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Il Mistero della Passione di Cristo nei poemi teologici di Cosma di Maiuma per la Settimana Santa

P. Onufry (Oleh Kindratyshyn)

Capitolo 3. Gli argomenti principali trattati da Cosma nei poemi della Settimana Santa
3.1. Il Lunedì Santo: La κατάβασις del Logos per servire Adamo divenuto povero
3.2. Il Martedì Santo: Vigilate con le lampade accese!
3.3. Il Mercoledì Santo: Divinamente è operato il riscatto … mediante la confessione
3.4. Il Giovedì Santo: Egli stesso la Pasqua ha offerto se stesso
3.5. Il Venerdì Santo: Impassibilmente ti sei abbassato fino alla Passione
3.6. Il Sabato Santo: È disceso fino alle stanze segrete dell’ade per liberare Adamo ed Eva con tutta la loro stirpe
Conclusione

 

Capitolo 3. Gli argomenti principali trattati da Cosma nei poemi della Settimana Santa

L’importanza straordinaria della Santa e Grande Settimana per la nostra redenzione rende evidente Giovanni Crisostomo nella 30° Omelia sulla Genesi, predicata, probabilmente, durante la Settimana Santa del 388:

Questa Settimana chiamiamo Grande … Perché in essa si sono verificati per noi alcuni beni grandi e ineffabili. In essa infatti si è conclusa la lunga guerra, estinta la morte, cancellata la maledizione, soppressa la schiavitù del diavolo e strappata da lui la sua preda; Dio s’è riconciliato con gli uomini, il cielo si è fatto penetrabile, gli uomini con gli angeli si sono uniti, le cose ch’erano distanti sono state congiunte, la siepe è stata tolta, rimossa la barriera, il Dio della pace ha reso pacifica ogni cosa, sia in cielo che in terra. Per questo, appunto, chiamiamo questa Settimana Grande, perché durante quella il Signore ci ha donato tanto grande numero dei doni[1].

Nicodemo Hagiorita (+1809) nel suo commento sui canoni dedicati alle grandi solennità dell’anno liturgico, accedendo all’interpretazione dei canoni della Settimana Santa, dice: noi siamo passati come se dai cantici semplici ai cantici dei cantici[2], facendo riferimento, ovviamente, al testo dell’AT. Infatti, nonostante i limiti causati dalle regole della prosodia bizantina, il genio straordinario di Cosma riesce a collocare dentro di brevi tropari, sempre delimitati con l’isosillabismo e con l’omotonia, la ricchezza enorme dei pensieri teologici. I poemi ci raccontano poeticamente le parole ed opere salvifiche di Gesù Cristo sul punto di andarsene e di sottrarsi alla vista di questo mondo[3]. In altre parole, nei poemi vengono cantati i detti e fatti in relazione all’Ultima Cena ed ai grandi eventi della passione e glorificazione di Cristo che culmineranno nel trionfo della risurrezione[4]. In modo particolare vengono narrati l’unzione a Betania, l’Ultima Cena, la lavanda dei piedi degli apostoli, la scena nel giardino di Getsemani, il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù, il tradimento e il pentimento di Pietro, il processo, la flagellazione, la passione, la crocifissione, la morte, la sepoltura di Gesù, la discesa e la vittoria sull’ade, la liberazione di Adamo ed Eva con tutta la loro stirpe, l’asserzione della risurrezione e della glorificazione di Cristo. Gli avvenimenti salvifici, avvenuti durante la Settimana Santa, Cosma espone tramite l’interpretazione letteraria storica, con l’ammaesrtramento morale e dogmatico, nel modo di mettere insieme le varie citazioni tratte liberamente da tutta la Bibbia. P.es. in una breve strofe, cioè nel primo tropario dell’ode 8° del triodio per il Lunedì Santo ci sono integrate addirittura almeno 11 citazioni bibliche:

Tutti vi riconosceranno per miei discepoli (Gv 13,35) se osserverete i miei comandamenti (Gv 15,10ss), dice il Salvatore agli amici (Gv 15,15), andando verso la passione. Abbiate pace in voi (Mc 9,50, Gv 14,27) e con tutti (Eb 12,14), e nutrite pensieri umili (Rm 12,16, Fil 2,6-11) per essere innalzati (Mt 23,12). Riconoscendo in me il Signore (Gv 13,13), celebratemi e sovresaltatemi per tutti i secoli (Dn 3,57ss)[5].

Le questioni cristologiche nei poemi della Settimana Santa vengono trattate largamente; si ribadisce a varie riprese il dogma della divinità del Figlio di Dio e la sua consustanzialità con il Padre. Innanzi tutto, l’uguaglianza tra le ipostasi divine viene attestata ogni volta attraverso l’attribuzione a Cristo delle esaltazioni a Dio espresse nei cantici veterotestamentari. L’esclamazione «ἐνδόξως γὰρ δεδόξασται» (gloriosamente egli si è reso glorioso!) dell’Es 15,1 si riferisce alternativamente al Padre ed al Figlio[6], oppure il ritornello viene modificato alla forma: ἐνδόξως δεδόξασται Χριστὸς ὁ θεὸς ἡμῶν (gloriosamente si è reso glorioso il Cristo Dio nostro)[7]. Il cantico veterotestamentario di Anna (1Sm 2,2) «οὐκ ἔστιν δίκαιος (ἅγιος) πλήν σου, κύριε» (non c’è giusto [santo] all’infuori di te, o Signore) è indirizzato non solo al Dio Padre, ma anche a Cristo[8]. L’appellativo «ὁ θεὸς τῶν πατέρων ἡμῶν» (il Dio dei padri nostri) nel Cantico dei tre fanciulli (Dn 3,26; 3,52) viene pure applicato a Cristo[9], nel tetraodio per il Sabato Santo l’esclamazione dei tre fanciulli viene modificata allo scopo di sottolineare il ruolo salvifico del Figlio di Dio: «λυτρωτὰ, ὁ θεὸς εὐλογητὸς εἶ» (O Dio e Redentore, benedetto tu sei!)[10]. Nelle varie modificazioni delle espressioni del Cantico delle creature (Dn 3,57-88) ritroviamo anche un’esortazione indirizzata ai santi dell’Antico Testamento per lodare Cristo: «ὃν παῖδες εὐλογεῖτε, ἱερεῖς ἀνυμνεῖτε, λαὸς ὑπερυψοῦτε εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας» (Fanciulli, beneditelo, sacerdoti, celebratelo, sovresaltalo, o popolo, per tutti i secoli) (Sal 112,1, LXX; Dn 3,83s)[11]. Un altro tropario, invece, presenta l’esortazione indirizzata ai cristiani per andare incontro a Cristo, acclamando: «εὐλογεῖτε τὰ ἔργα τὸν κύριον» (Benedite, opere, il Signore) (Dn 3,57)[12]. Per di più Cristo stesso afferma di essere Colui che ogni creatura benedice, glorificando nei secoli: «ὃν πᾶσα κτίσις εὐλογεῖ δοξάζουσα εἰς τοὺς αἰῶνας» (Dn 3,57ss)[13]. Gesù conclude il suo insegnamento agli apostoli esortandoli: «καὶ κύριον γινώσκοντές με ὑμνεῖτε καὶ ὑπερυψοῦτε εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας» (riconoscendo in me il Signore, celebratemi e sovresaltatemi per tutti i secoli) (Dn 3,57ss)[14]. Tutte queste espressioni veterotestamentarie di lode alla gloria divina, che nei poemi di Cosma vengono indirizzate al Figlio di Dio, appaiono non solo per sottolineare la consustanzialità tra le ipostasi divine del Padre e del Figlio, ma anche potrebbero indicare il concetto dei Padri, che l’azione redentrice non è limitata all’incarnazione, ma si esplica in modo graduale e progressivo attraverso l’economia dell’Antico Testamento[15].

Nell’irmo dell’ode 7 del tetraodio per il Sabato Santo Cosma riporta l’antica concezione patristica, testimoniata gia in Giustino, Ireneo[16] e negli altri, che considera il Logos come il soggetto delle teofanie dell’Antico Testamento, cioè delle apparizioni di Dio ai patriarchi, profeti e giusti in veste d’uomo, di angelo o in altro modo; le teofanie del Logos culminano, ovviamente, nell’incarnazione[17]. Così nel tetraodio Gesù è colui che nella fornace ha liberato i santi fanciulli dal fuoco (ὁ ἐν καμίνῳ ῥυσάμενος τοὺς ὁσίους παῖδας ἐκ φλογὸς) (Da 3,25).

Gesù Cristo è il compimento delle profezie veterotestamentarie sul Messia[18]. Nell’irmo dell’ode 6° per il Sabato Santo è messo in rilievo il segno di Giona profeta (Mt 12,39-40, Mt 16,4, Lc 11,29); Giona viene descritto direttamente con il termine della esegesi biblica come portatore della figura, del tipo di Cristo posto in una tomba (τὸν τύπον φέρων τοῦ … ταφῇ δοθέντος). Il profeta Abacuc da lungi contemplò l’ineffabile mistero del potente amore, della grazia e della misericordia del Padre pietoso per la salvezza del mondo, rilevati tramite la missione del Figlio Salvatore[19], profetando: “… ἔθου κραταιὰν ἀγάπησιν ἰσχύος (Ab 3,4, LXX), πάτερ οἰκτίρμον· τὸν μονογενῆ υἱὸν γὰρ … εἰς τὸν κόσμον ἀπέστειλας (1Gv 4,9s)” – “… Hai manifestato forte e potente amore, o Padre pietoso, perché tu hai inviato nel mondo … il tuo Figlio Unigenito …”[20]

Il canone per il Giovedì Santo menziona che anche il tradimento di Giuda è un fatto predetto dai profeti: il detestabile Iscariota … mangiando il tuo pane … contro di te, o Cristo, ha levato il calcagno (ὁ δυσώνυμος Ἰσκαριώτης … σοῦ ἐσθίων ἄρτον … ἐπῆρε πτερνισμὸν ἐπὶ σὲ, Χριστὲ) (Cfr. Sal 40,10, LXX)[21]. Gesù stesso preannuncia agli apostoli la loro dispersione nel momento del suo arresto, riferendosi al profeta (Mt 26,31, Zc 13,7)[22]. Gli empi, che meditavano invano le parole dei profeti, trascinavano Gesù come una pecora per immolare, compiendo la profezia di Isaia (Is 53,7)[23]. L’ultimo tropario del triodio per il Venerdì Santo, destinato a meditare gli avvenimenti collegati con la passione del Messia, ricollega in sé i tre riferimenti alle profezie messianiche:

Ti hanno circondato come un branco di cani (Sal 21,17, LXX), con uno schiaffo, o Re, ti hanno percosso la guancia (Is 50,6, LXX); ti hanno interrogato, hanno testimoniato contro di te il falso (Sal 34,11); e tutto hai sopportato per salvare tutti[24].

In Cristo si realizza l’annuncio di Amos sul Messia che rialza la cadente capanna di Davide (Am 9,11), un passo che tratta del messianismo regale, cioè della restaurazione della dinastia davidica[25]: È stato distrutto il tempio immacolato, ma risuscita con sé la tenda caduta (Λέλυται ἄχραντος ναὸς, τὴν πεπτωκυῖαν δὲ συνανίστησι σκηνήν)[26].

Per descrivere la gloriosa vittoria sull’ade Cosma ricorre ad uno dei più forti e più impressionanti carmi di tutto il libro d’Isaia, al canto della grande vendetta del Servo sofferente (Is 63,1-6)[27]: … tremano i custodi dell’ade vedendomi avvolto … nella veste insanguinata della vendetta: perché io, Dio, ho abbattuto i nemici con la croce[28]. Si schiude la visione apocalittica: nella suprema lotta cosmica col male, che trascende ogni umana resistenza, Dio è la sorgente di ogni potere; nel terrificante giorno del Signore, Dio distrugge totalmente il male. Gesù stesso, annunciando la venuta dell’era messianica, chiaramente s’identificò col Servo sofferente (Lc 4,18-21; Is 61,1-2), perciò i Padri riferivano spesso questi versi a Cristo nella sua cruenta morte sulla croce[29].

Per sottolineare la piena sconfitta, la spoliazione totale del nemico ade, Cosma adopera il grido di trionfo per la salvezza divina del profeta Osea (Os 13,14): Dal potere dello sceòl li libererò! Dalla morte li salverò![30]L’ultimo tropario del tetraodio per il Sabato Santo è destinato a preannunciare il pieno trionfo della risurrezione, perché è stato spogliato l’ade, il nemico, perché Cristo libera Adamo insieme ad Eva, con tutta la loro stirpe, e il terzo giorno risorgerà![31]

La Madonna nel triodio per il Mercoledì Santo è chiamata la Madre dell’Emmanuele (μητέρα τοῦ Ἐμμανουὴλ)[32], alludendo, ovviamente, al compimento in Gesù del famoso segno di Isaia della presenza di Dio in mezzo al suo popolo[33]: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Is 7,14). Ma anche la dottrina mariologica della nascita straordinaria sfuggendo alle doglie[34] manifesta l’adempimento della profezia sulla prodigiosa nascita del Messia: Prima delle doglie essa ha partorito; prima di essere sorpresa dai dolori si è sgravata di un maschio (Is 66,7)[35].

Passando ai riferimenti scritturistici neotestamentari nei poemi in questione, entriamo pienamente nell’ambito teologico dogmatico. Fin dall’inizio, con il primo tropario, Cosma aderisce alla cristologia giovannea del Logos-Verbo divino (Gv 1,1-14). Come il Vangelo secondo Giovanni inizia dall’alto, dalla vicenda eterna del Verbo[36], così anche Cosma il Melodo comincia la sua riflessione sugli eventi salvifici, avvenuti durante la Settimana Santa, dal mistero dell’ineffabile discesa del Verbo di Dio[37], che nel suo amore compassionevole senza mutamento si è annientato per l’uomo caduto, e impassibilmente si è abbassato fino alla passione[38]. In questa misteriosa katabasis sono messi in rilievo le antinomie cristologiche del Logos incarnato, che in quanto Dio rimane senza mutamento ed impassibile, in quanto uomo, però, si è annientato e si è abbassato fino alla passione. Riguardo alla questione della sostanza del Logos eterno, il Melodo lo definisce seguendo la tradizione nicena antiariana: Parola increata per natura (λόγος ἄκτιστος ὢν φύσει)[39]. «Ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο, καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν» (il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi) (Gv 1,14)[40] è il concetto dominante della cristologia giovannea[41]. Mentre prima il Logos era con Dio, ora abita in mezzo agli uomini. Se prima era Dio, ora è anche uomo. Se prima poteva essere contemplato solo attraverso le sue manifestazioni, ora è contemplato personalmente[42]. La realtà dell’incarnazione del Logos si rende evidente nei poemi di Cosma tramite la sottolineatura del suo agire personale al livello storico: il Verbo stesso dice ai discepoli di preparare la Pasqua in una sala elevata, dove essi saranno iniziati ai misteri divini[43]. Gli apostoli sono chiamati beatissimi commensali del Verbo[44], e il Verbo stesso durante la sua mensa immortale pronuncia le più alte parole (ἐπαναβεβηκότα λόγον ἐκ τοῦ λόγου)[45]. L’unione ipostatica non cessa neanche nel momento della morte: Sei stato ucciso, o Verbo, ma non separato dalla carne assunta[46]. Allora Cosma prosegue confutando la dottrina del più autorevole rappresentante della cristologia antiochena Teodoro di Mopsuestia (+428) ed i suoi seguaci, i quali presentavano in Cristo i due soggetti distinti: l’uomo che subì la morte e il Logos che, avendo assunto l’uomo come il tempio, lo ha risuscitato dai morti[47]. Cosma contrappone la dottrina ortodossa espressa gia nella formula di unione del 433 (il Dio Logos ha unito a sé il tempio che ha assunto)[48], e poi sviluppata nel simbolo di Calcedonia del 451 (un solo e lo stesso Cristo, Figlio, Dio Logos in una sola ipostasi)[49] e negli anatematismi del concilio di Costantinopoli del 553 (non come uno in un altro, ma in una sola ipostasi di Cristo, di uno della Santa Trinità)[50]. In piena concordanza con la linea cristologica calcedonese Cosma compone la sua riflessione per il Sabato Santo: anche se il tempio del tuo corpo è stato distrutto nella passione, anche così una era l’ipostasi della tua divinità e della tua carne: in entrambe infatti tu sei un solo Figlio, Verbo di Dio, Uomo e Dio[51].

Nel Nuovo Testamento si manifesta l’identificazione del Cristo Logos con la Sapienza divina di alcuni testi sapienziali dell’Antico Testamento, nei quali la Sapienza appare personificata[52]. La personificazione non è dovuta soltanto al linguaggio poetico, ma alla stessa origine della Sapienza che procede da Dio e che partecipa alla natura divina (Pv 8,22-26), che possiede le perfezioni divine dell’immutabilità e dell’onnipotenza, che svolge il ruolo sostanziale nella creazione del mondo (Pv 8,27-31)[53]. I vangeli sinottici attribuiscono a Gesù ciò che l’Antico Testamento attribuisce alla Sapienza[54]; il Prologo di Giovanni evoca la tematica della Sapienza che sta presso Dio come architetto nella creazione e per mezzo della quale Dio comunica la vita al mondo[55]; Paolo proclama il Cristo crocifisso come la potenza e sapienza di Dio (1Cor 1,23-24)[56] e descrive il ruolo di Cristo nell’universo in termini mutuati dalle descrizioni veterotestamentarie della Sapienza di Dio (Col 1,15-20)[57]. Con la sua funzione profetica, regale, sacerdotale, creatrice, cosmica, la Sapienza riassume le più importanti funzioni messianiche di mediazione salvifica tra Dio e gli uomini, e come tale può essere vista come un annuncio di Cristo, Sapienza incarnata[58]. In epoca successiva al Nuovo Testamento Gesù viene esplicitamente detto Sapienza di Dio; questo titolo cristologico è rimasto lungo tutto il corso della storia cristiana[59]. Gli apologisti concepiscono la Sapienza divina come ab aeterno immanente impersonalmente in Dio e da lui generata ante tempus per provvedere alla creazione e al governo del mondo[60]. La Sapienza in Origene fa parte dei numerosi appellativi scritturistici attribuiti al Figlio di Dio[61], essendo pienamente identificata con Cristo: il primogenito non è per natura un altro rispetto alla sapienza, ma uno e medesimo[62]. La combinazione dei titoli Logos e Sapienza costituisce un luogo comune negli autori cristiani antichi, particolarmente all’acme della disputa ariana[63]. Questa combinazione dei titoli sfrutta anche Cosma il Melodo che ricollega in un tropario le due affermazioni bibliche contrarie della Sapienza: “Il Signore mi ha creato” (Pv 8,22) ed “io fui generata” (Pv 8,24-25), che costituivano uno dei punti focali della controversia ariana[64]. L’universo è creato per mezzo di Cristo-Sapienza; questa concezione della Sapienza creatrice (δημιουργὸς σοφία) viene espressa nel tropario 2° dell’ode 9°: Prima dei secoli mi genera il Padre come Sapienza creatrice; mi ha creata in principio delle sue vie …; per portare l’interpretazione ortodossa, però, il Melodo ritiene necessario aggiungere: Parola increata per natura (λόγος γὰρ ἄκτιστος ὢν φύσει)[65]. Un altro tropario, ancora accennando alla natura increata e divina della Sapienza, ribadisce: la Sapienza di Dio, increata e della sua stessa natura (τῆς ἀκτίστου καὶ ἐμφύτου σοφίας θεοῦ)[66]. Altri tropari ancora rimandano al suo ruolo creatore e governante riguardo all’universo: causa universale ed elargitrice di vita[67], che regge nell’etere le travolgenti acque superiori, che tiene con le redini gli abissi e trattiene i mari[68]. È interessante che, interpretando il banchetto della Sapienza dei Pv 9,1-6[69] nella chiave eucaristica dell’Ultima Cena, Cosma ricorre ai termini tipici della cristologia divisiva degli antiocheni: La Sapienza si è costruita la casa … rivestito del tempio del suo corpo[70].

La cristologia paolina viene riflettuta nei poemi della Settimana Santa soprattutto sulla base dell’antico inno giudeo-cristiano, incorporato da Paolo in Fil 2,6-11, che tratta della preesistenza divina del Cristo, della sua umiliazione nell’incarnazione, della sua ulteriore umiliazione nella morte, della sua elevazione al cielo, dell’adorazione di lui da parte dell’universo, e del suo nome, Kyrios[71]. Accennando alla condizione, di cui egli godeva prima dell’incarnazione, di essere eguale a Dio (τὸ εἶναι ἶσα θεῷ) (Fil 2,6), Cosma il Melodo delinea questo passaggio drammatico dalla condizione divina (preesistenza) a quella umana (è diventato simile agli uomini = l’incarnazione) tramite la spoliazione volontaria (kénosis), l’assunzione della forma di servo, fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,7-8)[72]: egli, nel prendere forma di servo, non ha considerato preda gelosa il suo essere Dio[73], impassibilmente si è abbassato fino alla passione[74]. Lo stesso concetto viene espresso da Paolo in 2Cor 8,9: Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero[75]. Lo sfrutta anche Cosma per affermare ancora la divinità di Cristo, il quale, essendo ricco per la divinità, è venuto per servire[76], il Signore di tutto e Dio si è fatto povero[77]. A questo pensiero aderisce l’applicazione a Gesù il titolo Κύριος, che appare come il titolo per eccellenza negli scritti paolini (1Cor 8,5-6; 1Cor 12,3; 1Cor 16,22; Rm 10,9; Col 2,6; ecc.), costituendo l’eredità dalla tradizione liturgica della Chiesa palestinese primitiva[78]: Riconoscendo in me il Signore, celebratemi[79], il Signore di tutti e il Dio dei padri nostri[80].

Secondo la teologia paolina, la Chiesa si trova in un’ininterrotta festività pasquale, perché Cristo con la sua morte e risurrezione ha attuato la salvezza prefigurata nell’Esodo: Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! (1Cor 5,7)[81]. Questo concetto parafrasa il Melodo: è egli stesso la Pasqua, ha offerto se stesso a quelli per i quali stava per morire[82], trascinano via come una pecora te, Sovrano dell’universo, per immolare[83].

Il concetto soteriologico viene espresso da Paolo tramite il parallelismo di Adamo e di Cristo nuovo Adamo (1Cor 15,21-23; 15,45-49; Rm 5,12-21), che ambedue vengono visti in modo simbolico come tipo e anti-tipo. Attraverso l’uno sono venuti morte, peccato, privazione di grazia; attraverso l’altro, il rientro nella grazia, “nuova creazione”, promessa di vita[84]. Nella chiave dell’universalità dell’economia salvifica Ireneo riflette sulla ricapitolazione di Adamo nel Cristo, nuovo Adamo[85]. Gregorio di Nazianzo in modo commovente confronta dettagliatamente la passione di Cristo con la caduta di Adamo:

… per questo motivo il legno si contrappone al legno, le mani alla mano, quelle generosamente distese si contrappongono a quella che fu allungata senza ritegno, quelle fissate dai chiodi a quella che venne lasciata libera … l’elevazione si contrappone alla caduta, il fiele al gusto del frutto, la corona di spine al potere malvagio, la morte alla morte … la tomba si oppone al ritorno alla terra e la resurrezione si oppone alla ribellione[86].

Il parallelismo salvifico dei due Adami viene cantato nei poemi di Cosma: Sono venuto per servire Adamo divenuto povero, della cui forma volontariamente mi sono rivestito[87].

Cosma il Melodo tratta la questione del triduum mortis, cioè del destino di Gesù Cristo durante il periodo tra la morte di croce e la risurrezione, in relazione della liberazione effettiva del vecchio Adamo da parte del nuovo. Seguendo la dottrina di «κατελθόντα εἰς τὰ κατώτατα», comunemente insegnata ai cristiani fin dai primi tempi, largamente attestata nei Padri, sia orientali che occidentali[88], pronuncia il Melodo: il secondo Adamo infatti, che dimora nel più alto dei cieli, è disceso verso il primo, fino alle stanze segrete dell’ade[89].

Siccome la passione, la morte e la risurrezione costituiscono il momento decisivo del piano divino di salvezza, nei poemi di Cosma della Settimana Santa si riflette sull’istanza soteriologica dell’incarnazione del Figlio di Dio[90]. Dio stesso ha preso l’iniziativa di comunicarsi all’uomo intervenendo nella sua storia[91]. La vera motivazione della morte di Gesù è quella della sua stessa incarnazione: la carità di Dio che si manifesta nella storia con la misericordia e il perdono[92]. Cosma indicando la φιλανθρωπία divina (amore per gli uomini) come motivo dell’incarnazione e della passione, dichiara che il Logos di Dio nel suo amore compassionevole si è annientato per l’uomo caduto[93]. Il Melodo usando i titoli soteriologici applicati a Cristo, come quelli del Salvatore[94], del nostro liberatore[95], del Redentore[96], mette in rilievo la libera volontà del Logos incarnato che è venuto per servire Adamo, della cui forma volontariamente si è rivestito e per immolarsi in suo riscatto[97]. La parola riscatto (λύτρον o ἀντίλυτρον), usata nel Nuovo Testamento per descrivere la passione e la morte di Gesù, costituisce lo scopo della missione messianica del Figlio di Dio che è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto (Mc 10,45; Mt 20,28; 1Tm 2,6; Tt 2,14; 1Pt 1,1-19). Così anche nei poemi di Cosma lo scopo finale dell’incarnazione è il riscatto delle nostre colpe[98] oppure per la salvezza di noi[99]; in pieno accordo con il credo niceno: per noi uomini e per la nostra salvezza[100]. Con lo stesso termine soteriologico λυτροῦμαι viene descritta la liberazione dall’ade dei nostri progenitori: è stato spogliato l’ade, il nemico … io libero Adamo insieme ad Eva, con tutta la loro stirpe[101]. Nella luce della lettera agli Ebrei (Eb 9,11-12; 2,17) e delle lettere Giovanee (1 Gv 2,2; 1Gv 4,9-10), la morte di Gesù viene vista come espiazione e propiziazione (ἱλασμός), ciò nei poemi di Cosma si esprime con lo stesso termine ἱλασμός (sacrificio espiatorio)[102].

Anche i concetti eucaristici, trattati nel contesto della fondazione del Sacramento all’Ultima Cena, si riflettono tramite la chiave soteriologica: il calice che salva tutto il genere umano[103], il corpo che redime dal peccato, e il sangue divino versato per il mondo[104]. Gesù è il sommo sacerdote (Eb 9,11) che offre il sacrificio di se stesso[105].

