriente (Mt 2,1) lascia pensare alla Mesopotamia, la patria dell’astrologia nel mondo greco[193].

Il Salmo 136 sul lamento degli esuli piangenti sui fiumi di Babilonia è uno dei capolavori della poesia ebraica. È uno dei carmi che più ha colpito col suo fascino dolente la tradizione letteraria e religiosa di tutti i secoli, ispirando molti poeti rielaborarlo sempre di nuovo[194]. La tradizione cristiana subito cambia la chiave di lettura di questo salmo rendendo il cantico un compendio metaforico dell’umanità peccatrice esule dal paradiso, sulla base dell’asserto paolino, principio di ogni ermeneutica allegorica, che queste cose accaddero loro in figura (1 Cor 10,11). È prigioniero di Babilonia chiunque si sia esiliato dalla Gerusalemme celeste a causa del peccato di Adamo[195]. Cosma di Maiuma contempla il Salmo 136 alla luce della realtà salvifica della Natività di Cristo, un avvenimento dell’importanza universale. Israele, la figlia di Davide, accogliendo Dio neonato diviene trionfatore sul vecchio nemico. Tempo fa la figlia di Babilonia catturò i figli di Davide, ma poi inviò i suoi figli, i Magi, per supplicare la figlia di Davide che ha accolto Dio (ode 8°, troparion 1°):

Ἕλκει Βαβυλῶνος ἡ θυγάτηρ παῖδας δορυκτήτους Δαυῒδ ἐκ Σιὼν ἐν αὐτῇ· δωροφόρους πέμπει δὲ μάγους παῖδας, τὴν τοῦ Δαυῒδ θεοδόχον θυγατέρα λιτανεύσοντας … La figlia di Babilonia trascinò via da Sion i figli di Davide presi in guerra; ma le inviò poi i magi suoi figli, per supplicare la figlia di Davide che ha accolto Dio …

Come cantare i canti del Signore in terra straniera?[196] Come si può cantare sotto l’oppressione degli stranieri? Il Cristo vincitore sorto da Betlemme sconfisse il vecchio nemico d’Israele. A causa del lutto i figli di Sion non cantavano nella terra straniera, ma Cristo neonato mette fine alla musica d’inganno di Babilonia (ode 8°, troparion 2°):

Ὄργανα παρέκλινε τὸ πένθος ᾠδῆς· οὐ γὰρ ᾗδον ἐν νόθοις οἱ παῖδες Σιών· Βαβυλῶνος λύει δὲ πλάνην πᾶσαν καὶ μουσικῶν, ἁρμονίαν Βηθλεὲμ ἐξανατείλας Χριστός … Il lutto aveva fatto deporre gli strumenti del canto: non cantavano fra i barbari i figli di Sion: ma il Cristo sorto da Betlemme, scioglie ogni inganno di Babilonia e mette fine all’armonia delle sue musiche …

I doni dei Magi divengono una ricompensa della preda del vecchio nemico. Babilonia conquistò le ricchezze della regina Sion, ma Cristo riporta indietro i tesori di Sion mediante ai Magi guidati dalla stella (ode 8°, troparion 3°):

Σκῦλα Βαβυλὼν τῆς βασιλίδος Σιών καὶ δορίκτητον ὄλβον ἐδέξατο· θησαυροὺς Χριστὸς ἐν Σιὼν δὲ ταύτης καὶ βασιλεῖς σὺν ἀστέρι ὁδηγῷ ἀστροπολοῦντας ἕλκει … Babilonia ricevette le spoglie della regina Sion, e le sue ricchezze conquistate con la lancia; ma il Cristo, con la guida della stella, trae a Sion i suoi tesori e i suoi re astrologi …

Contrapponendo la pietà dei Magi con la cattiveria di Erode patologicamente geloso del suo potere (Mt 2,2ss) Cosma crea una forte antitesi concettuale. I Magi sono venuti per adorare il Re bambino appena nato, Erode, invece, pensa nel suo orgoglio di ucciderlo (ode 9°, troparion 2°):

Νεηγενὲς μάγων λεγόντων, παιδίον Ἄναξ, οὗ ἀστὴρ ἐφάνη, ποῦ ἐστίν; εἰς γὰρ ἐκείνου προσκύνησιν ἥκομεν, μανεὶς ὁ Ἡρῴδης ἐταράττετο, Χριστὸν ἀνελεῖν ὁ θεομάχος φρυαττόμενος. Dicevano i magi: Dov’è il Re bambino appena nato, del quale è apparsa la stella?   Siamo venuti per adorarlo. A queste parole Erode, folle, si turbò, pensando nel suo orgoglio, questo nemico di Dio, di uccidere il Cristo.

Nello stile narrativo poetico del Canone di Natale, insieme ai riscontri dei concetti opposti, incontriamo anche metafore animose e giochi di parole, che danno al racconto un sentimento di leggerezza e di gioia. I Magi hanno compreso il mistero dell’insolito corso di un astro celeste inconsueto e nuovo, apparso di recente e di superiore splendore (ode 9°, troparion 1°):

Ἐξαίσιον δρόμον ὁρῶντες οἱ μάγοι ἀσυνήθους νέου ἀστέρος ἀρτιφαοῦς οὐρανίου ὑπερλάμποντος … Vedendo l’insolito corso di un astro celeste inconsueto e nuovo, apparso di recente e di superiore splendore, compresero i magi …

Anche l’ultimo troparion del Canone racconta della sconfitta del crudele Erode che fu disonorato dai Magi. I Magi dopo aver adorato con doni il Cristo, si prendono gioco di Erode, il crudele uccisore di bambini (ode 9°, troparion 3°):

Ἠκρίβωσε χρόνον Ἡρῴδης ἀστέρος, οὗ ταῖς ἡγεσίαις οἱ μάγοι ἐν Βηθλεὲμ προσκυνοῦσι Χριστῷ σὺν δώροις· ὑφ’ οὗ πρὸς πατρίδα ὁδηγούμενοι δεινὸν παιδοκτόνον ἐγκατέλιπον παιζόμενον. Erode si era informato circa il tempo dell’apparizione della stella dalla quale i magi erano stati condotti a Betlemme, per adorare con doni il Cristo; ma da lui ricondotti al loro paese, i magi abbandonarono il crudele uccisore di bambini, prendendosene gioco.

Di conseguenza il Canone di Natale è un esempio emblematico dell’esegesi tardo-patristica che contiene il grande patrimonio dei padri precedenti. Le profezie messianiche, le tipologie scritturistiche, le comparazioni metaforiche ed allegoriche, i racconti parafrastici del testo biblico, tutto questo fu introdotto nella vita liturgica, a disposizione del popolo cristiano, mediante un grande ingegno poetico. Il circolo liturgico-teologico fra lex orandi – lex credendi nell’età tardo-patristica entra in una nuova fase. Mentre i padri dei IV-V secolo si appoggiavano sulla tradizione liturgica per sostenere le posizioni dogmatiche, cristologiche e trinitarie, i padri dell’età tardo-patristica dei secoli VII-VIII hanno introdotto i tesori della riflessione teologica precedente nella vita liturgica della Chiesa, a disposizione per tutti i cristiani che pregano e cantano questi inni fino ad oggi. Le poesie liturgiche dei grandi poeti e compositori bizantini dell’età tardo-patristica, soprattutto di Cosma di Maiuma, di Giovanni Damasceno e di Andrea di Creta, svolgono un ruolo pedagogico catechetico nella vita cristiana durante tutti i secoli successivi.

2.3. Analisi soteriologica

La nascita di Cristo, il mistero dell’incarnazione del Logos, per la fede cristiana è l’atto salvifico per eccellenza: Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso e si è incarnato, si è fatto uomo[197]. La soteriologia costituisce un punto fondamentale nel Canone di Natale, che è pieno di espressioni che rivelano diverse sfumature dell’insegnamento della Chiesa in ambito soteriologico. Cosma il Melodo cerca di rispondere alla questione del motivo dell’incarnazione, quella questione che hanno posto i cosiddetti Padri teologi del Cur Deus Homo? Prima Ireneo di Lione (+202) e poi Atanasio di Alessandria (+373) ponevano la domanda: Perché il Verbo del Padre è apparso a noi in un corpo umano?[198] Atanasio risponde: La nostra necessità di essere salvati è divenuta il motivo per Lui di scendere tra di noi. Noi siamo stati la causa della sua incarnazione. Per la nostra salvezza nella grande sua amore Egli è nato e fu rivelato nel corpo umano[199]. La formulazione soteriologica del Nazianzeno è rimasta classica: Ciò che non è stato assunto non è stato salvato, ciò che è stato unito a Dio, questo è stato anche salvato[200], l’uomo è stato assunto da Dio per la nostra salvezza (ὑπὲρ τῆς σωτηρίας τῆς ἡμετέρας)[201]. La soteriologia calcedonese, derivata dal Concilio di Calcedonia del 451, precisò i presupposti per cui Cristo è Salvatore dell’uomo. Per la fede di Calcedonia in Cristo, Dio-uomo (due nature unite nella persona del Verbo), v’è il fondamento della salvezza dell’uomo[202]: Egli stesso per noi e per la nostra salvezza è nato (τὸν αὐτὸν δι’ ἡμᾶς καὶ διὰ τὴν ἡμετέραν σωτηρίαν [γεννηθέντα])[203]. Cosma nel Canone di Natale risponde alla questione sul motivo dell’incarnazione in conformità alla dottrina soteriologica tradizionale: Cristo Re era nato nella terra per la nostra salvezza (ode 9°, troparion 1°):

… Χριστὸν Βασιλέα … ἐν γῇ γεννηθέντα Βηθλεὲμ εἰς σωτηρίαν ἡμῶν. … che nella terra di Betlemme era nato il Cristo Re, per la nostra salvezza.

All’interno della questione sul motivo dell’incarnazione, Atanasio riflette ponendo un dilemma davanti a Dio: da una parte era impossibile che la parola di Dio risultasse vana e l’uomo dopo il peccato non morisse, d’altra parte non sarebbe degno della bontà di Dio che le creature, una volta create razionali e partecipi del suo Verbo, perissero e tornassero al nulla, all’inesistenza[204]. Dice Atanasio: Per questo dunque viene sulla nostra terra il Verbo di Dio incorporeo incorruttibile e immateriale … Vedendo che la stirpe razionale andava in rovina e la morte regnava su di loro … vedendo che era assurdo, in quanto era accaduto, che scomparissero gli esseri di cui Egli stesso era creatore … Egli prese un corpo come il nostro[205]. Cosma riassume tutta questa riflessione in 3 righe del 2° troparion della prima ode:

Ἰδὼν ὁ Κτίστης ὀλλύμενον τὸν ἄνθρωπον, χερσὶν ὃν ἐποίησε, κλίνας οὐρανοὺς κατέρχεται· … Il Creatore, vedendo perdersi l’uomo che con le sue mani aveva fatto, piegati i cieli, discende …

La soteriologia dei Padri si articola in tre momenti principali: la creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio, l’ingresso del peccato nel mondo e la conseguente corruzione dell’uomo, l’incarnazione del Logos e la restaurazione dell’immagine di Dio nell’uomo. Atanasio descrive la dignità primaria dell’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio con il concetto della partecipazione delle creature razionali nel Verbo di Dio: le creature una volta create razionali furono i partecipi del Verbo[206]. Gregorio di Nazianzo, invece, sottolinea l’aspetto del soffio (πνοή) divino che fu insufflato nell’uomo all’origine facendolo ad immagine divina. Dio, che è vivente e razionale, pose nell’uomo il suo soffio, cioè la vita e la razionalità, un’anima dotata di ragione. L’uomo così creato viene ad essere definito, come avevano proposto a suo tempo Platone e Filone Alessandrino, microcosmo. La sua condizione fondamentale è quella di essere posto in una posizione intermedia tra la natura divina e la natura materiale. In tale condizione fu creato da Dio il primo uomo spirito e carne insieme[207]. Creando l’uomo il Logos artefice da se stesso prese il soffio, cioè l’anima intelligente e l’immagine di Dio, e lo inserì nel corpo umano. L’uomo era come un secondo mondo, un mondo grande in uno piccolo, che Dio collocò sulla terra, come secondo angelo[208]. Seguendo le tracce dell’insegnamento del Nazianzeno anche Cosma di Maiuma riprende il concetto del soffio (ἐπίπνοια) divino insufflato in Adamo che lo rende immagine di Dio (ode 3°, troparion 1°):

Ὁ τῆς ἐπιπνοίας μετασχὼν τῆς ἀμείνω Ἀδὰμ χοϊκὸς … L’Adamo fatto di terra, che aveva partecipato di quel soffio superiore …

Atanasio di Alessandria descrive l’effetto distruttivo del peccato nell’uomo e la conseguente corruzione dopo la trasgressione al comandamento divino in modo drammatico: Accaduto questo, gli uomini morivano e la corruzione dispiegava ormai contro di loro tutto il suo vigore … La morte si rafforzava sempre più e la corruzione persisteva a danno degli uomini: il genere umano si perdeva, l’uomo razionale e creato ad immagine di Dio scompariva[209]. Dunque, che cosa doveva fare Dio? Che cosa doveva avvenire se non il rinnovamento dell’essere secondo l’immagine (τὸ κατ’ εἰκόνα πάλιν ἀνανεῶσαι)?[210] La tradizione patristica, già cominciando da Ireneo di Lione (+202), sviluppa nella soteriologia il concetto della ricapitolazione (ἀνακεφαλαίωσις). L’uomo fatto all’inizio ad immagine e somiglianza di Dio era destinato alla vita divina. Il peccato, anche se ha distrutto la somiglianza, non ha cancellato l’immagine. La salvezza consiste nella ricapitolazione dell’immagine divina nell’uomo fatta da Cristo: Il Verbo si è fatto uomo ricapitolando tutto in se[211]. Giovanni Crisostomo riporta lo stesso concetto del rinnovamento dell’esserenella sua omelia natalizia In diem natalem pronunciata nel 386: il Cristo, il Sole della Giustizia (ὁ ἥλιος τῆς δικαιοσύνης), è venuto e assumendo la carne umana ha ristabilito (διωρθώσατο) l’essere che aveva creato[212]. Anche nel discorso In natalem Christi diem si tratta dell’uomo, vaso danneggiato, che viene rifatto (μεταποιηθῆναι) solamente quando lo assume il Creatore[213]. Su un concetto simile dell’immagine divina non conservata dall’uomo scrive anche Gregorio Nazianzeno: Io ebbi parte all’immagine di Dio, però non la conservai[214]. Perciò il Verbo di Dio, la fonte della vita e della immortalità, l’immagine immutabile, si muove verso la sua immagine per salvare in essa l’immagine regale[215]. Andrea di Creta, poeta contemporaneo a Cosma e suo competitore nel genere di canone, descrive la primaria immagine divina come imbrattata e rovinata dall’uomo; la nascita di Dio, però, rinnova (καινοποιεῖ) le nature[216]. Proprio questo discorso teologico patristico dell’immagine divina distrutta dall’uomo e rinnovata dall’opera salvifica del Verbo è sintetizzata da Cosma nel primo troparion del Canone di Natale:

Ῥεύσαντα ἐκ παραβάσεως Θεοῦ τὸν κατ’ εἰκόνα γενόμενον, ὅλον τῆς φθορᾶς ὑπάρξαντα, κρείττονος ἐπταικότα θείας ζωῆς αὖθις ἀναπλάττει ὁ σοφὸς Δημιουργός … Colui che, fatto a immagine di Dio, era perito per la trasgressione, divenendo del tutto preda della corruzione, decaduto dalle altezze della vita divina, il sapiente Artefice di nuovo lo plasma …

Per di più, nel Canone di Natale Cosma riprende la questione principale della spiritualità e mistica patristica orientale, cioè l’argomento della deificazione dell’uomo. Per comporre il primo irmos l’autore si serve dell’esordio della famosa orazione di Gregorio di Nazianzo sulla natività di Cristo che comincia con il discorso soteriologico di deificazione: Cristo scende dai cieli … Cristo è sulla terra: levatevi in alto![217] cioè Dio è divenuto l’uomo affinché anche l’uomo potesse elevarsi sull’altezza di deificazione. Cosma compone il primo irmos del Canone di Natale proprio a partire da queste parole di Gregorio:

Χριστὸς ἐξ οὐρανῶν· … Χριστὸς ἐπὶ γῆς· ὑψώθητε· … Cristo scende dai cieli … Cristo è sulla terra, elevatevi …

Nonostante l’idea di deificazione fosse nota nel mondo antico ancora prima del cristianesimo[218], la dottrina della deificazione dei Padri orientali si fonda piuttosto sulla Scrittura che sui concetti della filosofia greca. Alla base della dottrina patristica della deificazione stanno i concetti scritturistici seguenti: gli uomini come dèi (“voi siete dèi”)[219], l’uomo ad immagine e somiglianza di Dio[220], gli uomini come figli di Dio[221], la partecipazione alla natura divina[222], la partecipazione all’immortalità divina[223].