Il Logos, per mezzo di cui sono state create tutte le cose, è il fine, il compimento e il ricapitolatore dell’universo creato[106]. Il valore universale dell’azione salvifica del Verbo incarnato per la salvezza di tutta l’umanità, mediante l’unico e perfetto sacrificio redentore[107], si rileva nei poemi teologici di Cosma: la passione che fa sgorgare impassibilità per tutti i nati da Adamo[108], tutto hai sopportato per salvare tutti[109]. La Sapienza è nata da Dio per le opere che ora si compiono misticamente[110], cioè il mistero della volontà del Padre è infatti quello di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra (Ef 1,10)[111].

Si deve affermare che tutto il complesso dei poemi di Cosma della Settimana Santa indubbiamente presenta gli elementi tipici della cristologia patristica, ben sviluppata, in pieno accordo con i dogmi conciliari. Esponiamo le frasi rilevanti riguardo alla cristologia di Calcedonia (451) e di Costantinopoli (553):

il Cristo stesso, Dio e uomo[112], io, il Creatore, ricco per la divinità … impassibile per la divinità[113], o Creatore, hai assunto un corpo passibile come il nostro[114], Signore di tutto e Dio Creatore, l’impassibile si è fatto povero e ha unito a sé la creatura[115], Cristo, Sovrano dell’universo[116], Parola increata per natura[117], uomo per natura, non in apparenza … per lo scambio delle proprietà, è Dio la natura che a me è stata unita … un unico Cristo che serba integre le proprietà delle due nature, dalle quali, nelle quali la mia persona è costituita ed è[118], nel tuo amore compassionevole senza mutamento ti sei annientato … impassibilmente ti sei abbassato fino alla passione[119], colui che tiene in mano la vita[120], il Creatore di tutte le cose[121], Sovrano dell’universo[122], colui che è la vita, colui che per natura è datore di vita[123], ucciso … ma non separato dalla carne assunta … una era l’ipostasi della tua divinità e della tua carne: in entrambe infatti tu sei un solo Figlio, Verbo di Dio, Uomo e Dio[124], anche se la natura terrena della tua carne ha patito, impassibile permane la divinità[125], una e indivisa era nell’ade, nella tomba e nell’Eden la divinità di Cristo, insieme al Padre ed allo Spirito[126], è annoverato tra i morti il Dio che è nell’alto dei cieli[127], Giuseppe d’Arimatea: egli infatti, contemplando morto e nudo il Dio che tutto trascende[128], colui che dimora nel più alto dei cieli volontariamente si lascia sigillare sotto terra, egli che è Dio è calunniato come seduttore[129], Figlio che non ha principio … Dio … morto, senza respiro[130], io, Dio, ho abbattuto i nemici con la croce, e di nuovo risorgerò[131].

Con queste espressioni poetiche, profondamente teologiche, sparse qua e là lungo i poemi di Cosma della Settimana Santa, sicuramente si potrebbe comporre un vero e proprio trattato cristologico. Le affermazioni cristologiche accompagnano inseparabilmente i concetti della dottrina patristica della Vergine Maria la realmente Madre-di-Dio (ἡ ὄντως Θεοτόκος) che senza corruzione ha generato il Verbo Dio[132], il Figlio che non ha principio[133]. Da lei Cristo ha assunto un corpo passibile come il nostro[134], ma lei ha accolto in grembo il Dio che nulla può contenere[135]. Si sottolinea la dottrina mariologica del concepimento soprannaturale (senza seme ha concepito in grembo il Figlio)[136] e del parto straordinario senza le doglie in beatitudine sovrannaturale[137], e per questo la Madonna viene chiamata l’immacolata e purissima[138]. Si esorta anche la venerazione di Maria, con l’assicurazione che Gesù innalzerà nella gloria coloro che con fede e amore magnificano sua Madre[139]. Noi offriamo per mezzo di lei la supplica a Cristo Dio[140], perché la Madre-di-Dio è proclamata beata e magnificata da tutte le generazioni (Lc 1,48)[141].

3.1. Il Lunedì Santo: La κατάβασις del Logos per servire Adamo divenuto povero

La riflessione teologica del Lunedì Santo prende lo spunto dal famoso inno paleocristiano ripreso da Paolo in Fil 2,6-11, che costituisce il sommario della cristologia paolina[142]. I tropari dell’ode 1° trattano dell’ineffabile discesa (ἡ ἀπόρρητος κατάβασις) del preesistente Figlio di Dio, dell’autoumiliazione nell’assunzione della forma di servo fino alla morte di croce (Fil 2,8)[143]. I tropari delle odi rimanenti espongono l’insegnamento di Gesù sulle virtù dell’umiltà e della pace: nutrite pensieri umili (cfr. Fil 2,5) per essere glorificati nel regno del Padre[144]. Tutto il triodio del Lunedì Santo (esclusi gli irmi) è composto in forma del discorso di Gesù Cristo davanti ai suoi discepoli, ai quali Gesù mostra il mistero dell’incarnazione con lo scopo di servire Adamo divenuto povero[145], e ai quali il Salvatore offre l’ammaestramento del comportamento autentico di un cristiano.

Con l’ode 1° Cosma di Maiuma fa entrare nella profondità teologica cristiana introducendo il parallelismo drammatico tra le due oikonomiai divine verso il suo popolo: quella dell’Antico Testamento e quella del Nuovo. L’irmo riporta l’ammirevole salvezza degli ebrei dalla mania persecutoria del faraone al mar Rosso, uno degli atti più grandi e più impressionanti dell’antica oikonomia divina (Es 15,1-19)[146]. I tropari, invece, rilevano il mistero dell’incarnazione, l’ineffabile κατάβασις del Logos (Fil 2,6-11), che costituisce il punto centrale dell’azione salvifica divina del Nuovo Testamento. Alla fine dell’irmo e del 1° tropario lo stesso ritornello «ἐνδόξως γὰρ δεδόξασται» (Es 15,1) nel primo caso si riferisce a Dio e nel secondo al Verbo di Dio, ciò sottolinea l’unità della salvifica Providenza divina dei due Testamenti: lo stesso Dio onnipotente che salva il popolo di Israele al mar Rosso, e perciò gloriosamente si è reso glorioso, lo stesso Dio ha mandato il suo Figlio unigenito (Gv 3,16) che sotto la forma di servo (Fil 2,7) viene per servire Adamo divenuto povero, e perciò gloriosamente si è reso glorioso (Es 15,1)[147].

Nonostante le delimitazioni definite dalle regole dell’isosillabismo e dell’omotonia, i tropari dell’ode 1° comprendono una profondità straordinaria dei concetti cristologici, rappresentando una teologia ortodossa matura in pieno accordo con la dottrina cristologica espressa negli atti dei concili ecumenici e negli insegnamenti dei Padri. Per sottolineare la fede nel preesistente Figlio di Dio, i concetti dell’inno cristologico di Fil 2,6-11, che traccia la linea centrale di tutto il triodio[148], si arricchiscono con molte altre dottrine sia bibliche (Cristo Logos, Cristo Sapienza, Cristo Creatore, Cristo Kyrios, Cristo il servo sofferente, “ricco per la divinità” (2Cor 8,9), “che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1Tm 2,6), ecc.), sia patristiche (il Cristo stesso, Dio e uomo, impassibile per la divinità, il libero rivestimento alla forma di Adamo, ecc.). Il preesistente Verbo di Dio, Creatore del mondo, discende sulla terra in modo ineffabile, diventando uno e lo stesso Cristo nelle due nature, divina e umana, e non considera preda gelosa il suo essere Dio (Fil 2,6). Egli, essendo ricco per la divinità, liberamente si è rivestito in forma di servo (Fil 2,6), cioè in forma umana, in forma di Adamo, perché è venuto per servire Adamo divenuto povero. Anche se il Logos è impassibile per la divinità, è venuto, però, per subire le passioni e per immolarsi in riscatto dell’uomo caduto[149].

La idea espressa nella frase iniziale «ἡ ἀπόρρητος λόγου θεοῦ κατάβασις» (l’ineffabile discesa del Verbo di Dio) può essere suggestionata dagli atti del concilio di Costantinopoli (553), che pone un forte accento sul Logos come l’unico soggetto dell’incarnazione[150]; infatti, il tropario presenta il Logos di Dio come il soggetto dell’ineffabile discesa[151]. Dall’altra parte, la fonte più diretta, che eventualmente ispirerebbe l’inizio di questo tropario, potrebbe trovarsi in De divinis nominibus di Pseudo-Dionigi l’Areopagita che definisce similmente il mistero dell’incarnazione di Cristo come ineffabile:

Anzi, ciò che esprime nel modo migliore tutto ciò che si può dire di Dio, ossia la divina formazione di Gesù secondo la nostra natura, è ineffabile per qualsiasi lingua e inconoscibile per qualsiasi intelligenza … Che egli abbia assunto una sostanza umana lo abbiamo appreso come un mistero …[152].

La seconda riga dello stesso tropario chiarisce perché la discesa del Verbo di Dio si definisce con il termine ineffabile. Come osserva Nicodemo Hagiorita, la Sacra Scrittura ci rivela molte varie discese di Dio. Negli ultimi giorni, però, scende il Logos di Dio con una meravigliosa katabasis la più degna di Dio, perché il Logos di Dio per la nostra salvezza diventa uomo perfetto, “come me, eccetto peccato”. L’ineffabilità di questa discesa di Dio Logos consiste nel mistero dell’assunzione della natura umana (ἡ ἐνανθρώπησις), cioè nell’unione delle due nature in una sola ipostasi senza confusione e senza divisione[153].

Poi, sempre nel primo tropario dell’ode 1°, osserviamo una parafrasi interpretativa di Fil 2,6[154]. Mentre il testo scritturistico tratta della condizione di Dio (ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων) e dell’essere uguale a Dio (τὸ εἶναι ἴσα θεῷ), Cosma il Melodo ne fa interpretazione nella chiave della dottrina delle due nature elaborata dalla cristologia patristica, esprimendosi con la frase: del suo essere Dio, come evidenziamo nella tabella seguente:

Fil 2,6: “… ὃς ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο τὸ εἶναι ἴσα θεῷ …” – “… egli, pur essendo nella forma di Dio, non ha considerato preda gelosa l’essere uguale a Dio …”;

Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 1: “… τὸ θεὸς οὐχ ἁρπαγμὸν εἶναι ἡγησάμενος …» – “… non ha considerato preda gelosa il suo essere Dio …”.

Il mistero dell’incarnazione nell’inno cristologico di Fil 2,6-11 viene espresso tramite il paradosso di colui che, pur essendo nella forma di Dio (ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων), prese la forma di servo (μορφὴν δούλου λαβών); è pure, essendo uguale a Dio (τὸ εἶναι ἴσα θεῷ), diventò simile agli uomini (ἐν ὁμοιώματι ἀνθρώπων γενόμενος). Questa antitesi concettuale del Logos preesistente, che, essendo uguale a Dio e perciò immortale, assume un’esistenza pienamente umana con il suo destino di morte, viene sfruttata anche da Cosma il Melodo in modo più estremizzato: il suo essere Dio (τὸ θεὸς εἶναι) – nel prendere forma di servo (ἐν τῷ μορφοῦσθαι δοῦλον)[155]. Per sottolineare questo contrasto tra i due estremi della signoria e della schiavitù, sarebbe meglio trasmettere il concetto di δούλος con il termine schiavo. Nel pensiero dell’inno cristologico (cfr. Gal 4,1-11; 4,21-5,1; Rm 8,15), l’esistenza umana non redenta è essenzialmente una schiavitù, una sottomissione a delle potenze spirituali, che si risolve con la morte[156]. Nel tropario successivo, però, Cosma aderisce piuttosto al concetto di servo, con cui anche si può rendere il termine δούλος, e passa immediatamente alla riflessione sul brano evangelico sinottico di Mt 20,28: il Figlio dell’uomo … è venuto … per servire e dare la propria vita in riscatto per molti[157]. Il tropario inizia proprio dallo stesso verbo διακονῆσαι (servire) adoperato in Mt 20,28: Διακονῆσαι … ἐλήλυθα … τῷ πτωχεύσαντι Ἀδὰμ … (Sono venuto per servire Adamo divenuto povero)[158]. Il concetto del servo venuto per servire e dare la propria vita (Mt 20,28),spesso appare come l’allusione ai cantici del servo sofferente del libro del cosiddetto Deutero-Isaia, che ebbero un ruolo importante nell’interpretazione cristologica neotestamentaria. La missione e soprattutto la passione e la morte di Gesù sono comprese alla luce dell’ebed JHWH isaiano[159]. Il Servo di JHWH ha dato la sua anima (= se stesso) alla morte, portando il peccato di molti (cfr. Is 53,12)[160]. La figura misteriosa del servo sofferente che viene rifiutato, ma che libera la moltitudine portando sulle proprie spalle i peccati del mondo intero, offrendo così un sacrificio espiatorio di portata universale (Is 49,3-6), negli Atti degli Apostoli viene interpretato come figura del Messia, cioè Gesù il servo di Dio[161]. La sofferenza, la passione, la morte e l’esaltazione del Servo portano il significato soteriologico, la sua sofferenza è una sofferenza vicaria, benché innocente, soffre per i peccati nostri o dei molti (Is 53,5; 53,8), i suoi patimenti sono causa di salvezza per gli altri[162].

Per ribadire la concezione dell’essere uguale a Dio (τὸ εἶναι ἴσα θεῷ) del Logos preesistente (Fil 2,6), Cosma ricorre ad un altro passo paolino: il Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi (2Cor 8,9)[163]. In quanto Figlio, Gesù era ricco, perché uguale al Padre, e perché possedeva la pienezza della divinità (Col 2,9), assunse però una natura umana, divenendo in tal modo una parte di questo mondo di debolezza e di morte[164]. Con questo contesto paolino Cosma il Melodo prosegue il suo discorso poetico del tropario 2° dell’ode 1°: io, il Creatore, ricco per la divinità, sono venuto per immolarmi in riscatto di Adamo divenuto povero.

Con la frase «ἑαυτὸν ἐκένωσεν» (si è annientato, si è vuotato di se stesso) Paolo indica l’impoverimento volontario di Cristo nell’incarnazione (Fil 2,7)[165]. Cristo ha liberamente ridotto se stesso all’impotenza, assumendo la condizione di servo[166]. Colui che, essendo nella forma di Dio (ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων), possedeva la potenza e la gloria divine, ne volontariamente abbandonò, assumendo forma di servo, senza separarsi dal Padre e dallo Spirito[167]. Cristo preesistente, che esiste nel modo di essere divino, con la sua incarnazione sceglie un modo di essere che nasconde il suo essere proprio[168]. Il motivo di questa kenosi del Verbo sta nella generosità isondabile dell’ἀγάπη divina manifestata nella creazione e nell’incarnazione redentrice. La kenosi dell’incarnazione consiste nel fatto che il Figlio di Dio, rimanendo evidentemente ciò che è da tutta l’eternità, accetta nondimeno, per salvare l’umanità decaduta, di assumere la condizione di creatura passibile e mortale. È questo il modo in cui l’amore divino ci salva, realizzando quella obbedienza a cui l’orgoglio del peccato si era rifiutato di sottomettersi[169]. Per rilevare questa libera e volontaria kenosi del Logos, Cosma il Melodo ricorre al termine ἑκὼν (volontariamente)[170]. Il Figlio di Dio assolutamente liberamente ha assunto la forma del servo per riscattare e redimere l’uomo dall’eterno effetto della maledizione del peccato. Non esisteva nessuna necessità esterna o interna, né nessun stimolo violento, né nessun altro principio, che avrebbe potuto influire o spingere il Logos di Dio per accettare questo servizio. L’unico stimolo dell’incarnazione sta nella profondità dell’ineffabile amore divino: con la sua estrema filantropia il Creatore abbracciò il progenitore Adamo divenuto povero[171]. La condizione e il segno caratteristico dell’amore estremo, secondo l’insegnamento di Gesù, sta nel dare la sua vita (Gv 15,13). Così, il Figlio di Dio è venuto per subire le passioni, per essere crocifisso e morto dall’estremo amore per gli uomini[172]. La maggior dimostrazione della potenza e della gloria del Verbo di Dio si manifesta nell’incarnazione, nell’assunzione della natura umana[173], nel suo abbassarsi fino all’umiltà e alla debolezza umana, come più volte affermava Basilio Magno[174].

Dall’altra parte, lo stesso tropario esprime il concetto della libera e volontaria kenosi del Logos con il pronome «αὐτὸς» senza articolo («Διακονῆσαι αὐτὸς ἐλήλυθα» – Sono venuto per servire) che potrebbe essere tradotto: Io stesso, in persona (= lat. ipse) sono venuto per servire[175]. Il primo atto sacerdotale di Gesù è quindi il suo ingresso nel mondo per compiere la volontà del Padre: «Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7)[176]. Iniziato con l’incarnazione, il suo sacerdozio si compie con l’immolazione sulla croce[177]. Infatti, il tropario procede con una formula soteriologica di 1Tm 2,5-6[178] destinata a rilevare l’universalità dell’opera salvifica di Cristo e l’unicità della mediazione di Gesù per tutti gli esseri umani: Cristo ha dato se stesso in riscatto per tutti[179]. Proprio così questa idea è espressa poeticamente nel tropario: io, il Creatore … sono venuto per immolarmi in riscatto di Adamo divenuto povero[180].

Con l’espressione conclusiva «ὁ ἀπαθὴς θεότητι» (impassibile per la divinità) il tropario 2° dell’ode 1° ricorre all’idea dell’impassibilità e autosufficienza di Dio, che risale ad Aristotele[181], si ritrova gia in Clemente Alessandrino[182], che la attribuisce anche al Logos[183], e definitivamente viene sistemata nella teologia dogmatica da Giovanni Damasceno[184]. Anche Cosma il Melodo attribuisce questa proprietà della natura divina al Figlio, esprimendo l’antinomia cristologica del Dio impassibile venuto per subire le passioni, tramite un’antitesi poetica concettuale: io, il Creatore … sono venuto per immolarmi in suo riscatto, io, impassibile per la divinità[185]. È da notare qui l’accenno alla teologia del Logos-Creatore, fissata già in Paolo e nel Prologo giovanneo[186]. Tenendo conto della creazione come opera strettamente divina, Giustino, Taziano, Teofilo ed Ireneo sviluppavano il concetto della mediazione creatrice del Verbo[187].

L’irmo dell’ode 8°, pieno di metafore ed iperbole, decanta le virtù dei limpidi fanciulli nella fornace (Dn 3,57-88), i quali con l’anima immacolata non impaurirono del fuoco indomabile e con i corpi immacolati non si inginocchiarono davanti all’idolo[188]. L’inno perenne intonato dai tre fanciulli “Celebrate, opere tutte, il Signore, e sovresaltatelo per tutti i secoli!” – «τὸν κύριον πάντα τὰ ἔργα ὑμνεῖτε καὶ ὑπερυψοῦτε εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας» (Dn 3,57) nell’irmo è destinato a lodare la grandezza di Dio, negli tropari viene indirizzato a Cristo, modificato in modo che Cristo stesso esorta gli apostoli: Riconoscendo in me il Signore, celebratemi e sovresaltatemi per tutti i secoli – «καὶ κύριον γινώσκοντές με ὑμνεῖτε καὶ ὑπερυψοῦτε εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας»[189]. Da una parte questo procedimento poetico sottolinea l’unità dell’oikonomia divina dei due Testamenti, dall’altra parte, ribattendo un’altra volta il concetto della divinità del Figlio di Dio, il Melodo fa ricorso alla cristologia paolina del Cristo-Kyrios. Complessivamente, Paolo applica a Gesù tale titolo circa 230 volte, alcune delle quali in passi derivanti da tradizioni prepaoline (per es., Rm 10,9; 1Cor 12,3; Fil 2,11). La confessione di Gesù come Signore era il segno distintivo dei cristiani (Rm 10,9). Paolo riservò per lo più il nome di Dio al Padre, adoperando invece Signore (o Figlio di Dio) per Gesù. Per collocare Gesù in quanto Signore accanto a Dio Padre, Paolo arrivò a suddividere la confessione ebraica di monoteismo dello Sh’mà (Dt 6,4-5), glossando Dio con Padre e Signore con Gesù Cristo: “per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tute le cose e noi esistiamo per lui” (1Cor 8,6). Il titolo “un solo Signore” amplia lo Sh’mà in modo tale da farvi rientrare anche Gesù. Servendosi del classico testo monoteistico dell’ebraismo, Paolo riformulava così la propria percezione di Dio attraverso l’introduzione di Gesù in quanto Signore e la ridefinizione del monoteismo ebraico, arrivando in tal modo a creare un monoteismo cristologico[190].

Proseguendo il tema della libera umiliazione del Verbo di Dio e, per conseguenza, della sua esaltazione celeste (Fil 2,6-11)[191], Cosma il Melodo nei tropari delle odi 8° e 9° menziona l’esortazione di Cristo ai suoi discepoli, detta prima della sua passione: nutrite i pensieri umili per essere innalzati (cfr. Mt 23,12)[192], chi vuole essere l’eletto, sia l’ultimo di tutti (cfr. Mc 9,35)[193], fate vostro un saggio pensare, degno del regno di Dio[194], guardate a me … e non pensate cose alte, ma lasciatevi attrarre da quelle umili (Mt 11,29, Rm 12,16), bevete il calice che io bevo (Mt 20,22)[195]. Il tema dei pensieri umili che furono in Cristo Gesù (Fil 2,5; Mt 11,29), che passa come un filo rosso sul tutto il triodio di Lunedì Santo, trova il suo compimento nei tropari dell’ode 9°, nei quali due volte viene menzionata la ricompensa nel regno del Padre: sarete glorificati, risplendendo più luminosi del sole nel regno del Padre (Mt 13,43; Mt 20,21s; Rm 8,17)[196]. Infatti, nel triodio del Lunedì Santo si fa lo stesso procedimento che nell’inno cristologico di Fil 2,6-11, il quale è inserito nella Lettera ai Filippesi proprio per istruzione morale della comunità. Quindi, Paolo consiglia l’umiltà, l’altruismo, l’amore disinteressato per gli altri, esortando i filippesi all’imitazione di Cristo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5)[197]. Mentre la prima parte dell’inno di Fil 2,6-11 loda l’umiliazione dell’incarnazione e della morte di Gesù in forma di schiavo, la seconda decanta l’esaltazione celeste, l’adorazione universale e cosmica del Signore Gesù Cristo[198]. Lo stesso svolgimento d’istruzione segue Cosma il Melodo che nei tropari dell’ode 1° presenta il Verbo di Dio disceso e umiliatosi fino alla forma di servo per servire Adamo divenuto povero, nei tropari delle odi 8° e 9° esorta di imitare questo grande esempio dell’umiltà, e nei tropari dell’ode 9° promette la glorificazione e lo splendore nel regno del Padre[199].

Nel 2° tropario dell’ode 8°, riferendosi, probabilmente, alla politica sfavorevole ai cristiani del califfo al-Walid (705-715) e dei suoi successori[200], Cosma contrappone alla tirannide delle genti il diritto naturale della libera volontà, accennando anche che, secondo l’insegnamento di Gesù, l’essenza del potere sta nel libero servizio al favore dei fratelli (Mc 9,35, Gv 13,14-15)[201]. Si sottolinea, dunque, l’importanza della pace: abbiate pace in voi e con tutti – «εἰρηνεύετε ἐν ἑαυτοῖς καὶ πᾶσι» (Mc 9,50, Eb 12,14), e si pone l’accento sul comandamento nuovo di Cristo che consiste nell’amore fraterno: tutti vi riconosceranno per miei discepoli se osserverete i miei comandamenti (Gv 13,34-35, 15,10)[202].

Con l’ode 9°, naturalmente, ai misteri cristologici si aggiungono le dottrine mariologiche: Cristo ha assunto un corpo passibile come il nostro dalla Θεοτόκος che lo ha generato, così la Madre-di-Dio è detta beata e magnificata da tutte le generazioni (Lc 1,48)[203]. Un’invocazione mariana riportata in un papiro della fine del III sec., il Sub tuum praesidium, esprime la fiducia nella protezione di Maria Θεοτόκος[204]. Alle obiezioni di Nestorio che reputava il titolo Θεοτόκος improprio e da sostituire con Χριστοτόκος, ha risposto in maniera definitiva il concilio di Efeso (431) sanzionando la legittimità dell’uso e l’esatto significato[205]. Dopo Efeso il titolo di Θεοτόκος non fu più seriamente messo in questione, anzi diventerà il paradigma o la tessera dell’ortodossia circa il Verbo incarnato[206]. Questa dottrina mariana viene riassunta da Giovanni Damasceno: Perciò giustamente e con verità noi chiamiamo Madre di Dio la santa Vergine: infatti questo nome sintetizza tutto il mistero dell’economia[207].

Proprio dalla Θεοτόκος il Creatore, ha assunto un corpo passibile come il nostro (ὁ πλάστης ἡμῶν ὁμοιοπαθὲς περιέθου σῶμα)[208]. È un’altra antitesi concettuale ed antinomia cristologica: Dio che, gia secondo Clemente Alessandrino, non è nemmeno soggetto alle stesse passioni o bisogni degli esseri generati (οὐδὲ ὁμοιοπαθὴς)[209], ha assunto un corpo soggetto alle passioni come il nostro (ἡμῶν ὁμοιοπαθὲς) per poter patire e morire per la nostra salvezza; egli ha assunto un corpo vero ed autentico, senza, però, l’elemento del peccato[210]. Anche Giovanni Damasceno parla del Logos impassibile in forza della divinità, che ha assunto un corpo sensibile (ὁμοιοπαθές) come nostro[211].

L’irmo si conclude con la nostra risposta al famoso inno mariano Magnificat, con l’accenno al compimento del significato profetico dell’inno: Proclamando lei beata, tutte le generazioni (ταύτην μακαρίζοντες πᾶσαι γενεαὶ)[212]. La frase finale, però, come tutto l’irmo è rivolto a Cristo: tutte le generazioni magnificano te [che hai esaltato la Madre-di-Dio che ti ha generato] (πᾶσαι γενεαὶ σὲ μεγαλύνωμεν [ὅτι ἐμεγάλυνας, Χριστὲ, τὴν τεκοῦσάν σε θεοτόκον])[213].

Dunque, il triodio per il Lunedì Santo, prendendo lo spunto dal inno cristologico di Fil 2,6-11, tratta dell’ineffabile discesa (ἡ ἀπόρρητος κατάβασις) del Verbo di Dio, con lo scopo di servire Adamo divenuto povero; con l’insegnamento di Gesù sulle virtù dell’umiltà e della pace il triodio esorta al comportamento autentico di un cristiano[214].

3.2. Il Martedì Santo: Vigilate con le lampade accese!

Il diodio del Martedì Santo riprende e sviluppa organicamente il tema del triodio del Lunedì Santo della glorificazione nel regno di Dio, come ricompensa a quelli che imitano l’esempio dell’umiltà del Salvatore[215]; si fa attenzione, tuttavia, per non essere privi del Regno a causa dell’indolenza e della mancanza della vigilanza[216]. Cosma il Melodo realizza questo svolgimento contemplando il tema evangelico della vigilanza messianica espressa nella parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13), nella parabola dei talenti (Mt 25,14-30), nella descrizione escatologica del giudizio finale (Mt 25,31-46). Il punto centrale del diodio del Martedì Santo: Vigilate, visto la parusia dello Sposo immortale (Mt 24,42)[217].