La dottrina della deificazione fu espressa da molti Padri della Chiesa. Innanzitutto Giustino Martire (+165 ca.) ritiene che all’inizio della creazione ogni essere umano fu capace di deificazione, anche oggi, dopo la opera salvifica di Cristo, ogni uomo ha ritrovato il potere di divenire Dio[224]. Secondo la dottrina soteriologica di Ireneo di Lione (+202), la redenzione introdotta dal Figlio di Dio ha ricapitolato l’umanità intera in Cristo[225]: Il Verbo di Dio, a causa del suo infinito amore, è divenuto ciò che noi siamo per fare pienamente di noi ciò che è lui[226], il Figlio di Dio si è fatto Figlio dell’uomo affinché l’uomo diventi figlio di Dio[227]. Se Ireneo si esprime in termini generali, usando le espressioni generiche “essere attaccato a Dio”, “aderire a Dio”, “participare gloriae Dei”[228], Clemente di Alessandria (+215 ca.) è il primo che adopera il termine «θεοποίησις» (divinizzazione, deificazione)[229]. Anche Origene nella sua dottrina spirituale tratta dell’intelletto che, contemplando Dio, viene deificato da ciò che contempla[230]. Atanasio di Alessandria esprime la dottrina di deificazione con una formula sintetica: Il Verbo di Dio divenne uomo affinché noi fossimo deificati[231]. Nel sistema teologico e mistico di Gregorio Nazianzeno il concetto di deificazione occupa un posto assolutamente centrale[232], l’attenzione del Nazianzeno è interamente presa dall’idea della divinizzazione dell’uomo, idea alla quale la divinizzazione della natura umana di Cristo deve fornire il fondamento teologico: La ragione della sua nascita fu, perché tu fossi salvato, Dio si unisce alla carne affinché anche io potessi divenire Dio così come lui è divenuto uomo[233], Colui che arricchisce gli altri diventa mendico, affinché io possa arricchire la sua divinità[234], il Verbo viene all’uomo per penetrarlo con la sua divinità e sollevarlo sulla altezza della divinità[235]. Cosma di Maiuma nel Canone di Natale riassume tutto il pensiero patristico con il concetto del «θεουργεῖν» – deificare (ode 5°, troparion 1°):

… ἐχθροῦ καὶ ἁμαρτίας ἠλευθέρωσας, Χριστέ. ὅλον τὸ καθ᾿ ἡμᾶς δὲ πτωχεύσας καὶ χοϊκὸν ἐξ αὐτῆς ἑνώσεως καὶ κοινωνίας ἐθεούργησας. … hai liberato noi, schiavi del nemico e del peccato, o Cristo, divenendo del tutto povero come noi, e divinizzando ciò che era di terra con questa stessa unione e comunione.

Nel troparion appena citato troviamo anche la dottrina patristica della partecipazione in deificazione della componente materiale dell’uomo, cioè del corpo terrestre (χοϊκόν). La dottrina della partecipazione della carne umana in deificazione è una delle differenze principali dell’idea cristiana di deificazione rispetto all’idea neoplatonica del desiderio umano di essere dio[236]. Nella filosofia di Plotino la deificazione della carne è impossibile, la materia rimane sempre malevola e maldisposta al tutto divino[237]. Gregorio, invece, considera la carne umana deificata da Dio incarnato, che è un solo essere formato da due sostanze contrarie, carne e Spirito, l’una delle quali divinizza, l’altra viene divinizzata[238]. Proprio questo concetto di deificazione della carne terrestre (χοϊκόν), che viene deificata con l’unione e la comunione di spirito e di carne nell’incarnazione del Cristo, è sottolineato da Cosma il Melodo (ode 5°, troparion 1°):

… καὶ χοϊκὸν ἐξ αὐτῆς ἑνώσεως καὶ κοινωνίας ἐθεούργησας. … e divinizzando ciò che era di terra con questa stessa unione e comunione.

Nel primo troparion della quinta odeviene trattato anche un altro tema soteriologico, cioè la liberazione dell’uomo dalla schiavitù del nemico e del peccato. Ireneo di Lione (+202) insegnava che la redenzione introdotta dal Figlio di Dio ha liberato l’uomo dalla schiavitù di Satana, dal peccato e dalla morte[239]. Gregorio di Nazianzo riporta il tema della liberazione dalla schiavitù del peccato collegandolo con il concetto paolino del Messia venuto sotto la forma di schiavo. Nell’inno a Cristo del Fil 2,6-11 Paolo parla del Cristo che, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, apparso in forma umana (Fil 2,7),con allusione al Servo di Jahvéh dell’Is 52,13ss. Gregorio nella Quarta orazione teologica osserva: il Logos in quanto era in forma di schiavo, discese al livello dei suoi fratelli di schiavitù e dei suoi schiavi, prese una forma che gli era estranea e mi portò tutto intero in Se stesso[240]. Questo discorso del Logos in forma di schiavo il Nazianzeno lo inserisce nel contesto soteriologico: Cristo fu mendicante, affinché dalla sua mendicità noi venissimo arricchiti, prese l’aspetto di servo, perché noi ottenessimo la libertà, si abbassò, perché noi venissimo innalzati … fu umiliato per glorificarci, morì per salvarci[241]. Anche una omelia pseudo-crisostomica spiega lo stesso concetto di Dio che assume la forma di schiavo per liberare noi, schiavi del peccato: Dio nostro Signore si è a noi rivelato, ma venne tra noi non nell’aspetto di Dio, per non spaventare la debolezza dell’uomo, bensì sotto le spoglie di un servo, per liberare chi fu reso servo[242]. Cosma il Melodo fa un passo avanti creando una forte antitesi concettuale. Divenendo del tutto povero come noi e ubbidendo al decreto di Cesare, Cristo è stato registrato tra gli schiavi per liberarci dalla schiavitù del nemico e del peccato (ode 5°, troparion 1°):

Ἐν δούλοις τῷ Καίσαρος δόγματι ἀπεγράφης πειθήσας καὶ δούλους ἡμᾶς ἐχθροῦ καὶ ἁμαρτίας ἠλευθέρωσας, Χριστέ. ὅλον τὸ καθ᾿ ἡμᾶς δὲ πτωχεύσας … Per ubbidire al decreto di Cesare, sei stato registrato tra gli schiavi, e hai liberato noi, schiavi del nemico e del peccato, o Cristo, divenendo del tutto povero come noi …

La morte di Cristo come sacrificio di riconciliazione è un altro concetto paolino ripreso nel Canone di Natale. Infatti, Paolo dice che per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo abbiamo ottenuto la riconciliazione[243]. Gregorio Nazianzeno riporta questo pensiero paolino: Il Dio e Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale siamo approdati a questa riconciliazione[244]. Cosma il Melodo ne tratta nel secondo troparion della quinta ode del Canone di Natale: tramite l’incarnazione di Dio noi peccatori siamo riconciliati con Dio (Θεὸν ἐνανθρωπήσαντα … καταλλαγέντες Θεῷ οἱ ἁμαρτωλοί)[245].

Un altro concetto soteriologico importante toccato da Cosma consiste nella concezione biblica della morte di Cristo come espiazione, come il riscatto pagato per noi: Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti[246]. Gregorio Nazianzeno fa una lunga riflessione sulla questione a chi fu offerto il sacrificio di Cristo: A chi e per quale motivo fu versato in nostro favore il sangue, quel sangue grande e celebrato di Dio, che fu pontefice e vittima?[247] La domanda “A chi è stato pagato il riscatto?” porta al dilemma: a Dio oppure al diavolo? Gregorio nega la possibilità che il Malvagio riceva una ricompensa straordinaria per la sua tirannide. Il sacrificio, egli spiega, costituisce sempre un atto che torna ad onore di una persona, ed è inconcepibile che il sacrificio di Cristo debba essere tornato ad onore del Maligno[248]. Ma anche il Padre, che non consentì il sacrificio di Isacco, non si compiace del sangue del suo Figlio Unigenito. Il sangue di Cristo è versato per l’economia di salvezza, dal momento che bisognava santificare l’uomo con l’umanità di Dio, per liberarci dal tiranno e ricondurci a sé attraverso la mediazione del Figlio[249]. Come poi Egli si sia sacrificato, si è visto sopra: attuando l’inganno del demonio, quella sostituzione per cui il nostro padrone credette – mediante l’incarnazione e la morte sulla croce – di avere noi in suo possesso, mentre si trovò di fronte Colui che era immensamente più forte e che lo sconfisse. L’inganno del demonio, dunque, non fu che l’attuazione del sacrificio volontario del Figlio di Dio, sacrificio offerto in onore del Padre, non perché il Padre lo esigesse per liberarci; noi, in effetti, eravamo diventati possesso del demonio, non del Padre[250]. Dunque, il fine dell’economia di salvezza è raggiunto: attraverso la mediazione del Figlio noi siamo ritornati a Dio, noi uomini siamo santificati con l’umanità di Dio.

L’interpretazione della morte di Cristo come il sacrificio di riconciliazione crea un altro problema che Gregorio cerca di risolvere. La teoria che Dio fosse riconciliato con la morte del Figlio suppone l’ira di Dio, un concetto inaccettabile per essere attribuito a Dio, il quale è assolutamente libero dall’ira. All’ira di Dio, quindi, che appare moralmente inconcepibile, Gregorio sostituisce l’onore che a Dio viene tributato per mezzo del sacrificio di suo Figlio[251]. Secondo Gregorio il peccato non porta all’indignazione di Dio, ma separa ontologicamente l’uomo da Dio. Tramite l’incarnazione e morte di Cristo, l’uomo, che era estraneo a Dio a causa del peccato, viene santificato e ritorna a Dio[252]. Quindi, in tutte le azioni di Cristo uno solo era lo scopo fondamentale: la mia perfezione e la mia riformazione[253].

Il Nuovo Testamento parla delle conseguenze dell’opera salvifica di Cristo per l’umanità con i termini di riscatto e di acquisto: Nel Cristo abbiamo la redenzione mediante il suo sangue (Ef 1,7), Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione … nel suo sangue (Rm 3,25), Siete stati comprati a caro prezzo (1 Cor 7,23), La legge dello Spirito che dá vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte (Rm 8,2). Cosma il Melodo nel terzo troparion della prima ode accentua questa concezione paolina con il concetto del riacquisto: facendosi uomo ci ha riacquistati (ἐνανθρωπήσας ἀνεκτήσατο ἡμᾶς).

Nel Canone di Natale troviamo una espressione soteriologica, che è anche bella antitesi poetica, presa da In natalem Christi diem di Giovanni Crisostomo: Egli è avvolto in fasce e libera dalle catene del peccato[254]. Essa proviene dal concetto paolino del Redentore che ci ha liberato dalla legge del peccato e della morte (cfr. Rm 8,2). L’autore del Canone di Natale sottolinea la grande opera del Salvatore che è venuto incarnato, ed essendo avvolto in fasce, ci libera dalle catene del peccato (ode 6°, troparion 1°):

Ἦλθε σαρκωθεὶς Χριστὸς ὁ Θεὸς ἡμῶν … ῥάκει σπαργανοῦται, λύει δὲ πολυπλόκους σειρὰς παραπτώσεων. È venuto incarnato, il Cristo Dio nostro … è avvolto in povere pezze, ma scioglie le aggrovigliate catene delle colpe.

Cosma inserisce in contesto soteriologico anche le parole della preghiera di Anna di 1 Sm 2,10, che sta alla base della terza ode del genere letterario di canone. Nel corso della terza ode del Canone di Natale si ripete frequentemente la frase: hai sollevato la nostra fronte, Signore (ἀνυψώσας τὸ κέρας ἡμῶν, Κύριε)[255], ciò indica che la redenzione compiuta da Cristo, tramite la liberazione, rinnovamento e riconciliazione dell’uomo con Dio, solleva l’uomo ad una nuova condizione di salvezza e di deificazione. Questa nuova condizione non consiste solamente nel ristabilimento dello stato paradisiaco primario, ma nel sollevamento dell’uomo al livello della comunione con Dio, della vita in Dio, cioè la deificazione. Proprio questo era il fine primario dell’uomo nel momento della creazione, questo fine è diventato reale grazie all’incarnazione di Dio[256]. Nell’irmos della quinta ode del Canone di Natale Cosma tratta di questo nuovo stato della comunione con Dio: grazie al Salvatore siamo guidati alla luce della conoscenza di Dio (ὅθεν θεογνωσίας πρὸς φῶς ὁδηγηθέντες)[257].

Tutte queste espressioni poetiche fanno vedere che l’opera salvifica di Cristo ha restaurato una corretta relazione con Dio aprendo a noi uomini la porta della salvezza. Tramite il Canone di Natale molti concetti della dottrina soteriologica dei Padri e della Chiesa vengono trasferiti dall’ambito teologico speculativo nell’ambito liturgico, diventando accessibili ad ogni cristiano che li contempla durante la preghiera liturgica.

2.4. Analisi cristologica

La cristologia del Canone di Natale di Cosma è radicata sulla dottrina calcedonese che afferma le due nature di Cristo, veramente Dio e veramente uomo[258]. L’acrostico del Canone la esprime in modo sintetico: «Χριστὸς βροτωθεὶς ἦν ὅπερ Θεὸς μένη» (Cristo, fatto mortale, rimane, qual era, Dio), usando proprio il verbo «βροτόομαι» (divenire mortale) per indicare questa antitesi paradossale secondo cui Dio immortale diviene uomo mortale rimanendo, qual era, Dio. La fonte da cui l’autore del Canone di Natale attingeil concetto dell’incarnazione espresso tramite il verbo «βροτόομαι» è molto verosimilmente i Carmina dogmatica di Gregorio Nazianzeno: Egli, pur essendo immortale (ἄμβροτος), venne, per causa mia fattosi mortale (ἦλθε βροτωθεὶς), attraverso una madre vergine, affinché, nella sua interezza, salvasse me nella mia interezza[259].

Per affermare la perfetta umanità di Cristo, Cosma nel secondo troparion della prima ode accentua la totalità della natura umana assunta da Cristo con l’espressione «ὅλον οὐσιοῦται» (assume tutta la sostanza):

Ἰδὼν ὁ Κτίστης ὀλλύμενον τὸν ἄνθρωπον … ὅλον οὐσιοῦται[260] ἀληθείᾳ σαρκωθείς … Il Creatore, vedendo perdersi l’uomo … ne assume tutta la sostanza … prendendo veramente carne …

La concezione del «ὅλος ἄνθρωπος» assunto dal Verbo fu il fondamento della cristologia di Gregorio Nazianzeno, che qualche decennio dopo fu sanzionata a Calcedonia. Fra il 381 e il 382 Gregorio prese posizione sull’argomento della cristologia di Apollinare[261] esprimendola chiaramente nelle due lettere a Cledonio[262]. La critica fondamentale che Gregorio muove ad Apollinare è ovviamente quella pertinente all’incompleta umanità assunta dal Logos[263]. La cristologia gregoriana è fondata su un’esigenza di carattere soteriologico: Cristo ha redento dell’uomo tutto ciò che ha assunto. Qualche secolo prima, in conformità a questo assioma Ireneo, Tertulliano e Origene, combattendo gli gnostici, furono convinti che Cristo avesse redento l’uomo nella sua integrità, loro avevano sostenuto che Cristo aveva assunto un’umanità completa di spirito, anima e carne[264]. Gregorio perciò riprende contro gli apollinaristi il vecchio argomento: Cristo, poiché ha redento l’uomo nella sua totalità, ha assunto l’uomo nella sua totalità, perché altrimenti l’uomo non sarebbe stato integralmente salvato[265]. L’uomo intero, cioè anima e corpo, è caduto sotto il dominio del peccato, in conseguenza del peccato dei progenitori, per questo il Redentore ha assunto l’uomo intero per redimerlo[266]: perché dallo stesso, uomo completo e Dio, fosse ricreato l’intero uomo che era caduto sotto il peccato[267].

Per di più Cosma, seguendo il teologo Nazianzeno, arriva a sostenere che il Verbo ha assunto addirittura la parte inferiore dell’uomo – il fango (πηλός), e non soltanto quella superiore – il «νοῦς»[268]. Gregorio qualche volta dice chiaramente che Cristo prese su di sé ciò che è peggiore (τὸ χεῖρον) per darci ciò che è migliore[269], ora Dio partecipa all’elemento peggiore (χείρονος)[270]. Anche Cosma nel secondo troparion dell’ode terza sottolinea che il Verbo si è reso simile a un vile oggetto di fango (σύμμορφος πηλίνης), partecipando della realtà inferiore (χείρω), per darci opportunità di comunicare alla divina natura:

Σύμμορφος πηλίνης, εὐτελοῦς διαρτίας, Χριστέ, γεγονὼς καὶ μετοχῇ σαρκὸς τῆς χείρω μεταδοὺς θείας φύτλης … Tu che ti sei reso simile a un vile oggetto di fango, o Cristo; tu che, partecipando della realtà inferiore della carne, ci hai dato di comunicare alla divina natura …

Nello stesso troparion Cosma riprende anche la questione menzionata nell’acrostico «Χριστὸς βροτωθεὶς ἦν ὅπερ Θεὸς μένη» (Cristo, fatto mortale, rimane, qual era, Dio), sostenendo la dottrina calcedonese delle due nature di Cristo, perfetto nella divinità e perfetto nella umanità[271], e seguendo il concetto antitetico gregoriano di Dio che diviene mortale (βροτός)[272]:

… βροτὸς πεφυκὼς καὶ μείνας Θεὸς … … divenendo uomo e rimanendo Dio …

L’irmos della terza ode del Canone di Natale cita un brano importante dal simbolo di Calcedonia, adattandolo ad esigenze di strofa poetica. La formula dottrinale di Calcedonia, affermando le due nature di Cristo in un solo soggetto con equilibrio fra esigenze divisive (due nature) ed unitarie (un solo soggetto), tratta anche delle due generazioni del Figlio di Dio: generato dal Padre prima dei tempi secondo la divinità, negli ultimi giorni egli stesso … è nato da Maria Vergine, la Madre di Dio, secondo l’umanità[273]. Il concetto delle due generazioni del Cristo è stato formulato in modo più sintetico anche prima di Calcedonia da Gregorio Nazianzeno: Colui che è senza madre nasce senza padre, senza madre era prima, senza padre è nato in seguito[274]. Cosma il Melodo, nonostante attinga molte idee per il Canone di Natale dalle omelie gregoriane[275], in questo caso, però, preferisce seguire la formula calcedonese, contrassegnando con il termine immutabilmente (ἀρρεύστως) la generazione eterna e continua (ode 3°, irmos):

Τῷ πρὸ τῶν αἰώνων ἐκ Πατρὸς γεννηθέντι ἀρρεύστως Υἱῷ καὶ ἐπ’ ἐσχάτων ἐκ Παρθένου σαρκωθέντι ἀσπόρως … Al Figlio che prima dei secoli immutabilmente dal Padre è stato generato, e negli ultimi tempi dalla Vergine, senza seme, si è incarnato …