Il tropario 1° dell’ode 8°, riferendosi alla famosa parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13), esorta a gettare lontano da sé l’indolenza (ῥᾳθυμία) e con le lampade accese (φαιδραῖς ταῖς λαμπάσι) andare incontro tra gli inni al Cristo, Sposo immortale, acclamando il canto veterotestamentario dei tre fanciulli nella fornace “Benedite, opere, il Signore”, cioè attribuendo al Figlio di Dio il canto che nell’Antico Testamento si rivolge al Dio Padre[218]. La fonte ispiratrice di questo tropario sicuramente potrebbe trovarsi nella Orazione 40 di Gregorio Teologo, dove inoltre alla stessa idea dell’andare incontro allo Sposo, rintracciamo gli altri punti comuni[219]:

Gregorio Nazianzeno, Orazione 40,46: “… ἀπαντήσομεν τῷ νυμφίῳ φαιδραὶ καὶ παρθένοι ψυχαί, φαιδραῖς ταῖς λαμπάσι τῆς πίστεως, μήτε καθεύδουσαι διὰ ῥᾳθυμίαν …” – “… noi andremo incontro allo Sposo, noi, anime brillanti e virginali, con le splendenti lucerne della fede. Né le nostre anime dormiranno per pigrizia …”;

Diod. Mart. S., ode 8°, trop. 1°: “Ῥᾳθυμίαν ἄποθεν ἡμῶν βαλλώμεθα καὶ φαιδραῖς ταῖς λαμπάσι τῷ ἀθανάτῳ νυμφίῳ Χριστῷ ὕμνοις συναντήσωμεν …” – “Gettiamo lontano da noi l’indolenza, e con le lampade accese andiamo incontro tra gli inni al Cristo, Sposo immortale …”.

Con la frase «τὸ κοινωνικὸν ἔλαιον» (l’olio della generosità, della condivisione) nel tropario 2° dell’ode 8° si riprende l’interpretazione di Gregorio Teologo e di Crisostomo dell’olio nelle lampade delle vergini come le opere buone, l’elemosina, l’aiuto verso i bisognosi, ecc[220]. Dall’altra parte l’olio nei vasi del cuore fu interpretata da Macario (attivo dal 385 al 430) e da Crisostomo come la grazia dello Spirito che viene dall’alto (cfr. Gv 3,3)[221]. Siccome il prossimo tropario tratta della potenza di grazia ricevuta da Dio, si potrebbe supporre qualche richiamo anche a questa interpretazione.

Il tropario 3° dell’ode 8° esorta a moltiplicare il talento con l’aiuto di Cristo che lo ha dato, avendo ricevuto da Dio la potenza di grazia[222]. Questo approccio può rifarsi da Basilio di Cesarea che tratta la questione con i termini simili: il talento è il dono di Dio, che deve essere moltiplicato a beneficio e vantaggio di tutti con la grazia ricevuta da Dio[223]. Il talento viene interpretato come il dono di Dio (χάρισμα τοῦ Θεοῦ) anche da Giovanni Crisostomo[224]. Se prendiamo tutti i tre tropari dell’ode ottava[225] in generale, troviamo un’analogia con l’esortazione dell’Omelia 78 sul Vangelo di Matteo del Crisostomo:

Finché c’è tempo, diamoci da fare per la nostra salvezza, prendiamo l’olio per le lampade, mettiamo a frutto il talento. Se siamo pigri e viviamo quaggiù nell’inerzia, nessuno lassù avrà compassione di noi, per quanti lamenti faremo[226].

L’esortazione alla vigilanza, visto dell’incertezza del tempo della parusia, costituisce il culmine del diodio del Martedì Santo[227]. Infatti, il tropario 1° dell’ode 9° è composto dai due brani neotestamentari riferenti alla seconda venuta del Signore: Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà (Mt 24,42)[228] ed Ecco, io vengo presto e ho con me il mio salario per rendere a ciascuno secondo le sue opere (Ap 22,12)[229]. Così Cosma il Melodo prosegue con l’ammonimento alla vigilanza visto dell’avvicinamento del tempo improvviso della ricompensa[230]: Vigilate, perché non sapete in quale ora verrà il Signore per rendere a ciascuno il suo (γρηγορεῖτε … ᾗ γὰρ ὥρᾳ ἥξω ὁ κύριος, ἀγνοεῖτε, ἀποδοῦναι ἑκάστῳ)[231]. Notiamo che Cosma di Maiuma, come anche Giovanni Crisostomo, utilizzando la parola «ὥρᾳ» invece di «ἡμέρᾳ», citando Mt 24,42, segue qua la traduzione testuale bizantina del Nuovo Testamento (The Byzantine Textform), cioè il testo dominante nel mondo grecofono nei secoli IV-XVI[232]. Stimolando i seguaci di Cristo ad essere svegliati, sempre pronti, preparati come le vergini sagge tramite le opere delle virtù, Cosma aggiunge anche il motivo spaventevole, cioè il giudizio finale: verrà il Signore per rendere a ciascuno il suo (ἥξω ὁ κύριος … ἀποδοῦναι ἑκάστῳ)[233]. Secondo Crisostomo e Teodoreto di Cirro Dio minaccia con la vendetta per farci evitare la vendetta reale[234]. In questa linea il Melodo, per allentare la tensione, fra le miriadi dei nomi divini sceglie l’ἀγαθὸς (buono)[235],il termine riferente a Dio gia nella ricca tradizione platonica[236]. Nella considerevole tradizione patristica Dio è identificato con il summum bonum, questo concetto viene sfruttato da Clemente e Atanasio di Alessandria, Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa, ecc.[237] Il titolo ἀγαθὸς viene decisivamente rilevato tra tutti gli altri nomi divini nella tradizione areopagitica[238].

Il diodio del Martedì Santo si conclude con la breve preghiera, messa nel tropario 2° dell’ode 9°, che supplica il Sovrano Cristo di collocarci tra le pecore alla sua destra nel momento della sua seconda tremenda venuta, senza guardare alla moltitudine delle nostre colpe[239]. La preghiera è basata, ovviamente, sulla descrizione della parusia delineata in Mt 25,31-46, che segue immediatamente le parabole delle dieci vergini (Mt 25,1-13) e dei talenti (Mt 25,14-30). La venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, il Giudice escatologico, viene presentata in termini di separazione personale degli “uni dagli altri”. Anche Cosma ricorre qua alla metafora matteana del pastore che separa le pecore dai capri[240]. La chiave di tutto il brano è data dal duplice dialogo simmetrico. Il giudizio universale viene strutturato sul comandamento dell’amore verso il prossimo, che si manifesta particolarmente nelle opere di misericordia verso i più bisognosi[241]. Questo argomento facilmente si inquadra nel tema generale del diodio che esorta alla vigilanza tramite le opere delle virtù e tramite la moltiplica dei doni di Dio a beneficio di tutti[242]. Il concetto delle lampade accese con la misericordia verso il prossimo viene strettamente collegato con la responsabilità nel giudizio finale anche nelle opere di Giovanni Crisostomo:

Ma non sia mai che qualcuno debba udire quella parola: Non vi conosco (Mt 25,12). E quando può essere udita questa voce se non quando, dopo aver visto il povero, ci comportiamo con lui come se non lo avessimo visto? … Perciò vi prego, facciamo di tutto, mettiamo tutto in opera perché l’olio non ci manchi, ma possiamo rifornirne le nostre lampade ed entrare così con lo sposo nel talamo[243].

Per di più secondo Giovanni Crisostomo la durezza di cuore è radice del male e la misericordia è la radice di tutti i beni:

“Andate via, maledetti, nelle tenebre esteriori, preparate per il diavolo e per i suoi angeli” (Cfr. Mt 25,41; 25,30). Perché? Per quale motivo? “Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare” (Cfr. Mt 25,42) … “Per la disumanità vi condanno, perché avendo tanto grande ed importante farmaco della salvezza, la elemosina, con la quale si aboliscono tutti i peccati, avete trascurato tanto grande beneficio. Dunque, io rimprovero la disumanità come radice di cattiveria e di ogni empietà; io approvo l’amore per gli uomini come radice di tutti i beni”[244].

Così anche il diodio di Cosma il Melodo, collegando l’esortazione alla vigilanza tramite le opere della misericordia con la parabola escatologica della separazione delle pecore dai capri, va in piena armonia con l’approccio patristico tradizionale riguardo al concetto della vigilanza e del giudizio escatologico.

Nell’irmo dell’ode 8° la santità dei tre fanciulli nella fornace (Dn 3,57-88) viene espressa con il termine ὅσιος (pio, devoto, puro, innocente)[245], il quale nella Bibbia nei riguardi di Dio o di Cristo porta il significato del santo, giusto (p.es. Dt 32,4; Sal 144,17 LXX; Eb 7,26; Ap 15,4; 16,5) e nei riguardi degli uomini significa devoto, pio, giusto, gradito a Dio (Sal 11,2; 31,6 LXX; Pv 21,15)[246]. Secondo Clemente Alessandrino solo il vero “gnostico” pratica il culto del vero Dio in modo degno di Dio secondo la norma della Chiesa ed è santo (ὅσιος) e pio[247]. Nel De tribus pueris sermo attribuito al Crisostomo[248] si pone la domanda: Ma i fanciulli nella fornace, cantando “Benedite, santi (ὅσιοι) e umili di cuore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli” (Dn 3,87)[249], non comprendevano se stessi tra i santi (ὅσιοι)?[250] Così anche Cosma il Melodo attribuisce l’appellativo «ὅσιοι» ai tre fanciulli nella fornace: i tre santi fanciulli furono gettati nella fornace, dove confessavano Dio (οἱ ὅσιοι τρεῖς παῖδες … ἐν τῇ καμίνῳ βληθέντες θεὸν ὡμολόγουν)[251].

In periodo fino al V concilio ecumenico (Costantinopoli 553), contrassegnato dalle dispute cristologiche, si fissano in modo definitivo i due più antichi dogmi mariani: maternità divina e verginità perpetua di Maria[252]. Mentre nell’irmo 9° del triodio del Lunedì Santo Cosma riflette il dogma della Θεοτόκος[253], nell’irmo 9° del diodio del Martedì Santo il Melodo loda la Vergine tutta santa (παναγία Παρθένος), accennando al dogma della verginità di Maria affrontata dai Padri fin da inizi[254].

L’appellativo παναγία (tutta santa) riferito alla Vergine si trova nei testi liturgici bizantini dell’epoca di Cosma di Maiuma; lo testimonia il più celebre manoscritto dell’eucologio bizantino, il codice Barberini gr. 336 (VIII sec.)[255], il più antico testo liturgico in lingua greca pervenuto[256]. Le testimonianze patristiche sicure risalgono almeno alla fine del VI – inizio del VII sec.: l’espressione «ἡ παναγία Παρθένος» troviamo nel Sermo in ramos palmarum di Eulogio di Alessandria (+607-608) e nel Prato Spirituale di Giovanni Mosco (+620/634)[257].

Il mistero della Madre-Vergine l’irmo esprime tramite un’antitesi poetica concettuale della Vergine che ha accolto in grembo Dio che nulla può contenere (τὸν ἀχώρητον θεὸν ἐν γαστρὶ χωρήσασα)[258]. Questa espressione potrebbe essere ispirata probabilmente dalla riflessione su Maria di Epifanio di Salamina:

… perché grande è veramente Maria, la santa Vergine, al cospetto di Dio e degli uomini. E come non la diremo grande, lei che ha dato ricetto a Colui che non è contenuto in alcun luogo (χωρήσασαν τὸν ἀχώρητον), che cielo e terra non possono contenere? Ed Egli, che non è contenuto in alcun luogo, per propria scelta e benevolenza si è lasciato contenere, perché lo ha voluto, non per costrizione[259].

Dunque, il diodio del Martedì Santo, contemplando la parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13), la parabola dei talenti (Mt 25,14-30) e la descrizione escatologica del giudizio finale (Mt 25,31-46), esorta a vigilare visto la parusia dello Sposo immortale (Mt 24,42), per non essere privi del Regno a causa dell’indolenza e della mancanza della vigilanza[260].

3.3. Il Mercoledì Santo: Divinamente è operato il riscatto … mediante la confessione

Il triodio del Mercoledì Santo ci rileva i tre temi principali: la condanna a morte del nostro Liberatore da parte del sinedrio degli empi[261], il riscatto della donna ragionevole che ha versato l’unguento prezioso sul divino capo di Cristo[262], la cieca avarizia, il tradimento e la fine infausta di Giuda[263]. Il triodio è pieno delle antitesi concettuali, delle contrapposizioni drammatiche e dei contrasti intensi. Il sinedrio fondato proprio per amministrare la giustizia e la legge (νόμος) diventa l’orrendo consiglio degli empi (ἄνομοι), che contro la legge ha condannato ingiustamente il Giusto[264]. Dall’altra parte sta la donna, rea di molti peccati, la quale con lacrime lava i piedi del Creatore, e mediante la confessione, venne lavata dai suoi peccati (Mt 26,6-13)[265]. L’ingrato e perfidamente invidioso Giuda, invece, facendo dei conti sull’unguento prezioso, svende la grazia della divina amicizia (Gv 12,4-6, Mt 26,14-16)[266].

Bisogna sottolineare che i tropari dei poemi sia del Μartedì, sia del Mercoledì Santo, seguono fedelmente i temi evangelici della lettura nella Liturgia dei Presantificati[267]. Oltre gli avvenimenti evangelici dell’unzione a Betania (Mt 26,6-13) e del tradimento di Giuda (Mt 26,14-16), che fanno parte della lettura nella Liturgia dei Presantificati del Mercoledì Santo, il Melodo introduce nel triodio l’avvenimento accaduto nell’imminenza della Pasqua della congiura delle autorità giudaiche contro Gesù (Mt 26,1-5): Invano si riunisce il sinedrio degli empi con la malvagia intenzione di condannare il nostro liberatore (Ἐν κενοῖς τὸ συνέδριον τῶν ἀνόμων καὶ γνώμῃ συναθροίζεται κακοτρόπῳ, κατάκριτον τὸν ῥύστην σε ἀποφῆναι)[268]. Secondo la cronologia della crocifissione tramandata dai sinottici, il consiglio dei capi dei sacerdoti nel palazzo del sommo sacerdote Caifa aveva luogo due giorni prima di Pasqua, cioè proprio nel Mercoledì Santo: “voi sapete che fra due giorni è la Pasqua”(Mt 26,2)[269]. Cosma riprende uno dei temi principali sviluppati nel Vangelo secondo Matteo: un’enfasi polemica sulla responsabilità dei capi dei Giudei e dei loro sostenitori nelle sofferenze e nella morte di Gesù: Allora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo … tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire (Mt 26,3-4)[270]. Dunque, il Melodo rimprovera l’orrendo consiglio degli empi (τὸ δεινὸν βουλευτήριον τῶν ἀνόμων) di aver anima lottante contro Dio (θεομάχου ψυχῆς ὑπάρχον), di aver malvagia intenzione di condannare (γνώμῃ … κακοτρόπῳ, κατάκριτον … ἀποφῆναι) e di uccidere come molesto il Giusto (ὡς δύσχρηστον τὸν δίκαιον ἀποκτεῖναι)[271]. Dall’altra parte Cosma il Melodo, seguendo l’evangelista Matteo, sviluppa la cristologia, in particolare rilevando l’adempimento delle profezie, in questo caso tramite l’allusione ad Is 3,9-10 (LXX)[272]:

Is 3,9-10, LXX: “… βεβούλευνται βουλὴν πονηρὰν καθ᾽ ἑαυτῶν εἰπόντες Δήσωμεν τὸν δίκαιον, ὅτι δύσχρηστος ἡμῖν ἐστιν …” – “… essi presero consiglio malvagio contro sé stessi, dicendo: Leghiamo il giusto, perché egli ci è di molestia …”;

Triod. Merc. S., ode 3°, trop. 2°: “Τὸ δεινὸν βουλευτήριον τῶν ἀνόμων σκέπτεται … ὡς δύσχρηστον τὸν δίκαιον ἀποκτεῖναι …” – “L’orrendo consiglio degli empi … pensa di uccidere come molesto il giusto …”.

Con il termine «δύσχρηστος» (molesto) si introduce il “paradosso” concettuale di Cristo benefattore per eccellenza che fa udire i sordi e fa parlare i muti (Mc 7,37)[273], ma diventa molesto agli scribi e farisei a causa dei rimproveri della vanità ed ipocrisia proprio conformemente a Sp 2,12-13: “Tendiamo insidie al giusto, perché ci è molesto, si oppone alle nostre azioni, ci rinfaccia le trasgressioni della legge e ci rimprovera le trasgressioni contro la nostra educazione”[274]. Il titolo «δίκαιος» (il giusto) collega Cristo-Messia con la figura profetica del Servo sofferente, così detto dal profeta Deutero-Isaia, l’evangelista veterotestamentario della passione, morte, sepoltura e risurrezione di Gesù Cristo[275]. Lo stesso Gesù ha definito il suo messianismo in riferimento a questo titolo di Servo. Gesù infatti prevede che l’opposizione crescente dei capi gli riserva il destino del Servo, la morte messianica. Nella predizione della sua passione ci sono le allusioni chiare al canto del Servo[276]. Questa interpretazione della morte di Gesù, e anche della sua vita, umiliata, alla luce di Is 53 fu comune nel cristianesimo primitivo: basta citare come testimonianza i discorsi di Pietro negli Atti (3,13; 3,26; 4,25-30) e il racconto della conversione dell’eunuco etiopico (At 8,26ss)[277]. Il ricorso all’Antico Testamento in cristologia è giustificato da Gesù stesso, il quale si è richiamato più volte alla Scrittura per illustrare la sua persona; l’episodio della sinagoga di Nazaret, riportato da san Luca, è significativo al riguardo[278]. L’interpretazione cristologica neotestamentaria della missione e del mistero pasquale di Gesù Cristo compresi alla luce dell’ebed JHWH isaiano è seguita rettamente dai Padri[279]. Per quanto riguarda il titolo «δίκαιος» (il giusto) riferito a Cristo e collegato con la figura del Servo sofferente isaiano, Teodoreto di Cirro dice nel suo commento su Is 57,1:

“Guardate come il giusto muore e nessuno vi pone mente” (Is 57,1). Qui egli ha annunciato in anticipo la croce del Maestro, perché il nostro Signore Cristo è chiamato “giusto”, che “non aveva commesso peccato, né si era trovata frode nella sua bocca” (Is 53,9). Significa che ha anche annunciato la durezza di cuore di chi lo ha crocifisso: nessuno di loro, ha detto, era disposto a prendere in considerazione il punto d’accusa[280].

Vale la pena di presumere a proposito di questo tropario anche l’eventuale allusione all’oracolo contro Israele compreso nel senso messianico di Am 2,6 (ἀνθ᾽ ὧν ἀπέδοντο ἀργυρίου δίκαιον – perché hanno venduto il giusto per argento)[281]. È non da tralasciare anche il confronto di questo tropario con il discorso di Pietro nel tempio di At 3,11-26, il quale adopera il doppio appellativo del santo e del giusto in riferimento a Cristo, utilizzato gia nel veterotestamentario cantico di Anna in 1Sm 2,2 riguardo a Dio. Dice, infatti, Pietro davanti al popolo d’Israele: “voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto” [282].

Nel primo tropario dell’ode 3°, invece, Cristo viene chiamato con il titolo soteriologico ῥύστης (Liberatore), più volte applicato a Dio nei Salmi, appellandosi alla fedeltà di Dio e al suo intervento salvifico[283]. Cristo è la libertà in persona e procura la libertà, in quanto il suo trionfo personale comporta la comunicazione agli uomini della libertà, da lui conquistata per noi. Se redenzione significa fondamentalmente affrancamento dalla schiavitù del peccato, liberazione indica potenzialità e speranza in una nuova condizione, e riguarda sia la componente individuale che quella collettiva dell’umanità[284].

Il concetto espresso nella frase «θεομάχου ψυχῆς ὑπάρχον» (la cui anima lotta contro Dio) potrebbe alludere al discorso di Gamaliele di At 5,39: «μήποτε καὶ θεομάχοι εὑρεθῆτε» (Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio)[285].

Il Vangelo secondo Matteo presenta una serie di esempi morali, prima di tutto quello di Gesù, ma anche di Pietro e di Giuda, delle donne, degli altri discepoli, e dei soldati pagani[286]. Anche Cosma il Melodo seguendo Matteo secondo lo stile e contenuto dedica i tropari delle odi 8° e 9° per descrivere poeticamente l’antitesi tremenda di salvezza della meretrice tramite la penitenza espressa nella fonte delle lacrime e nel prezioso unguento da una parte, e la caduta orrenda del traditore Giuda che scambia con l’oro la sua famigliarità con Cristo e svende la grazia della divina amicizia dall’altra parte[287]. La fonte ispiratrice di questa contrapposizione drammatica potrebbe trovarsi nelle omelie di Giovanni Crisostomo, De proditione Judae, pronunciate nel giorno del Giovedì Santo:

E quando la meretrice si è pentita, quando essa ha conosciuto il Sovrano, in quel tempo il discepolo tradì il Maestro … E mentre quella proprio dal fondo della cattiveria salì proprio al cielo, questo dopo i miriadi miracoli e segni, dopo tanto grande insegnamento, dopo l’ineffabile condiscendenza, cadde proprio sul fondo dell’inferno[288]. Hai visto come la meretrice fu salvata perché ha lavato (i piedi di Gesù), il discepolo, invece, essendo negligente cadde?[289] Hai entrambi gli esempi, come il discepolo sembrando fermo, cadde, e come la meretrice caduta, si alzò[290].

Il racconto dell’unzione figura in tutti quattro Vangeli (Mt 26,6-13; Mc 14,3-9; Lc 7,36-50; Gv 12,1-8), ed è improbabile che un simile episodio sia accaduto più di una volta. È l’unica azione a cui nel vangelo viene garantito un ricordo perenne e universale. Secondo i vangeli di Mt e di Mc, la donna non è né nominata né identificata come una peccatrice, Gv la identifica come Maria, sorella di Marta. Tutti tre Vangeli situano l’evento nell’imminenza della passione, e Gesù riferisce questo atto in vista alla sua morte e sepoltura. Solo Lc, invece, lo colloca nel primo periodo del ministero di Gesù e identifica la donna con una peccatrice[291]. Mt e Mc raccontano del versamento del profumo sul capo di Gesù, ciò corrisponde al costume antico profumarsi abbondantemente la testa durante i banchetti; Lc e Gv, invece, dicono che la donna unge di profumo i piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli; Lc aggiunge che essa bagnava i piedi di Gesù di lacrime, li baciava[292].

Cosma riunisce armoniosamente tutti quattro racconti evangelici dell’unzione presentandole nei tre tropari dell’ode 8° del triodio di Mercoledì Santo[293]. Il Melodo inizia seguendo la narrazione di Mt e Mc, sostituendo poeticamente il verbo καταχέω (versare, spargere) con il verbo più espressivo ἀποκενόω (vuotare completamente, esaurire) e il sostantivo κεφαλή (capo, testa) con il sostantivo più figurativo κορυφή (sommità del capo), arricchendolo con gli aggettivi δεσποτική, θεῖα, φρικτή (divino, tremendo capo sovrano)[294]. Poi subito lo stesso tropario prosegue con l’immagine lucana di una peccatrice che strinse con le sue mani impure i piedi immacolati di Cristo[295]. Anche se i Padri a volte qualificano la peccatrice (ἡ ἁμαρτωλός) di Lc 7,37 come πόρνη (prostituta, meretrice)[296], Cosma il Melodo rimane fedele alla presentazione biblica, secondo cui non c’è nessuna prova decisiva per dire che questa donna fosse una prostituta[297].

I prossimi due tropari sviluppano la rappresentazione lucana prospettandola nella chiave soteriologica e sacramentale[298]. Innanzitutto si mette in evidenza il fatto soteriologico che questa rea di molti peccati (ὑπεύθυνος ἁμαρτίαις) per mezzo delle lacrime ottiene la remissione delle colpe commesse nella sua vita (τῶν ἐν βίῳ … πεπραγμένων τῆς ἀπολυτρώσεως)[299]. Poi, dalla frase “divinamente è operato il riscatto … mediante la confessione” (Ἱερουργεῖτο τὸ λύτρον … διὰ τῆς ἐξαγορεύσεως) si potrebbe giungere alla comprensione sacramentale del contenuto di questo tropario[300]. Infatti, con il verbo ἱερουργέω (compiere riti sacri, celebrare) entriamo nella sfera del sacrum, e con i sostantivi λύτρον (riscatto) ed ἐξαγόρευσις (confessione) siamo nel contesto del Sacramento di penitenza[301]. Anche se la penitenza sacramentale in mondo bizantino di solito viene espressa con il termine ἐξομολόγησις (confessione)[302], non di rado durante l’epoca patristica troviamo il concetto della confessione cristiana dichiarato con il termine ἐξαγόρευσις (confessione)[303]. Commentando il brano lucano della peccatrice pentita (Lc 7,36-50) nella chiave di penitenza sacramentale, Giovanni Crisostomo ed Asterio di Amasea ricorrono al termine ἐξομολόγησις (confessione)[304]. Cosma il Melodo, anche se con l’altro termine (ἐξαγόρευσις – confessione), rileva l’esempio salvifico della donna riconoscente (ἡ γυνὴ εὐγνώμων), che, per mezzo della salvifica disposizione d’animo e della fonte delle lacrime, ha sentito dal Signore «ἀφέωνταί σου αἱ ἁμαρτίαι» – “I tuoi peccati sono perdonati” (Lc 7,48); così il Melodo esorta i fedeli al sistema penitenziale del suo tempo in cui la confessione avrebbe un posto preponderante con le pene (ἐπιτίμια) determinate in conformità ai canoni penitenziali conciliari[305].

In Asterio di Amasea troviamo un altro concetto che eventualmente potrebbe influire la poesia di Cosma: la peccatrice non arrossiva di vergogna di molti ospiti (οὔτε τὸ πλῆθος τῶν ἑστιωμένων ἠρυθρίασεν)[306]. Anche se Cosma il Melodo si esprime con il verbo καταισχύνω (provare vergogna), trasmette, tuttavia, lo stesso significato: la donna riconoscente non arrossiva (οὐ κατῃσχύνετο)[307].