Giustino, Teofilo e altri distinguevano nel rapporto Padre-Verbo un prima, per cui il Verbo è da sempre immanente nel Padre, e un poi, per cui Egli è generato, proferito dal Padre come entità divina, personalmente esistente accanto a Lui, per provvedere alla creazione e al governo del mondo. Invece Origene non distingue più in Dio un prima e un poi, e considera il Verbo da sempre generato dal Padre, con generazione eterna e continua, sempre presente[276]: Infatti questa generazione è eterna e perpetua così come lo splendore è generato dalla luce[277]. Alessandro di Alessandria (+328) nella sua Lettera a tutti vescovi[278] combatte le formule dell’arianesimo radicale, tra cui: C’è stato un tempo in cui il Logos non esisteva[279]. Per sostenere la vera dottrina della generazione eterna Alessandro si appoggia sul Sal 109,3: Dal ventre prima della stella del mattino ti ho generato[280]. La dottrina di coeternità del Figlio viene poi sostenuta, e anche sviluppata, da grandi difensori della fede nicena, soprattutto da Atanasio di Alessandria (+373)[281] e da Basilio Magno (+379)[282], i quali hanno rivelato l’assurdità di assoggettare il Creatore del tempo a definizioni temporali. Anche Cosma nel Canone di Natale sostiene la dottrina di coeternità del Figlio e, seguendo Alessandro di Alessandria, interpreta il Sal 109,3 (Dal ventre prima della stella del mattino ti ho generato[283]) nel senso cristologico della generazione ab aeterno (ode 6°, troparion 1°):

Ἦλθε σαρκωθεὶς Χριστὸς ὁ Θεὸς ἡμῶν, γαστρὸς ὃν Πατὴρ πρὸ Ἑωσφόρου γεννᾷ … È venuto incarnato, il Cristo Dio nostro, che il Padre genera prima della stella del mattino …

Nello stesso troparion viene accennata di nuovo la dottrina calcedonese delle due nature unite ma non confuse, rafforzata, però, con le antitesi poetiche ispirate dall’omelia crisostomica In natalem Christi diem: Egli giace nella mangiatoia e mette in agitazione l’universo, Egli è avvolto in fasce e libera dalle catene del peccato[284]. In questa omelia crisostomica, che era una delle fonti principali del Canone di Natale, il concetto delle due nature di Cristo è stato espresso in modo molto sintetico e preciso: Oggi Colui che è viene generato, Colui che è diventa ciò che non era, essendo Dio diventa uomo, non cessando di essere Dio, non abbandonando la Divinità Egli è diventato l’uomo[285]. Cosma esprime questa dottrina con le antitesi poetiche: Cristo è indifeso neonato deposto nella mangiatoia di animali e nello stesso tempo rimane Dio che tiene le redini delle potenze immacolate; Cristo è avvolto in povere pezze, ma nello stesso tempo scioglie le aggrovigliate catene delle colpe (ode 6°, troparion 1°):

… τὰς ἡνίας δὲ ὁ κρατῶν τῶν ἀχράντων Δυνάμεων ἐν φάτνῃ τῶν ἀλόγων ἀνακλίνεται, ῥάκει σπαργανοῦται, λύει δὲ πολυπλόκους σειρὰς παραπτώσεων. … colui che tiene le redini delle potenze immacolate, è deposto nella mangiatoia di animali senza ragione; è avvolto in povere pezze, ma scioglie le aggrovigliate catene delle colpe.

Un simile accostamento della greppia che contiene l’Incontenibile troviamo nell’irmos dell’ode nona con una ispirazione evidente che viene dall’omelia crisostomica In natalem Christi diem. L’omelia ben due volte dichiara: Colui che non è contenuto dal cielo, l’accolse la greppia[286], Colui che risiede sul trono alto ed esaltato, si pone in greppia[287]. Stessa idea è espressa nel Canone di Natale (ode 9°, irmos):

… τὴν φάτνην χωρίον, ἐν ᾧ ἀνεκλίθη ὁ ἀχώρητος Χριστὸς ὁ Θεός … e la greppia, spazio in cui è stato posto a giacere colui che nulla può contenere, il Cristo Dio …

Il secondo troparion dell’ode sesta rappresenta l’interpretazione cristologica della profezia messianica di Isaia 9,5 (secondo i LXX). La tradizione cristiana all’unanimità ha visto in Cristo la realizzazione di questa promessa[288] del Re ideale, Padre e Principe del secolo futuro, Angelo del gran consiglio. Siccome la profezia tratta addirittura della nascita del Messia (un bambino ci è nato, un figlio ci è stato donato), essa si collega facilmente con la natività di Cristo. Anche con questo discorso Cosma preferisce comunicare il grande mistero delle due nature del Cristo incarnato. Sottolineando all’inizio che questo Figlio neonato viene dall’argilla di Adamo, cioè dalla natura umana completa, alla fine del troparion si accentua che Lui stesso è Dio forte che domina il creato. Quindi viene creata una forte antitesi cristologica delle due nature opposte, unite, però, nel Figlio dell’uomo che è contemporaneamente Dio forte. L’autore attinge l’ispirazione per questo troparion in parte da Gregorio Nazianzeno che esorta: “Popoli tutti, battete le mani” [289] perché ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, che ha il potere sulle sue spalle – e infatti egli è sollevato con la sua croce – e viene chiamato “Angelo del gran consiglio” cioè del consiglio del Padre[290]. Il Canone di Natale presenta questo brano scritturistico allargandolo con la dottrina cristologica calcedonese (ode 6°, troparion 2°):

Νέον ἐξ Ἀδὰμ παιδίον φυράματος ἐτέχθη Υἱὸς καὶ πιστοῖς δέδοται· τοῦ δὲ μέλλοντος οὗτός ἐστιν αἰῶνος Πατὴρ καὶ Ἄρχων καὶ καλεῖται τῆς μεγάλης Βουλῆς Ἄγγελος· οὗτος ἰσχυρὸς Θεός ἐστι καὶ κρατῶν ἐξουσίᾳ τῆς κτίσεως. Il Figlio è stato partorito come un neonato dall’argilla di Adamo, ed è stato dato ai fedeli. Egli è padre e principe del secolo futuro, ed è chiamato angelo del gran consiglio; egli è Dio forte e con potenza domina il creato.

Nel secondo troparion dell’ode prima Cosma riporta i principali appellativi scritturistici tradizionalmente riferiti al Figlio di Dio: Sapienza, Verbo, Potenza, Figlio e Splendore del Padre. Questo argomento è stato sistematicamente preso in esame per primo da Origene[291] per determinare meglio la natura del Figlio e la relazione che lo lega al Padre. La pluralità di appellativi di origine scritturistica riferiti a Cristo ha grande importanza per Origene, che li definisce epinoiai. Essi derivano dal fatto che il Padre è uno e semplice, invece il Figlio è molteplicità, in relazione alle diverse funzioni con cui opera e si rivela nel mondo creato[292]. Origene dichiara che la varietà di epinoiai non compromette l’unità della sostanza del Logos Divino[293]. Origene distingue le epinoiai del Figlio in due categorie, quelle che concernono la sua preesistenza divina e quelle che si riferiscono all’economia dell’incarnazione[294]. Nel secolo della controversia ariana l’argomento degli appellativi si riprende in polemica. Gli ariani non negavano affatto la validità degli appellativi scritturistici Logos, Sapienza, Splendore (della luce) del Padre, tradizionalmente attribuiti a Cristo nella qualità di Figlio di Dio, ma li interpretavano in modo compatibile con la loro dottrina. Atanasio attacca gli ariani perché si rifiutavano di ricavare da quegli appellativi la coeternità di Cristo col Padre[295]. Gli appellativi principali esalta anche Gregorio di Nazianzo in sua orazione pasquale: O Logos del Signore, luce, vita, saggezza e forza![296] Questa tradizione patristica è seguita da Cosma nel Canone di Natale (ode 1°, troparion 2°):

Σοφία, λόγος καὶ δύναμις, Υἱὸς ὢν τοῦ Πατρός, καὶ ἀπαύγασμα, Χριστὸς ὁ Θεὸς … Il Cristo Dio, sapienza, Verbo, potenza, Figlio e splendore del Padre …

Gregorio rappresenta il trionfo di Cristo sul male come una vera e propria lotta di Cristo contro il demonio: Poiché, dunque, credeva di essere invincibile colui che aveva architettato il male e ci aveva attirati nell’inganno con la speranza della immortalità, ecco che viene ingannato dallo schermo della carne, affinché, scontrandosi con Adamo, venisse ad affrontare Dio e così il nuovo Adamo potesse salvare il vecchio Adamo e venisse abolita la condanna della carne, in quanto la morte fu messa a morte dalla carne[297]. L’idea dell’inganno subito dal demonio ad opera di Cristo si riscontra nel Canone di Natale edè rafforzata per mezzo della fusione dei due passi scritturistici: Giuda … si accovaccia come un leone (Gen 49,9), lottiamo contro i principi, contro le potenze, contro dominatori di questo mondo oscuro, contro gli spiriti maligni delle regioni celesti (Ef 6,12). In tal modo viene creata una immagine del Cristo vincitore sulle potenze malignetramite l’inganno dallo schermo della carne (leone nascosto), cosicché la potenza avversa balzò con impudenza su Colui che sembrava Adamo, ma si scontrò con Dio e fu sconfitta[298] (ode 1°, troparion 2°):

… Χριστὸς ὁ Θεὸς δυνάμεις λαθών, ὅσας ὑπερκοσμίους, ὅσας ἐν γῇ, καὶ ἐνανθρωπήσας, ἀνεκτήσατο ἡμᾶς … Il Cristo Dio … restando nascosto a tutte le potenze ultramondane e terrestri, fatto uomo ci ha riacquistati …

Il Canone di Natale tratta ampiamente le questioni di mariologia. I Padri della Chiesa hanno sempre considerato Maria alla luce del Verbo incarnato e ne parlano approfondendo l’evento salvifico di Cristo[299]. Il titolo «Θεοτόκος» appare dapprima in ambiente alessandrino, forse già in Origene[300]. Alessandro di Alessandria (+328) e Atanasio (+373) e poi i Cappadoci lo radicano nella coscienza cristiana. Per Basilio (+379) Maria ha dato la sua collaborazione, perché la carne portatrice di Dio fosse inserita nella discendenza umana[301]. Per Gregorio di Nazianzo (+390 ca.) l’appellativo «Θεοτόκος» è sicuro criterio di ortodossia: chi non ci crede si separa dalla divinità[302]. Egli poi ribadisce l’integrità della natura umana di Cristo, nato da una vergine santa … tutto Dio e uomo intero[303]. Il concilio di Efeso (431) sancisce solennemente il titolo «Θεοτόκος»[304] e quello di Calcedonia (451) lo conferma come conseguenza dell’unione ipostatica: il Cristo, consustanziale al Padre per la divinità, è consustanziale a noi per l’umanità, essendo stato generato da Maria[305]. Pure i canoni del concilio di Costantinopoli (553) esplicitano la divina maternità[306]. Seguendo tutta questa tradizione della Chiesa, Cosma nel Canone di Natale ribadisce il titolo «Θεοτόκος» (ode 5°, troparion 2°):

… Θεοτόκον κυρίως οὖσαν ἐν πίστει ἀνυμνήσωμεν. … cantiamola dunque con fede come vera Madre di Dio.

Nello stesso troparion Cosma sostiene la dottrina della perpetua verginità di Maria, appoggiandosi sul Is 7,14: La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. La verginità perpetua di Maria è propugnata in Oriente soprattutto dai Cappadoci e da Epifanio[307]. Assai significativo è l’inserimento della formula ex Maria virgine nel Simbolo niceno-costantinopolitano a conclusione del II concilio ecumenico del 381[308], preparato da analoghe espressioni in simboli battesimali locali. La perpetua virginitas di Maria è sintomaticamente ratificata nel V concilio ecumenico (Costantinopoli 553): Chi non crede che il Verbo di Dio ha due nature, una dal Padre, immateriale, prima del tempo e “ab aeterno”, l’altra negli ultimi tempi, quando, disceso dal cielo, prese carne nel grembo della santa, venerabile e sempre vergine Maria Madre di Dio (ἐκ τῆς ἁγίας ἐνδόξου Θεοτόκου καὶ ἀειπαρθένου Μαρὶας) dalla quale fu partorito, costui sia anatema[309]. In pieno accordo con tutta la tradizione patristica, Cosma insiste sulla perpetua verginità di Maria (ode 5°, troparion 2°):

Ἰδοὺ ἡ Παρθένος, ὡς πάλαι φησίν, ἐν γαστρὶ συλλαβοῦσα ἐκύησε Θεὸν ἐνανθρωπήσαντα καὶ μένει Παρθένος … Ecco che la Vergine, come un tempo fu detto, ha concepito e partorito il Dio fatto uomo, e vergine rimane …

Maria, Madre di Dio, garantisce l’autenticità della natura umana di Cristo, distinta da quella divina anche dopo l’unione[310]. Per sostenere l’autenticità dell’incarnazione di Cristo, partendo da esigenze di carattere soteriologico[311], Gregorio di Nazianzo inserisce il discorso in un contesto di mariologia, combattendo le false dottrine mariologiche. Per primo viene criticata la dottrina gnostica docetista secondo cui il Logos fosse passato attraverso Maria come l’acqua attraverso un tubo, cioè senza ricevere alcunché dalla sua corporeità[312]. Poi si attacca la dottrina adozionista secondo cui prima sarebbe stato formato l’uomo e in un secondo momento il Dio si sarebbe inserito in lui[313]. Anche il Canone di Natale afferma questa dottrina della vera incarnazione del Cristo dalla divina Vergine pura, sottolineando che il Creatore si è veramente incarnato (ode 1°, troparion 2°):

Ἰδὼν ὁ Κτίστης ὀλλύμενον τὸν ἄνθρωπον, χερσὶν ὃν ἐποίησε, κλίνας οὐρανοὺς κατέρχεται· τοῦτον δὲ ἐκ Παρθένου θείας Ἁγνῆς ὅλον οὐσιοῦται ἀληθείᾳ σαρκωθείς, ὅτι δεδόξασται. Il Creatore, vedendo perdersi l’uomo che con le sue mani aveva fatto, piegati i cieli, discende, e ne assume tutta la sostanza dalla divina Vergine pura, prendendo veramente carne, perché si è glorificato.

Ispirandosi a numerose espressioni del Nazianzeno e del Crisostomo che esprimono il mistero dell’incarnazione (p.es. Colui che è senza carne diventa carne[314], Colui che è senza carne assunse la mia carne peritura)[315], Cosma accentua ancora una volta la verginità di Maria con il titolo «ἀπειράνδρος» (Vergine ignara d’uomo). Un concetto molto simile troviamo nell’omelia crisostomica In natalem Christi diem: La Vergine ignara di nozze (ἀπειρόγαμος) partorisce rimanendo Vergine[316]. Il Canone di Natale, quindi, pronuncia (ode 4°, irmos):

… ἦλθες σαρκωθεὶς ἐξ ἀπειράνδρου ὁ ἄϋλος καὶ Θεός … … sei venuto incarnato da una Vergine ignara d’uomo, tu, immateriale e Dio …

Il grande mistero della virginità perpetua di Maria viene espresso in modo ancora più forte nell’irmos della sesta ode. In Occidente sorge la formula tripartita prima – durante – dopo il parto, la quale troviamo già in Zenone di Verona (+371 o 380 ca.)[317]. In Oriente circolano altre formule che esprimono lo stesso concetto, una delle quali è presentata nel Canone di Natale (ode 6°, irmos):

… τῇ Παρθένῳ δὲ ἐνοικήσας ὁ Λόγος καὶ σάρκα λαβὼν διελήλυθε φυλάξας ἀδιάφθορον· ἧς γὰρ οὐχ ὑπέστη ῥεύσεως τὴν τεκοῦσαν κατέσχεν ἀπήμαντον. il Verbo, dopo aver dimorato nella Vergine e avere assunto la carne, da lei è uscito, custodendola incorrotta: poiché egli ha preservato la madre indenne dalla corruzione cui non era sottostata.

La condanna del monoenergismo e del monotelismo nel concilio costantinopolitano del 680-681 pose fine alle controversie cristologiche, sanzionando le decisioni del 451 e del 553, espressioni di una cristologia che aveva cercato di armonizzare le contrastanti esigenze di salvaguardare da una parte l’integrità delle componenti divina e umana di Cristo e dall’altra l’unità del soggetto, esigenze sentite ambedue come irrinunciabili per una retta comprensione del messaggio cristiano de salvezza[318]. In tal senso, il Canone di Natale come un’opera dell’VIII secolo rappresenta una cristologia matura ed equilibrata, contenendo in sé tutta la ricchezza della teologia patristica, sostenendo la vera dottrina ecclesiale delle due nature del Logos incarnato e della perpetua verginità e vera maternità di Maria.

Conclusione

Cosma di Maiuma, uno dei più grandi innografi ecclesiastici bizantini, ha giustamente meritato il titolo di princeps melodorum. Nonostante ciò i dati che possediamo di lui dalle fonti manoscritte sono molto scarsi e confusi. Con sicurezza si può affermare che nell’VIII secolo esisteva un tale Cosma, poeta e compositore di canti ecclesiastici, il quale aveva qualche connessione con Gerusalemme, come attestano alcuni suoi acrostici. Molto probabile che egli fu il monaco di laura di S. Saba vicino Città Santa. Le altre notizie importanti, soprattutto l’adozione di Cosma da parte della famiglia del Damasceno e il vescovato di Maiuma, sono sconosciute da alcune fonti. Le opere di Cosma, 173 irmoi, 33 canoni e 83 altre composizioni sono entrate assai presto nei libri liturgici e sono cantate fino ad oggi. Le caratteristiche principali che caratterizzano la sua poesia sono: l’uso degli acrostici, dell’efimnio (un ritornello dopo la strofe), l’assenza della seconda ode, l’uso raro dei theotokia, le odi con un piccolo numero dei troparia. I poemi di Cosma sono ricchi nel contenuto e pieni di immagini espresse con stile molto elevato e con una solennità impressionante. Cosma indirizza il suo sguardo verso all’uomo, stimolandolo alla gioia ed all’entusiasmo, all’afflizione e al pentimento. Il nostro poeta usa diversi modi dell’elocuzione, preferendo l’antitesi concettuali, l’isosillabia e la rima. Nei poemi di Cosma incontriamo metafore molto coraggiose, parecchi ossimori, giochi di parole, riscontri di componenti della stessa parola composta.

Le sue opere sono irreprensibili dal punto di vista teologico. Il Canone di Natale, una delle sue opere più brillanti, mostra Cosma come un grande teologo che possiede le conoscenze profonde della dottrina ecclesiastica. Nel Canone troviamo molte citazioni dirette dei Padri e dei concili, spesso adattate per esigenze della strofa poetica. Le fonti principali sono la 38° e la 45° Orazione di Gregorio Nazianzeno e l’omelia crisostomica In natalem Christi diem.

Per quanto riguarda l’esegesi, il tema della nascita di Gesù stimola a ricordare le profezie messianiche, dove Cristo è rappresentato come il compimento dell’Antico Testamento. Il Canone di Natale è pieno di tipologie profonde. Troviamo degli esempi bellissimi sia di esegesi allegorica sia letteraria. Le magnifiche antitesi concettuali danno alla parola leggerezza e gioia.

Per il suo pensiero in ambito soteriologico Cosma si attiene strettamente alla tradizione patristica precedente, dando però la preferenza a Gregorio di Nazianzo, ad Atanasio di Alessandria e a Giovanni Crisostomo. Seguendo il Teologo Nazianzeno Cosma nel Canone di Natale afferma la vera dottrina ecclesiastica dell’umanità completa assunta dal Logos basandosi su un’esigenza di carattere soteriologico: Cristo ha redento dell’uomo tutto ciò che ha assunto. Infatti, il Redentore ha assunto l’uomo intero per redimerlo.

Il Canone di Natale rappresenta una sintesi di dottrina cristologica dell’epoca patristica. È una cristologia matura ed equilibrata che, basandosi su espressioni teologiche dei Padri e sulle formule conciliari, afferma le due nature di Cristo in un solo soggetto con equilibrio fra esigenze divisive (due nature) ed unitarie (un solo soggetto). Il Canone sostiene la vera dottrina ecclesiale della totalità della natura umana assunta dal Logos incarnato e della perpetua verginità e vera maternità di Maria.

Cosma il Melodo, però, non fa parte dei teologi creativi, ma piuttosto di quelli sistematori. Egli appartiene all’ultima generazione dei Padri a cui è toccato in sorte di sistemare, riassumere tutta la tradizione precedente e trasmetterla in possesso della Chiesa. Uno dei modi migliori per trasmettere la dottrina consiste nell’inserirla nella vita liturgica. Tramite il Canone di Natale molti concetti importanti della dottrina cristologica e soteriologica della Chiesa vengono trasferiti dall’ambito teologico speculativo nell’ambito liturgico, diventando accessibili ad ogni cristiano che li contempla durante la preghiera liturgica.

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Manoscritti menzionati nel testo

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Codex Athenaikos (Ἀθηναϊκός) 321 ff. 10-46 (XII sec.) di Biblioteca Nazionale di Grecia, contiene la Vita Atheniensis di Cosma il Melodo (XI-XII sec.)[323].

Codex 983 ff. 315β – 357β (dell’anno 1267) di Biblioteca Nazionale di Grecia, contiene la Biografia comune dei due poeti Cosma e Damasceno, opera del patriarca di Gerusalemme Giovanni Mercuropolo (1156-1165)[324].

Codex Cryptensis E. γ. II, f. 16v di Biblioteca di Grottaferrata, contiene l’Heirmologion di Grottaferrata (XIV sec.),secondo il quale: «Κοσμᾶ μοναχοῦ τοῦ Δαμασκηνοῦ»[325].

Codex Cryptensis Δ.γ. I, ff. 12v-15v di Biblioteca di Grottaferrata, contiene il Canone con il titolo «Κανὼν σταυροαναστάσιμος» con l’acrostico «Ὕμνος Κοσμᾶ τέταρτος· Δόξα τῷ Θεῷ· ἀμήν»[326].

Codex Lauriotikos (Λαυριωτικός) 284 (Г 44), ff. 150r-157v di Biblioteca della Laura Maggiore del Monte Athos, contiene la Vita di Cosma il Melodo dell’XI sec.[327]

Codex Lauriotikos (Λαυριωτικός) Г 12, f. 29β di Biblioteca della Laura Maggiore del Monte Athos, contiene alcune opere di Cosma il Melodo.

Codex Sinaiticus gr. 376 contiene la Vita Damascenica Marciana (X-XI sec.)[328].

Codex Sirmondianus (X sec.) di Biblioteca di Berlino contiene il Sinassario della Chiesa di Costantinopoli, il più antico testo agiografico su Cosma il Melodo[329].

Codex Vaticanus Barberianus Graecus 583 (olim VI. 22 = 467) (XV sec.), pp. 722-756 di Biblioteca Vaticana, contiene la Vita Vaticana (Barberiniana) di Cosma il Melodo (XII sec.)[330].

Codex Vatopedinos1493 ff. 240240β, 1499 ff. 279β-280 di Biblioteca del monastero Vatopedosdel Monte Athos, contiene alcune opere di Cosma il Melodo[331].

Vindobonensis philosophicus gr. 158, ff. 107-114v di Biblioteca Nazionale di Austria, contiene la Vita Damascenica Hierosolymitana (X-XI sec.)[332].

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Appendice: Κανὼν εἰς τὴν τοῦ Χριστοῦ Γέννησιν[333]

Ἡ ἀκροστιχίς· «Χριστὸς βροτωθεὶς ἦν ὅπερ θεὸς μένη»
ἦχος α’
L’acrostico: Cristo, fatto mortale, rimane, qual era, Dio
tono 1
ᾠδὴ α’
Χριστὸς γεννᾶται· δοξάσατε·
Χριστὸς ἐξ οὐρανῶν· ἀπαντήσατε·
Χριστὸς ἐπὶ γῆς· ὑψώθητε·
ᾄσατε τῷ Κυρίῳ πᾶσα ἡ γῆ
καὶ ἐν εὐφροσύνῃ ἀνυμνήσατε, λαοί, ὅτι δεδόξασται.
ode 1
Cristo nasce, rendete gloria; Cristo scende dai cieli, andategli incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi. Cantate al Signore da tutta la terra, e con letizia celebratelo, o popoli, perché si è glorificato.  
Ῥεύσαντα ἐκ παραβάσεως
Θεοῦ τὸν κατ’ εἰκόνα γενόμενον,
ὅλον τῆς φθορᾶς ὑπάρξαντα,
κρείττονος ἐπταικότα θείας ζωῆς
αὖθις ἀναπλάττει ὁ σοφὸς Δημιουργός, ὅτι δεδόξασται.
Colui che, fatto a immagine di Dio, era perito per la trasgressione, divenendo del tutto preda della corruzione, decaduto dalle altezze della vita divina, il sapiente Artefice di nuovo lo plasma, perché si è glorificato.  
Ἰδὼν ὁ Κτίστης ὀλλύμενον
τὸν ἄνθρωπον, χερσὶν ὃν ἐποίησε,
κλίνας οὐρανοὺς κατέρχεται·
τοῦτον δὲ ἐκ Παρθένου θείας Ἁγνῆς
ὅλον οὐσιοῦται ἀληθείᾳ σαρκωθείς, ὅτι δεδόξασται.
Il Creatore, vedendo perdersi l’uomo che con le sue mani aveva fatto, piegati i cieli, discende, e ne assume tutta la sostanza dalla divina Vergine pura, prendendo veramente carne, perché si è glorificato.
Σοφία, λόγος καὶ δύναμις,
Υἱὸς ὢν τοῦ Πατρός, καὶ ἀπαύγασμα,
Χριστὸς ὁ Θεὸς δυνάμεις λαθών,
ὅσας ὑπερκοσμίους, ὅσας ἐν γῇ,
καὶ ἐνανθρωπήσας, ἀνεκτήσατο ἡμᾶς, ὅτι δεδόξασται.
Il Cristo Dio, sapienza, Verbo, potenza, Figlio e splendore del Padre, restando nascosto a tutte le potenze ultramondane e terrestri, fatto uomo ci ha riacquistati, perché si è glorificato.  
ᾠδὴ γ
Τῷ πρὸ τῶν αἰώνων ἐκ Πατρὸς γεννηθέντι ἀρρεύστως Υἱῷ
καὶ ἐπ’ ἐσχάτων ἐκ Παρθένου σαρκωθέντι ἀσπόρως
Χριστῷ τῷ Θεῷ βοήσωμεν·
Ὁ ἀνυψώσας τὸ κέρας ἡμῶν, ἅγιος εἶ, Κύριε.
ode 3
Al Figlio che prima dei secoli immutabilmente dal Padre è stato generato, e negli ultimi tempi dalla Vergine, senza seme, si è incarnato, al Cristo Dio acclamiamo: Tu che hai innalzato la nostra fronte, santo tu sei, Signore.  
Ὁ τῆς ἐπιπνοίας μετασχὼν τῆς ἀμείνω Ἀδὰμ χοϊκὸς
καὶ πρὸς φθορὰν κατολισθήσας γυναικείᾳ ἀπάτῃ
Χριστὸν γυναικὸς βοᾷ ἐξορῶν·
Ὁ δι’ ἐμὲ κατ᾿ ἐμὲ γεγονὼς ἅγιος εἶ, Κύριε.
L’Adamo fatto di terra, che aveva partecipato di quel soffio superiore, ma era caduto nella corruzione, sedotto dalla donna, scorgendo il Cristo nato di donna, grida: O tu che per me sei divenuto come me, santo tu sei, Signore.  
Σύμμορφος πηλίνης, εὐτελοῦς διαρτίας, Χριστέ, γεγονὼς
καὶ μετοχῇ σαρκὸς τῆς χείρω μεταδοὺς θείας φύτλης,
βροτὸς πεφυκὼς καὶ μείνας Θεὸς
καὶ ἀνυψώσας τὸ κέρας ἡμῶν, ἅγιος εἶ, Κύριε.
Tu che ti sei reso simile a un vile oggetto di fango, o Cristo; tu che, partecipando della realtà inferiore della carne, ci hai dato di comunicare alla divina natura, divenendo uomo e rimanendo Dio; tu che hai sollevato la nostra fronte, santo tu sei, Signore.  
Βηθλεὲμ εὐφραίνου, ἡγεμόνων Ἰούδα βασίλεια·
τὸν Ἰσραὴλ γὰρ ὁ ποιμαίνων, Χερουβὶμ ὁ ἐπ’ ὤμων,
ἐκ σοῦ προελθὼν Χριστὸς ἐμφανῶς
καὶ ἀνυψώσας τὸ κέρας ἡμῶν, πάντων ἐβασίλευσεν.
Rallégrati, Betlemme, regina dei capoluoghi di Giuda: poiché colui che pasce Israele e sta sulle spalle dei cherubini, il Cristo, uscendo manifestamente da te e sollevando la nostra fronte, è divenuto re di tutti.
ᾠδὴ δ
Ῥάβδος ἐκ τῆς ῥίζης Ἰεσσαὶ καὶ ἄνθος ἐξ αὐτῆς, Χριστέ, ἐκ τῆς Παρθένου ἀνεβλάστησας·
ἐξ ὄρους ὁ αἰνετὸς κατασκίου δασέος ἦλθες σαρκωθεὶς ἐξ ἀπειράνδρου
ὁ ἄϋλος καὶ Θεός· δόξα τῇ δυνάμει σου, Κύριε.
ode 4
Virgulto dalla radice di Iesse, e fiore che da essa procede, o Cristo, dalla Vergine sei germogliato, dal boscoso monte adombrato, o degno di lode: sei venuto incarnato da una Vergine ignara d’uomo, tu, immateriale e Dio. Gloria alla tua potenza, Signore.
Ὃν πάλαι προεῖπεν Ἰακὼβ ἐθνῶν ἀπεκδοχήν, Χριστέ, φυλῆς Ἰούδα ἐξανέτειλας
καὶ δύναμιν Δαμασκοῦ, Σαμαρείας σκῦλά τε ἦλθες προνομεύσων, πλάνην τρέπων
εἰς πίστιν θεοτερπῆ· δόξα τῇ δυνάμει σου, Κύριε.
Tu che un tempo Giacobbe aveva predetto come attesa delle genti, o Cristo, sei sorto dalla tribù di Giuda, e sei venuto a far preda delle ricchezze di Damasco e delle spoglie di Samaria, mutando l’errore in fede a Dio gradita. Gloria alla tua potenza, Signore.  
Τοῦ μάντεως πάλαι Βαλαὰμ τῶν λόγων μυητὰς σοφοὺς ἀστεροσκόπους χαρᾶς ἔπλησας,
ἀστὴρ ἐκ τοῦ Ἰακὼβ ἀνατείλας, Δέσποτα· ἐθνῶν ἀπαρχὴν εἰσαγομένους
ἐδέξω δὲ προφανῶς· δῶρά σοι δεκτὰ προσκομίζοντας.
Sorgendo come stella da Giacobbe, o Sovrano, hai riempito di gioia gli iniziati alle parole dell’antico indovino Balaam, i sapienti scrutatori degli astri, a te condotti come primizia delle genti, e li hai accolti pubblicamente con i loro doni accetti.
Ὡς πόκῳ γαστρὶ Παρθενικῇ κατέβης ὑετός, Χριστέ, καὶ ὡς σταγόνες ἐν γῇ στάζουσαι·
Αἰθίοπες καὶ Θαρσεῖς καὶ Ἀράβων νῆσοί τε, Σαβᾶ, Μήδων, πάσης γῆς κρατοῦντες
προσέπεσόν σοι, Σωτήρ· δόξα τῇ δυνάμει σου, Κύριε.
Sei sceso nel grembo della Vergine come pioggia sul vello, o Cristo, e come gocce che stillano sulla terra; gli etiopi, la gente di Tarsis, le isole dell’Arabia, di Saba e della Media, i capi di tutta la terra, si sono prostrati davanti a te, Salvatore. Gloria alla tua potenza, Signore.
ᾠδὴ ε
Θεὸς ὢν εἰρήνης, Πατὴρ οἰκτιρμῶν, τῆς μεγάλης Βουλῆς σου τὸν Ἄγγελον εἰρήνην παρεχόμενον ἀπέστειλας ἡμῖν·
ὅθεν θεογνωσίας πρὸς φῶς ὁδηγηθέντες, ἐκ νυκτός ὀρθρίζοντες δοξολογοῦμέν σε, Φιλάνθρωπε.
ode 5
Dio della pace, Padre delle misericordie, tu ci hai inviato l’angelo del tuo gran consiglio per donarci pace; guidati dunque alla luce della conoscenza di Dio, vegliando sin dai primi albori, noi ti glorifichiamo, amico degli uomini.
Ἐν δούλοις τῷ Καίσαρος δόγματι ἀπεγράφης πειθήσας καὶ δούλους ἡμᾶς ἐχθροῦ καὶ ἁμαρτίας ἠλευθέρωσας, Χριστέ.
ὅλον τὸ καθ᾿ ἡμᾶς δὲ πτωχεύσας καὶ χοϊκὸν ἐξ αὐτῆς ἑνώσεως καὶ κοινωνίας ἐθεούργησας.
Per ubbidire al decreto di Cesare, sei stato registrato tra gli schiavi, e hai liberato noi, schiavi del nemico e del peccato, o Cristo, divenendo del tutto povero come noi, e divinizzando ciò che era di terra con questa stessa unione e comunione.
Ἰδοὺ ἡ Παρθένος, ὡς πάλαι φησίν, ἐν γαστρὶ συλλαβοῦσα ἐκύησε Θεὸν ἐνανθρωπήσαντα καὶ μένει Παρθένος·
δι’ ἧς καταλλαγέντες Θεῷ οἱ ἁμαρτωλοὶ Θεοτόκον κυρίως οὖσαν ἐν πίστει ἀνυμνήσωμεν.
Ecco che la Vergine, come un tempo fu detto, ha concepito e partorito il Dio fatto uomo, e vergine rimane. Grazie a lei con Dio riconciliati, cantiamola dunque con fede, noi peccatori, come vera Madre di Dio.
ᾠδὴ ς
Σπλάγχνων Ἰωνᾶν ἔμβρυον ἀπήμεσεν ἐνάλιος θήρ, οἷον ἐδέξατο·
τῇ Παρθένῳ δὲ ἐνοικήσας ὁ Λόγος καὶ σάρκα λαβὼν διελήλυθε φυλάξας ἀδιάφθορον·
ἧς γὰρ οὐχ ὑπέστη ῥεύσεως τὴν τεκοῦσαν κατέσχεν ἀπήμαντον.
ode 6
Il mostro marino, dalle sue viscere, ha espulso come embrione Giona, quale lo aveva ricevuto; il Verbo, dopo aver dimorato nella Vergine e avere assunto la carne, da lei è uscito, custodendola incorrotta: poiché egli ha preservato la madre indenne dalla corruzione cui non era sottostata.
Ἦλθε σαρκωθεὶς Χριστὸς ὁ Θεὸς ἡμῶν, γαστρὸς ὃν Πατὴρ πρὸ Ἑωσφόρου γεννᾷ·
τὰς ἡνίας δὲ ὁ κρατῶν τῶν ἀχράντων Δυνάμεων ἐν φάτνῃ τῶν ἀλόγων ἀνακλίνεται,
ῥάκει σπαργανοῦται, λύει δὲ πολυπλόκους σειρὰς παραπτώσεων.
È venuto incarnato, il Cristo Dio nostro, che il Padre genera prima della stella del mattino; colui che tiene le redini delle potenze immacolate, è deposto nella mangiatoia di animali senza ragione; è avvolto in povere pezze, ma scioglie le aggrovigliate catene delle colpe.
Νέον ἐξ Ἀδὰμ παιδίον φυράματος ἐτέχθη Υἱὸς καὶ πιστοῖς δέδοται·
τοῦ δὲ μέλλοντος οὗτός ἐστιν αἰῶνος Πατὴρ καὶ Ἄρχων καὶ καλεῖται τῆς μεγάλης Βουλῆς Ἄγγελος·
οὗτος ἰσχυρὸς Θεός ἐστι καὶ κρατῶν ἐξουσίᾳ τῆς κτίσεως.
Il Figlio è stato partorito come un neonato dall’argilla di Adamo, ed è stato dato ai fedeli. Egli è padre e principe del secolo futuro, ed è chiamato angelo del gran consiglio; egli è Dio forte e con potenza domina il creato.
ᾠδὴ ζ
Οἱ Παῖδες εὐσεβείᾳ συντραφέντες, δυσσεβοῦς προστάγματος καταφρονήσαντες
πυρὸς ἀπειλὴν οὐκ ἐκπτοήθησαν, ἀλλ’ ἐν μέσῳ τῆς φλογὸς ἑστῶτες ἔψαλλον·
ὁ τῶν Πατέρων Θεὸς εὐλογητὸς εἶ.
ode 7
I fanciulli allevati nella pietà, disprezzando un empio comando, non si lasciarono atterrire dalla minaccia del fuoco, ma stando tra le fiamme cantavano: O Dio dei padri, tu sei benedetto.  
Ποιμένες ἀγραυλοῦντες ἐκπλαγοῦς φωτοφανείας ἔτυχον· δόξα Κυρίου γὰρ
αὐτοὺς περιέλαμψε καὶ Ἄγγελος, ἀνυμνήσατε, βοῶν, ὅτι ἐτέχθη Χριστός·
ὁ τῶν Πατέρων Θεὸς εὐλογητὸς εἶ.
I pastori che vegliavano nei campi ricevettero una luminosa visione che li lasciò sbigottiti: la gloria di Dio rifulse intorno a loro, e un angelo gridava: Inneggiate, perché il Cristo è nato. O Dio dei padri, tu sei benedetto.  
Ἐξαίφνης σὺν τῷ λόγῳ τοῦ Ἀγγέλου οὐρανῶν στρατεύματα, δόξα, ἐκραύγαζον,
Θεῷ ἐν ὑψίστοις, ἐπὶ γῆς εἰρήνη, ἐν ἀνθρώποις εὐδοκία Χριστὸς ἔλαμψεν·
ὁ τῶν Πατέρων Θεὸς εὐλογητὸς εἶ.
Subito, mentre ancora l’angelo parlava, le schiere del cielo presero ad acclamare: Gloria a Dio nel più alto dei cieli, pace sulla terra e per gli uomini benevolenza: Cristo è rifulso. Dio dei padri, tu sei benedetto.
Ῥῆμα τὶ τοῦτο; εἶπον οἱ Ποιμένες, διελθόντες ἴδωμεν τὸ γεγονὸς θεῖον,
Χριστόν· Βηθλεὲμ καταλαβόντες δὲ σὺν [τῇ] τεκούσῃ προσεκύνουν ἀναμέλποντες·
ὁ τῶν Πατέρων Θεὸς εὐλογητὸς εἶ.
Che discorso è questo?, si dissero i pastori; andiamo a vedere l’evento, il Cristo divino. Raggiunta Betlemme, insieme alla Madre adoravano cantando: O Dio dei padri, tu sei benedetto.  
ᾠδὴ η
Θαύματος ὑπερφυοῦς ἡ δροσοβόλος ἐξεικόνισε κάμινος τύπον·
οὐ γὰρ οὓς ἐδέξατο φλέγει νέους, ὡς οὐδὲ πῦρ τῆς Θεότητος Παρθένου ἣν ὑπέδυ νηδύν·
διὸ ἀνυμνοῦντες ἀναμέλψωμεν·
εὐλογείτω ἡ κτίσις πᾶσα τὸν Κύριον καὶ ὑπερυψούτω εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας.
ode 8
La fornace che effondeva rugiada è stata immagine di una meraviglia che oltrepassa la natura: essa infatti non bruciò i giovani che aveva ricevuto, come neppure il fuoco della divinità bruciò il grembo della Vergine in cui era disceso; noi dunque inneggiando cantiamo: Tutta la creazione benedica il Signore, e lo sovresalti per tutti i secoli.
Ἕλκει Βαβυλῶνος ἡ θυγάτηρ παῖδας δορυκτήτους Δαυῒδ ἐκ Σιὼν ἐν αὐτῇ·
δωροφόρους πέμπει δὲ μάγους παῖδας, τὴν τοῦ Δαυῒδ θεοδόχον θυγατέρα λιτανεύσοντας·
διὸ ἀνυμνοῦντες ἀναμέλψωμεν·
εὐλογείτω ἡ κτίσις πᾶσα τὸν Κύριον καὶ ὑπερυψούτω εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας.
La figlia di Babilonia trascinò via da Sion i figli di Davide presi in guerra; ma le inviò poi i magi suoi figli, per supplicare la figlia di Davide che ha accolto Dio. Perciò inneggiando cantiamo: Tutta la creazione benedica il Signore e lo sovresalti per tutti i secoli.
Ὄργανα παρέκλινε τὸ πένθος ᾠδῆς· οὐ γὰρ ᾗδον ἐν νόθοις οἱ παῖδες Σιών·
Βαβυλῶνος λύει δὲ πλάνην πᾶσαν καὶ μουσικῶν, ἁρμονίαν Βηθλεὲμ ἐξανατείλας Χριστός·
διὸ ἀνυμνοῦντες ἀναμέλψωμεν·
εὐλογείτω ἡ κτίσις πᾶσα τὸν Κύριον καὶ ὑπερυψούτω εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας.
Il lutto aveva fatto deporre gli strumenti del canto: non cantavano fra i barbari i figli di Sion: ma il Cristo sorto da Betlemme, scioglie ogni inganno di Babilonia e mette fine all’armonia delle sue musiche; perciò inneggiando cantiamo: Tutta la creazione benedica il Signore e lo sovresalti per tutti i secoli.
Σκῦλα Βαβυλὼν τῆς βασιλίδος Σιών καὶ δορίκτητον ὄλβον ἐδέξατο·
θησαυροὺς Χριστὸς ἐν Σιὼν δὲ ταύτης καὶ βασιλεῖς σὺν ἀστέρι ὁδηγῷ ἀστροπολοῦντας ἕλκει·
διὸ ἀνυμνοῦντες ἀναμέλψωμεν·
εὐλογείτω ἡ κτίσις πᾶσα τὸν Κύριον καὶ ὑπερυψούτω εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας.
Babilonia ricevette le spoglie della regina Sion, e le sue ricchezze conquistate con la lancia; ma il Cristo, con la guida della stella, trae a Sion i suoi tesori e i suoi re astrologi. Per questo inneggiando cantiamo: Tutta la creazione benedica il Signore e lo sovresalti per tutti i secoli.
ᾠδὴ θ
Μυστήριον ξένον ὁρῶ καὶ παράδοξον!
οὐρανὸν τὸ σπήλαιον, θρόνον χερουβικὸν τὴν Παρθένον, τὴν φάτνην χωρίον,
ἐν ᾧ ἀνεκλίθη ὁ ἀχώρητος Χριστὸς ὁ Θεός, ὃν ἀνυμνοῦντες μεγαλύνομεν.
ode 9
Vedo un mistero strano e portentoso: cielo, la grotta, trono di cherubini, la Vergine, e la greppia, spazio in cui è stato posto a giacere colui che nulla può contenere, il Cristo Dio, che noi celebriamo e magnifichiamo.
Ἐξαίσιον δρόμον ὁρῶντες οἱ μάγοι
ἀσυνήθους νέου ἀστέρος ἀρτιφαοῦς οὐρανίου ὑπερλάμποντος,
Χριστὸν Βασιλέα ἐτεκμήραντο ἐν γῇ γεννηθέντα Βηθλεὲμ εἰς σωτηρίαν ἡμῶν.
Vedendo l’insolito corso di un astro celeste inconsueto e nuovo, apparso di recente e di superiore splendore, compresero i magi che nella terra di Betlemme era nato il Cristo Re, per la nostra salvezza.
Νεηγενὲς μάγων λεγόντων, παιδίον
Ἄναξ, οὗ ἀστὴρ ἐφάνη, ποῦ ἐστίν; εἰς γὰρ ἐκείνου προσκύνησιν ἥκομεν,
μανεὶς ὁ Ἡρῴδης ἐταράττετο,
Χριστὸν ἀνελεῖν ὁ θεομάχος φρυαττόμενος.
Dicevano i magi: Dov’è il Re bambino appena nato, del quale è apparsa la stella? Siamo venuti per adorarlo. A queste parole Erode, folle, si turbò, pensando nel suo orgoglio, questo nemico di Dio, di uccidere il Cristo.
Ἠκρίβωσε χρόνον Ἡρῴδης ἀστέρος,
οὗ ταῖς ἡγεσίαις οἱ μάγοι ἐν Βηθλεὲμ προσκυνοῦσι Χριστῷ σὺν δώροις·
ὑφ’ οὗ πρὸς πατρίδα ὁδηγούμενοι
δεινὸν παιδοκτόνον ἐγκατέλιπον παιζόμενον.
Erode si era informato circa il tempo dell’apparizione della stella dalla quale i magi erano stati condotti a Betlemme, per adorare con doni il Cristo; ma da lui ricondotti al loro paese, i magi abbandonarono il crudele uccisore di bambini, prendendosene gioco.