I tropari dell’ode 9°, pungenti e contemporaneamente pieni di dolore, esprimono del tutto una antitesi concettuale rispetto ai tropari commoventi dell’ode precedente: l’esempio salvifico della donna riconoscente si scambia con la figura brutta di Giuda, ingrato traditore ed avido amante del denaro[308]. Il poeta, esprimendo lo sdegno contro gli peccati oscuri dell’ingratitudine, del tradimento e della cieca avarizia, conclude ogni tropario con la preghiera ispirata dal profeta Gioele (2,17), rivolta, però, a Cristo Dio: «φεῖσαι τῶν ψυχῶν ἡμῶν, Χριστὲ ὁ θεὸς, καὶ σῶσον ἡμᾶς» (Risparmia, o Cristo Dio, le anime nostre, e salvaci)[309]. Seguendo la struttura dei vangeli Cosma il Melodo innanzitutto tratta l’episodio della disapprovazione dello “spreco”. In Mt-Mc non si fa il nome di Giuda per designare la persona che critica lo “spreco”, Gv invece non si limita ad identificare l’autore della critica, aggiunge anche il motivo dell’ipocrisia[310]. In ogni tropario dell’ode 9° il traditore Giuda viene rimproverato dell’amore per il denaro (φιλαργυρία). Il primo tropario allude all’antitesi, espressa gia nei vangeli, della grande preziosità dell’unguento offerto dalla donna, che Giuda stesso fa il conto dei trecento denari (Gv 12,5), ed i trenta monete d’argento(Mt 26,15) con i quali il traditore svende la grazia della divina amicizia[311]. Il secondo tropario con la citazione del Mt 26,15 parafrasata (τί μοι δοῦναι θέλετε; κἀγὼ Χριστὸν ἡμῖν τὸν ζητούμενον τοῖς θέλουσι παραδώσω – Che volete darmi perché io vi consegni il Cristo che volete, il ricercato?) mette in rilievo la libera iniziativa presa da Giuda, ancora una volta rimproverandolo dell’amore per il denaro: Così Giuda scambia con l’oro la sua famigliarità con Cristo (οἰκειότητα Χριστοῦ Ἰούδας ἀντωσάμενος χρυσοῦ)[312]. L’idea della libera iniziativa del traditore potrebbe essere influenzata dall’omelia I De proditione Judae di Giovanni Crisostomo:

… egli, infatti, non essendo chiamato dai sommi sacerdoti, non essendo costretto né forzato, ma lui stesso da sé stesso e dalla propria iniziativa ha prodotto l’insidia ed ha realizzato questa intenzione, non avendo nessuno consigliere di questa azione malvagia [313].

Anche Massimo il Confessore insiste sul libero arbitrio del tradimento: “… sforziamoci di non consegnare il Verbo alle passioni, come Giuda … il tradimento è un peccato deliberato in atto e il sforzo verso al peccato”[314].

Il terzo tropario inizia con l’esclamazione O cieca avarizia! (Ὤ πηρωτικῆς φιλαργυρίας), definendo Giuda con il termine ἄσπονδος(uomo senza pietà, implacabile), continua tuttavia con compassione della sorte infausta di Giuda che ha dimenticato l’insegnamento salvifico di Cristo (Mc 8,36-37; Mt 16,26) che nemmeno il mondo intero vale quanto l’anima (ὅτι ψυχῆς οὐδ’ ὃς ἰσοστάσιος κόσμος)[315]. La fonte ispiratrice dei pensieri esposti in questo tropario di nuovo potremmo trovare nelle omelie di Giovanni Crisostomo, De proditione Judae, pronunciate nel giorno del Giovedì Santo:

“Che follia! O piuttosto che avarizia (φιλαργυρία)! Perché proprio l’avarizia ha prodotto tutti i mali; desiderando il denaro, egli ha tradito il Maestro. Tale è radice di questo male, essa è peggiore del demonio, essa eccita a furore anime da lei conquistate e rende loro ignoranti riguardo a tutti, sia riguardo a sé stessi, sia riguardo al prossimo, è pure riguardo alle leggi della natura; essa li fa perdere il senno e li fa insani. Guarda quanto essa ha gettato fuori dall’anima di Giuda: l’amicizia, familiarità, la partecipazione al pasto comune, i miracoli, l’insegnamento, il consiglio, l’ammonimento – tutto questo allora l’avarizia ha messo in oblio”[316].

Il punto comune evidente qua tra il Crisostomo e Cosma è l’oblio (ἡ λήθη) dell’insegnamento del Maestro da parte di Giuda: “Come sei giunto a dimenticare … come ti è stato insegnato” (λήθης ὅθεν ἔτυχες … ὡς ἐδιδάχθης)[317].

Cosma il Melodo ritiene necessario di sottolineare che il movente del suicidio di Giuda consiste nella disperazione (ἀπόγνωσις), in quanto l’insegnamento cristiano sempre insisteva che non c’è nessuna azione malvagia che non può essere sciolta per mezzo della penitenza[318]. Dice, infatti, Asterio di Amasea:

Penso che anche Giuda Iscariota, se forse non sia diventato lui stesso il boia per sé stesso, ritenendo il suo peccato come imperdonabile, ma prostrandosi pregò la pietà, non avrebbe rimasto senza le misericordie versate su tutto il mondo[319].

L’irmo dell’ode 3° presenta una parafrasi rielaborata dei due primi versi del veterotestamentario cantico di Anna, madre di Samuele (1Sm 2,1-2)[320]:

1Sm 2,1-2: “Ἐστερεώθη ἡ καρδία μου ἐν κυρίῳ, ὑψώθη κέρας μου ἐν θεῷ μου· ἐπλατύνθη ἐπὶ ἐχθροὺς τὸ στόμα μου, εὐφράνθην ἐν σωτηρίᾳ σου. ὅτι οὐκ ἔστιν ἅγιος ὡς κύριος, καὶ οὐκ ἔστιν δίκαιος ὡς ὁ θεὸς ἡμῶν· οὐκ ἔστιν ἅγιος πλὴν σοῦ” – “Il cuore mio si è confermato nel Signore, e la mia fronte si è eretta nel mio Dio; la mia bocca si è dilatata contro i nemici e mi sono rallegrata nella tua salvezza; poiché non c’è santo come il Signore, né v’è giusto come il Dio nostro, non v’è santo all’infuori di te”;

Triod. Merc. S., ode 3°, irmo: “Τῆς πίστεως ἐν πέτρᾳ με στερεώσας ἐπλάτυνας τὸ στόμα μου ἐπ’ ἐχθρούς μου· εὐφράνθη δὲ τὸ πνεῦμά μου ἐν τῷ ψάλλειν· οὐκ ἔστιν ἅγιος ὡς ὁ θεὸς ἡμῶν, καὶ οὐκ ἔστι δίκαιος πλήν σου, κύριε” – “Confermandomi sulla pietra della fede, hai dilatato la mia bocca contro i miei nemici; si è rallegrato il mio spirito nel salmeggiare: Non c’è santo come il nostro Dio, non c’è giusto all’infuori di te, Signore”.

Alcuni punti del cantico veterotestamentario, tuttavia, vengono non solo parafrasati, ma anche modificati per motivo non solo delle esigenze poetiche, ma anche per ragione ideologica. Mentre nel cantico biblico il cuore di Anna si è confermato nel Signore, la sua fronte si è eretta nel Dio, perché lei gioisce per la salvezza dall’afflizione della sterilità, l’irmo tratta della stabilità nella fede (τῆς πίστεως ἐν πέτρᾳ με στερεώσας) e del rallegramento di poter salmeggiare (εὐφράνθη δὲ τὸ πνεῦμά μου ἐν τῷ ψάλλειν)[321]. Questi punti inseriti da Cosma nel testo biblico parafrasato di 1Sm 2,1-2, si può spiegare partendo dal contesto storico-politico in cui l’autore è vissuto. Occorreva, infatti, pregare Dio per la stabilità della fede nella situazione sfavorevole ai cristiani causata dalla politica del califfo di Damasco al-Walid (705-715) e dei suoi successori[322]. Il Melodo, grato a Dio per poter permanere nella fede cristiana, esprime la gioia di poter salmeggiare, cioè di poter continuare ad essere cristiano. L’espressione “hai dilatato la mia bocca contro i miei nemici”, probabilmente, potrebbe essere riferita non solo ai nemici spirituali[323], ma anche agli opponenti religiosi con cui in quel tempo si tenevano dibattiti teologici[324]. Dall’altra parte, la bocca di un melodo viene dilatata per poter cantare gli inni sacri da lui composti in lode di Dio[325].

L’espressione “sulla pietra della fede” (τῆς πίστεως ἐν πέτρᾳ) potrebbe essere suggerita o dal Sal 60,3 (ἐν πέτρᾳ ὕψωσάς με)[326], oppure da 1Sm 2,2 (non c’è roccia come il nostro Dio)[327] secondo il testo masoretico[328]. Il ritornello finale (l’efimnio) di ogni strofa dell’ode 3° “e non c’è santo all’infuori di te, o Signore” (καὶ οὐκ ἔστιν ἅγιος πλήν σου, κύριε)[329], mentre nell’irmo, come nel cantico di Anna (1Sm 2,2), si riferisce a Dio, nei tropari, rafforzato con “tu sei il nostro Dio”, si riferisce a Cristo: Tu sei il nostro Dio, e non c’è santo all’infuori di te, o Signore[330]. Cosma il Melodo nei suoi poemi spesso procede con riferimento a Cristo delle esaltazioni veterotestamentarie sottolineando in questo modo la divinità del Figlio e l’uguaglianza con il Padre. Nell’ode 3° del triodio del Mercoledì Santo il Melodo esprime questo dogma in modo diretto ed esplicito: o Cristo … tu sei il nostro Dio, e non c’è santo all’infuori di te[331].

L’irmo dell’ode 8° presenta una elaborazione poetica di Dn 3,19, ponendo l’accento sulla fornace infuocata sette volte tanto (ἑπταπλασίως κάμινος ἐξεκαύθη) in cui, tuttavia, non furono arsi i fanciulli che avevano calpestato il comando del re[332].

L’irmo dell’ode 9° ci esorta di venire e con anime pure e labbra senza macchia magnificare l’immacolata e purissima Madre dell’Emmanuele, offrendo per mezzo di lei la supplica a Cristo Dio[333]. La Madonna viene chiamata la Madre dell’Emmanuele (μητέρα τοῦ Ἐμμανουὴλ) in riferimento ai testi del cosiddetto ciclo dell’Emmanuele (Is 7,10-17; 9,1-6; 11,1-9) redatti alla fine del sec. VIII a.C. Dio stesso interverrà dando un segno mediante la nascita da una Vergine dell’Emmanuele, cioè del “Dio è con noi” (Is 7,14). Questo re ideale inaugurerà l’era della felicità paradisiaca. L’adempimento di questa promessa si ha nella concezione verginale di Gesù (Mt 1,22s)[334]. La Vergine è chiamata con appellativi immacolata e purissima (ἀκηλίδωτος καὶ ὑπέραγνος), che testimoniano lo stato della dottrina mariologica nell’VIII sec.[335] Il termine ἀκηλίδωτος (priva di macchia, immacolata) riferito alla Madonna troviamo nel trattato del VII sec. attribuito a Cirillo di Alessandria De Sancta Trinitate[336], il concetto, però, si rintraccia gia in un inno di Efrem: Tu solo e tua madre siete belli sotto tutti i punti di vista; in te non c’è peccato alcuno e nessuna macchia in tua madre[337]. La supplica a Cristo per mezzo della Madonna espressa tramite il termine πρεσβεία (intercessione) ritroviamo nei sermoni del V sec.[338] Invitando a magnificare la Immacolata e Purissima, Cosma esorta anche noi di essere con anime pure e labbra senza macchia (ψυχαῖς καθαραῖς καὶ ἀρρυπάντοις χείλεσι)[339]. Armoniosamente aderendo alla tradizione ascetica dei Padri, il Melodo ci fornisce l’insegnamento morale affinché noi manteniamo la nostra mente lontano dai pensieri peccaminosi e purifichiamo i nostri cuori da ogni peccato; questa direzione è già indicata nelle Omelie spirituali di Macario:

Tuttavia vi sono alcuni che dicono: “Agli uomini il Signore richiede soltanto frutti visibili; ciò che è nascosto Dio stesso lo conduce a buon fine”. Non è così, ma come dobbiamo rendere saldo l’uomo esteriore, così è necessario sostenere lotta e guerra anche riguardo ai pensieri. Il Signore ti chiede di adirarti con te stesso e di muovere guerra con il tuo cuore, di non accondiscendere ai pensieri malvagi e di non compiacerti in essi[340].

Lo stesso principio è riassunto da Gregorio Teologo: “… per prima cosa bisogna purificare se stessi, e poi occuparsi di Colui che è puro”[341]. Così anche secondo Massimo il Confessore: “La mente perde la libera familiarità con Dio, allorquando diviene compagna di pensieri malvagi ed impuri”[342].

Dunque, il triodio per il Mercoledì Santo, una grande opera poetica con il contenuto teologico profondo, per mezzo delle antitesi concettuali, delle contrapposizioni drammatiche e dei contrasti intensi, contempla gli avvenimenti accaduti nell’imminenza della Pasqua: la condanna a morte del nostro Liberatore da parte del sinedrio degli empi, il riscatto della donna ragionevole che ha versato l’unguento prezioso sul divino capo di Cristo, la cieca avarizia, il tradimento e la fine infausta di Giuda[343].

3.4. Il Giovedì Santo: Egli stesso la Pasqua ha offerto se stesso

Continuando a seguire la struttura del vangelo secondo Matteo il canone del Giovedì Santo narra poeticamente l’Ultima Cena del Signore (Mt 26,17-29), che nei sinottici è una cena pasquale; dunque, il canone tratta l’istituzione dell’Eucaristia (Mt 26,26-29), la scena della lavanda dei piedi (Gv 13,1-15) e l’annuncio del tradimento (Mt 26,20-25)[344]. In modo sorprendente Cosma il Melodo con l’ode 1° inaugura il discorso eucaristico con l’esegesi magnifica e assai ricca dell’invito al banchetto della Sapienza (Pv 9,1-6), uno dei testi sapienziali veterotestamentari, interpretati dai Padri nella chiave eucaristica dell’Ultima Cena: la vera Sapienza di Dio prepara la mensa (ἑτοιμάζει τράπεζαν … ἡ ὄντως σοφία θεοῦ)[345].

Il primo tropario, tramite l’attribuzione alla Sapienza di Dio (σοφία τοῦ θεοῦ) delle perfezioni divine: della causa universale (πανταιτία), dell’elargizione di vita (παρεκτικὴ ζωῆς) e dell’infinito (ἄπειρος), proclama la sua partecipazione alla natura divina (cfr. Pv 8,22-26) e la identifica con Cristo Logos. Il Melodo manifesta questa identificazione in modo esplicito: la Sapienza di Dio … si è costruita la casa da Madre pura ignara d’uomo: rivestito infatti del tempio del suo corpo (ἡ σοφία τοῦ θεοῦ ᾠκοδόμησε τὸν οἶκον ἑαυτῆς ἁγνῆς ἐξ ἀπειράνδρου μητρός· ναὸν γὰρ σωματικὸν περιθέμενος)[346]; Cosma aderisce qua, ovviamente, all’esegesi di Gregorio Nisseno:

Noi affermiamo, dunque, che Salomone, dopo aver detto nel testo precedente che “la Sapienza edificò per sé la sua dimora” accenna con queste parole all’edificazione della carne del Signore, ché la vera Sapienza non abitò in una dimora a lei estranea, ma da un corpo verginale costruì per sé la sua casa. Ma a questo punto Salomone propone con le sue parole quella realtà resa unica, che fu formata da entrambe le cose, intendo dire, dalla casa e dalla Sapienza che edificò per sé la casa, e cioè quella che proviene dall’elemento umano e dalla natura divina congiuntasi all’uomo[347].

Esaminando questa interpretazione esegetica di Pv 9,1, bisogna osservare infatti i punti comuni fra Gregorio di Nissa e Cosma di Maiuma. Anzitutto la casa della Sapienza viene intesa da ambedue gli esegeti come la carne del Signore. Gregorio si esprime con la frase: «τὴν τῆς σαρκὸς τοῦ κυρίου κατασκευὴν» (l’edificazione della carne del Signore), richiamandosi con il termine «κατασκευή» al Prologo di Gv 1,14: «ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν» (il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi)[348]. Cosma tratta in modo simile della Sapienza che si è costruita la casa … rivestito del tempio del suo corpo (ἡ σοφία ᾠκοδόμησε τὸν οἶκον … ναὸν γὰρ σωματικὸν περιθέμενος), ricorrendo, però, a Gv 2,21: «ἔλεγεν περὶ τοῦ ναοῦ τοῦ σώματος αὐτοῦ» (egli parlava del tempio del suo corpo)[349]. Il secondo punto comune tra Gregorio e Cosma è il ricorso alla simile mariologia; dice, infatti, il Nisseno che la Sapienza … da un corpo verginale costruì per sé la sua casa (ἡ σοφία … ἑαυτῇ τὸ οἰκητήριον ἐκ τοῦ παρθενικοῦ σώματος ἐδομήσατο),il Melodo si esprime in modo più figurativo: la Sapienza … si è costruita la casa da Madre pura ignara d’uomo (ἡ σοφία ᾠκοδόμησε τὸν οἶκον ἑαυτῆς ἁγνῆς ἐξ ἀπειράνδρου μητρός), adoperando l’appellativo ἀπείρανδρος (ignara d’uomo) impiegato gia dai melodi anteriori: da Romano il Melodo e da Sofronio di Gerusalemme[350]. Sul tempio assunto dalla santa Vergine Madre di Dio in modo simile tratta anche la Formula di unione del 433: … e per questo concepimento [il Dio Logos] ha unito a sé il tempio che ha assunto da lei [dalla Madre di Dio][351].

Il secondo tropario dell’ode 1° con il termine μυσταγωγέω ci fa entrare nella sfera sacramentale; infatti, in uso cristiano questo termine può avere fondamentalmente i due significati: istruire sui misteri divini, p.es. in Clemente Alessandrino, e compiere riti sacri, p.es. in Cirillo di Alessandria[352]. Anche se Cosma, ovviamente, usa il termine μυσταγωγέω nel primo significato (μυσταγωγοῦσα φίλους ἑαυτῆς – iniziando i suoi amici ai misteri), tenendo conto, però, dell’interpretazione nella chiave eucaristica di Pv 9,2 (ἡ σοφία ἑτοιμάζει τράπεζαν – la Sapienza prepara la mensa), si sottintende anche il secondo significato, cioè quello del Sacramento dell’Eucaristia fondata nell’Ultima Cena[353]. Per di più l’espressione poetica il calice dell’ambrosia per i fedeli (ἀμβροσίας … κρατῆρα πιστοῖς), cioè il calice dell’immortalità, facendo riferimento a Gv 6,54, indica l’Eucaristia come un Sacramento escatologico: il possesso di Cristo è la caparra della vita eterna nella risurrezione, perché nell’Eucaristia il cristiano partecipa alla vita di Dio stesso[354]. Per far evidente il grande valore dell’Eucaristia, la mensa preparata dalla vera Sapienza di Dio (ἡ ὄντως σοφία θεοῦ) viene chiamata ψυχοτρόφον (che nutre le anime), ciò potrebbe alludere ad un passo dell’omelia XII di Basilio Magno dove si tratta dell’utilità della mensa preparata dalla Sapienza di Pv 9,2: “Poi indicando la sua utilità comune, e che la sua utilità si emette parimenti a tutti … e con il Calice egli intende la comune a tutto il popolo partecipazione dei beni”[355].

Il terzo tropario dell’ode 1° presenta una esegesi nella chiave eucaristica di Pv 9,3: la Sapienza ha mandato i suoi servi chiamando ad alta voce e gridando dai luoghi più elevati della città[356]. Il Melodo, avendo adattato la frase «συγκαλούσα μετὰ ὑψηλοῦ κηρύγματος» (chiamando ad alta voce) di Pv 9,3 alle esigenze poetiche, trasformandola a «συγκαλουμένης ὑψηλῷ κηρύγματι» (convoca con alto proclama), esorta tutti i fedeli ad ascoltare la Sapienza di Dio. È interessante, che Cristo-Sapienza ci invita proprio con il Sal 33,9 (LXX): γεύσασθε καὶ ἴδετε ὅτι χρηστὸς ὁ κύριος (Gustate e vedete com’è buono il Signore), che già nel IV sec., secondo la testimonianza di Cirillo di Gerusalemme, fu cantato durante la liturgia eucaristica come l’inno d’invito alla comunione (κοινωνικὸν)[357]. Cosma il Melodo modifica questo Sal 33,9 in direzione cristologica, così Cristo-Sapienza proclama: «Γεύσασθε, καὶ γνόντες, χρηστὸς ἐγὼ …» (Gustate!, e comprendendo che io sono buono …). Per sottolineare il ricorso alla cristologia sapienziale, il Melodo attribuisce alla Sapienza gli appellativi ἄκτιστος καὶ ἔμφυτος (increata ed innata), indicando alla sua partecipazione alla natura divina, riferendola alla sfera divina dell’increato[358]. Infatti, il passo scritturistico «κύριος ἔκτισέν με» (il Signore mi creò) di Pv 8,22 fu causa di serie difficoltà con gli ariani, i quali usavano questo testo per sostenere la natura creata del Logos[359]. La posizione nicena del Logos-Sapienza generato non creato (γεννηθέντα οὐ ποιηθέντα) fu fortemente difesa dai Padri cappadoci; fra l’altro Basilio Magno e Gregorio Nisseno hanno proposto rivolgersi al testo ebraico che presenta il verbo qānâ con il significato di acquistare, in questo caso, acquistare per via della nascita[360]. Cosma il Melodo, ovviamente, difende la posizione ortodossa del Logos-Sapienza non creato, ma nato dal Dio Padre: Ἀκουτισθῶμεν … τῆς ἀκτίστου καὶ ἐμφύτου σοφίας θεοῦ (ascoltiamo … la Sapienza di Dio, increata e della sua stessa natura)[361].

L’irmo ed i tropari dell’ode 3° da una parte ancora alludono all’esegesi nella chiave eucaristica di Pv 9,5 (mangiate il mio pane, bevete il vino), dall’altra parte si passa chiaramente agli eventi dell’Ultima Cena con l’istituzione dell’Eucaristia (Mt 26,26-29) e con la predizione del traditore (Mt 26,20-25)[362]. Infatti, l’irmo presenta le parole di Gesù: φάγετε τὸ σῶμά μου (Mangiate il mio corpo), il primo tropario: πίετε τὸ αἷμά μου (Bevete il mio sangue), il secondo tropario: ἐν ἐμοὶ μείνατε (voi rimanete in me), ricorrendo al discorso di Gesù della vera vite (Gv 15,4) detto durante l’Ultima Cena secondo Giovanni[363]. Visto che l’irmo dell’ode 3° di regola viene formato sulla base del cantico di Anna (1Sm 2,1-10), l’efimnio dell’ode 3° καὶ πίστει στερεωθήσεσθε (e sarete confermati nella fede) prende lo spunto dal verbo στερεόω (confermare) di 1Sm 2,1, ed esorta i fedeli ad essere confermati nella fede cristiana nonostante le circostanze politiche del tempo non favorevoli ai cristiani[364].

Ispirato dall’antitesi cristologica della misteriosa katabasis espressa in 2Cor 8,9 (il Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero), Cosma il Melodo compone un inno magnifico e pieno del contenuto teologico: Signore di tutto e Dio Creatore, l’impassibile si è fatto povero e ha unito a sé la creatura (Κύριος ὢν πάντων καὶ κτίστης θεὸς τὸ κτιστὸν ὁ ἀπαθὴς πτωχεύσας σεαυτῷ ἥνωσας)[365]. Con il passo di 2Cor 8,9 Paolo accenna brevemente al modo e al significato della redenzione dell’inno cristologico di Fil 2,5-11. In quanto Figlio, Gesù era ricco, perché uguale al Padre, e perché possedeva la pienezza della divinità (cfr. Col 2,9: È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità); assunse però una natura umana – divenendo in tal modo una parte di questo mondo di debolezza e di morte – affinché quelli che credono in lui potessero essere arricchiti di ricchezze che sorpassano tutte le ricchezze di questa terra[366]. Per cantare questa kénosis straordinaria, che si articola nella preesistenza e la spoliazione volontaria, Cosma il Melodo adopera le antitesi concettuali: Dio Creatore – ha unito a sé la creatura (κτίστης θεὸς – τὸ κτιστὸν … σεαυτῷ ἥνωσας), Signore di tutto – si è fatto povero (Κύριος ὢν πάντων – πτωχεύσας), l’impassibile – si è fatto povero (ὁ ἀπαθὴς – πτωχεύσας)[367]. Per di più il Melodo riesce ad inserire in questo luogo anche la cristologia paolina del Cristo-Pasqua; ispirato da 1Cor 5,7 (E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! – καὶ γὰρ τὸ πάσχα ἡμῶν ἐτύθη Χριστός) il poeta proclama: è egli stesso la pasqua, ha offerto se stesso a quelli per i quali stava per morire (τὸ πάσχα οἷς ἔμελλες θανεῖν αὐτὸς ὢν σεαυτὸν προετίθης)[368]. Paolo considera la morte di Cristo come sacrificio che egli sopportò per gli uomini. Proprio a questa nozione sacrificale si allude anche in 1Cor 5,7: Cristo come agnello pasquale[369]. La Chiesa si trova in un’ininterrotta festività pasquale, perché Cristo con la sua morte e risurrezione ha attuato la salvezza prefigurata nell’Esodo. Paolo vede nell’agnello sacrificato e consumato al banchetto pasquale un tipo del sacrificio redentore di Cristo[370]. Nella tradizione patristica Melitone di Sardi presenta il passo di 1Cor 5,7 nella luce del compimento delle profezie veterotestamentarie: Queste e molte altre cose furono da diversi profeti annunciate intorno al mistero della Pasqua che è Cristo[371]. Dunque, vediamo come Cosma il Melodo unisce i grandi concetti cristologici mettendoli nel contesto dell’istituzione d’Eucaristia durante l’Ultima Cena, cioè la cena pasquale.

L’inizio del primo tropario dell’ode 3° è ispirato dai Carmina dogmatica di Gregorio Teologo: E infatti è mio quel sangue che versò Cristo, il mio Dio, un sangue che purifica dalle antiche malattie e costituisce il riscatto del mondo[372]. Seguendo Gregorio, Cosma chiama il calice del Sangue di Cristo con l’aggettivo ῥύσιος (che libera), sottolineando il valore soteriologico dell’Eucaristia: o buono, hai fatto bere ai tuoi discepoli il tuo calice, il calice che salva tutto il genere umano (Ῥύσιον παντὸς τοῦ βροτείου γένους τὸ οἰκεῖον, ἀγαθὲ, τοὺς σοὺς μαθητὰς ἐπότισας … ποτήριον)[373]. Il tropario prosegue con l’immagine di Cristo il sommo sacerdote e contemporaneamente il sacrificio eterno, cioè Colui che ha offerto se stesso (αὐτὸς ὢν σεαυτὸν προετίθης). La lettera agli Ebrei (7,26-27) parla di Gesù il sommo sacerdote perfetto, santo, innocente che ha offerto il sacrificio una volta per tutte, offrendo se stesso[374]. Qui c’è un chiaro riferimento al canto del Servo di Is 53,10: quando offrirà se stesso in sacrificio[375]. Questa cristologia eucaristica fa parte anche della Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo: Tu infatti, o Cristo Dio nostro, sei l’offerente e l’offerto, quei che riceve e quei che è distribuito … (Σὺ γὰρ εἶ ὁ προσφέρων καὶ προσφερόμενος, καὶ προσδεχόμενος, καὶ διαδιδόμενος, Χριστὲ ὁ Θεὸς ἡμῶν …)[376].

Il secondo tropario dell’ode 3° tratta della predizione del traditore (Mt 26,20-25) nella luce di Sal 91,7 (LXX): L’uomo stolto, il traditore … non conoscerà questi misteri; poiché è insensato, non comprenderà (Ἄφρων ἀνὴρ … προδότης … οὐ μὴ γνώσεται ταῦτα, καὶ οὗτος ἀσύνετος ὢν οὐ μὴ συνήσει)[377].

I tropari dell’ode 4° continuano il tema dell’Eucaristia con i detti di Gesù durante l’Ultima Cena[378]. Secondo la successione degli eventi presentata da Matteo, subito dopo l’istituzione dell’Eucaristia (Mt 26,26-28) Gesù dice: “Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio” (Mt 26,29)[379]. Integrando il detto di Gesù dal Vangelo secondo Luca, Cosma di Maiuma divide questa affermazione ponendola in tre tropari dell’ode 4°. Il primo tropario espone le parole di Gesù ai suoi amici, cioèdiscepoli, riguardo al Santissimo Corpo: Ardentemente ho desiderato partecipare con voi a questa pasqua (τοῦ πάσχα μετασχεῖν ἐπεθύμησα τούτου)[380], il secondo tropario presenta la prima parte dell’espressione di Mt 26,29 che tratta riguardo il Santissimo Sangue: Non berrò ormai più del frutto della vite, vivendo qui con voi (γεννήματος ἀμπέλου δὲ πίομαι λοιπὸν οὐκέτι μεθ’ ὑμῶν βιοτεύων)[381], il terzo tropario completa l’espressione di Mt 26,29 arricchendola con il chiaro riferimento al Sal 81,1 (LXX): Io vi dico che berrò nel mio regno una bevanda nuova che supera ogni pensiero, poiché con voi sarò come Dio in mezzo a dèi (Πόμα καινὸν ὑπὲρ λόγον ἐγώ φημι ἐν τῇ βασιλείᾳ μου … πίομαι, ὥστε γὰρ θεοῖς θεὸς ὑμῖν συνέσομαι)[382]. L’efimnio comune per l’irmo e per tutti i tre tropari è composto sulla base di 1Gv 4,9-10: poiché il Padre ha mandato nel mondo me, l’Unigenito, come sacrificio espiatorio (τὸν μονογενῆ ἐπεί με ἱλασμὸν ὁ πατὴρ εἰς τὸν κόσμον ἀπέστειλε)[383]. L’amore di Dio per gli uomini si manifesta attraverso la rivelazione; l’evento supremo in cui Egli ha rivelato il suo amore è stato il suo invio del Figlio nel mondo per divenirne il Salvatore. Il termine ἱλασμὸς è tradotto propiziazione rappresenta un contesto di pensiero frequente sia nell’Antico Testamento che nel Nuovo Testamento. Indubbiamente il significato è che la morte di Cristo ha avuto come effetto l’espiazione, vale a dire, l’eliminazione del peccato. Il senso è, piuttosto, che nella morte di Cristo, Dio ha rivelato il suo perdono dei nostri peccati, un atto gratuito del suo amore e della sua misericordia[384]. Bisogna notare anche che nel primo e nel terzo tropari Gesù chiama gli apostoli suoi amici (φίλοις) conforme a Gv 15,15: Non vi chiamo più servi … ma vi ho chiamato amici … (οὐκέτι λέγω ὑμᾶς δούλους … ὑμᾶς δὲ εἴρηκα φίλους …)[385].

Il primo tropario con le parole iniziali Andando verso la passione (Ἐπὶ τὸ πάθος … μολῶν) ci pone nel contesto storico degli eventi salvifici, ma anche mette in rilievo la libera volontà del Logos incarnato per la salvezza degli uomini[386]. La passione di Cristo fa sgorgare impassibilità per tutti i nati da Adamo (τὸ πάθος τὸ πᾶσι τοῖς ἐξ Ἀδὰμ πηγάσαν ἀπάθειαν) – una antitesi concettuale e teologica tra πάθος – ἀπάθεια; soltanto Dio è completamente ἀπαθής, il cammino del cristiano, secondo Gregorio di Nissa, consiste nella riconquista della purezza e bellezza originarie dell’immagine divina impressa da Dio sull’anima umana al momento della creazione[387]. Secondo Giovanni Climaco:

È ed è riconosciuto veramente impassibile colui che ha reso la carne incorruttibile, ha elevato la propria mente al di sopra delle cose create, ha sottomesso a questa tutti i suoi sensi e ha presentato al cospetto del Signore la propria anima, che è sempre protesa verso di lui in modo superiore alle proprie forze[388].

Nel tropario 2° dell’ode 4° Cristo è chiamato immortale (ἀθάνατος) che è un attributo divino spesso attribuito a Cristo Dio nei Padri[389]. L’espressione immortale (ἀθάνατος) fa parte del famoso inno liturgico Trishagion, l’oggetto delle intense dispute teologiche tra i calcedonesi e monofisiti nei sec. V-VI[390].

Il tropario 3° nel punto del trattare della beata condizione degli apostoli al Regno di Gesù (con voi sarò come Dio in mezzo a dèi) potrebbe essere ispirato dall’Orazione 40 di Gregorio Nazianzeno:

… luce, anche lo splendore che proviene da lassù a coloro che sono purificati, allorquando i giusti risplenderanno come il sole e in mezzo ad essi sarà Dio, tra coloro che sono veramente dèi e re, dividendo e distinguendo le varie dignità della beatitudine di lassù[391].

Dall’altra parte Gregorio Teologo nell’Orazione 45 descrive la beata condizione dei cristiani nel Regno del Padre nella luce eucaristica, spiegando che la nuova bevanda consisterebbe nella dottrina insegnata da Cristo-Logos:

Parteciperemo alla Pasqua, adesso ancora in modo allegorico … successivamente in modo più perfetto e più puro, quando il Logos berrà con noi quel nuovo frutto nel regno del Padre, svelando e insegnando le cose che finora ha solo in parte indicato. È sempre nuovo, infatti, ciò che ora viene appreso. Quale sia la bevanda e la sua utilità, spetta a noi apprendere, a Cristo insegnare e rendere i suoi discepoli partecipi della dottrina. Nutrimento è, infatti, la dottrina, anche per colui che il nutrimento dispensa[392].

Infatti, anche Cosma il Melodo in questo tropario tratta della bevanda nuova nel Regno di Cristo nella chiave eucaristica, probabilmente avendo sfruttato i concetti messi nelle orazioni di Gregorio Teologo[393].

La lavanda dei piedi degli apostoli (Gv 13,4-15) viene descritta nelle odi 5° e 6° con espressioni meravigliose: il Sovrano lava i piedi dei servi / colui che avvolge il cielo di nubi si cinge di un asciugatoio / colui che ha in sua mano il respiro di tutti i viventi piega il ginocchio per lavare i piedi dei servi / colui che regge nell’etere le travolgenti acque superiori, che tiene con le redini gli abissi e trattiene i mari, versa acqua in un catino / gli apostoli ricevettero la lavanda dei piedi belli di quelli che a tutti evangelizzano la pace (cfr. Is 52,7)[394].

L’irmo dell’ode 5° annuncia il tema: gli apostoli ricevettero la lavanda dei piedi (οἱ ἀπόστολοι … πόδας ἐξαπενίζοντο); qui subito si pone il motivo della lavanda dei piedi degli apostoli: mentre il tropario 2° dell’ode 5° e il tropario 1° dell’ode 6° trattano del motivo biblico come l’esempio d’umiltà (Gv 13,14-15), l’irmo dell’ode 5° ricorre all’esegesi patristica di Is 52,7: Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie … (ὡς ὥρα ἐπὶ τῶν ὀρέων, ὡς πόδες εὐαγγελιζομένου ἀκοὴν εἰρήνης, ὡς εὐαγγελιζόμενος ἀγαθά …), oppure piuttosto all’esegesi di Rm 10,15 che parla proprio della missione apostolica: E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene! (πῶς δὲ κηρύξωσιν ἐὰν μὴ ἀποσταλῶσιν; καθὼς γέγραπται··ὡς ὡραῖοι οἱ πόδες τῶν εὐαγγελιζομένων [τὰ] ἀγαθά)[395]. La fonte ispiratrice dell’irmo in questione potrebbe trovarsi nel Commento su Isaia oppure piuttosto nell’Interpretatio Epistolae ad Romanos di Teodoreto di Cirro:

Ma la profezia si applica infatti e nel senso proprio agli santi apostoli: erano belli i piedi lavati dalle mani del Maestro e rafforzate per viaggiare tutto il mondo, per trasmettere la buona notizia della pace di Dio, e rivelano il godimento dei beni promessi[396].

Egli porta quindi la profezia di Isaia e diсe: “Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di pace, che recano un lieto annuncio di bene! (Cfr. Is 52,7). Perché il Signore ordinò agli apostoli, entrando in una casa, dire: “Pace a questa casa” (Lc 10,5), perché loro proclamavano la riconciliazione divina e predicavano il godimento dei benefici. Il Profeta chiama i loro piedi belli in quanto corrono la corsa buona, siccome sono lavati dalle mani del Maestro[397].

Bisogna anche osservare che evangelizzare la pace è equivalente ad evangelizzare Cristo, conformemente a Ef 2,14: Cristo è la nostra pace[398]. Troviamo una considerazione su Cristo-Pace in Commentarius in Isaiam prophetam di Cirillo d’Alessandria: Oppure chiedono Cristo stesso in quanto Egli è la nostra pace, secondo le Scritture[399].

Ancora più chiaramente si può comprendere il riferimento dell’irmo dell’ode 5° ad Is 52,7 nella luce dell’Orazione 45 Per la Santa Pasqua di Gregorio Teologo:

Sciolga i sandali colui che si accinge a calpestare la terra santa e a ripercorrere le orme del Signore, come fece il divino Mosè sul monte (cfr. Es 3,5), per non portare con sé qualcosa di morto e di intermedio fra Dio e gli uomini. Così, anche, se un discepolo viene inviato per diffondere il Vangelo, lo faccia con filosofia e semplicità: è necessario che colui che manca di denaro, di bastone, che ha un solo mantello, stia anche con i piedi nudi, affinché si vedano che sono belli i piedi di coloro che diffondono la pace (cfr. Is 52,7), e tutto quello che c’è di buono (cfr. Lc 10,3 ss.)[400].

L’irmo dell’ode 5° presenta anche una bella immagine degli apostoli consacrati al Cristo stretti dal vincolo della carità (Τῷ συνδέσμῳ τῆς ἀγάπης συνδεόμενοι οἱ ἀπόστολοι … τῷ ἑαυτοὺς, Χριστῷ, ἀναθέμενοι …) ispirata da Col 3,14 (Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto – ἐπὶ πᾶσιν δὲ τούτοις τὴν ἀγάπην, ὅ ἐστιν σύνδεσμος τῆς τελειότητος); l’idea della consacrazione degli apostoli a Cristo può essere dedotta da Mt 19,27: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito (ἰδοὺ ἡμεῖς ἀφήκαμεν πάντα καὶ ἠκολουθήσαμέν σοι)[401]. E per accennare di nuovo alla divinità della seconda Persona della Santissima Trinità, Cristo viene chiamato Sovrano dell’universo (τῷ δεσπόζοντι τῶν ὅλων … Χριστῷ); il titolo δεσπότης è attribuito a Cristo già nel NT: in Gd 1,4 e in 2Pt 2,1[402].

Il tropario 1° dell’ode 5° prosegue con il tema della lavanda dei piedi degli apostoli secondo Gv 13,5 (Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto – εἶτα βάλλει ὕδωρ εἰς τὸν νιπτῆρα καὶ ἤρξατο νίπτειν τοὺς πόδας τῶν μαθητῶν καὶ ἐκμάσσειν τῷ λεντίῳ ᾧ ἦν διεζωσμένος); anche qua il Melodo compone una bella antitesi concettuale: il Sovrano lava i piedi dei servi (πόδας ἀποπλύνει δὲ δούλων δεσπότης)[403]. L’ingente immaginazione poetica del grande Melodo ci conduce subito al contesto dello secondo discorso della Sapienza personificata di Pv 8,27-30, in cui si tratta della presenza della Sapienza di Dio all’atto della creazione del mondo; quindi la Sapienza si presenta come l’architetto di Dio nella creazione[404]. Questa immagine ha dato lo spunto a Cosma il Melodo per comporre un’altra forte antitesi concettuale cristologica della Sapienza di Dio che regge nell’etere le travolgenti acque superiori, che tiene con le redini gli abissi e trattiene i mari, versa acqua in un catino (Ἡ τὸ ἄσχετον κρατοῦσα καὶ ὑπέρροον ἐν αἰθέρι ὕδωρ, ἡ ἀβύσσους χαλινοῦσα καὶ θαλάσσας ἀναχαιτίζουσα θεοῦ σοφία ὕδωρ νιπτῆρι βάλλει)[405]. Il discorso del potere di Dio creatore esteso anche sulle acque del mondo potrebbe attingere per di più da Gen 1,6-10, Sal 103,6-9, 135,6 (LXX), Gb 26,8; 38,8ss, Ger 5,22[406]. Seguendo la tradizione biblica, il tropario 1° dell’ode 5° accenna a tre luoghi dove si trova l’elemento dell’acqua nel mondo: le acque superiori nell’etere, le acque negli abissi e le acque nei mari[407]. Ecco la meravigliosa katabasis: Dio che con la sua onnipotenza regge e trattiene l’elemento dell’acqua nel mondo si abbassa per versare l’acqua in un catino per lavare i piedi dei servi[408].

Il tropario 2° dell’ode 5° e il tropario 1° dell’ode 6° riprendono il motivo biblico della lavanda dei piedi degli apostoli (Gv 13,14-15): Il Sovrano mostra ai discepoli un esempio di umiltà (Μαθηταῖς ὑποδεικνύει ταπεινώσεως ὁ δεσπότης τύπον): “Imitate dunque il modello, così come l’avete veduto in me” («διὸ μιμεῖσθε τὸν τύπον, ὃν τρόπον ἐν ἐμοὶ ἐθεάσασθε»)[409]. A mo’ di istruzione pratica Gesù spiega ora il significato del suo gesto. I discepoli e tutti i cristiani non devono limitarsi a partecipare dei frutti dell’attività di Gesù, devono anche imitarne lo spirito. “Anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”: è un dovere praticare la umiltà simboleggiata in quel gesto[410].

Prendendo lo spunto da Sal 146,8 (LXX), Cosma il Melodo ci presenta nel tropario 2° dell’ode 5° una delle più belle antitesi concettuali dal punto di vista poetico: colui che avvolge il cielo di nubi, si cinge di un asciugatoio e piega il ginocchio per lavare i piedi dei servi (ὁ νεφέλαις δὲ τὸν πόλον περιβάλλων ζώννυται λέντιον καὶ κάμπτει γόνυ δούλων ἐκπλῦναι πόδας)[411]. Questa immagine molto probabilmente è ispirata da In proditionem Servatoris, et in lotionem pedum di Ps.-Giovanni Crisostomo:

In questo tempo si poteva vedere una cosa tremenda. Perché si alzò e depose il mantello colui che si avvolge di luce come di un manto (Sal 103,2 LXX), e si cinse con un asciugatoio? (Gv 13,4). Allora si poteva vedere la verità della parola di Paolo: “egli, essendo nella condizione di Dio, assunse una condizione di servo” (Fil 2,6-7). Si cinse con un asciugatoio colui che avvolge il cielo di nubi (Sal 146,8 LXX), e versò dell’acqua nel catino colui che ha riempito d’acqua i fiumi, i fonti ed i mari. T’immagina il discepolo seduto e il Sovrano piegato, guardando verso al ginocchio, colui a chi si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto terra (Fil 2,10). L’umiltà del Salvatore ha spento ogni orgoglio, quella mitezza ha spento ogni superbia[412].

Il tropario 2° dell’ode 5° si conclude con un forte concetto cristologico: Cristo Dio è colui che ha in sua mano il respiro di tutti i viventi (οὗ ἐν τῇ χειρὶ πνοὴ πάντων τῶν ὄντων)[413].

Il tropario 1° dell’ode 6° presenta una parafrasi delle parole di Gesù dette subito dopo la lavanda dei piedi degli apostoli (Gv 13,13-15): voi mi chiamate Signore e Maestro … imitate dunque il modello, così come l’avete veduto in me (Κύριον φωνεῖτε … καὶ διδάσκαλόν με … διὸ μιμεῖσθε τὸν τύπον, ὃν τρόπον ἐν ἐμοὶ ἐθεάσασθε)[414]. È interessante che Cosma di Maiuma rafforza l’affermazione di Gesù di essere infatti il Maestro e il Signore: “perché lo sono” («εἰμὶ γάρ»), secondo la tradizione cristologica della Chiesa: «γὰρ πέφυκα» (perché lo sono per natura); cioè Cristo è il Maestro e il Signore (ὁ κύριος καὶ ὁ διδάσκαλος) per eccellenza secondo la sua natura divina[415].

Il tropario 2° dell’ode 6° presenta la parafrasi della risposta di Gesù a Pietro secondo Gv 13,10: Chi non ha sporcizia, non ha bisogno che di lavarsi i piedi: e voi siete mondi, o discepoli, ma non tutti (Ῥύπον τις μὴ ἔχων ἀπορρυφθῆναι οὐ δεῖται πόδας, καθαροὶ, ὦ μαθηταὶ, ὑμεῖς δὲ, ἀλλ’ οὐχὶ πάντες)[416]. Pseudo-Dionigi l’Areopagita interpreta queste parole di Gesù portandole nel contesto liturgico:

Come dicono gli oracoli, chi si lava ha bisogno di un’abluzione solo nelle sue ultime estremità. Grazie a questa purificazione delle estremità egli <viene a trovarsi> nella santissima condizione della somiglianza a Dio e pur procedendo verso i membri del secondo rango resta libero e distaccato nella sua imitazione del bene in quanto è assolutamente simile all’uno … In effetti, coloro che si accostano alla santissima celebrazione devono purificarsi anche nei più reconditi pensieri dell’anima e conformare quest’accostamento alla somiglianza a Dio per quanto è possibile[417].

Mentre i beatissimi 11 apostoli, nutriti dalla divina parola, seguivano il Pastore come agnelli, il detestabile Iscariota, con i piedi appena lavati, si prepara a consegnare alla condanna il Giudice; il tradimento di Giuda è il tema centrale delle odi 7° ed 8°[418]. Il tropario 1° dell’ode 7° narra di Giuda che, secondo Mt 26,16, si mette in moto per cercare l’occasione di consegnare alla condanna il Giudice (ἐκίνησεν, εὐκαιρίαν ζητῶν παραδοῦναι τὸν κριτὴν εἰς κατάκρισιν)[419]. L’antitesi concettuale e poetica «παραδοῦναι τὸν κριτὴν εἰς κατάκρισιν» (consegnare alla condanna il Giudice) si riferisce a 2Tm 4,1, dove Paolo tratta del momento della parusia, quando Gesù verrà a giudicare i vivi e i morti, sia coloro che saranno ancora in vita, sia coloro che saranno morti in precedenza[420]. La frase iniziale del tropario in questione «Νευστάζων κάραν Ἰούδας κακὰ προβλέπων ἐκίνησεν» (Scuotendo la testa, pensando al male da compiere) è ispirato da una parte da Sir 12,18, dove troviamo le acute osservazioni di Ben Sira sulla condotta dell’orgoglioso che finge amicizia mentre cerca di provocare danni[421]. Dall’altra parte, però, questa frase potrebbe essere suggerita da un passo di Odissea omerica: «νευστάζων κεφαλῇ· δὴ γὰρ κακὸν ὄσσετο θυμός» (Squassando il capo e presagia nell’alma l’eminente sventura)[422].

Tutti i tropari dell’ode 7° il titolo divino veterotestamentario Dio dei padri nostri (ὁ θεὸς τῶν πατέρων ἡμῶν) di Dn 3,26; 3,52 attribuiscono a Cristo; per di più il tropario 1° aggiunge anche il titolo cristologico Kyrios che è il titolo per eccellenza di Gesù negli scritti paolini: che è il Signore di tutti e il Dio dei padri nostri (ὃς πάντων ἐστὶ κύριος ὁ θεὸς τῶν πατέρων ἡμῶν)[423].

Il tropario 2° dell’ode 7° presenta il dialogo drammatico tra Cristo ed i suoi discepoli, stretti da angoscia e timore (ἀγωνίᾳ καὶ φόβῳ συνείχοντο), cioè l’annuncio del tradimento durante l’Ultima Cena, secondo Mt 26, 21-22: Uno di voi mi tradirà … Chi è costui? Diccelo (Ὑμῶν … εἷς παραδώσει με … τίς οὗτος; φράσον)[424]. In Mt e Mc è proprio all’inizio del pasto che Gesù decise di rivelare il tradimento di uno dei suoi intimi; Lc posticipa l’annuncio a dopo le parole eucaristiche. Anche Gv lo colloca all’inizio della cena, ma risolve il problema facendo uscire Giuda dalla sala prima dell’istituzione dell’eucaristia, subito dopo l’annuncio[425].

Il tropario 3° dell’ode 7° prosegue il discorso di Gesù che svelava il traditore, secondo Mt 26,23-24: È colui che osa mettere con me la mano nel piatto: meglio sarebbe stato per costui non varcare mai le porte della vita (Μεθ’ ὅστις ἐμοῦ τὴν χεῖρα τρυβλίῳ βάλλει θρασύτητι, τούτῳ πλὴν καλὸν ἦν πύλας βίου περάσαι μηδέποτε)[426]. La risposta di Gesù non identifica il traditore in modo esplicito; la condanna dell’atto di Giuda è la più severa che si riscontri nei Vangeli; la morte di Gesù è inevitabile, come sta scritto, ma non è inevitabile che sia uno dei suoi discepoli a tradirlo[427]. Queste parole di Gesù vengono più chiare nella luce dell’interpretazione di Giovanni Damasceno:

Perciò se il Signore disse: “Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato” (Mt 26,24 par.), lo disse accusando non la propria creazione ma la malizia sopravvenuta alla sua creatura per propria scelta e sconsideratezza. Infatti la sconsideratezza del proprio giudizio le rese inutile il beneficio del Creatore …[428].

Il tropario 1° dell’ode 8° ci espone una ammirevole immagine presente già nell’arte cristiana antica: Beatissimi commensali in Sion … seguivano il Pastore come agnelli … nutriti dalla divina parola (Οἱ δαιτυμόνες οἱ μακαριστοὶ ἐν τῇ Σιὼν … παρείποντο τῷ ποιμένι ὡς ἄρνες … θείῳ λόγῳ τρεφόμενοι)[429].

Gesù Pastore e gli apostoli/agnelli su un sarcofago. Circa 375-400 d.C.[430]

Il tropario in questione ovviamente allude ai passi biblici che trattano di Cristo Buon Pastore ed apostoli come agnelli (p.es. Gv 10,11: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore”, Lc 10,3: “… vi mando come agnelli in mezzo a lupi”)[431]. La stretta unione con Cristo dei suoi discepoli, espressa nel tropario con la frase: uniti al Cristo, dal quale non si erano mai separati (συνημμένοι οὗ οὐκ ἐχωρίσθησαν Χριστοῦ) allude al famoso inno paolino di Rm 8,35ss: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”[432]. Tutti i tropari dell’ode 8° l’esclamazione Celebrate, opere il Signore, e sovresaltatelo nei secoli (τὸν κύριον ὑμνεῖτε τὰ ἔργα καὶ ὑπερυψοῦτε εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας) di Dn 3,57 indirizzano a Cristo[433].

I prossimi due tropari descrivono tutta la cattiveria del peccato di tradimento che sta in diretta contraddizione con la legge dell’amicizia (νόμος φιλίας) espressa parecchie volte nella Bibbia (p.es. Lv 19,18; Gv 15,13)[434]. Riprendendo il contesto della lavanda dei piedi (Gv 13,1-15) e dell’Eucaristia (Mt 26,26-29) durante l’Ultima Cena, Cosma il Melodo elenca le benevolenze fatte a Giuda da parte del Signore e l’ingratitudine dell’Iscariota; così sorgono le antitesi drammatiche: il detestabile Iscariota preparava al tradimento i suoi piedi appena lavati (ὁ δυσώνυμος Ἰσκαριώτης … οὓς ἐνίψατο ηὐτρέπισεν εἰς προδοσίαν πόδας), mangiando il tuo pane, il tuo corpo divino, contro di te, o Cristo, ha levato il calcagno (σοῦ ἐσθίων ἄρτον, σῶμα θεῖον, ἐπῆρε πτερνισμὸν ἐπὶ σὲ, Χριστὲ), riceveva il corpo che redime dal peccato, e il sangue divino versato per il mondo, ma non arrossiva bevendo ciò che aveva venduto per denaro (Ἐδεξιοῦτο τὸ λυτήριον τῆς ἁμαρτίας σῶμα … καὶ τὸ αἷμα τὸ χεόμενον ὑπὲρ κόσμου τὸ θεῖον· ἀλλ’ οὐκ ᾐδεῖτο πίνων ὃ ἐπίπρασκε τιμῆς)[435]. Il tropario 2° presenta un chiaro riferimento al Sal 40,10 (LXX): contro di te, o Cristo, ha levato il calcagno (ἐπῆρε πτερνισμὸν ἐπὶ σὲ, Χριστὲ)[436]. Il tropario 3° trattando di Giuda che non arrossiva bevendo ciò che aveva venduto per denaro (οὐκ ᾐδεῖτο πίνων ὃ ἐπίπρασκε τιμῆς) allude a Mt 27,6: “Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue” (οὐκ ἔξεστιν βαλεῖν αὐτὰ εἰς τὸν κορβανᾶν, ἐπεὶ τιμὴ αἵματός ἐστιν»)[437]. La frase non ha avuto orrore della propria perfidia (οὐ κακίᾳ προσώχθισε) è suggerita dal Sal 35,5 (LXX): … si ostina su vie non buone, non respinge il male (… παρέστη πάσῃ ὁδῷ οὐκ ἀγαθῇ, τῇ δὲ κακίᾳ οὐ προσώχθισεν)[438]. Sulla partecipazione di Giuda nella lavanda dei piedi e nell’Eucaristia tratta anche Giovanni Crisostomo nelle omelie De proditione Judae, pronunciate proprio nel giorno del Giovedì Santo:

Guarda quanto il Signore ha fatto per riacquistarlo e salvarlo … gli lavò i piedi come agli altri apostoli, lo rese anche partecipe alla sua mensa … Come infatti lavò i suoi piedi come agli altri discepoli, così anche egli [Giuda] partecipò nella sacra mensa[439].