[1] La prima ode del canone nasce dal Cantico di Mose e di Mariam la Profetessa dopo il passaggio miracoloso del Mar Rosso (Es 15, 1-21). La seconda ode viene composta sulla base del Cantico del profeta Mosè, il quale nell’ultimo giorno della sua vita esorta il popolo d’Israele (Dt 32, 1-43). La terza deriva dal Cantico di Anna che esulta dopo la nascita del suo figlio Samuele (1 Sm 2,1-10). La quarta si basa sulla preghiera del profeta Abacuc che predice la futura grazia di Salvatore (Ab 3). La quinta proviene dal Cantico della vittoria del profeta Isaia che predice la Luce della Giustizia dall’Oriente (Is 26). Alla base della sesta sta la preghiera del profeta Giona, sputato fuori di mostro marino nel terzo giorno (Gion 2,3-10). La settima ode ha le sue radici nella preghiera di Azaria nella fornace di Babilonia (Dan 3, 26-45), l’ottava, invece, nel Cantico di tre giovani nella fornace i quali sono stati conservati in mezzo del fuoco (Dan 3, 52-90). La nona ode è composta da due inni neotestamentari: dalla magnificazione di Maria al Signore nella risposta al saluto di Elisabetta (Lc 1, 46-55) e dalla benedizione-profezia di Zaccaria dopo la nascita di Giovanni Battista (Lc 1, 68-79). Cfr. Anthologhion di tutto l’anno, vol. 4 (tr. it. di Artioli M.B.). Roma 2000, p. 1078. Cfr. Christ W., Paranikas M. Anthologia graeca carminum christianorum. Lipsiae 1971, p. 63.

[2] Cfr. Christ-Paranikas, p. 63.

[3] Τροπάριον – un breve canto (originariamente un breve ritornello) che rivela l’essenza della festa, lodando Dio o Santo celebrato. Il titolo proviene dalla parola greca «τρόπος» (direzione, modo, stile, maniera) che originariamente indicava il modo musicale greco antico (dorico, frigico, lidico ecc.). Il «τροπάριον» si canta secondo un dato modulo musicale; il suo ritmo è basato sull’accento tonico. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1084. Christ-Paranikas, pp. 68-69.

[4] Εἱρμός – la strofa iniziale di ognuna ode del canone. La parola greca «εἱρμός» (concatenamento) vuol dire la connessione poetica tra i temi delle odi bibliche ed il tema della festa cristiana che viene lodata nel canone. L’irmos presenta l’esempio poetico e metrico musicale, secondo il quale vengono cantati tutti i troparia seguenti entro la stessa ode. L’irmos sempre viene cantato secondo uno degli otto modi musicali della musica ecclesiastica bizantina. Cfr. Anthologhion, vol. 4, pp. 1079-1080. Cfr. Christ-Paranikas, p. 60.

[5] Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1079.

[6] Θεοτοκίον – un troparion nell’onore della Madre di Dio. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1084. Cfr. Christ-Paranikas, p. 61.

[7] Σταυροθεοτοκίον – un troparion dedicato alla Madre di Dio con allusione al mistero della croce e alla presenza di Maria accanto ad essa. Si usa al posto di theotokion di solito ogni mercoledì, venerdì e nei giorni dedicati alla memoria della morte di Gesù alla croce nel calendario liturgico bizantino. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1083. Cfr. Christ-Paranikas, p. 61.

[8] Τριώδιον – canone composto da 3 odi.

[9] Skaballanovič M. Tolkovyj tipikon, vol. 2. Kiev 1910, p. 368.

[10] Διώδιον – canone composto da 2 odi.

[11] Τετραώδιον – canone composto da 4 odi.

[12] Ἀκρόστιχον (dal greco, composto di ἄκρον «estremo» e στίχος «verso») è un componimento poetico in cui le lettere o le sillabe o le parole iniziali di ciascun verso formano un nome o una frase. Nella liturgia bizantina si chiama così la frase che si ottiene componendo insieme la prima lettera di ciascun troparion di un canone. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1077.

[13] Cfr. Christ-Paranikas, p. 63.

[14] Καθίσματα (da «καθίζεσθαι» – sedersi) – i troparia seguenti dopo la 3° e la 6° odi del canone, dopo la lettura dei salmi durante l’officio mattutino (στιχολογίας α’, β’, γ’). Si dà questo nome: 1) a ciascuna delle 20 sezioni nelle quali è diviso il salterio bizantino; 2) ai tropari che seguono la lettura del káthisma del salterio; 3) a vari altri tropari analoghi a quelli che accompagnano la lettura del salterio. Il nome kathisma indica una parte dell’ufficio durante la quale si sta seduti. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1081. Cfr. Christ-Paranikas, p. 62.

[15] Κοντάκιον oppure κονδάκιον (“breve trattazione”) è un genere dell’innografia ecclesiale bizantina. Il fondatore di questo genere è Romano il Melodo (+555), l’autore di maggior parte dei contakia. I contakia antichi sono i poemi composti da 20-30 strofe. Le strofe si uniscono con lo stesso refrain e con l’unica struttura metrica basata sull’isosillabismo. La prima strofa costituisce una introduzione, l’ultima contiene il carattere edificante. Le strofe furono letti da canonarco (il responsabile della liturgia) e refrain fu cantato dalla gente. A partire dal VIII secolo contakion come un genere viene sostituito con il genere del canone. Il numero delle strofe diminuisce. Nella liturgia bizantina più tarda fino ad oggi ci sono mantenuti soltanto due strofe, che si chiamano contakion ed ikos cantati dopo la 6° ode di canone e in alcune altre occasioni. L’unico contakion pervenuto intero nell’uso liturgico è contakion del funerale sacerdotale. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1081. Cfr. Christ-Paranikas, p. 66.

[16] Cfr. Christ-Paranikas, p. 64.

[17] Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1079. Cfr. Christ-Paranikas, p. 68.

[18] Cfr. Christ-Paranikas, p. 64.

[19] Il testo greco è citato dall’edizione critica: Christ W., Paranikas M. Anthologia graeca carminum christianorum. Leipzig 1963, pp. 161-162. La traduzione italiana: Anthologhion di tutto l’anno, vol. 1 (tr. it. di Artioli M.B.). Roma 1999, pp. 619-620.

[20] Il testo greco: Christ W., Paranikas M. Anthologia graeca carminum christianorum. Leipzig 1963, pp. 203-204. La traduzione italiana: Anthologhion di tutto l’anno, vol. 3 (tr. it. di Artioli M.B.). Roma 2000, pp. 530-531.

[21] Dell’Osso C. Cosma di Maiuma / Nuovo dizionario patristico e di antichità cristiane, vol. 1. Roma 2006, pp. 1206-1207. Cfr. Christ-Paranikas, pp. 49-50.

[22] Detorakes Th.E. Κοσμάς ο Μελωδός Βίος και έργα. Tessalonica 1979, p. 3.

[23] Detorakes Th. E. Κοσμάς ο Μελωδός Βίος και έργα. Tessalonica 1979.

[24] Detorakes, p. 3.

[25] Skaballanovič M. Tolkovyj tipikon, vol. 2. Kiev 1910, p. 396.

[26] Detorakes, p. 99.

[27] Συναξάριον (dal greco «συνάγω» – “raccogliere” e «σύναξις» – “raccolta”) è un libro che contiene le vite dei santi per ogni giorno dell’anno e che si legge dopo la 6° ode del canone e dopo il contakion nell’officio mattutino. Nei minéi se ne trova abitualmente un estratto. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1083.

[28] Cfr. Detorakes, p. 80.

[29] Detorakes, p. 119.

[30] Pitra J.B. Analecta Sacra spicilegio solesmensi parata, vol. 1. Parisiis 1876, p. 527. Eustratiadês S. «Κοσμᾶς Ἱεροσολυμίτης ὁ ποιητὴς ἐπίσκοπος Μαϊουμᾶ» / Νέα Σιών, vol. 28, 1933, pp. 530-544. Eustratiadês S. «Κοσμᾶς Ἱεροσολυμίτης ὁ ποιητὴς ἐπίσκοπος Μαϊουμᾶ» / Θεολογία, vol. 7, 1929, p. 263. Cfr. Detorakes, pp. 221-226.

[31] Στιχηρὸν (nel plurale στιχηρά) è un canto liturgico (una specie dei troparia) intercalato tra i versetti (stichi) dei salmi del lucernario e delle lodi. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1083. Cfr. Christ-Paranikas, pp. 67-68.

[32] Προσόμοιν (“simile”) è un canto liturgico simile a un alto canto riguardo alla melodia e metrica. Quindi, è un canto che non serve mai come un modello, però si serve dal modello di un altro canto chiamato αὐτόμελον. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1083. Cfr. Christ-Paranikas, p. 67.

[33] Pitra J.B. Analecta Sacra, pp. 410-412. Eustratiadês S. Kosmas, p. 505. Cfr. Detorakes, pp. 219-221.

[34] Codex Cryptensis Δ.γ. I, ff. 12v-15v. Tomadakis E. «Ἐπετηρὶς Ἑταιρείας Βυζαντινῶν Σπουδῶν», vol. 39-40, n. 5. Athens 1972-1973, p. 256. Cfr. Detorakes, pp. 196-197.

[35] Eustratiadês S. Kosmas, pp. 406-413. Eustratiadês S. «Ποιηταὶ καὶ ὑμνογράφοι τῆς Ὀρθοδόξου Ἐκκλησίας». Jerusalem 1940, pp. 352-359. Cfr. Detorakes, p. 200.

[36] Eustratiadês S. Kosmas, pp. 257-262. Cfr. Detorakes, p. 196.

[37] Eustratiadês S. Kosmas, pp. 263-267. Cfr. Detorakes, p. 196.

[38] Cfr. Detorakes, pp. 119-120.

[39] Cfr. Detorakes, p. 15.

[40] Jugie M. Une nouvelle vie et un nouvel écrit de saint Jean Damascène / Echos d’Orient 28, 1929, pp. 34ss. Nasrallah J. Saint Jean de Damas. Son époque, sa vie, son oeuvre. Harissa 1950, p. 6. Hoeck J.M. Stand und Aufgaben der Damascenus-Forschung / Orientalia Christiana,t. XVII, 1951, pp. 7ss. Gordillo M. Damascenica / Orientalia Christiana, t. VIII, 1926, pp. 45-103, 62ss. Cfr. Kazhdan A., Gero S. Kosmas of Jerusalem: a more critical approach to his biography / Byzantinische Zeitschrift, 82. Berlin 1989, pp. 126-127. Cfr. Detorakes, pp. 10-11.

[41] Detorakes, p. 15.

[42] Delehaye H. Synaxarium ecclesiae Constantinopolitanae / Propylaeum ad Acta Sanctorum, novembris. Bruxellis 1902. Delehaye H. Synaxarium ecclesiae Constantinopolitanae e codice Sirmondiano nunc Berolinesi. Bruxelles (Apud Socios Bollandianos) 1985. Halkin F. Bibliotheca Hagiographica Graeca / Subsidia Hagiographica n. 8a. Bruxelles 1957, 394c. Halkin F. Auctarium Bibliothecae Hagiographicae Graecae / Subsidia Hagiographica n. 47. Bruxelles 1969, p. 53. Cfr. Detorakes, pp. 17-20.

[43] Detorakes, pp. 17-18.

[44] Kazhdan-Gero, p. 127.

[45] Codex «Λαυριωτικός» 284 (Г 44), ff. 150r-157v. Detorakis T. Vie inédite de Cosmas le Mélode, BHG 394 b / Analecta Bollandiana Bruxelles. 1981, vol. 99, n.1-2, pp. 101-116. Halkin F. Bibliotheca, 394b. Halkin F. Auctarium, p. 53. Cfr. Detorakes, pp. 20-26.

[46] Gordillo M. Damascenica, pp. 63-65. Halkin F. Bibliotheca, 885b. Halkin F. Auctarium, p. 101. Cfr. Detorakes, pp. 26-29.

[47] Sulle edizioni dei vari manoscritti della Vita Damascenica Hierosolymitana: Hoeck J.M. Stand, p. 8. Halkin F. Bibliotheca, 884. Detorakes, pp. 30-39.

[48] 1) Vindobonensis philosophicus gr. 158, ff. 107-114v (X-XI sec.). Gordillo M. Damascenica, p. 49. Hoeck J.M. Stand, pp. 8-9. 2) Athon Vatopedinos 497, f. 310a (X sec.), Hunger H. Katalog der griechischen Handschriften der österreichischen Nationalbibliothek I. Vienna 1961, p. 261. Eustratiades S. Catalogue of the Greek Manuscripts in the Library of the Monastery of Vatopedi on Mt. Athos. Cambridge 1924, p. 103. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 126. Detorakes, pp. 30-31.

[49] Cfr. Kazhdan-Gero, p. 125.

[50] Codex n. 983, ff. 315β – 357β di Biblioteca Nazionale di Grecia (dell’anno 1267). Cfr. Sakellion I. «Κατάλογος τῶν χειρογράφων τῆς Ἐθνικῆς Βιβλιοθήκης τῆς Ἑλλάδος». Athenai 1892, p. 665. Papadopoulos-Kerameus A. Analecta Hierosolymitikes stachyologias, vol. 4. St. Petersburg 1897 (repr. Brussels, 1963), pp. 303-350. Papadopoulos-Kerameus A. Analecta Hierosolymitikes stachyologias, vol. 5. St. Petersburg 1898 (repr. Brussels, 1963), pp. 405-407. Halkin F. Bibliotheca, 395. Detorakes, pp. 39-50.

[51] Cfr. Kazhdan-Gero, p. 127.

[52] Papadopoulos-Kerameus A. Analecta, vol. 4, pp. 271-302. Papadopoulos-Kerameus A. Analecta, vol. 5, pp. 404-405. Halkin F. Bibliotheca, 394. Detorakes, pp. 51-64.

[53] Cfr. Detorakes, p. 54.

[54] Codex n. 321, ff. 10-46 (XII sec.) diBiblioteca Nazionale di Grecia. Cfr. Sakellion I. Katalogos, p. 54. Halkin F. Bibliotheca, 884a. Detorakes, pp. 64-70.

[55] Cfr. Detorakes, p. 65.

[56] Codex Vaticanus Barberianus Graecus 583 (olim VI. 22 = 467), XV sec., pp. 722-756. Analecta Bollandiana, 19, Bruxellis, 1900, pp. 107-114. Canard P., Peri V. Sussidi bibliografici per i manoscritti greci della Biblioteca Vaticana / Studi e Testi261. Vaticano 1970, p. 164. Detorakes Th. «Ἀνέκδοτος Βίος Κοσμᾶ τοῦ Μαϊουμᾶ» / Ἐπετηρὶς Ἑταιρείας Βυζαντινῶν Σπουδῶν, n. 41. Athens 1974, pp. 259-296. Halkin F. Bibliotheca, 394a. Detorakes, pp. 70-80.

[57] Cfr. Detorakes, p. 70.

[58] Cfr. Detorakes, pp. 63-64.

[59] Cfr. Detorakes, p. 56.

[60] Codex Lauriotikos 284 (Г 44), f. 151r. Detorakis T. Vie inédite, pp. 101-116. Halkin F. Bibliotheca, 394b. Halkin F. Auctarium, p. 53.

[61] Codex Cryptensis E.γ. II, f. 16v (XIV sec.). Höeg C., Tillyard H.J., Egon Wellesz. Monumenta Musicae Byzantinae. III. Hirmologium Cryptense. Roma 1951, p. 38. Höeg C., Tillyard H.J., Egon Wellesz. Monumenta Musicae Byzantinae. VI. The Hymns of the Hirmologium, n. 8. Copenhague 1952, p. 321.

[62] Detorakes, pp. 69, 84-85.

[63] Codex Athenaikos, n. 321, f. 45v (XII sec.) diBiblioteca Nazionale di Grecia. Cfr. Sakellion I. Katalogos, p. 54.

[64] Detorakes, pp. 84-85.

[65] « Ce qu’il y a de certain, c’est que Cosmas fut le frère de Jean par la profession religieuse dans le même couvent, et son émule dans la poésie liturgique » – Jugie M. La Vie de saint Jean Damascène / Echos d’Orient, XXIII. Paris, Instanbul, Bucarest 1924, p. 141. Detorakes, pp. 90-92.

[66] Detorakes, p. 90.

[67] Detorakes, pp. 89-90, 98.

[68] Eustratiades S. «Ταμεῖον Ἐκκλησιαστικῆς ποιήσεως» / Ἐκκλησιαστικὸς Φάρος, vol. 37, Alexandria 1938, p. 258. Eustratiades S. Kosmas, p. 87)

[69] Μηνολόγιον è un libro che contiene le vitae dei santi ordinati secondo i mesi e giorni. L’origini salgono alle racolte dei atti dei martiri. I menologia erano molto diffuse nell’Impero Bizanzio. La più importante redazione ha fatto Simeone Metafrasto (X-XI sec.). Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1082.

[70] Detorakes, p. 99.

[71] Codex Lauriotikos 284 (Г 44), f. 157r. Detorakis T. Vie inédite, pp. 101-116.

[72] Detorakes, pp. 99-100.

[73] Cfr. Kazhdan-Gero, p. 132.

[74] Kazhdan A., Gero S. Kosmas of Jerusalem: a more critical approach to his biography / Byzantinische Zeitschrift, 82. Berlin 1989, pp. 122-132.

[75] Theophanis, Chronographia, ed. C. de Boor, vol. 1. Lipsiae 1883. p. 417.14-20. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 122. Dell’Osso C. Teofane il Confessore / NDPAC, vol. 3. Roma 2006, p. 5274.

[76] Cedrenus G. Synopsis historiae / Corpus scriptorum historiae byzantinae, ed. Bekker I., vol. 1. Bonn 1838, pp. 798.22-799.15. Pseudo-Symeon, Chronographia. Codex Paris. gr. 1712, fol. 206v: Symeonis magistri ac logothetae annales: «Συμεὼν μαγίστρου καὶ λογοθέτου χρονογραφία» (ed. Browning R.) Notes on the ‘Scriptor Incertus de Leone Armenio’ / Byzantion 35 (1965), p. 410. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 122.

[77] Kotter B. Die Schriften des Johannes von Damaskus, vol. 1 / Patristische Texte und Studien, 7. Berlin 1969, pp. 51-146. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 123.

[78] Christ-Paranikas, p. 167, pp. 190-193. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 124.

[79] Bühler W. Ch. Theodoridis Ch. Johannes von Damaskos terminus post quem für Choiroboskos / Byzantinische Zeitschrift, 69. Berlin 1976, p. 400. Theodoridis Ch. Die Abfassungszeit der Epimerismen su Homer / Byzantinische Zeitschrift, 72. Berlin 1979, pp. 1 ss. Theodoridis Ch. Der Hymnograph Klemens terminus post quem für Choiroboskos / Byzantinische Zeitschrift, 73. Berlin 1980, p. 343. Epimerismi Homerici, I (ed. Dyck A.R.). Berlin – New York 1983, pp. 8, 16, 187 ss. Il manoscritto più antico: Codex Paris. Coisl. 387 (X sec.). Cfr. Kazhdan-Gero, pp. 123-124.

[80] Theophanes Continuatus, Chronographia (ed. Weber E.) Bonnae 1838, p. 365.21-24. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 124.

[81] Ὡρολόγιον è un libro liturgico che contiene i testi delle fisse preghiere del giorno liturgico. Il titolo proviene dalle orae liturgiche che contiene. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1082. Cfr. Christ-Paranikas, p. 72.

[82] Griveau R. Martyrologes et ménologes orientaux / Patrologia orientalis 10 (1915), p. 302. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 124.

[83] Σοῦδα o Σουΐδας è un’enciclopedia storica in lingua greca del X secolo riguardante l’antico mondo mediterraneo. Contiene 30000 voci, estratte da molte fonti antiche oggi andate perdute, ordinate alfabeticamente, e attinenti a tutte le discipline: geografia, storia, letteratura, filosofia, scienze, grammatica, usi e costumi.

[84] Wentzel G. Die griechische Übersetzung der viri inlustres des Hieronymus / Texte und Untersuchungen 13. Leipzig, 1895, pp. 38ss. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 125.

[85] Suidae Lexicon, vol. 2, n. 467 (ed. Adler A.) Leipzig 1931, p. 649.32-34. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 125.

[86] Cfr. Kazhdan-Gero, p. 125.

[87] 1) Codex Sirmondianus del Sinassario della Chiesa di Costantinopoli (X sec.), Delehaye H. Synaxarium, ecclesiae Constantinopolitanae e codice Sirmondiano nunc Berolinesi. Bruxelles (Apud Socios Bollandianos) 1985. Cfr. Detorakes p. 18; Cfr. Kazhdan-Gero, p. 125. 2) Codex Sinaiticus gr. 376 della Vita Damascenica Marciana (X – inizi dell’XI sec.). Gordillo conosceva questo codice: Gordillo M. Damascenica, pp. 61-62. Cfr. Detorakes pp. 26-27, Cfr. Kazhdan-Gero, p. 125. 3) Vindobonensis philosophicus gr. 158 (X-XI sec.), ff. 107-114v. Gordillo M. Damascenica, p. 49. Hoeck J.M. Stand, pp. 8-9. 4) Athon Vatopedinos497 (X sec.), f. 310a. Hunger H. Katalog, p. 261. Eustratiades S. Catalogue of the Greek Manuscripts in the Library of the Monastery of Vatopedi on Mt. Athos. Cambridge 1924, p. 103. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 126. Detorakes, pp. 30-31.

[88] Kekelidze K. Gruzinskaja versija arabskogo zitija sv. Ioanna Damaskina / Christianskij Vostok, 3 (1914), pp. 173ss.

[89] Bacha C. Biographie de Saint Jean Damascène. Texte original arabe. Imprimerie Grecque Melchite de Saint Paul. Harissa Liban 1912. Graf G. Das arabische Original der Vita des hl. Johannes von Damaskus / Der Katholik 12 (1913), pp. 164-190. Vasiliev A. Arabskaja versija zitija sv. Ioanna Damaskina. St. Petersburg 1913.

[90] Cfr. Kazhdan-Gero, pp. 125-126.

[91] Delehaye H. Synaxarium ecclesiae Constantinopolitanae / Propylaeum ad Acta Sanctorum, novembris. Bruxellis 1902. Gordillo M. Damascenica, pp. 63-65. Halkin F. Bibliotheca, 885b. Suidae Lexicon. Ed. Adler A. Vol. 2. Leipzig 1931, p. 649.32-34, n. 467. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 127.

[92] Codex Lauriotikos 284 (Г 44), ff. 150r-157v. Detorakis T. Vie inédite, pp. 101-116. Cfr. Kazhdan-Gero, pp. 127-128.

[93] Cfr. Kazhdan-Gero, p. 128. Sui manoscritti della Vita Damascenica Hierosolymitana: Hoeck J.M. Stand, p. 8. Detorakes, pp. 30-39.

[94] Cfr. Kazhdan-Gero, p. 128.

[95] Delehaye H. Synaxarium, pp. 278ss. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 128.

[96] Gordillo M. Damascenica, pp. 63-65. Cfr. Kazhdan-Gero, pp. 128-129.

[97] Detorakis T. Vie inédite, pp. 101-116. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 129.

[98] Sui manoscritti della Vita Damascenica Hierosolymitana: Hoeck J.M. Stand, p. 8. Detorakes, pp. 30-39. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 129.

[99] Cfr. Detorakes, p. 17. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 129.

[100] Cfr. Kazhdan-Gero, p. 129. Jugie M. La vie de saint Jean Damascène / Echos d’Orient 23 (1924), p. 140.

[101] Grébaut S. Le synaxaire éthiopien / Proche Orient 15 (1927), p. 683. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 130.

[102] Papadopoulos-Kerameus A. Analecta, vol. 4, , pp. 271-302. Papadopoulos-Kerameus A. Analecta, vol. 5, pp. 404-405. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 130.

[103] Codex Athenaikos, n. 321, ff. 10-46 (XII sec.) diBiblioteca Nazionale di Grecia. Cfr. Sakellion I. Katalogos, p. 54.

[104] Cfr. Kazhdan-Gero, pp. 129-130.

[105] Papadopoulos-Kerameus A. Analecta, vol. 4, pp. 303-350. Papadopoulos-Kerameus A. Analecta, vol. 5, pp. 405-407. Cfr. Kazhdan-Gero, pp. 130-131.

[106] Cfr. Kazhdan-Gero, pp. 131-132.

[107] Il Canone di domenica del 3° tono: Eustratiadês S. Kosmas, pp. 263-267. Cfr. Detorakes, p. 196.

[108] Il Canone di domenica del 2° tono: Eustratiadês S. Kosmas, pp. 257-262. Cfr. Detorakes, p. 196.

[109] Cfr. Detorakes, p. 200.

[110] Eustratiadês S. Kosmas, pp. 406-413. Eustratiadês S. Poietai, pp. 352-359. Cfr. Detorakes, p. 200.

[111] Alcuni studiosi attribuivano certe opere ad altri poeti omonimi. Christ-Paranikas introducono nella filologia bizantina un nuovo innografo Cosma il Xenos (Ξένος, o Ικέτης, o Ασυγκρίτος), ritenendo che anche Cosma il Maestro dei due fratelli adottivi fu un poeta, ascrivendo a lui il Canone del Sabato di Lazzaro e il Canone all’onore di Giuseppe il Sposo, Davide il Profeta e il Re, e Giacobbe il Fratello del Signore: Cfr. Christ-Paranikas, p. 50. B. Montfaucon, invece, attribuisce il Canone di Giuseppe, Davide e Giacobbe a Cosma di Panareta, un poeta del XIV sec.: Cfr. Montfaucon B. Palaeographia Graeca, Parisiis 1708, p. 75. Detorakes però ha confutato gli argomenti di questi autori ritenendo un solo Cosma il Melodo: Cfr. Detorakes, pp. 112-115.

[112] Ἰδιόμελον (“con la propria melodia”) è un canto liturgico che ha propria metrica e melodia non servendosi dei modelli degli altri, però non serve come prototipo agli altri. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1080. Cfr. Christ-Paranikas, pp. 61-62.

[113] Cfr. Detorakes, p. 111.

[114] Eustratiadês S. «Κοσμᾶς Ἱεροσολυμίτης ὁ ποιητὴς ἐπίσκοπος Μαϊουμᾶ» / Νέα Σιών, vol. 28, 1933.

[115] Eustratiadês S. Heirmologion : mnêmeia hagiologika / ekdidomenon hypo Sôfroniou Eustratiadou tê synergasia Spyridônos monachou lauriotou. Chennevières-sur-Marne 1932. Εἱρμολόγιον è un libro liturgico che contiene i testi per il canto liturgico, prevalentemente gli irmoi. Cfr. Christ-Paranikas, p. 72.

[116] Cfr. Detorakes, p. 167.

[117] Detorakes, p. 246.

[118] Detorakes, pp. 205-212.

[119] Detorakes, pp. 219-221.

[120] Cfr. Detorakes, pp. 118-119.

[121] Detorakes, pp. 119-121.

[122] Detorakes, pp. 121-126.

[123] Il Detorakes ha provato che le 2° ode in tre canoni di Cosma nell’Heirmologion d’Eustratiades non sono autentici. Cfr. Detorakes, pp. 126-128. Eustratiadês S. Heirmologion : mnêmeia hagiologika / ekdidomenon hypo Sôfroniou Eustratiadou tê synergasia Spyridônos monachou lauriotou. Chennevières-sur-Marne 1932.

[124] Il Canone a Cristo con l’acrostico «Πένθος Κοσμᾶ μοναχοῦ ἐπὶ νοός». Eustratiadês S. Kosmas, pp. 406-413. Eustratiadês S. Poietai, pp. 352-359. Cfr. Detorakes, pp. 128, 200.