L’irmo dell’ode 9° si rivolge ai fedeli, invitandoli nella sala alta (ἐν ὑπερῴῳ τόπῳ) alla mensa immortale (ἀθανάτου τραπέζης), cioè all’Eucaristia secondo Gv 6,54: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna …” (ὁ τρώγων μου τὴν σάρκα καὶ πίνων μου τὸ αἷμα ἔχει ζωὴν αἰώνιον …)[440]. Secondo l’esegesi di Cirillo di Alessandria:

Come provocando la scintilla del fuoco la inseriamo nella paglia per conservare il seme del fuoco, così anche il Signore nostro Gesù Cristo ha nascosto in noi, mediante la sua carne, la vita, e l’ha inserita come seme dell’immortalità che ci libera da tutta la corruttibilità che è in noi[441].

Con l’espressione della sala alta (ὑπερῴῳ τόπῳ) si richiama a Mc 14,15: “Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi” (καὶ αὐτὸς ὑμῖν δείξει ἀνάγαιον μέγα ἐστρωμένον ἕτοιμον· καὶ ἐκεῖ ἑτοιμάσατε ἡμῖν); il termine ὑπερῴῳ τόπῳ (sala alta) è preso da At 1,13: salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi (εἰς τὸ ὑπερῷον ἀνέβησαν οὗ ἦσαν καταμένοντες)[442]. I fedeli sono invitati a godere dell’ospitalità del Signore (ξενίας δεσποτικῆς), che ci chiama all’Eucaristia: “Prendete, mangiate: questo è il mio corpo … Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue …” (Mt 26,26-28)[443].

Nell’irmo dell’ode 9° osserviamo l’uso della figura retorica d’enfasi che consiste nell’accentuare tre volte l’idea dell’alto: ἐν ὑπερῴῳ τόπῳ (nella sala alta), ταῖς ὑψηλαῖς φρεσὶ (con sensi elevati), ἐπαναβεβηκότα λόγον … μαθόντες (più alte parole … apprendendo); dall’altra parte troviamo anche la figura retorica di diafora che consiste nella ripetizione della parola λόγος: λόγον ἐκ τοῦ λόγου μαθόντες (per apprendere … parole dal Verbo)[444].

Il tropario 1° dell’ode 9° richiama i preparativi per la cena pasquale secondo Lc 22,8-12: Andate, disse ai discepoli il Verbo, preparate la pasqua in una sala elevata (Ἄπιτε, τοῖς μαθηταῖς ὁ λόγος ἔφη, τὸ πάσχα ἐν ὑπερῴῳ τόπῳ … σκευάσατε)[445]. Riprendendo di nuovo il tema della sala elevata, dove si elevi l’intelletto (ἐν ὑπερῴῳ τόπῳ, ᾧ νοῦς ἐνίδρυται), si entra nella sfera sacramentale: in virtù dei misteri a cui vi inizierò con la parola azzima della verità (οἷς μυσταγωγῶ … ἀζύμῳ ἀληθείας λόγῳ); qui osserviamo il riferimento a 1Cor 5,8: Celebriamo dunque la festa … con azzimi di sincerità e di verità (ὥστε ἑορτάζωμεν … ἐν ἀζύμοις εἰλικρινείας καὶ ἀληθείας)[446]. L’espressione τὸ στερρὸν δὲ τῆς χάριτος (la saldezza della grazia) potrebbe alludere al Sal 103,15 (LXX): ἄρτος καρδίαν ἀνθρώπου στηρίζει (pane che sostiene il cuore dell’uomo); quindi, il pane dell’Eucaristia porta la grazia che rese saldo il cuore dell’uomo[447].

Gli ultimi due tropari, profondamente teologici, sono destinati a rivelare i misteri divini, accennati nell’irmo e nel tropario 1° dell’ode 9°; quindi i tropari 2° e 3° presentano un riassunto della cristologia calcedonese: prima dei secoli il Padre genera la Sapienza creatrice; la ha creata in principio delle sue vie per le opere che ora si compiono misticamente; la Parola increata per natura ha assunto l’uomo, diventando l’uomo per natura, non in apparenza (οὐσίᾳ, οὐ φαντασίᾳ); e così, per lo scambio delle proprietà, la natura che è stata unita al Logos è Dio; perciò riconosciamo un unico Cristo che serba integre le proprietà delle due nature, dalle quali, nelle quali la sua persona è costituita ed è[448].

Il tropario 2° dell’ode 9° è composto da due affermazioni contrarie pronunciate dalla Sapienza: Prima dei secoli mi genera il Padre (ὁ πατὴρ πρὸ τῶν αἰώνων … γεννᾷ) e mi ha creata in principio delle sue vie per le opere (ἀρχὴν ὁδῶν με εἰς ἔργα ἔκτισε)[449]. Con questi termini Cosma richiama la controversia cristologica del IV sec. fondata sull’esegesi di Pv 8,25 (πρὸ δὲ πάντων βουνῶν γεννᾷ με – prima di tutti i colli, Egli mi generò) e di Pv 8,22 (κύριος ἔκτισέν με ἀρχὴν ὁδῶν αὐτοῦ εἰς ἔργα αὐτοῦ – Il Signore mi creò inizio delle sue vie, primizia delle sue opere), a cui aderisce anche Sir 24,9 (πρὸ τοῦ αἰῶνος ἀπ᾽ ἀρχῆς ἔκτισέν με – Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato)[450]. Il passo «κύριος ἔκτισέν με» (il Signore mi creò) fu causa di serie difficoltà con gli ariani, i quali usavano questo testo per sostenere la natura creata del Logos[451]. Cosma il Melodo prende lo stesso approccio dei Padri, basato sul criterio della distinzione fra quanto si riferisce all’umanità della persona di Cristo e quanto alla sua natura divina, distinguendo tra la generazione prima dei secoli: Prima dei secoli mi genera il Padre come Sapienza creatrice (Δημιουργὸν ὁ πατὴρ πρὸ τῶν αἰώνων σοφίαν γεννᾷ), e la creazione a causa dell’incarnazione per la nostra salvezza: mi ha creata in principio delle sue vie per le opere che ora si compiono misticamente (ἀρχὴν ὁδῶν με εἰς ἔργα ἔκτισε τὰ νῦν μυστικῶς τελούμενα); per sottolineare la sua posizione ortodossa il Melodo ritiene necessario di aggiungere: Parola increata per natura (λόγος γὰρ ἄκτιστος ὢν φύσει)[452]. La frase conclusiva del tropario pone accento sul Logos come l’unico soggetto dell’incarnazione, conformemente all’insegnamento del concilio di Costantinopoli (553): faccio mie le voci dell’uomo che ho ora assunto (τὰς φωνὰς οἰκειοῦμαι οὗ νῦν προσείληφα)[453].

L’ultimo tropario, profondamente teologico, presenta il riassunto dell’insegnamento cristologico della Chiesa: innanzi tutto si sottolinea la realtà della natura umana: Sono uomo per natura, non in apparenza (Ὡς ἄνθρωπος ὑπάρχω οὐσίᾳ, οὐ φαντασίᾳ); dopo si solleva il concetto della communicatio idiomatum: per lo scambio delle proprietà, è Dio la natura che a me è stata unita (θεὸς τῷ τρόπῳ τῆς ἀντιδόσεως ἡ φύσις ἡ ἑνωθεῖσά μοι); poi si sottolinea l’insegnamento calcedonese di un unico Cristo: riconoscetemi dunque come un unico Cristo (Χριστὸν ἕνα· διό με γνῶτε); e alla fine si pone l’accento sulle due nature integre di Cristo: … che serba integre le proprietà delle due nature, dalle quali, nelle quali la mia persona è costituita ed è (τὰ ἐξ ὧν, ἐν οἷς, ἅπερ πέφυκα σώζοντα)[454]. La frase iniziale (Sono uomo per natura, non in apparenza – Ὡς ἄνθρωπος ὑπάρχω οὐσίᾳ, οὐ φαντασίᾳ) è destinata a combattere il docetismo. Anche se nel sec. VIII i setti della tendenza doceta non avevano larga diffusione, il docetismo, però, come la tendenza di sottovalutare la realtà storica dell’opera salvifica di Dio, si intendeva come la fonte d’altre eresie. I Padri l’hanno combattuto con la formula soteriologica: “il Logos, incarnandosi, ha assunto tutto ciò che ha salvato”[455]. Il concetto della communicatio idiomatum, il principio usato dall’inizio dell’epoca patristica,viene chiaramente spiegato da Giovanni Damasceno:

Il Verbo si appropria le cose umane (infatti è suo tutto ciò che è della sua santa carne) e partecipa alla carne ciò che è suo proprio, secondo il principio dello scambio (κατὰ τὸν τῆς ἀντιδόσεως τρόπον) – attraverso la compenetrazione delle parti fra di loro e attraverso l’unione secondo l’ipostasi – e proprio perché era uno e il medesimo Colui che «operava» le cose divine e le cose umane «in ciascuna forma secondo la comunanza reciproca». Perciò anche il Signore della gloria è detto essere stato crocifisso (Cfr. 1Cor 2,8), benché la sua natura non soffrisse, e il Figlio dell’uomo è confessato essere nel cielo prima della <sua> passione, come disse proprio il Signore. Infatti era uno e il medesimo il Signore della gloria e colui che per natura e realmente nacque «Figlio dell’uomo», e cioè uomo: e noi riconosciamo i miracoli e le sofferenze, anche se secondo un <suo componente> operava miracoli e secondo l’altro egli il medesimo sottostava alle sofferenze[456].

Osserviamo che Cosma di Maiuma applica lo stesso termine tecnico «τῷ τρόπῳ τῆς ἀντιδόσεως» (per lo scambio delle proprietà) come Giovanni Damasceno «κατὰ τὸν τῆς ἀντιδόσεως τρόπον» (secondo il modo dello scambio)[457].

Il tropario prosegue con l’affermazione calcedonese antinestoriana di un solo soggetto dell’incarnazione, cioè di un solo e stesso Figlio, il signore nostro Gesù Cristo (ἕνα καὶ τὸν αὐτὸν … υἱὸν τὸν κύριον ἡμῶν Ἰησοῦν Χριστὸν): riconoscetemi dunque come un unico Cristo (Χριστὸν ἕνα· διό με γνῶτε)[458]. Si sottolinea anche in conformità al concilio calcedonese (451) l’integrità delle due nature: un unico Cristo che serba integre le proprietà delle due nature, dalle quali, nelle quali la mia persona è costituita ed è (Χριστὸν ἕνα … τὰ ἐξ ὧν, ἐν οἷς, ἅπερ πέφυκα σώζοντα); infatti, il concilio di Calcedonia afferma un solo e lo stesso Cristo … Poiché assolutamente non è stata eliminata la differenza delle nature a causa dell’unione, ma invece sono state preservate le proprietà dell’una e dell’altra natura … (ἕνα καὶ τὸν αὐτὸν Χριστόν … οὐδαμοῦ τῆς τῶν φύσεων διαφορᾶς ἀνῃρημένης διὰ τὴν ἕνωσιν, σωζομένης δὲ μᾶλλον τῆς ἰδιότητος ἑκατέρας φύσεως …)[459]. Cosma adopera la simile formula che troviamo nel Disputatio cum Pyrrho di Massimo il Confessore e nell’Expositio fidei di Giovanni Damasceno: delle due nature, dalle quali, nelle quali la mia persona è costituita ed è (τὰ ἐξ ὧν, ἐν οἷς, ἅπερ πέφυκα σώζοντα)[460].

Cirillo di Alessandria adoperava la formula alessandrina “da due nature”:

… non facciamo male ad affermare che da due nature c’è stato concorso in unità; ma dopo l’unione non dividiamo le nature l’una dall’altra …[461].

Secondo Flaviano e secondo la Lettera dogmatica a Flaviano di Leone Magno, Cristo non solo deriva da due nature ma è di due nature, unite in una sola ipostasi: Poiché dunque restano integre le proprietà di ambedue le nature e sostanze e confluiscono in una sola persona[462]. Il simbolo di Calcedonia dichiara “in due nature” (ἐν δύο φύσεσιν), quest’affermazione si oppone all’affermazione dei monofisiti, secondo cui Cristo deriva da (ἐκ) due nature ma non esiste in (ἐν) due nature[463]. Nel concilio di Costantinopoli (553) la formula cirilliana dell’una natura del Logos incarnata e l’altra del «da due nature» vengono interpretate in modo da significare una ipostasi e due nature, sì da conciliare Cirillo e Calcedonia. In questo senso viene rifiutata l’affermazione di una sola natura di Cristo dopo l’unione in quanto intesa come compenetrazione di una natura nell’altra[464]. Per Giovanni Damasceno e per Cosma di Maiuma l’uso delle ambedue formule fu ormai conforme alla lunga tradizione.

L’irmo dell’ode 1°, ovviamente basato sul Canto di vittoria di Es 15,1-21, racconta poeticamente l’episodio del passaggio degli ebrei perseguitati dagli egiziani attraverso il Mar Rosso (Es 14)[465]. Il tropario è ornato con tre belle antitesi concettuali: il Mar Rosso viene diviso da una verga tagliata (Τμηθείσῃ τμᾶται πόντος ἐρυθρὸς) [Es 14,16], l’abisso fecondo di flutti viene disseccato (κυματοτρόφος δὲ ξηραίνεται βυθὸς) [Es 14,21], il mare diviene a un tempo via transitabile per gli inermi e tomba per i guerrieri ben armati (ὁμοῦ ἀόπλοις γεγονὼς βατὸς καὶ πανοπλίταις τάφος) [Es 14,1-21; 14,23-31][466]. Nikodêmos Hagiorita collega l’irmo con il tema generale del canone tramite l’esegesi allegorica di Es 14 nella chiave della passione del Dio-Uomo, facendo paralleli tra il bastone e la Croce, il Mar Rosso e sanguigno del peccato, l’abisso della morte è diviso e diventa facilmente attraversabile per i pii, ma per demonio d’Egitto diventò la tomba, la distruzione e la rovina[467].

L’irmo dell’ode 4°, basato sul Cantico di Abacuc (Ab 3), presenta le parole del profeta Abacuc (Ab 3,4 LXX), modificate in modo da esprimere l’insegnamento centrale della fede cristiana: Hai manifestato forte e potente amore, o Padre pietoso, perché tu hai inviato nel mondo come sacrificio espiatorio il tuo Figlio Unigenito, o buono (ἔθου κραταιὰν ἀγάπησιν ἰσχύος, πάτερ οἰκτίρμον· τὸν μονογενῆ υἱὸν γὰρ, ἀγαθὲ, ἱλασμὸν εἰς τὸν κόσμον ἀπέστειλας) [cfr. Gv 3,16; 10,11; 10,18; 15,13; 1Gv 4,9ss, Rm 3,25; 5,6; 8,32][468]. Il passo potrebbe essere ispirato dal Commento al profeta Abacuc di Cirillo di Alessandria:

Noi siamo salvati “non per opere giuste da noi compiute” (Tt 3,5), non per vanto della Legge: “la Legge infatti non ha portato nulla alla perfezione” (cfr. Eb 7,19), ma per la clemenza di Dio e Padre, che ha manifestato forte, cioè potente e grande amore per noi del Figlio. “Dio e Padre infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Dunque noi siamo salvati per l’amore di Dio e Padre e del suo Figlio che per noi ha sofferto la morte. Egli è risorto, ha distrutto il potere della morte, ha respinto il nostro peccato[469].

In una certa misura si può supporre anche qualche suggerimento del Commento al profeta Abacuc di Teodoreto di Cirro:

Ha compiuto l’uno e l’altro per il grande amore per la natura degli uomini; il Signore stesso ha detto questo nel sacro Vangelo: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore” (Gv 10,11). E anche: “Nessuno può mostrare un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv15,13)[470].

L’irmo dell’ode 6°, basato sul Cantico di Giona (Gion 2,3-10), presenta una parafrasi ad un brano della preghiera di Giona (Gion 2,6-7), introducendo allegoricamente il concetto dell’abisso dei peccati: Mi ha circondato l’abisso senza fondo dei peccati, e non potendone più sopportare i marosi (Ἄβυσσος ἐσχάτη ἁμαρτημάτων ἐκύκλωσέ με, καὶ τὸν κλύδωνα μηκέτι φέρων)[471]. Si potrebbe supporre l’influsso anche del Sal 68 (cfr. 68,1-3.15-16.18), in cui le acque profonde sono sinonimo per il mondo degli inferi, in cui si trova il salmista (lo Sheol è uno stato piuttosto che un luogo)[472]. L’esclamazione finale ἐκ φθορᾶς με ἀνάγαγε (Dalla corruzione risollevami!) richiama al concetto della corruzione (φθορά), che nella luce di Gal 6,8 (Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione (φθοράν); chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna), significherebbe la perdita dell’anima, cioè della vita eterna[473].

L’irmo dell’ode 7° presenta una semplice parafrasi poetica al racconto dei tre fanciullinella fornace di Babilonia (Dn 3,26-56)[474]: “Οἱ παῖδες ἐν Βαβυλῶνι καμίνου φλόγα οὐκ ἔπτηξαν, ἀλλ’ ἐν μέσῳ φλογὸς ἐμβληθέντες δροσιζόμενοι ἔψαλλον· εὐλογητὸς εἶ, κύριε, ὁ θεὸς τῶν πατέρων ἡμῶν” – “I fanciulli a Babilonia non temettero il fuoco della fornace, ma tra le fiamme in cui erano stati gettati, salmeggiavano, irrorati da rugiada: Benedetto tu sei, Signore, Dio dei padri nostri”.

L’irmo dell’ode 8°, basato sul Cantico delle creature (Dn 3,57-88), pone l’accento sulla fedeltà dei tre giovani in Babilonia alle leggi dei padri, cioè al Decalogo, in particolare ai comandamenti che combattono contro l’idolatria (Es 20,3-5)[475]. I beatissimi giovani, esponendosi al pericolo per le leggi dei padri, disprezzarono l’ordine insensato del re (Νόμων πατρῴων οἱ μακαριστοὶ ἐν Βαβυλῶνι νέοι προκινδυνεύοντες βασιλεύοντος κατέπτυσαν προσταγῆς ἀλογίστου), ciò avrebbe potuto fornire del coraggio i cristiani palestinesi dell’VIII sec. per essere fedeli alla fede dei padri, nonostante la situazione sfavorevole ai cristiani causata dalla politica del califfo di Damasco al-Walid (705-715) e dei suoi successori[476].

Dunque, il canone del Giovedì Santo mostra non solo il livello elevato della poesia ecclesiastica bizantina dell’VIII sec., ma è una fonte enorme dell’esegesi patristica e dei concetti cristologici riassunti dai Padri negli ultimi anni dell’epoca patristica.

3.5. Il Venerdì Santo: Impassibilmente ti sei abbassato fino alla Passione

Innanzitutto è interessante osservare che l’acrostico del triodio del Venerdì Santo (Προσάββατόν τε – Il giorno prima del sabato) nomina il giorno del venerdì con il titolo προσάββατόν, tre volte menzionato nella Bibbia (Giudit 8,6; Sal 92,1 inscript. LXX; Mc 15,42)[477]. Il triodio del Venerdì Santo ricorda avvenimenti drammatici dopo l’Ultima Cena del Signore, cioè l’episodio al grande Monte degli Ulivi (Mt 26,30ss), una delle scene più singolari dei vangeli, in cui Gesù era sotto una forte pressione emotiva, quale non si riscontra altrove nei vangeli[478]. Le odi 5° ed 8° presentano il dialogo drammatico tra Cristo e i suoi discepoli, in particolare con Pietro (Mt 26,31-35); in questo caso la poesia di Cosma si avvicina al genere poetico del contacio, è ben noto che i dialoghi drammatici tra gli altri elementi costituiscono l’eredità dell’inno del contacio[479]. L’ode 9° riflette il momento dell’arresto, lo schiaffo, l’interrogatorio e testimonianze false contro Gesù (Mt 26,47-57;59-61, Gv 18,3-14;19-24), il quale ha sopportato tutto per salvare tutti[480].

L’irmo dell’ode 5° annuncia il tema generale del Venerdì Santo, cioè la kenosis del Verbo di Dio che nel suo amore compassionevole … si è annientato per l’uomo caduto e … si è abbassato fino alla passione (τὸν δι’ εὐσπλαγχνίαν ἑαυτὸν τῷ πεσόντι ἑνώσαντα … καὶ μέχρι παθῶν … ὑποκύψαντα)[481]. L’inizio e la fine dell’irmo dell’ode 5°, siccome basati sul Cantico di Isaia (Is 26,9-20), prendono lo spunto dalle parole del profeta, ma indirizzate al Logos[482]:

Is 26,9.12: “… ὀρθρίζει τὸ πνεῦμά μου πρὸς σέ, ὁ θεός … κύριε ὁ θεὸς ἡμῶν, εἰρήνην δὸς ἡμῖν …” – “… al mattino il mio spirito ti cerca, o Dio … O Signore, Dio nostro, dacci la pace …”;

Can. Giov. S., ode 5°, irmo: “Πρὸς σὲ ὀρθρίζω … λόγε θεοῦ· τὴν εἰρήνην παράσχου μοι …” – “Dal primo albeggiare proteso a te io veglio, o Verbo di Dio … Concedimi la pace …”.

La frase iniziale potrebbe essere suggerita anche dal Sal 62,2 (LXX): Ὁ θεὸς ὁ θεός μου, πρὸς σὲ ὀρθρίζω … (O Dio, Dio mio, io mi rivolgo a te fin dal primo mattino …); la frase finale potrebbe essere suggerita da Gv 14,27 (Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi – Εἰρήνην ἀφίημι ὑμῖν, εἰρήνην τὴν ἐμὴν δίδωμι ὑμῖν· οὐ καθὼς ὁ κόσμος δίδωσιν ἐγὼ δίδωμι ὑμῖν)[483].

Dal punto di vista della critica testuale ci troviamo di fronte alla difficoltà: mentre l’edizione liturgica presenta «ἑαυτὸν τῷ πεσόντι κενώσαντα» (ti sei annientato per l’uomo caduto), l’edizione critica preferisce la versione «ἑαυτὸν τῷ πεσόντι ἑνώσαντα» (ti sei unito all’uomo caduto)[484]. Nonostante che il codice Sinaitico gr. NF MG56 del X sec., che è molto più antico dei codici usati per l’edizione critica di W. Christ e M. Paranikas, porta la lettura «κενώσαντα», io seguirei la scelta dell’edizione critica «ἑνώσαντα», spiegandola con la tradizione patristica che tratta del Logos che ha unito a sé secondo l’ipostasi l’elemento umano (ἑνώσας ἑαυτῷ καθ’ ὑπόστασιν τὸ ἀνθρώπινον), oppure: Dio Logos … ha unito a sé il tempio che ha assunto dalla Madre di Dio (τὸν θεόν λόγον … ἑνῶσαι ἑαυτῷ τὸν ἐξ αὐτῆς ληφθέντα ναόν)[485]. Troviamo lo stesso concetto negli altri passi di Cosma stesso: Signore di tutto e Dio Creatore … ha unito a sé la creatura (Κύριος ὢν πάντων καὶ κτίστης θεὸς τὸ κτιστὸν … σεαυτῷ ἥνωσας), per lo scambio delle proprietà, è Dio la natura che a me è stata unita (θεὸς τῷ τρόπῳ τῆς ἀντιδόσεως ἡ φύσις ἡ ἑνωθεῖσά μοι)[486]. A motivo dell’amore compassionevole (δι’ εὐσπλαγχνίαν) il Logos si è unito all’uomo caduto (ἑαυτὸν τῷ πεσόντι ἑνώσαντα) in modo ἀτρέπτως, cioè senza mutamento; nel simbolo di Calcedonia l’ἀτρέπτως è uno dei quattro avverbi (ἀσυγχύτως, ἀτρέπτως, ἀδιαιρέτως, ἀχωρίστως) che precisano il rapporto fra le due nature nell’unico soggetto: non confusione né trasformazione di una natura nell’altra, come volevano i monofisiti radicali, ma neppure divisione e separazione, come volevano i nestoriani. Tutti e quattro gli avverbi sono negativi, per rilevare il modo misterioso con cui due nature integre e perfette confluiscono in un unico soggetto[487].

Con la frase seguente ci troviamo di fronte all’antitesi concettuale ed antinomia cristologica: impassibilmente ti sei abbassato fino alla passione (μέχρι παθῶν ἀπαθῶς ὑποκύψαντα)[488]. Questa formula viene adoperata già da Ignazio di Antiochia: impassibile, fattosi passibile per noi e che ha sofferto in ogni modo per noi (τὸν ἀπαθῆ, τὸν δι’ ἡμᾶς παθητόν, τὸν κατὰ πάντα τρόπον δι’ ἡμᾶς ὑπομείναντα)[489]. Lo stesso concetto cristologico ribadisce Gregorio Teologo: passibile nella carne, impassibile nella divinità (παθητὸν σαρκί, ἀπαθῆ θεότητι)[490]. Ancora più vicino all’affermazione di Cosma questa idea viene dichiarata da Giovanni Damasceno: Infatti, pur essendo non soggetto alle passioni, tuttavia per causa nostra servì ad esse, e divenne servente per la nostra salvezza (Ἀπαθὴς γὰρ ὢν δι’ ἡμᾶς ἐδούλευσε πάθεσι καὶ διάκονος τῆς ἡμῶν σωτηρίας γέγονεν)[491]. Così Cosma il Melodo con l’espressione «μέχρι παθῶν ἀπαθῶς ὑποκύψαντα» (impassibilmente ti sei abbassato fino alla passione) esprime il mistero della Passione di Cristo nella luce della libera katabasis dall’altezza del suo essere come Dio fino nel più profondo abisso della miseria e della vergogna umana, cioè la via dell’umiliazione fino alla croce, il punto più basso (cfr. Fil 2,6-8)[492].