[125] Cfr. Detorakes, pp. 128-130.

[126] Detorakes, pp. 130-132.

[127] Eustratiadês S. Kosmas, pp. 89-90. Cfr. Detorakes, p. 132.

[128] Cfr. Detorakes, pp. 132-134.

[129] Cfr. Detorakes, pp. 134-139.

[130] Il primo e il terzo idiomela del Grande Mercoledì nel mattutino: «Σὲ τὸν τῆς Παρθένου υἱόν», «Ὄτε ἡ ἁμαρτωλὸς προσέφερε τὸ μύρον». Codex Lauriotikos Г 12, f. 29β. Codex Vatopedinos 1493 f. 240, 1499 f. 279β; 1493 f. 240β, 1499 f. 280. Eustratiadês S. Kosmas, pp. 499-500. Cfr. Anthologhion, vol. 2, p. 990. Cfr. Detorakes, pp. 139-140.

[131] Romanos le Mélode, Hymnes, vol. 1-5 (ed. Grosdidier de Matons J.), SCh 99 (1964), 110 (l965), 114 (l965), 128 (1967), 283 (1981). L’Inno dell’Acatisto: Christ-Paranikas, pp. 140-147. Cfr. Detorakes, p. 141.

[132] Le metafore: «λάκκος ἀγνωσίας» (il pozzo dell’ignoranza), «πόδες ἄνικμοι» (i piedi privi di umidità), «πόδες ὀξεῖς» (i piedi precipitosi), «χεῖρες ἀνειμέναι» (le mani alzate), «παῖδες τῷ θείῳ πυρπολούμενοι ζήλῳ» (i fanciulli accesi con il zelo divino), ecc. Cfr. Detorakes, p. 142.

[133] Gli ossimori: «Φλόγα δροσίζουσαν» (le fiammelle formano la rugiada), «ἡ τὸ ἄσχετον κρατοῦσα» (quella che tiene non tenuto/infinito), «ὁ μήτραν οἰκήσας ἀειπάρθενον» (quello che abitava nella madre sempre Vergine), «Θεοτόκε μήτηρ ἀνύμφευτε» (o Madre di Dio, la Madre che non sapeva il sposarsi), «δροσοβόλος κάμινος» (la fornace che spande rugiada), «στειρεύουσα πρὶν ἡ τεκνουμένη δεινῶς» (immacolata prima del generare straordinariamente), «σὲ τὸν ἐν πυρὶ δροσίσαντα» (te che nel fuoco ha formato rugiada), «οἱ ἀσθενοῦντες περιεζώσαντο δύναμιν» (quelli che sono indeboliti rivestiti in forza), «τὴν ἀμαυρωθεῖσαν … ἐλάμπρυνας πάλαι φύσιν» (hai reso brillante la vecchia natura oscurata), ecc. Cfr. Detorakes, p. 142.

[134] Il gioco di parole: «συνεσχέθης, ἀλλ’ οὐ κατεσχέθης» (sei mantenuto, ma non trattenuto), «ἀνῃρέθης, ἀλλ’ οὐ διῃρέθης» (sei sollevato, ma non alzato), «βροτοκτόνον, ἀλλ’ οὐ θεοκτόνον» (omicida, ma non uccisore di Dio), «χωρίον Χριστοῦ πολυχώρητον» (il luogo ampio di Cristo), «χωρίον, ἐν ᾧ ἀνεκλίθη ὁ ἀχώρητος» (il luogo, in cui è inclinato l’Infinito), «ἐκκλησία θεόκλητος» (la Chiesa chiamata da Dio), «τὴν ἀκαρπίαν φλέγων, εὐκαρποῦσι … ζωὴν χαριζόμενος» (bruciando l’improduttività, danno buoni frutti … ricevuto la vita), «ἐκ δουλείας ἀπεγράφης … καὶ δούλους ἡμᾶς ἠλευθέρωσας» (hai trascritto dalla schiavitù … ci hai liberato schiavi) «οἱ παῖδες εὐσεβείᾳ συντραφέντες, δυσσεβοῦς προστάγματος καταφρονήσαντες» (i fanciulli nutriti con pietà, disprezzato il comando empio), «ψυχῆς τελῶν ἔμφρονος, ἀψύχων εὐλαβοῦμαι» (avendo in mente la fine dell’anima, abbiamo cura dei privi di vita), «οὐρανὸς ἐπίγειος, ἐν ἐπουρανίῳ καὶ ἀφθάρτῳ χθονὶ οἰκιζόμενος» (il cielo sulla terra, nel celeste e nell’incorruttibile l’abitante terrestre), «νηπιόφρονα … νηπιάσας, ἐπέφανε» (si ha rivelato ingenuo, comportandosi da bambino), «ἐξ ἀϊδίου δόξης … συναΐδιον» (dalla gloria del Sempiterno … il Coeterno)( ecc. Cfr. Detorakes, p. 142.

[135] Detorakes, p. 142.

[136] Pezopoulos E.A. «Ποικίλα προσῳδιακὰ μέτρα ἐν τῇ ἐκκλησιαστικῇ ποιήσει» / Ἠπετηρὶς Ἑταιρείας Βυζαντινῶν Σπουδῶν, n. 17. Athenai 1941, pp. 286-297. Cfr. Detorakes, p. 143.

[137] Cfr. Detorakes, pp. 142-146.

[138] Lo chiamano con i titoli figurativi: «πηγὴν πνευματοκίνητον» (il Fonte mosso dallo Spirito), «κρουνοὺς ᾀσμάτων ἀφθόνως ἀναβλύζουσαν» (il Sorgente abbondante dei canti traboccanti), «ἔξαρχον τῶν πνευματικῶν μελῳδιῶν» (l’iniziatore delle melodie spirituali), «ὑμνοπόλων τὸν πρώτιστον» (assolutamente il primo tra tutti i compositori d’inni), «κανόνα ἐναρμόνιον καὶ εὐθύτατον» (la Legge armoniosa e la più corretta), «σάλπιγγα εὔηχον» (il Suono piacevole all’ascolto), «ἐφάμιλλον ὑμνῳδὸν τῶν ἀγγέλων» (il Cantore lottatore con gli angeli), «ἡδύπνοον ὄργανον τῶν ᾀσμάτων τοῦ Πνεύματος» (lo Strumento soave dei canti dello Spirito), «λύραν ἔνθεον καὶ θελκτήριον» (la Lira ispirata da Dio ed affascinante), «τέττιγα πολύφωνον» (la Cicala dei molti canti), «ἀηδόνα θείαν» (l’Usignolo divino), «κιθάραν εὔμουσον» (la Cetra melodiosa), «χελιδόνα καλλικέλαδον» (la Rondine risonante), «νευρὰν τοῦ μελίσματος εὔσημον» (la Corda della musica ben segnata), «κάλαμον ὀξυγράφου» (la Canna dello scrivano che scrive rapidamente), «μελῳδῶν τερπνὸν καύχημα» (la Gloria dei cantori gradevoli)( ecc. Cfr. Eustratiadês S. Kosmas, pp. 89-90. Cfr. Detorakes, p. 147.

[139] Cfr. Detorakes, pp. 146-149.

[140] Vita Atheniensis: Codex Athenaikos, n. 321 (XII sec.), f. 23r. Vita Vaticana: Codex Vaticanus Barberianus Graecus 583 (olim VI. 22 = 467), XV sec., pp. 722-756. Detorakes Th. «Ἀνέκδοτος Βίος», pp. 282-283.

[141] Cfr. Detorakes, pp. 149-154.

[142] Cfr. Detorakes, p. 151.

[143] La ode nona del tetraodion del Grande Sabato nel mattutino. Christ-Paranikas, p. 201. Cfr. Anthologhion, vol. 2, pp. 1112-1116.

[144] Cfr. Detorakes, pp. 152-154.

[145] Cfr. Detorakes, pp. 154-157.

[146] «Ὀκτώηχος» è un libro liturgico del rito bizantino che contiene i testi liturgici non fissi delle domeniche. I testi sono suddivisi secondo gli otto modi musicali della musica ecclesiale bizantina. Cfr. Christ-Paranikas, p. 70.

[147] Cfr. Detorakes, pp. 157-160.

[148] “Adorna thalamum tuum, Sion, et suscipe Regem Christum: amplectere Mariam, quae est caelestis porta: ipsa enim portat Regem gloriae novi luminis: subsistit Virgo, adducens manibus Filium ante luciferum genitum: quem accipiens Simeon in ulnas suas, praedicavit populis, Dominum eum esse vitae et mortis, et Salvatorem mundi”. – Missale Romanum ex decreto ss. Concilii Tridentini restitutum summorum pontificum cura recognitum. Editio typica (a cura di Sodi M., Toniolo A.) / Monumenta Liturgica Piana, n. 2816. Città del Vaticano 2007 (reprint: 1962), p. 550.

[149] Cfr. Detorakes, pp. 160-164.

[150] Minei (μηναῖα), si indicano con questo termine i dodici libri, uno per ogni mese (gr. «μῆνας»), contenenti il ciclo annuale delle feste fisse del Signore, della Beata Vergine e dei santi. Cfr. Anthologhion, vol. 4, p. 1081. Cfr. Christ-Paranikas, p. 71.

[151] Detorakes, p. 129.

[152] Il Detorakes ha provato che le 2° ode in tre canoni di Cosma nell’Heirmologion d’Eustratiades non sono autentici. Cfr. Detorakes, pp. 126-128. Eustratiadês S. Heirmologion : mnêmeia hagiologika / ekdidomenon hypo Sôfroniou Eustratiadou tê synergasia Spyridônos monachou lauriotou. Chennevières-sur-Marne 1932.

[153] Cfr. Christ-Paranikas, pp. 165-169. Detorakes, p. 123.

[154] Cfr. Detorakes, p. 185.

[155] Le parole arcaiche della letteratura greca antica: «ἀπήμαντος», «βασίλεια», «βασίλισσα», «δορίκτητος», «ἐκπλαγής», «νεηγενής», «νηδύς», «φύτλη». Su corrispondenze tra Cosma e poeti greci: Detorakes, pp. 135-137.

[156] Cfr. Detorakes, p. 137-138.

[157] Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,1, pp. 880-881. Gregorio di Nazianzo Tutte le orazioni (a cura di Moreschini C.) Milano 2000, pp. 4-5. Edizione critica: Grégoire de Nazianze Discours 38-41 (Moreschini C., Gallay P.), SCh 358 (1990), p. 104.

[158] Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,13, pp. 892-893.

[159] Cosma di Maiuma Canone di Natale: Christ-Paranikas, p. 166. Anthologhion, vol. 1, p. 1163. Cfr. Detorakes, pp. 184-185.

[160] Giovanni Crisostomo, In natalem Christi diem. Migne PG,56 (1862), p. 385. L’autenticità di questo sermone di Natale (PG 56,385-396) è ritenuta dubbia. Rado P. Die Ps.-Chrysostomische Homilie «εἰς τὴν Χριστοῦ Γέννησιν» / Zeitschrift für katholische Theologie, 56. Innsbruck 1932, pp. 82-83. L’autenticità è stata difesa da C. Martin: Martin C. Un centon d’extraits de l’homélie in Salvatoris Nostri Iesu Christi Nativitatem de saint Jean Chrysostome / Le Muséon. Revue d’études orientales, 54. Louvain 1941, pp. 30-33, il testo greco pp. 48-52. Cfr. Quasten J. Patrologia, vol 2. Torino 1980, p. 458. Il NDPAC la pone fra gli spuri attestati nel V sec.: Voicu S.J. Giovanni Crisostomo (pseudo) / NDPAC, vol. 2. Roma 2007, p. 2226. È più probabile, però, che Cosma di Maiuma la considerava come l’omelia autentica di Giovanni Crisostomo.

[161] Cfr. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / Grande Commentario Biblico. Parte II. Brescia 1973, p. 902.

[162] Cfr. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo, p. 902.

[163] Michea 5,1-3: E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall`antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli di Israele. Egli starà là e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore suo Dio. Abiteranno sicuri perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra.

[164] 2 Sm 5,2: Il Signore ti ha detto: Tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele.

[165] Cfr. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo, p. 906.

[166] Sal 79,2: Tu, pastore d’Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge. Assiso sui cherubini rifulgi.

[167] Cfr. Maly E.H. La Genesi / Grande Commentario Biblico. Parte I. Brescia 1973, p. 59.

[168] Cfr. Moriarty F.L. Isaia 1-39 / Grande Commentario Biblico. Parte I. Brescia 1973, p. 350.

[169] Cfr. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo, p. 906.

[170] Mt 2,11.

[171] Cfr. Moriarty F.L. Isaia, p. 349.

[172] Il Concilio Lateranense (649) De fide. La perpetua verginità di Maria. Ci sono raccolti i riferimenti ai Padri sulla verginità di Madre di Dio. Cfr. Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, vol. 10 (ed. Mansi J.D.). Graz 1960, pp. 863ss. Cfr. Conte P. Il Sinodo Lateranense dell’ottobre 649. Vaticano 1989, pp. 72, 141, 214, 289.

[173] Kugelman R. La prima Lettera ai Corinti / Grande Commentario Biblico. Parte II. Brescia 1973, pp. 1180-1181.

[174] Cfr. Di Berardino A. Tipologia / NDPAC, vol. 3. Roma 2006, pp. 5369-5370.

[175] Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini, 7; 18,2; 19,1. Lettera ai Smirnesi, 1. Ignace d’Antioche Lettres (a cura di Camelot P.Th.), SCh 10 (1998), pp. 56-79, 132-145. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3036.

[176] Giustino Martire, Dialogo con Trifone Giudeo, 100,5. Iustini martyris, Dialogus cum Tryphone (ed. by Marcovich M.) / Patristische Texte und Studien, 47. Berlin – New York 1997, pp. 242-243. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3036.

[177] Ireneo di Lione, Contro le eresie, III 22,4, V 19,1. S. Ireneo di Lione, Contro le eresie, vol. I. (a cura di Dellagiacoma V.). Siena 1968, pp. 331-332, vol. 2, p. 202. Edizione critica: Irenäus von Lyon. Adversus Haereses (ed. by Brox N.) / Fontes Christiani, 8,3, liber III (1995), pp. 18-309; Fontes Christiani, 8,5 liber V (2001), pp. 20-277. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, pp. 3036-3037.

[178] Giovanni Crisostomo, De virginitate, 46,1. Jean Chrysostome La virginité (ed. Musurillo H., Grillet B.), SCh 125 (1966), pp. 256-259. Cfr. Mara M.G. Donna / NDPAC, vol. 1, p. 1502.

[179] Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, 12,29. Cyrilli Hierosolymarum archiepiscopi opera quae supersunt omnia, vol. II (ed. Reischl W.C., Rupp J.). Hildesheim 1967, pp. 40-41. Cfr. Mara M.G. Donna / NDPAC, vol. 1, p. 1502.

[180] Cfr. Mara M.G. Donna / NDPAC, vol. 1, pp. 1501-1504.

[181] Cfr. Moriarty F.L. Isaia, p. 352.

[182] Cfr. Murphy R.T.A. Sofonia, Naum, Abacuc / Grande Commentario Biblico. Parte I. Brescia 1973, p. 384.

[183] Andrea di Creta, Omelie Mariane (a cura di Fazzo V.). Roma 1987, pp. 98-99. La citazione di Abacuc 3,3 (“dal boscoso monte adombrato”) è presentato secondo la versione dei Septuaginta. Andrea di Creta, Cosma di Maiuma come molti altri Padri greci per citare l’Antico Testamento utilizzano la versione dei LXX. Alcuni la ritenevano come la versione ispirata. Cfr. Cimosa M. Guida allo studio della Bibbia greca (LXX). Roma 1995, p. 24. Cfr. Vander Heeren, A. Septuagint Version / The Catholic Encyclopedia, vol. 13. New York 1912.

[184] Cfr. Murphy R.E. Salmi / Grande Commentario Biblico. Parte I. Brescia 1973, p. 752.

[185] Sal 71,6: Scenderà come pioggia sul vello e gocce che stillano sulla terra è citato da Cosma secondo la versione dei Septuaginta.

[186] Eusebio di Cesarea, Commento ai Salmi, vol. 1, libro 2, sal 71 (a cura di Artioli M.B.), Collana di Testi Patristici, 176. Roma, Città Nuova 2004, p. 591. Cfr. Simonetti M. Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell’esegesi patristica. Roma 1985, pp. 122-123.

[187] Cfr. McGowan J.C. Giona / Grande Commentario Biblico. Parte I. Brescia 1973, p. 813.

[188] Cfr. Mt 12, 38 ss.; cfr. Mt 16, 1 ss.; cfr. Lc 11, 29 ss.

[189] Cfr. Hartman L.F. Daniele / Grande Commentario Biblico. Parte I. Brescia 1973, p. 579.

[190] Simonetti M. Lettera e/o allegoria, pp. 14, 37, 80.

[191] Cfr. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo, p. 906.

[192] Cfr. Stublmueller C. Il Vangelo secondo Luca / Grande Commentario Biblico. Parte II. Brescia 1973, p. 981.

[193] Cfr. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo, p. 906.

[194] Cfr. Ravasi G. Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione, vol. III (101-150). Bologna 1988, p. 747.

[195] Cfr. Ravasi G. Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione. Vol. III (101-150). Bologna 1988, p. 749.

[196] Sal 136,4.

[197] Il simbolo niceno del 325. Il Cristo, vol. II. Testi teologici e spirituali in lingua greca dal IV al VII secolo (a cura di Simonetti M.). Milano 2003, pp. 100-101.

[198] Ireneo di Lione, Contro le eresie, III 19,1, vol. 1, p. 316; V, introduzione, vol. 2, pp. 153-154. Cfr.Atanasio, L’incarnazione del Verbo (a cura di Enzo Bellini). Roma 1976, p. 36.

[199] Cfr.Atanasio, L’incarnazione del Verbo, pp. 43-44.

[200] Gregorio di Nazianzo, Prima lettera a Cledonio, VII. Cristo, vol. 2, pp. 328-329. Cfr. Grossi V. Lineamenti di antropologia patristica. Roma 1983, p. 108.

[201] Gregorio di Nazianzo, Prima lettera a Cledonio, III. Cristo, vol. 2, pp. 326-327.