Il tropario 1° dell’ode 5° crea un ponte tra gli eventi dell’Ultima Cena celebrati nel canone del Giovedì Santo e l’episodio al monte degli Ulivi (Mt 26,30), cantato nel triodio del Venerdì Santo: Con i piedi lavàti alla cena, con l’intelletto già purificato per la partecipazione al divino mistero gli apostoli salgono … al grande Monte degli Ulivi (Ῥυφθέντες πόδας καὶ προκαθαρθέντες μυστηρίου μεθέξει τοῦ θείου νοῦν … ἐλαιῶνος μέγα πρὸς ὄρος συνανῆλθον)[493]. A conclusione della cena gli apostoli avrebbero dovuto cantare i Sal 114-118, la seconda parte dell’Hallel, il tropario, accennando alla divinità del Figlio di Dio, indirizza quell’inno a Cristo, in quanto Dio, amico degli uomini: ὑμνοῦντές σε, φιλάνθρωπε (inneggiando a te, o amico degli uomini)[494]. Anche questo episodio Nikodêmos Hagiorita propone meditare tramite l’esegesi allegorica: attraverso la purificazione della mente per mezzo delle virtù si può salire al Monte degli Ulivi per rivelare i misteri dello Spirito e per inneggiare a Dio[495].

Il tropario 2° dell’ode 5° tratta della predizione di Gesù riguardo alla dispersione dei suoi discepoli nel momento dell’arresto (Mt 26,31-32): Tutti vi disperderete, lasciandomi solo, ma io vi raccoglierò (πάντες δὲ σκορπισθήσεσθε ἐμὲ λιπόντες, οὓς συνάξω)[496]. Mentre è uno solo che tradisce, tutti gli altri soffriranno per causa sua quella stessa notte; egli deluderà tutte le loro speranze messianiche. “Sta scritto infatti”, segue il testo che è una citazione inesatta di Zc 13,7, ma il concetto fondamentale rimane; il gruppo è indifeso quando gli viene a mancare la guida di Gesù[497]. Oltre il passo principale di Mt 26,31-32 il tropario è formato anche da molte altre citazioni e allusioni ai passi biblici:

Badate, amici, di non turbarvi (Mt 24,6, Gv 14,27), dicevi: è infatti giunta l’ora in cui io devo essere preso e ucciso per mano di iniqui (Mt 26,45). Tutti vi disperderete, lasciandomi solo, ma io vi raccoglierò (Mt 26,31-32, Zc 13,7, Gv 16,32; 11,52, Is 66,18), perché voi annunciate che io sono amico degli uomini[498].

L’irmo dell’ode 8° contrappone l’atto eroico dei divini fanciulli in Babilonia, che esposero all’infamia la statua malvagia di un antidio (Στήλην κακίας ἀντιθέου παῖδες θεῖοι παρεδειγμάτισαν) [Dn 3,18], al progetto iniquo del sinedrio che pensa di uccidere colui che tiene in mano la vita (ἀνόμων συνέδριον … κτεῖναι μελετᾷ τὸν ζωῆς κρατοῦντα παλάμῃ) [Mt 26,3-4][499]. L’espressione “l’iniquo sinedrio, fremendo contro il Cristo, medita cose vane” (κατὰ Χριστοῦ δὲ φρυαττόμενον ἀνόμων συνέδριον βουλεύεται κενὰ) si riferisce al Sal 2,1-2: Perché mai si agitano le genti e i popoli meditano cose vane? Si sollevano i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Cristo[500]. Bisogna osservare la forte antitesi concettuale: l’iniquo sinedrio … progetta di uccidere colui che tiene in mano la vita (ἀνόμων συνέδριον … κτεῖναι μελετᾷ τὸν ζωῆς κρατοῦντα παλάμῃ); infatti, è Dio colui che tiene in mano la vita, con le proprietà divine dell’eternità e dell’immortalità, il sinedrio, quindi, progetta di uccidere Dio immortale[501]. Dall’altra parte la natura divina di Cristo è messa in evidenza con l’efimnio comune per l’irmo e per tutti i tropari dell’ode 8°, tramite l’attribuzione a Cristo della lode divina del cantico dei tre fanciulli in Babilonia (Dn 3,57ss): colui che ogni creatura benedice, glorificandolo nei secoli (ὃν πᾶσα κτίσις εὐλογεῖ δοξάζουσα εἰς τοὺς αἰῶνας)[502].

I tropari dell’ode 8°, seguendo lo schema dei vangeli, presentano il dialogo commovente tra Cristo e l’apostolo Pietro[503]:

Tropario 1°: “… vegliate in preghiera, perché non abbiate a cadere in tentazione, e soprattutto tu, Simone …” (Mt 26,38.40-41; Mc 14,34.37-38; Lc 22,31-32.40.46);

Tropario 2°: “… con te morirò da forte, anche se tutti ti rinnegassero …” (Mt 26,33.35; Mc 14,29.31; Lc 22,33; Gv 13,37);

Tropario 3°: “… poiché sei carne, non vantarti: tu infatti mi rinnegherai tre volte …” (Mt 26,34.41; Mc 14,30.38.72; Lc 22,34; Gv 13,38);

Tropario 4°: “… giacché non appena ti si avvicinerà una servetta, tu ne sarai atterrito … Ma poiché piangerai amaramente, mi troverai benigno …” (Mt 26,69-75; Mc 14,66-72; Lc 22,56-62; Gv 18,17.25-27).

Questo schema basilare è ornato e arricchito con molte altre allusioni ai passi biblici. Dice Gesù ai discepoli: Scuotete ormai il sonno dalle palpebre (Ἀπὸ βλεφάρων, μαθηταὶ, νῦν ὕπνον, ἔφης, Χριστὲ τινάξατε), queste parole fanno riferimento a Mt 26,43 (li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti) e a Mc 14,40 (li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti)[504]. Gesù esorta Pietro a vegliare in preghiera perché al forte tocca più grave prova (καὶ μάλιστα Σίμων· τῷ κραταιῷ γὰρ μείζων πεῖρα) con il riferimento eventuale a Lc 22,31-32 (Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli) e con la possibile allusione a Sp 6,5-6 (… poiché il giudizio è severo contro coloro che stanno in alto. Gli ultimi infatti meritano misericordia, ma i potenti saranno vagliati con rigore)[505]. Giovanni Crisostomo nell’Omelia 82 sul Vangelo di Matteo tratta della caduta più grave di Pietro degli altri a causa della sua presunzione e perciò egli aveva bisogno di un soccorso maggiore:

Perciò dunque lo lascia cadere, per insegnargli così a credere in tutto a Cristo e a ritenere la sua sentenza più degna di fede della propria coscienza … anche se a tutti capitasse questo, vuol dire, a me non capiterà, e ciò lo condusse a poco a poco alla presunzione. Cristo, volendo frenare quindi questo atteggiamento, permise il rinnegamento … A riprova del fatto che lo permise per correggere in lui questo difetto, ascolta che cosa dice: Ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede (Lc 22,32). Lo diceva per scuoterlo fortemente e per mostrare che la sua caduta era più grave di quella degli altri e aveva bisogno di un soccorso maggiore. Due erano infatti i capi di accusa: che si oppose a Cristo e si antepose agli altri; anzi ce n’era anche un terzo, che attribuì tutto a se stesso[506].

Dall’altro punto di vista su più grave prova per quello che resiste, in modo positivo dice Gregorio Teologo in Orazione 21 in onore di S. Atanasio: … la guerra infuria intorno a lui, in quanto valoroso difensore del Logos, poiché lo schieramento nemico si volge soprattutto contro chi oppone resistenza[507]. Invece, sulla superbia come la causa della caduta spiega Giovanni Climaco: Ove ci fu una caduta, ivi prima s’era attendata la superbia: la seconda è l’indice della prima[508].

L’invito impressionante di Gesù al suo apostolo Pietro: Impara a conoscermi, o Pietro (γνῶθί με, Πέτρε), potrebbe alludere alle parole della triplice rinnegazione: Non conosco quell’uomo! (οὐκ οἶδα τὸν ἄνθρωπον)[509]. A questo appello drammatico «γνῶθί με, Πέτρε» nello prossimo tropario l’apostolo risponde: Né carne né sangue ma il Padre tuo ha rivelato a me te (σὰρξ οὐδὲ αἷμα, ὁ πατήρ σου ἀπεκάλυψέ μοι σὲ), riferendosi chiaramente alle parole di Gesù rivolte a Simone Pietro in risposta alla confessione della sua fede (Mt 16,17): Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli[510].

Tanto impressionante è la ricca e multilaterale raccolta dei riferimenti biblici per il tropario 3° dell’ode 8°[511]:

 – “Tu non hai scrutata tutta la profondità della divina sapienza e scienza”: Rm 11,33: O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!”; 1Cor 1,24: … Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio”;

 – “tu non hai compreso l’abisso dei miei giudizi, o uomo …”: Sal 35,7 (LXX): … il tuo giudizio come l’abisso profondo …”;

 – “poiché sei carne, non vantarti …”: 1Sm 2,3: Non moltiplicate i discorsi superbi, dalla vostra bocca non esca arroganza …”; Is 40,6-7: Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce …”.

Il tropario 4° dell’ode 8° per mezzo della figura retorica del paradosso rende evidente l’assurdità illogica come Pietro, poco tempo prima tanto coraggioso fino a morire, fu atterrito non davanti ad un tiranno o ad un esecutore terribile, ma non appena ti si avvicinerà una servetta, tu ne sarai atterrito (σοὶ παιδίσκη οἷα θᾶττον προσελθοῦσα πτοήσει σε)[512]. Secondo un detto attribuito a Giovanni Crisostomo: Il momento della mancanza di ardimento appare non quando subiamo il male, ma quando agiamo male[513]. La seconda parte del tropario è dedicata al pentimento di Pietro che per le sue lacrime penitenziali ottiene la remissione del peccato: Ma poiché piangerai amaramente, mi troverai benigno (πικρῶς δακρύσας ἕξεις ὅμως εὐΐλατόν με), infatti, come dice San Paolo ai Corinzi: la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza (2Cor 7,10)[514]. Sul pentimento salvifico dell’apostolo Pietro parla Asterio di Amasea:

Uno che, essendo stato arricchito con i doni così grandiosi ed insuperabili, ma poi avendo peccato contro il benefattore generoso e benigno, da voi, che siete i giudici implacabili e difficili da accontentarvi, quello immediatamente senza discussioni sarebbe certamente messo a morte, privato della vita qui e punito nella vita di là. Ma siccome non tale è il Signore del giudizio, che dona misericordia a migliaia e a miriadi (Es 34,7), che non vuole la morte del peccatore, ma aspetta la sua conversione (Ez 18,23; 33,11); non erano puniti in questo modo quelli che offendevano la grazia ricevuta, ma di nuovo la seconda grazia segue la prima, e il perdono si congiunge con la dimenticanza, e una lacrima gocciata ha potenza uguale al lavacro e un gemito penoso conduce la grazia su colui che fu poco indietreggiato. Se non credi alla mia parola, chiedi Pietro, seduto nella casa del sommo sacerdote, ed egli ti dirà, come fu purificato, piangendo amaramente il peccato del rinnegamento (Mt 26,75), e non fu ridotto in Simone, ma continuò ad essere Pietro l’apostolo[515].

Giovanni di Carpato (tra i sec. V-VII) tratta del pentimento di Pietro, delle sue lacrime penitenziali, in termini della lotta spirituale e della vittoria sul demonio:

Pietro, la roccia solida, cadendo terribilmente, ma come abile in battaglia, non indebolì né disperò né si scoraggiò, ma svegliandosi versò le più amare lacrime dal cuore afflitto e affranto; e il nostro avversario, vedendo questo, come dalla fiamma molto bruciato il volto, subito si allontanò rapidamente, fuggendo lontano, terribilmente emettendo grida acute[516].

I tropari dell’ode 9° continuano lo schema dei Vangeli, riflettendo il momento dell’arresto, lo schiaffo, l’interrogatorio e testimonianze false contro Gesù (Mt 26,47-57;59-61, Gv 18,3-14;19-24)[517]. Il primo tropario, prendendo spunto da Gv 18,3 e Mt 26,47, tratta dei due gruppi venuti per arrestare Gesù: La sciagurata coorte dei nemici di Dio, la sinagoga dei malfattori, uccisori di Dio (Ὀλέθριος σπεῖρα θεοστυγῶν, πονηρευομένων θεοκτόνων συναγωγὴ)[518]. Il primo gruppo contenuto dai soldati romani sono chiamati con l’appellativo nemici di Dio (θεοστυγείς), probabilmente richiamandosi all’odio dell’impero Romano verso i cristiani collegato con le persecuzioni sanguinose durante i primi secoli dell’era cristiana. L’appellativo del secondo gruppo è composto sulla base del Sal 21,17 (LXX)[519]:

Sal 21,17 (LXX): “ συναγωγὴ πονηρευομένων περιέσχον με” – “mi ha accerchiato una banda di malfattori”;

Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 1°: “πονηρευομένων θεοκτόνων συναγωγὴ ἐπέστη, Χριστέ, σοι” – “la sinagoga dei malfattori, uccisori di Dio, già ti è contro, o Cristo”.

La banda (συναγωγὴ), la sinagoga dei malfattori viene chiamata con l’appellativo di uccisori di Dio (πονηρευομένων θεοκτόνων συναγωγὴ); una delle principale accuse ai giudei dalla parte dei cristiani in passato. L’accusa di deicidio è stata possibile sulla base del principio della communicatio idiomatum, applicato già nella letteratura cristologica primitiva. Melitone di Sardi (II sec.) nell’omelia pasquale proclama: Dio è assassinato (ὁ θεὸς πεφόνευται)[520], intendendo Dio incarnato – in quanto anche uomo – è stato assassinato. La controversia tra giudei e cristiani dal II sec. fu condotta sul piano teologico e biblico. La ricca letteratura è composta da vari generi letterari: trattati, omelie, raccolte di testimonia, discussioni, ecc. La maggior parte di questi scritti all’esposizione apologetica e dottrinale della religione cristiana uniscono la critica del giudaismo[521]. Il periodo bizantino conta numerosi scritti contro i giudei. Tuttavia, i temi trattati sono sempre gli stessi: dimostrare ai giudei, mediante le citazioni dell’AT, che Gesù è il Messia predetto dalla Scrittura ed è vero Figlio di Dio, senza però che tale affermazione distrugga il monoteismo ebraico; che tutta l’economia di Cristo (vi è inclusa anche la sua seconda parusia) è conforme alle profezie; che conseguentemente ha avuto fine il culto giudaico e la chiesa è il vero popolo di Dio e l’erede delle promesse messianiche[522]. La polemica cristiana adversus judaeos non era sempre diretta contro gli ebrei ma contro quei cristiani che erano attratti verso la sinagoga, la frequentavano nelle feste e nel sabato o si convertivano al giudaismo[523]. Così anche le omelie Adversus Iudaeos di Giovanni Crisostomo erano pronunciate ad Antiochia negli anni 386-387 per distogliere i fedeli di Cristo dai riti giudaici che essi ancora praticavano:

I Giudei hanno ammazzato il figlio del vostro Signore e voi osate andare insieme a loro, nello stesso luogo? Colui che è stato da loro ucciso vi ha fatto un così grande onore, elevandovi alla condizione di fratelli e di coeredi e voi lo disonorate a tal punto che frequentate i suoi assassini, che lo hanno crocifisso, partecipate alle loro feste, vi recate nei loro luoghi sacrileghi, entrate negli edifici empi e partecipate alla mensa dei demoni. È la morte che essi hanno inflitto a Dio (θεοκτονίαν) che mi induce a chiamare così il digiuno degli ebrei[524].

Lo stesso termine uccisori di Dio (θεοκτόνοι) usa Cosma il Melodo nel tropario 1° dell’ode 9° del triodio del Venerdì Santo, che ad un primo sguardo sembrerebbe l’espressione antisemita. L’interpretazione malintesa si supera con la traduzione autentica del termine συναγωγὴ. È ovviamente che ci troviamo qua davanti alla citazione del Sal 21,17 (LXX), e la frase συναγωγὴ πονηρευομένων περιέσχον με (mi ha accerchiato una banda di malfattori) si riferisce ad un gruppo, una banda di malfattori, e non alla Sinagoga dei giudei come tale. Il tropario si riferisce a quel gruppo guidato da Giuda che è venuto ad arrestare Cristo, anzi quel gruppo è rappresentato dalle due parti: La sciagurata coorte dei nemici di Dio (ὀλέθριος σπεῖρα θεοστυγῶν), cioè i soldati Romani, e la sinagoga dei malfattori, uccisori di Dio (πονηρευομένων θεοκτόνων συναγωγὴ), cioè alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei (Gv 18,3)[525]. Il tropario non si riferisce né al tutto il popolo Romano né alla tutta Sinagoga dei giudei, ma al gruppo venuto a legare ingiustamente il Giusto (Gv 18,3, Mt 26,47, cfr. Is 3,9-10 LXX)[526].

La seconda parte del tropario 1° dell’ode 9°, riferendosi a Gv 18,12-13, per mezzo dell’antitesi poetica, descrive il procedimento dell’arresto di Gesù: … trascina via come reo il Creatore di tutte le cose (… καὶ ὡς ἄδικον εἷλκε τὸν κτίστην τῶν ἁπάντων)[527]. La teologia del Logos-Creatore è fissata già in Paolo Col 1,15-20 e nel Prologo di Giovanni (Gv 1,3)[528]. Giustino, Taziano, Teofilo ed Ireneo sviluppano il concetto della mediazione creatrice del Verbo. Taziano attribuisce al Logos la creazione in tutta l’ampiezza del termine: “Il Verbo celeste … a imitazione del Padre che lo ha generato, creò l’uomo immagine dell’immortalità … Il Verbo prima della formazione dell’uomo divenne creatore degli angeli …”[529]. Secondo Teofilo Dio ha creato tutto per mezzo del Verbo e della Sapienza[530]. Ireneo dichiara che Dio ha creato il mondo per le proprie forze, il Figlio e lo Spirito Santo[531].

Il tropario 2° dell’ode 9° rimprovera i giudei, i quali, anche se scrutavano minuziosamente la Scrittura, non compresero il senso dell’AT che in effetti dovrebbe condurre il credente verso Cristo: Ignorando la Legge, e meditando invano le parole dei profeti … (Νόμον ἀγνοοῦντες … φωνὰς προφητῶν τε μελετῶντες διὰ κενῆς …)[532]. Questa espressione potrebbe alludere ai numerosi passi biblici che trattano dei giudei che rifiutavano di comprendere il posto centrale di Gesù Cristo all’economia mosaica: Mt 22,29; Mc 4,11-12; Gv 5,39; 12,39-40; 2Cor 3,14-16; Rm 10,4, ecc.[533] Poi lo stesso tropario espone una delle profezie principali sulla missione e sul mistero pasquale della passione e della morte di Gesù Cristo, non compresa dai giudei, cioè l’inizio della terza parte del quarto cantico del Servo di JHWH di Is 53,7: gli empi trascinano via come una pecora te, Sovrano dell’universo, per immolare ingiustamente (οἱ ἀσεβεῖς … ὡς πρόβατον εἷλκον σὲ τὸν πάντων δεσπότην ἀδίκως σφαγιάσαι)[534]. La frase “come agnello”, applicata a Cristo in vari passi biblici (Gv 1,29.36; 1Pt 1,19; Ap 5,5-6), ricorda l’umile comportamento di Gesù, Servo di Dio davanti alla sua sofferenza vicaria per i peccati nostri (Is 53,5): i suoi patimenti sono causa di salvezza per gli altri[535]. L’episodio famoso della conversione dell’eunuco etiopico (At 8,26-40) tramite l’attività missionaria di Filippo riferisce questa profezia di Is 53,7 direttamente a Cristo (At 8,32ss)[536]. Il mistero pasquale di Gesù Cristo, l’Agnello immolato sulla croce (Gv 19,33-34) prevede l’interpretazione cristologica di Es 12, fissata nella tradizione patristica sin dall’inizio: L’uccisione dunque della pecora e il sacrificio dell’agnello e la scrittura della Legge hanno trovato il loro compimento in Gesù Cristo (Rm 10,4)[537].

Il tropario 3° dell’ode 9° riflette l’avvenimento della condanna di Gesù dal consiglio giudaico e dell’esecuzione della sentenza ad opera dei romani-gentili (Mt 27,1-2), preannunciato da Gesù (Mt 20,18-19), dopo riassunto da Pietro nel discorso di Pentecoste (At 2,23): Sacerdoti e scribi … hanno consegnato alle genti perché fosse ucciso, colui che è la vita (Τοῖς ἔθνεσιν ἔκδοτον τὴν ζωὴν σὺν τοῖς γραμματεῦσιν ἀναιρεῖσθαι οἱ ἱερεῖς παρέσχον)[538]. La causa della sentenza di morte si nasconde nella malvagia invidia dei capi dei sacerdoti (Mc 15,10; Mt 27,18): Sacerdoti e scribi, colpiti da malvagia invidia (πληγέντες αὐτοφθόνῳ κακίᾳ)[539].

Sempre per accentuare il dogma della divinità del Figlio di Dio, nel tropario 3° dell’ode 9° Cristo viene chiamato non solo la vita (ἡ ζωή), conforme a Gv 1,4; 11,25; 14,6, ma anche colui che per natura è datore di vita (τὸν φύσει ζωοδότην)[540]; attribuendo il titolo ζωοδότης a Cristo, Cosma il Melodo segue sia la tradizione patristica in generale[541], ma soprattutto la tradizione innografica di Romano il Melodo:

  • τοῦ ἀτιμήτου τίμημα λαλεῖται καὶ ζωοδότου ἡ σφαγή (si patteggia sulla stima dell’Inestimabile, sull’uccisione del Datore della vita);
  • ἐν σταυρῷ γὰρ περιέκειτο ὁ πάντων ζωοδότης (è stato disteso sulla croce Colui che dà la vita all’universo);
  • Τρεῖς σταυροὺς ἐπήξατο ἐν Γολγοθὰ ὁ Πιλᾶτος, δύο τοῖς λῃστεύσασι καὶ ἕνα τῷ ζωοδότῃ (Tre croci piantò sul Golgota Pilato, due per i ladroni, una per il Datore della vita);
  • Ὑμνολογήσασαι λοιπὸν τοῦ ζωοδότου τὸν τάφον (Cantato quest’inno al sepolcro del Donatore della vita)[542].

Mentre il primo tropario dell’ode 9°, trattando della banda dei malfattori (πονηρευομένων … συναγωγὴ), sfrutta la seconda parte del Sal 21,17 (LXX), l’ultimo tropario inizia con la prima parte dello stesso versetto[543]:

Sal 21,17 (LXX): “ὅτι ἐκύκλωσάν με κύνες πολλοί” – “Poiché molti cani mi attorniano”;

Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 4°: “Ἐκύκλωσαν κύνες ὡσεὶ πολλοὶ” – “Ti hanno circondato come un branco di cani”.

Questo Salmo (versetti: 2; 8-9; 17-19) è frequentemente utilizzato nei racconti della passione del NT, dove appare nella sua verità. Non è una predizione, ma una presentazione di una sofferenza e di una liberazione esemplari (cfr. il Servo Sofferente di Is 53), che si adempirono in maniera eminente in Gesù[544].

Il tropario 4° dell’ode 9° ricorda in breve i tre momenti del trattamento brutale a cui viene sottoposto Gesù durante la condanna[545]. Il primo momento menzionato è lo schiaffo, predetto in Is 50,6 (LXX) e descritto in Gv 18,22, Mt 26,67, Mc 14,65: con uno schiaffo, o Re, ti hanno percosso la guancia (ἐκρότησαν, ἄναξ, σιαγόνα σὴν ῥαπισμῷ)[546]. Il secondo episodio è l’interrogatorio a cui sottopongono Gesù per condannarlo, l’evento predetto nel Sal 34,11 e descritto in Gv 18,19: ti hanno interrogato (ἠρώτων σε)[547]. Il terzo momento menzionato nel tropario sussiste nelle testimonianze false contro Gesù descritte in Mc 14,60, Mt 26, 59-62: hanno testimoniato contro di te il falso (σοῦ δὲ ψευδῆ κατεμαρτύρουν)[548].

L’espressione finale rappresenta la passione di Gesù come evento soteriologico universale: tutto hai sopportato per salvare tutti (πάντα ὑπομείνας ἅπαντας ἔσωσας)[549]. La morte di Gesù viene vista come espiazione propiziazione. Gesù infatti è diventato sommo sacerdote allo scopo di espiare i peccati del popolo (εἰς τὸ ἱλάσκεσθαι τὰς ἁμαρτίας τοῦ λαοῦ) [Eb 2,17]. Espiazione esprime il potere di cui gode Cristo di liberare gli uomini dai loro peccati e di riconciliarli con Dio (cfr. Eb 7,25; 9,14). Iniziato con l’incarnazione, il suo sacerdozio si compie con l’immolazione sulla croce. Gesù viene chiamato la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo (1Gv 2,2). La formula “vittima di espiazione” (ἱλασμός ἐστιν περὶ τῶν ἁμαρτιῶν ἡμῶν), mutuata dalla terminologia sacrificale dell’AT (cfr. Es 29,36ss), sottolinea la libertà di Gesù nel consegnarsi volontariamente al sacrificio della croce, come vittima di espiazione per i peccati di tutto il mondo. Egli è veramente l’Agnello immolato (Ap 5,6.9.12), l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29)[550].

Un inno famosissimo e assai diffuso nella liturgia bizantina, l’irmo dell’ode 9° magnifica la realmente Madre-di-Dio (τὴν ὄντως θεοτόκον), come più venerabile dei cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei serafini (τὴν τιμιωτέραν τῶν Χερουβίμ καὶ ἐνδοξοτέραν ἀσυγκρίτως τῶν Σεραφὶμ), che senza corruzione ha generato il Verbo Dio (τὴν ἀδιαφθόρως θεὸν λόγον τεκοῦσαν)[551]. Innanzitutto osserviamo che il papiro n. 466 della John Rylands Library (VII sec.) fa riferimento ad un simile inno [εις το μεγ(αλυνει) την υψηλωτερα(ν) τον χαιροφιν], che probabilmente servì come modello per l’irmo di Cosma[552]. Dall’altra parte troviamo un simile inno per Madre di Dio nella poesia di Efrem Siro[553]:

Efrem Siro: “Τιμιωτέρα τῶν Χερουβὶμ καὶ ἀσυγκρίτως πάντων τῶν οὐρανίων στρατιῶν”;

Cosma di Maiuma: “Τὴν τιμιωτέραν τῶν Χερουβίμ καὶ ἐνδοξοτέραν ἀσυγκρίτως τῶν Σεραφὶμ …”.