[202] Cfr. Grossi V. Lineamenti, p. 108.

[203] Il simbolo di Calcedonia (451). Cristo, vol. 2, pp. 444-445.

[204] Cfr. Atanasio, L’incarnazione del Verbo, pp. 46-47.

[205] Atanasio, L’incarnazione del Verbo, pp. 51-52.

[206] Cfr. Atanasio, L’incarnazione del Verbo, p. 47.

[207] Cfr. Moreschini C. Introduzione: Gregorio Nazianzeno, Omelie sulla Natività, Discorsi 38-40 (a cura di Moreschini C.), Collana di testi patristici, 39. Roma, Città Nuova Editrice 1983, pp. 14-15.

[208] Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,11, pp. 888-889.

[209] Cfr. Atanasio, L’incarnazione del Verbo, 5-6, pp. 45-46.

[210] Cfr. Atanasio, L’incarnazione del Verbo, 13, p. 61. Athanase d’Alexandrie Sur l’incarnation du Verbe (ed. Kannengiesser C.) / SCh 199 (1973), p. 312.

[211] Ireneo di Lione, Contro le eresie, III 16,6, p. 302. Cfr. Meyendorff J. Vvedenie v sviatootecheskoe bogoslovie: konspekty lektsii. Klin 2001, pp. 38-39.

[212] Giovanni Crisostomo, In diem natalem (PG 49, pp. 351-362), 6. Migne PG49 (1862), p. 359.

[213] Giovanni Crisostomo, In natalem Christi diem, p. 388.

[214] Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,13, pp. 892-893.

[215] Cfr. Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,13-14, pp. 892-895.

[216] Andrea di Creta, Grande Canone, odi: 2.1,21; 6,15; 7,18; 9 irmos. Cfr. Anthologhion, vol. 2, pp. 807-839. Cfr. Christ-Paranikas, pp. 147-157.

[217] Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,1, pp. 880-881.

[218] Platone, Teeteto, 176b: E questo fuggir è un assomigliarsi a Dio (o`moi,wsij qew/|) per quel che uomo può; e assomigliarsi a Dio è acquistare giustizia e santità, e insieme sapienza. Il testo greco: Platonis, Opera, t. I(ed. Burnet I.). Oxonii 1958, pp. 142-210, 176b. La traduzione italiana: Platone, Dialoghi, vol 1. Bari 1950, p. 321. Nella mitologia greca antica fu presente l’idea di deificazione degli eroi, i quali dopo la morte diventavano una sorta di semidei. Nella religione romana, invece, si applicava una pratica di divinizzare imperatori.

[219] Sal 81,6; Gv 10,34.

[220] Gen 1,26-27, Rm 8,29, 1 Cor 15,49, 2 Cor 3,18, ecc.

[221] Gv 1,12, Gal 3,26, 4,5, ecc.

[222] 2 Pt. 1,4.

[223] 1 Cor 15,53. Cfr. Alfeyev H. Zhizn i uchenie sv. Grigoria Bogoslova. San Pietroburgo 2001, pp. 382-383.

[224] Giustino Martire, Dialogo con Trifone Giudeo, 124,4. Cfr. Quasten, Patrologia, vol. 1, p. 190.

[225] Cfr. Quasten, Patrologia, vol. 1, p. 277.

[226] Ireneo di Lione, Contro le eresie, V, introduzione, vol. 2, pp. 153-154. Irénée de Lyon Contre les hérésies, livre V (ed. Rousseau A.), SCh 153 (1969), pp. 14-15.

[227] Ireneo di Lione, Contro le eresie, III 19,1, vol. 1, p. 316. Irénée de Lyon Contre les hérésies, livre III (ed. Sagnard F.), SCh 34 (1952), pp. 332-333.

[228] Cfr. Quasten, Patrologia, vol. 1, p. 277.

[229] Gross J. La divinisation du chrétien d’après les pères grecs. Paris 1938, p. 163.

[230] Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, XXII 27; XX 29. Origene, Commento al Vangelo di Giovanni (a cura di Corsini E.). Torino 1968, pp. 799, 657. Cfr. Crouzel H. Théologie de l’image de Dieu chez Origène, Paris 1956, pp. 136-144.

[231] Atanasio, L’incarnazione del Verbo, 8,54, p. 129.

[232] Cfr. Alfeyev H. Zhizn i uchenie sv. Grigoria Bogoslova. San Pietroburgo 2001, p. 382.

[233] Cfr. Gregorio di Nazianzo, Orazione 29,19, pp. 714-717. Citato secondo: Grillmeier A. Gesù Cristo nella fede della Chiesa, vol. I, parte II. Brescia, 1982, p. 698.

[234] Cfr. Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,13, pp. 892-893. Citato secondo: Gregorio Nazianzeno: Omelie sulla Natività: discorsi 38-40. A cura di Moreschini C. / Collana di Testi Patristici, n. 39. Roma 1983, p. 59.

[235] Althaus H. Die Heilslehre des heiligen Gregor von Nazianz / Münsterische Beiträge zur Theologie, n. 34. Münster 1972, p. 142.

[236] Cfr. Plotino, Enneade 1, 2.6: Plotin Ennéades, vol. I (ed. Bréhier È.). Paris 1954, pp. 57-58. Cfr. Alfeyev H. Zhizn i uchenie sv. Grigoria Bogoslova. San Pietroburgo 2001, p. 385.

[237] Deck J.N. Nature, Contemplation, and the One: A Study in the Philosophy of Plotinus. Toronto 1967 (reprinted 1991), p. 79. Cfr. Alfeyev H. Zhizn i uchenie sv. Grigoria Bogoslova. San Pietroburgo 2001, pp. 385-386.

[238] Cfr. Gregorio di Nazianzo, Orazione 45,9, pp. 1144-1145. Gregorio Nazianzeno Sulla Pasqua: orazioni (a cura di Moreschini C.) Brescia 1998, p. 35. Cfr. Alfeyev H. Zhizn i uchenie sv. Grigoria Bogoslova. San Pietroburgo 2001, p. 386.

[239] Cfr. Quasten, Patrologia, vol. 1, p. 277.

[240] Gregorio di Nazianzo, Orazione 30,6, pp. 724-725.

[241] Gregorio di Nazianzo, Orazione 1,5, pp. 4-5. Grégoire de Nazianze, Discours 1-3 (ed. Bernardi J.), SCh 247 (1978), pp. 76-78.

[242] Pseudo-Giovanni Crisostomo, Homilia in Domini Nativitatem, 4. Pseudo-Giovanni Crisostomo. Omelia per la Natività (a cura di Volpe Cacciatore P.). Napoli 1980, pp. 27, 33.

[243] Rm. 5,11, 2 Cor 5,18-19.

[244] Gregorio di Nazianzo, Orazione 10,4, pp. 308-309.

[245] Cfr. Cosma di Maiuma, Canone di Natale, ode 5°, troparion 2°.

[246] Cfr. Mc 10,45, Mt 20,28, 1 Tm 2,6.

[247] Gregorio di Nazianzo, Orazione 45,22, pp. 1160-1161.

[248] Cfr. Moreschini C. Omelie sulla Natività, Introduzione, p. 27.

[249] Gregorio di Nazianzo, Orazione 45,22, pp. 1160-1161.

[250] Cfr. Moreschini C. Omelie sulla Natività, Introduzione, p. 28.

[251] Cfr. Moreschini C. Omelie sulla Natività, Introduzione, p. 28.

[252] Althaus H. Die Heilslehre, pp. 134-135.

[253] Cfr. Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,16, pp. 896-897.

[254] Giovanni Crisostomo, In natalem Christi diem, p. 392.

[255] Cosma di Maiuma, Canone di Natale, ode 3°, irmos, troparia 2, 3.

[256] Althaus H. Die Heilslehre, p. 142.

[257] Cfr. Cosma di Maiuma, Canone di Natale, ode 5°, irmos.

[258] Il simbolo di Calcedonia (451). Cristo, vol. 2, pp. 444-445.

[259] Gregorio di Nazianzo, Carmina Arcana, IX (I testamenti e l’avvento di Cristo). Gregorio Nazianzeno, I cinque discorsi teologici. Appendici: Lettere teologiche, Il mistero cristiano, Poesie, Carmina Arcana (a cura di Moreschini C.), Collana di Testi Patristici, 58. Roma 1986, p. 271. Migne, PG37, p. 460.

[260] Edizioni liturgiche e traduzioni portano il verbo «οὐσιοῦται» (divenire sostanza), l’edizione critica di Crist-Paranikas, invece, porta il verbo «ὁσιοῦται» (rendere puro). Cfr. Menaia tou olou eniautou, vol. 2. Roma 1889, p. 662. Cfr. Anthologhion, vol 1, p. 1163. Cfr. Crist-Paranikas, p. 166. Noi diamo ragione alla versione tradizionale liturgica, perché il verbo «ὁσιόω» non è attestato nei Padri, mentre il verbo «οὐσιόω» è attestato nei molti Padri. Cfr. Lampe G. A Patristic Greek Lexicon. Oxford 1961, pp. 985-986.

[261] Il Cristo, vol. II. Testi teologici e spirituali in lingua greca dal IV al VII secolo (a cura di Simonetti M.). Milano 2003, p. 324.

[262] Grégoire de Naziance, Lettres théologiques (ed. Gallay P., Jourjon M.), SCh 208, Paris 1974.

[263] Cristo, vol. 2, p. 324.

[264] Cristo, vol. 2, pp. 324-325.

[265] Cristo, vol. 2, p. 325.

[266] Cristo, vol. 2, p. 599.

[267] Gregorio di Nazianzo, Prima lettera a Cledonio, 3. Cristo, vol. 2, pp. 326-327.

[268] Cfr. Gregorio di Nazianzo, Prima lettera a Cledonio, 10. Cristo, vol. 2, p. 333.

[269] Gregorio di Nazianzo, Orazione 1,5, pp. 4-5.

[270] Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,13, pp. 892-893.

[271] Il simbolo di Calcedonia (451). Cristo, vol. 2,pp. 444-445.

[272] Cfr. Gregorio di Nazianzo, Carmina Arcana, IX,p. 271: Egli, pur essendo immortale (ἄμβροτος), venne, per causa mia fattosi mortale (ἦλθε βροτωθεὶς). Migne, PG37, p. 460.

[273] Il simbolo di Calcedonia (451). Cristo, vol. 2,pp. 444-445.

[274] Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,2, pp. 880-881.

[275] Soprattutto dalla Orazione 38 In Theophania.

[276] Il Cristo, vol.I. Testi teologici e spirituali dal I al IV secolo (a cura di Orbe A., Simonetti M.). Fondazione Lorenzo Valla 2003, pp. 100-101.

[277] Origene, Principi, I 2,4. I principi di Origene (a cura di Simonetti M.). Torino 1968 (ristampa 1979), p. 147. Cristo, vol. 1, p. 291.

[278] Cristo, vol. 2,pp. 81-91.

[279] Alessandro di Alessandria, Lettera a tutti vescovi, 7. Cristo, vol. 2,p. 85.

[280] Alessandro di Alessandria, Lettera a tutti vescovi, 12. Cristo, vol. 2,p. 87. Il Sal 109,3 è citato secondo i LXX.

[281] Atanasio di Alessandria, Seconda lettera a Serapione, 2. Cristo, vol. 2,p. 201.

[282] Basilio di Cesarea, Omelia su “In principio era il Logos”, 2. Cristo, vol. 2,p. 269.

[283] Secondo i LXX.

[284] Giovanni Crisostomo, In natalem Christi diem, p. 392.

[285] Giovanni Crisostomo, In natalem Christi diem, pp. 385-386.

[286] Giovanni Crisostomo, In natalem Christi diem, p. 391.

[287] Giovanni Crisostomo, In natalem Christi diem, p. 389.

[288] Cfr. Moriarty F.L. Isaia, p. 351.

[289] Sal 46,1.

[290] Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,2, pp. 880-881.

[291] Origene, Principi, I 2, pp. 141ss.Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, I 9ss, pp. 132ss.

[292] Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, I 20, pp. 154-155; I 22, pp. 157-158.

[293] Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, I 28, pp. 171-173; I 30, pp. 176-177. Origene, Principi, IV 4, p. 548.

[294] Origene, Principi, I 2, pp. 141-142.

[295] Atanasio di Alessandria, Seconda lettera a Serapione, 2. Cristo, vol. 2,pp. 199, 575.

[296] Gregorio di Nazianzo, Orazione 45,30, pp. 1168-1169.

[297] Gregorio di Nazianzo, Orazione 39,13, pp. 912-913. Cfr. Moreschini C. Omelie sulla Natività, Introduzione, pp. 26-27.

[298] Gregorio di Nazianzo, Orazione 39,2, pp. 900-901.

[299] Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3035.

[300] In base alla testimonianza di Socrate, Historia Ecclesiastica, 7,32: Sokrates, Kirchengeschighte (ed. Hunsen G.C., Sirinjan M.). Berlin 1995, p. 381. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3038.

[301] Basilio Magno, Epistola, 261,2: Saint Basile, Lettres, vol. 3 (ed. Courtonne Y.). Paris 1966, pp. 117-118. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3038.

[302] Gregorio di Nazianzo, Epistola, 101,4. Cristo, vol. 2,pp. 326-327. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3038.

[303] Gregorio di Nazianzo, Carmina Arcana, I 10,21-23,p. 276. Migne, PG37, p. 407. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3038.

[304] Concilium Ephesenum (431), 40-42. Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque (a cura di Alberigo G.). Bologna 2006, pp. 83-86.

[305] Concilium Chalcedonense (451), 86. Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque, pp. 136-137. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3038.

[306] Concilium Constantinopolitanum II (553), 114-116 e 121-122. Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque, pp. 177-180, pp. 186-188. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3038.

[307] Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, pp. 3038-3039.

[308] Acta Conciliorum Oecumenicorum, t. 2, vol. 1 (ed. E. Schwartz), Berlin 1933, p. 80. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3039.

[309] Concilium Constantinopolitanum II (553), 114. Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque, pp. 177-180, pp. 177-178. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3039.

[310] Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3038.

[311] “Cristo ha redento dell’uomo tutto ciò che ha assunto”. Cristo, vol. 2, p. 325.

[312] Cfr. Gregorio di Nazianzo, Prima lettera a Cledonio, 4. Cristo, vol. 2, pp. 326-327, 599-600. Cfr. Ireneo di Lione, Contro le eresie, I 7,2, p. 43.

[313] Cfr. Gregorio di Nazianzo, Prima lettera a Cledonio, 4. Cristo, vol. 2, pp. 326-327, p. 600.

[314] Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,2, pp. 880-881.

[315] Giovanni Crisostomo, In natalem Christi diem, p. 388.

[316] Giovanni Crisostomo, In natalem Christi diem, p. 388.

[317] Zenone di Verona Tractatus, I 54,5: Zenonis Veronensis Tractatus (ed. Löfstedt B.), Corpus Christianorum Series Latina, 22. Bologna 1971, p. 129. Cfr. Maritano M. Maria / NDPAC, vol. 2, p. 3039.

[318] Simonetti M. Cristologia / NDPAC, vol. 1, p. 1290.

[319] Detorakes, p. 183.

[320] Detorakes, p. 183.

[321] Detorakes, pp. 183-184.

[322] Hunger H. Katalog, p. 261. Eustratiades S. Catalogue of the Greek Manuscripts in the Library of the Monastery of Vatopedi on Mt. Athos. Cambridge 1924, p. 103. Cfr. Kazhdan-Gero, p. 126. Detorakes, pp. 30-31.

[323] Cfr. Sakellion I. Katalogos, p. 54. Halkin F. Bibliotheca, 884a. Detorakes, pp. 64-70.

[324] Cfr. Sakellion I. Katalogos, p. 665. Papadopoulos-Kerameus A. Analecta, vol. 4, pp. 303-350. Papadopoulos-Kerameus A. Analecta, vol. 5, pp. 405-407. Halkin F. Bibliotheca, 395. Detorakes, pp. 39-50.

[325] Höeg C., Tillyard H.J., Wellesz E. Monumenta Musicae Byzantinae. III. Hirmologium Cryptense. Roma 1951, p. 38. Höeg C., Tillyard H.J., Wellesz E. Monumenta Musicae Byzantinae. VI. The Hymns of the Hirmologium, n. 8. Copenhague 1952, p. 321.

[326] Tomadakis E. «Ἐπετηρὶς Ἑταιρείας Βυζαντινῶν Σπουδῶν», vol. 39-40, n. 5. Athenai 1972-1973, p. 256. Cfr. Detorakes, pp. 196-197.

[327] Detorakis T. Vie inédite, pp. 101-116. Halkin F. Bibliotheca, 394b. Halkin F. Auctarium, p. 53. Cfr. Detorakes, pp. 20-26.

[328] Gordillo M. Damascenica, pp. 61-62. Cfr. Detorakes pp. 26-27, Cfr. Kazhdan-Gero, p. 125.

[329] Delehaye H. Synaxarium ecclesiae Constantinopolitanae / Propylaeum ad Acta Sanctorum, novembris. Bruxellis 1902. Delehaye H. Synaxarium ecclesiae Constantinopolitanae e codice Sirmondiano nunc Berolinesi. Bruxelles (Apud Socios Bollandianos) 1985. Halkin F. Bibliotheca, 394c. Halkin F. Auctarium, p. 53. Cfr. Detorakes, pp. 17-20.

[330] Analecta Bollandiana, 19, Bruxellis, 1900, pp. 107-114. Canard P., Peri V. Sussidi bibliografici per i manoscritti greci della Biblioteca Vaticana / Studi e Testi261. Vaticano 1970, p. 164. Detorakes Th. «Ἀνέκδοτος Βίος», pp. 259-296. Halkin F. Bibliotheca, 394a. Detorakes, pp. 70-80.

[331] Eustratiadês S. Kosmas, pp. 499-500. Cfr. Detorakes, pp. 139-140.

[332] Gordillo M. Damascenica, p. 49. Hoeck J.M. Stand, p. 8-9.

[333] Il testo greco: Christ W., Paranikas M. Anthologia graeca carminum christianorum. Leipzig 1963, pp. 165-169. La traduzione italiana: Anthologhion di tutto l’anno, vol. 1. (tr. it. di Artioli M. B.). Roma 1999, pp. 1163-1170.