La dottrina mariologica espressa nel famoso irmo di Cosma sta in piena armonia con l’insegnamento dei Padri della Chiesa. Tra le possibili fonti ispiratrici possiamo ricordare l’Homilia 5 In s. Virginem ac Dei Genitricem Mariam di Proclo di Costantinopoli:

… quindi, non c’è nulla nel mondo come la Vergine Maria. Percorri con la ragione, o uomo, tutta la creazione e vedi se ci sia qualcosa uguale o superiore della Santa Vergine Madre di Dio. Vai in giro per la terra, guarda attorno al mare, indaga l’aria, esplora con il pensiero il cielo, rifletti tutte le forze invisibili, e vedi se ci sia un altro simile miracolo in tutta la creazione?[554]

Per ribadire la dottrina mariologica del concilio di Efeso (431) l’irmo esorta a magnificare la realmente Madre-di-Dio (τὴν ὄντως θεοτόκον). Anche se il concilio di Efeso, rispondendo alle obiezioni di Nestorio, ha sanzionato in maniera definitiva la legittimità dell’uso e l’esatto significato del titolo Θεοτόκος, questo appellativo apparve come criterio di ortodossia già in Gregorio Teologo: chi non ci crede si separa dalla divinità[555]. Il concetto della Θεοτόκος in modo riassuntivo fu dichiarato da Giovanni Damasceno:

Noi proclamiamo che la santa Vergine è propriamente e veramente Madre di Dio: infatti come colui che fu generato da lei è vero Dio, così è vera Madre di Dio colei che ha generato da sé Colui che è il vero Dio[556].

Dunque, il triodio per il Venerdì Santo ricorda l’episodio al grande Monte degli Ulivi (Mt 26,30ss), il dialogo drammatico tra Cristo e i suoi discepoli, in particolare con Pietro (Mt 26,31-35), il momento dell’arresto, lo schiaffo, l’interrogatorio e testimonianze false contro Gesù (Mt 26,47-57;59-61, Gv 18,3-14;19-24)[557]. Il triodio è un capolavoro della poesia ecclesiastica bizantina e anche una fonte dei concetti teologici dell’epoca patristica.

3.6. Il Sabato Santo: È disceso fino alle stanze segrete dell’ade per liberare Adamo ed Eva con tutta la loro stirpe

L’importanza eccezionale del Sabato Santo all’interno della Santa e Grande Settimana rende evidente Giovanni Crisostomo nell’Homilia in Psalmum CXLV, predicata durante la Settimana Santa:

Perciò noi chiamiamo questa Settimana Grande … perché in essa il Signore ha fatto le grandi azioni per noi. In questa Grande Settimana, infatti, fu soppressa la lunga tirannia del diavolo, estinta la morte, legato il forte, strappata da lui la sua preda, cancellato il peccato, soppressa la maledizione, aperto il paradiso, il cielo si è fatto penetrabile, gli uomini con gli angeli si sono uniti, il muro di separazione fu distrutto, il muro di recinzione fu demolito, il Dio della pace ha reso pacifica ogni cosa, sia in cielo che in terra. Perciò si chiama Grande questa Settimana. È come essa è coronamento delle altre settimane, così il suo coronamento è il Grande Sabato; e proprio come la testa è nel corpo, così il Sabato in questa Settimana[558].

La sepoltura, la discesa agli inferi, la vittoria sull’ade, l’asserzione della risurrezione del nostro Signore costituiscono gli argomenti principali del tetraodio per il Sabato Santo composto da Cosma il Melodo sulla base delle odi 6°-9° con l’acrostico σάββατον μέλπω μέγα[559]. Il tetraodio presenta la riflessione teologica sulle questioni cristologiche: Come sia possibile la passione e la morte del Signore che possiede, oltre la natura umana, quella divina impassibile ed immortale? Dove “permaneva” l’ipostasi di Cristo nel frattempo tra la morte sulla croce e la risurrezione? Nonostante la difficoltà degli argomenti trattati e la costrizione delle regole poetiche, Cosma espone la teologia cristiana in modo chiaro e comprensibile.

L’irmo dell’ode 6° del tetraodio del Sabato Santo, basato sul Cantico di Giona (Gion 2,3-10), commenta la permanenza di Giona nel ventre del pesce per tre giorni e per tre notti (Gion 2,1) come prefigurazione della risurrezione di Gesù, conformemente a Mt 12,39-40; 16,4; Lc 11,29: Fu preso Giona, ma non trattenuto nel ventre del mostro marino (Συνεσχέθη, ἀλλ’ οὐ κατεσχέθη στέρνοις κητῴοις Ἰωνᾶς)[560]. Formulando la causa perché Giona non fu trattenuto nel ventre del mostro marino, Cosma il Melodo riesce a introdurre nel componimento poetico dell’irmo il termine tecnico dell’esegesi biblica «τύπος»: poiché era figura di te, che hai patito e sei stato posto in una tomba (σοῦ γὰρ τὸν τύπον φέρων τοῦ παθόντος καὶ ταφῇ δοθέντος)[561]. Il termine «τύπος» (lat.: typus, figura, forma, imago) significa segno, marchio, immagine, ecc. Per i cristiani l’unità dei due Testamenti portava a vedere una stretta connessione e corrispondenza tra persone, avvenimenti e istituzioni della prima alleanza con la seconda. L’interpretazione tipologica cerca di rendere manifesta la sottesa corrispondenza a un personaggio, o altro, secondo il principio che il Nuovo Testamento è nascosto nel Vecchio, e il Nuovo rivela il Vecchio. Nel Vangelo di Giovanni si afferma che le Scritture parlano di Cristo (Gv 5,39); è Cristo che dà senso all’AT e al NT. Essendo Cristo il compimento dell’AT, molti personaggi ed episodi sono interpretati come tipi di Cristo (Adamo, Abele, Abramo, Melchisedek, Isacco, Giobbe, Giacobbe, ecc.)[562]. Così nell’irmo dell’ode 6° del tetraodio per il Sabato Santo Giona appare come il τύπος, la prefigurazione di Cristo che ha patito, è posto in una tomba ed è risorto il terzo giorno[563]. L’uscita del profeta dal mostro, che è il τύπος della risurrezione del Signore, viene descritta in modo figurativo, sfruttando l’immagine dal Sal 18,6 (LXX): egli balzò fuori dal mostro come da un talamo (ὡς ἐκ θαλάμου, τοῦ θηρὸς ἀνέθορε)[564]. Nell’irmo Giona profeticamente si trasferisce nel tempo per annunciare alle guardie che custodivano il Santo Sepolcro: Voi che custodite vanità e menzogne, avete abbandonato la misericordia che era per voi (οἱ φυλασσόμενοι μάταια καὶ ψευδῆ ἔλεον αὑτοῖς ἐγκατελίπετε); questa esclamazione è sorta come una rielaborazione di Gion 2,9: Quelli che custodiscono vanità e menzogne (gli idoli vani) abbandonano la loro grazia (φυλασσόμενοι μάταια καὶ ψευδῆ ἔλεος αὐτῶν ἐγκατέλιπον)[565]. Per quanto riguarda l’episodio della reazione delle guardie presso la tomba di Gesù, che sono state completamente sopraffatte nel momento della risurrezione (Mt 28,4) e poi sono stati corrotti dai capi dei sacerdoti giudei (Mt 28,11-15), è possibile anche una allusione ad Is 56,10: I suoi guardiani sono tutti ciechi, non capiscono nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi[566].

Il tropario 1° dell’ode 6° del tetraodio per il Sabato Santo risponde alla domanda: Dove “permaneva” l’ipostasi di Cristo nel frattempo tra la morte sulla croce e la risurrezione?[567] Gesù Cristo pone lo stupefacente mistero della sua realtà divina e umana nell’unità della sua ipostasi. Con Calcedonia si ha un pronunciamento decisivo sul problema dell’unione della natura divina e di quella umana nell’unica persona di Cristo. L’unione della natura umana con il Verbo è una unione ipostatica; avviene cioè nell’ipostasi divina del Verbo, il quale incarnandosi assume la natura umana, diventando così uomo perfetto[568]. Ci interroghiamo sul destino di Gesù Cristo durante il triduum mortis, nel periodo cioè che va dalla morte alla sua risurrezione. Quale mistero racchiude il Sabato del suo silenzio totale?[569] Da una parte il dato biblico ci dice che Gesù Cristo non rimase sopraffatto dalla morte: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione (At 2,31); il Santo fu liberato dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere (At 2,24)[570]. Dall’altra parte, però, la realtà storica della morte redentrice di Gesù viene testimoniata all’unanimità dai Vangeli e dagli altri scritti del Nuovo Testamento: Gesù, dando un forte grido, spirò (Mc 15,37; cfr. Mt 27,50; Lc 23,46; Gv 19,30; Fil 2,8)[571]. Gregorio Teologo riflette su questo dilemma nella luce del valore salvifico della morte di Cristo:

Egli è impassibile per la sua divinità, ma è sottoposto a passione a causa della carne che ha assunto; è uomo a causa tua tanto quanto tu diventi Dio per grazia sua. È stato portato a morte per le nostre colpe, è stato crocifisso e sepolto quanto basta per assaporare la morte, ed è stato resuscitato il terzo giorno, è risalito al cielo, per portare con sé te, che giacevi a terra[572].

Giovanni Damasceno offre una riflessione dettagliata spiegando che la divinità del Verbo rimane non-separata dall’anima e dal corpo anche nella morte del Signore e permane una sola ipostasi:

Quindi, anche se <egli> morì come uomo, e la sua santa anima fu divisa dal corpo immacolato, tuttavia la divinità rimase non separata da ambedue – e cioè dall’anima e dal corpo – e neanche così l’unica ipostasi fu divisa in due ipostasi: infatti sia il corpo sia l’anima fin dal principio ebbero contemporaneamente l’esistenza nell’ipostasi del Verbo e, pur essendo stati divisi tra di loro nella morte, <tuttavia> ciascuno di loro continuò ad avere l’unica ipostasi del Verbo. Cosicché l’unica ipostasi del Verbo era ipostasi sia del Verbo, sia dell’anima, sia del corpo: infatti né l’anima né il corpo ebbero mai un’ipostasi propria all’infuori dell’ipostasi del Verbo; e l’ipostasi del Verbo è sempre una sola, mai due. E quindi l’ipostasi del Cristo è sempre una sola, e anche se l’anima fu divisa localmente dal corpo, tuttavia secondo l’ipostasi vi era unita attraverso il Verbo[573].

Per la domanda “Come possibile che l’unica ipostasi di Cristo accompagni contemporaneamente il corpo e l’anima di Cristo separati tra di loro dalla morte?” Giovanni Damasceno risponde adoperando l’attributo divino dell’onnipresenza:

È deposto in un sepolcro, lui che ha il cielo per trono e la terra per sgabello, lui che riempie e circoscrive l’universo. L’unico, in quanto Dio, ad essere illimitato e a contenere nel palmo la creazione, viene limitato, fisicamente parlando, da un sepolcro. Lo stesso che è adorato come Dio in cielo con il Padre e lo Spirito, come uomo giace con il corpo in una tomba e con l’anima dimora nell’abisso dell’inferno, e rende il paradiso accessibile al ladrone, senza mai privarsi dell’infinità della propria essenza divina. Infatti, anche se l’anima divina si separò dal corpo vivificante ed incontaminato, tuttavia la divinità del Logos, per effetto dell’indivisibile unione ipostatica avvenuta fra le due nature dopo il concepimento nel seno della santa Vergine e Madre di Dio Maria, è rimasta inseparabile da entrambe, cioè dall’anima come dal corpo. Così perfino nella morte continuava ad esservi nel Cristo una sola sostanza, poiché nella persona del Logos divino sussisteva sia l’anima che il corpo, anche dopo la morte[574].

Una riflessione filosofica riguardo agli attributi dell’onnipresenza e dell’incircoscrizione di Dio troviamo nell’Expositio fidei di Giovanni Damasceno:

Invece Dio, essendo immateriale e incircoscritto, non è in un luogo: egli è luogo a se stesso, riempendo tutte le cose, essendo al di sopra di tutte le cose e abbracciando egli tutte le cose[575].

Nel libro liturgico bizantino Oktôêchos troviamo un tropario composto da Giovanni Damasceno sulla base dei dati biblici di 1Pt 3,19; Lc 23,43; Col 3,1; Ef 1,23; 4,10, che tratta proprio della presenza contemporanea del Logos in “diversi posti” a causa dell’attributo divino dell’incircoscrivibilità:

Col corpo nella tomba, con l’anima nell’ade come Dio, col ladrone in paradiso e in trono tu eri, o Cristo, col Padre e con lo Spirito, tutto colmando, o incircoscrivibile[576].

Questa dottrina viene riassunta anche da Cosma in un breve componimento poetico, cioè nel tropario 1° dell’ode 6° del tetraodio del Sabato Santo: Sei stato ucciso, o Verbo, ma non separato dalla carne assunta … una era l’ipostasi della tua divinità e della tua carne (Ἀνῃρέθης, ἀλλ’ οὐ διῃρέθης, λόγε, ἧς μετέσχες σαρκός … μία ἦν ὑπόστασις τῆς θεότητος καὶ τῆς σαρκός σου)[577]. Per di più Cosma il Melodo inserisce nel tropario l’insegnamento cristologico della distruzione del tempio del corpo del Verbo nella passione, basato su Gv 2,19: poiché anche se il tempio del tuo corpo è stato distrutto nella passione, anche così una era l’ipostasi (εἰ γὰρ καὶ λέλυταί σου ὁ ναὸς ἐν τῷ καιρῷ τοῦ πάθους, ἀλλὰ καὶ οὕτω μία ἦν ὑπόστασις)[578]. Allo stesso modo l’idea del tempio del corpo del Verbo consegnato alla morte è espressa in Atanasio di Alessandria:

<Il Verbo>, dopo aver dimostrato la sua divinità con le opere, offrì infine il suo sacrificio per tutti consegnando alla morte il suo tempio in nome di tutti per renderli indipendenti e liberi dall’antica trasgressione e mostrarsi così superiore anche alla morte, mostrando il suo corpo incorruttibile come primizia della risurrezione di tutti (cfr. 1Cor 15,20)[579].

Il tropario 1° dell’ode 6° del tetraodio per il Sabato Santo si conclude con una parafrasi al simbolo di Calcedonia, un pronunciamento decisivo sul problema dell’unione della natura divina e di quella umana nell’unica ipostasi di Cristo: in entrambe infatti tu sei un solo Figlio, Verbo di Dio, Uomo e Dio (ἐν ἀμφοτέροις γὰρ εἷς ὑπάρχεις υἱὸς, λόγος τοῦ θεοῦ, θεὸς καὶ ἄνθρωπος)[580].

Il tropario 2° dell’ode 6° del tetraodio per il Sabato Santo risponde ad un’altra domanda cristologica: Come sia possibile la passione e la morte di una ipostasi del Signore che possiede, oltre la natura umana, la quella divina impassibile ed immortale? Il tropario afferma: anche se la natura terrena della tua carne ha patito, impassibile permane la divinità (εἰ γὰρ καὶ πέπονθέ σου τῆς σαρκὸς ἡ χοϊκὴ οὐσία, ἀλλ’ ἡ θεότης ἀπαθὴς διέμεινε)[581]. Intorno alla passione del corpo del Signore e alla impassibilità della sua divinità riflette Giovanni Damasceno:

Dunque lo stesso Verbo di Dio sopportò tutte le cose con la carne, mentre la sua divina, unica e impassibile natura rimaneva impassibile. Infatti quando l’unico Cristo soffriva, composto di divinità e di umanità ed esistente nella divinità e nell’umanità, il <suo> elemento passibile soffriva essendo per natura atto a soffrire, ma quello impassibile non soffriva insieme ad esso. Infatti l’anima – che è passibile –, quando il corpo è tagliato ma essa non è tagliata, <tuttavia> ha dolore e soffre insieme al corpo; invece la divinità, che è impassibile, non soffriva insieme al corpo. Bisogna sapere che noi diciamo che Dio ha sofferto con la carne, ma per nulla <diciamo> che la divinità soffrì con la carne oppure che Dio soffrì attraverso la carne[582].

Il tropario 2° dell’ode 6°, infatti, inizia con una riflessione sulle conseguenze della colpa di Adamo: la morte tocca il genere umano a causa del peccato (Gen 2,7; Rm 5,12), ma non tocca Cristo Dio che non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca (1Pt 2,22; cfr. Is 53,9; 1Gv 3,5; 2Cor 5,21): Omicida, ma non deicida fu la colpa di Adamo (Βροτοκτόνον, ἀλλ’ οὐ θεοκτόνον ἔφυ τὸ πταῖσμα τοῦ Ἀδάμ)[583].

Infine il tropario 2° dell’ode 6° presenta la dottrina intorno alla corruzione e alla decomposizione del corpo di Cristo e dell’uomo redento: ciò che in te era corruttibile lo hai portato all’incorruttibilità, rendendolo per la risurrezione sorgente di vita incorruttibile (τὸ φθαρτὸν δέ σου πρὸς ἀφθαρσίαν μετεστοιχείωσας καὶ ἀφθάρτου ζωῆς ἔδειξας πηγὴν ἐξ ἀναστάσεως)[584]. Qui Cosma di nuovo segue l’insegnamento dell’Expositio fidei di Giovanni Damasceno che riflette questa questione negli stessi termini:

La parola “corruzione” indica due cose. Infatti indica queste sofferenze umane, quali la fame, la sete, la fatica, la perforazione dei chiodi, la morte – e cioè la separazione dell’anima dal corpo – e tali cose. Secondo questo significato noi diciamo corruttibile il corpo del Signore: infatti egli prese su di sé volontariamente tutte queste cose. Ma la corruzione indica anche la completa dissoluzione e scomparsa del corpo negli elementi di cui fu composto: e da molti essa è chiamata piuttosto “decomposizione”. Ma il corpo del Signore non ebbe esperienza di essa, come dice il profeta Davide: “Perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la decomposizione” (Sal 16,10 LXX) … D’altra parte, conformemente al secondo significato della “corruzione” noi confessiamo il corpo del Signore incorruttibile, e cioè non soggetto alla decomposizione, come ci hanno tramandato i Padri ispirati da Dio. Ma certamente dopo la risurrezione del Salvatore dai morti diciamo il corpo del Signore incorruttibile anche secondo il primo significato. E attraverso il suo proprio corpo il Signore donò anche al nostro corpo la risurrezione e dopo di ciò l’incorruttibilità, essendo diventato egli per noi primizia della risurrezione (cfr. 1Cor 15,20), dell’incorruttibilità e dell’impassibilità: “È necessario infatti che questo corpo incorruttibile si vesta di incorruttibilità”, dice il divino Apostolo (1Cor 15,53)[585].

Il concetto esposto sia nel tropario di Cosma sia in questo passo di Giovani Damasceno mira a combattere l’aftartodocetismo, la dottrina estremista sorta dal monofisismo, in Egitto, nella prima metà del VI sec. ad opera di Giuliano di Alicarnasso, che dichiarava la incorruttibilità del corpo di Cristo fin dalla nascita. Soprattutto a riguardo della passione di Cristo, veniva negata la possibilità reale delle sue sofferenze e si accettava di fatto che avesse sofferto spiegandolo come miracolo dovuto alla sua volontà e non perché il suo corpo fosse per natura soggetto al dolore. Leonzio di Bisanzio descrisse i punti principali della dottrina aftartodoceta, contestandoli in una prospettiva di economia salvifica[586].

Il tropario 3° dell’ode 6° del tetraodio per il Sabato Santo tratta del mistero della discesa agli inferi: Regna l’ade sulla stirpe dei mortali ma non in eterno: tu infatti, o potente, deposto nella tomba hai infranti i chiavistelli della morte con mano vivificante (Βασιλεύει, ἀλλ’ οὐκ αἰωνίζει ᾅδης τοῦ γένους τῶν βροτῶν σὺ γὰρ τεθεὶς ἐν τάφῳ, κραταιὲ, ζωαρχικῇ παλάμῃ τὰ τοῦ θανάτου κλεῖθρα διεσπάραξας)[587]. Il tropario risponde alla questione sul destino di Gesù Cristo durante il periodo di tre giorni dalla morte alla sua risurrezione, fondandosi ovviamente sull’antica tradizione cristiana, largamente attestata nei Padri, della discesa di Gesù nel regno dei morti[588]. L’apocrifo Vangelo di Nicodemo (II sec.), di origine giudeo-cristiana, contiene una pittoresca narrazione dell’ingresso vittorioso di Gesù nel regno dei morti, della disintegrazione di questo regno e della liberazione dei morti:

E subito, a quella parola, le porte bronzee si frantumarono e le sbarre di ferro furono infrante. Tutti i morti legati furono sciolti dalle catene … Il re della gloria entrò come un uomo. I luoghi bui tutti dell’ade s’illuminarono … Il re della gloria, porgendo la sua destra, prese e sollevò il progenitore Adamo. Quindi, volgendosi agli altri, disse: “Orsù, venite con me voi tutti che subiste la morte per il legno che costui ha toccato. Ecco io vi faccio risorgere tutti per mezzo del legno della croce”[589].

Questa tradizione apocrifa è largamente attestata nei Padri che attribuiscono alla discesa di Gesù nel regno dei morti una precisa intenzionalità salvifica. Con il passaggio di Gesù nello sheol la teologia patristica intendeva evidenziare la sottomissione a lui delle potenze infernali e del dominatore dell’oltretomba, la predicazione della salvezza a tutti i morti, la liberazione effettiva dei giusti morti prima di Cristo[590]. Ireneo di Lione tratta della discesa agli inferi di Gesù per annunciare la buona novella della salvezza e liberare i trapassati:

In Geremia Egli annunci la morte e la discesa agli inferi in questi termini: “Il Signore, il santo d’Israele, si ricordò dei suoi morti, che nel passato avevano dormito nella polvere della terra, discese da loro per annunciare la buona novella della salvezza e liberarli”. Qui indica i motivi della sua morte; la discesa agli inferi era la salvezza dei trapassati[591].

La discesa nell’ade è interpretata nella chiave soteriologica anche da Gregorio Teologo:

Se scenderà nell’ade, tu scendi insieme a Lui. Conosci anche i misteri di Cristo che riguardano quel luogo, cioè quale sia il significato della doppia discesa, quale il motivo; insomma per sapere se con la sua apparizione salva tutti, o anche lì solo quelli che credono[592].

Il tropario 3° dell’ode 6° del tetraodio per il Sabato Santo tratta dell’annunciazione della liberazione ai morti: hai annunciato la vera liberazione a quanti là dormivano da secoli (ἐκήρυξας τοῖς ἀπ’ αἰώνων ἐκεῖ καθεύδουσι λύτρωσιν ἀψευδῆ)[593].

Il tropario è composto sulla base dei riferimenti ed allusioni ai dati biblici[594]:

Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 3°:

 – Regna l’ade sulla stirpe dei mortali … “la morte regnò da Adamo …” (Rm 5,14);

 – … tu infatti, o potente … hai infranti i chiavistelli della morte … “perché ha infranto le porte di bronzo e ha spezzato le sbarre di ferro” (Sal 106,16 (LXX)); “… spezzerò le porte di bronzo, romperò le spranghe di ferro” (Is 45,2);

 – … deposto nella tomba … “… lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia” (Mc 15,46);

 – … hai annunciato la vera liberazione a quanti là dormivano da secoli …“Infatti anche ai morti è stata annunciata la buona novella …” (1Pt 4,6);

 – … o Salvatore, divenuto primogenito tra i morti “Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti” (Col 1,18).

Giovanni Damasceno riassume la dottrina della Chiesa intorno alla discesa agli inferi nell’ultimo capitolo del terzo libro dell’Expositio fidei:

L’anima divinizzata [di Cristo] discende agli inferi affinché … così la luce splendesse anche a coloro che sotto terra giacevano nell’oscurità e nell’ombra della morte (Is 9,2): affinché … era stato causa di salvezza eterna (Eb 5,9) … così <avvenisse> anche per coloro che erano agli inferi (1Pt 3,19), “affinché a lui ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,10). E così avendo sciolto coloro che erano incatenati da sempre, di poi risalì dai morti aprendo a noi la strada della risurrezione[595].

Bisogna osservare che tutti i tre tropari dell’ode 6° del tetraodio per il Sabato Santo seguono i quattro ultimi capitoli del terzo libro dell’Expositio fidei di Giovanni Damasceno, ciò potrebbe suscitare l’idea della dipendenza di Cosma dal Damasceno, oppure della collaborazione o dell’uso delle stesse fonti dai due autori contemporanei[596].

Il tropario 3° dell’ode 6° potrebbe essere ispirato anche dall’omelia di Giovanni Crisostomo De coemeterio et de Cruce:

Oggi il nostro Signore ha percorso tutti i luoghi dell’ade; oggi egli “ha spezzato le porte di bronzo” oggi egli “ha rotto le spranghe di ferro” (Sal 106,16; Is 45,2) … <Cristo> per dimostrare la fine della morte ha spezzato le porte di bronzo … Per così lungo tempo nessuno persuase la morte di lasciare qualcuno dei trattenuti, mentre il Signore degli angeli discendendo la costrinse a questo … così ha fatto Cristo: tramite la sua morte ha legato il capo di predoni e il carceriere, il diavolo e insieme la morte; ed ha trasferito nel tesoro del Re tutta la ricchezza, cioè la razza umana. Questo rivela anche Paolo dicendo: “È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore” (Col 1,13) … Il Re stesso è venuto ai prigionieri, e non si vergognava né della prigione né degli imprigionati – perché Egli non si vergognerà di chi ha creato – ha spezzato le porte, ha rotto le spranghe, è disceso nell’ade, ha fatto incapaci tutte le sue guardie, e prendendo legato il carceriere, così è tornato a noi. Il tiranno viene portato come prigioniero, il forte è legato, la morte stessa nuda, gettando le armi, è ricorsa ai piedi del Re[597].

L’irmo dell’ode 7° del tetraodio del Sabato Santo, basato sul cantico dei tre fanciulli (Dn 3,26-56), ricorre all’antica esegesi patristica di Dn 3,92 attestata già in Ireneo di Lione, che riconosce il Logos, il Figlio di Dio nella figura di colui che stava vicino a tre fanciulli nella fornace preservandoli dal fuoco:

Talvolta, come a coloro che stavano vicino ad Anania, Azaria e Misaele, [il Logos] si faceva vedere ad assisterli nella fornace di fuoco e nel forno preservandoli dal fuoco; e “la figura del quarto, dice, pareva quella del Figlio di Dio” (Dn 3,92)[598].

L’irmo dell’ode 7° collega questa grande teofania dell’AT con il mistero del Sabato Santo: colui che nella fornace ha liberato i santi fanciulli dal fuoco, è deposto in una tomba morto, senza respiro (ὁ ἐν καμίνῳ ῥυσάμενος τοὺς ὁσίους παῖδας ἐκ φλογὸς ἐν τάφῳ νεκρὸς ἄπνους κατατίθεται)[599]. L’irmo considera la morte e sepoltura come l’evento soteriologico: per la salvezza (εἰς σωτηρίαν ἡμῶν), chiamando Cristo il titolo soteriologico Dio redentore (λυτρωτὰ, ὁ θεὸς)[600]. Paolo identifica Gesù con la redenzione stessa: Cristo Gesù è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione [ἀπολύτρωσις] (1Cor 1,30). La redenzione di Cristo, quindi, unico mediatore tra Dio e l’uomo, fonda la sua efficacia salvifica sulla sua morte, che è liberazione di tutta l’umanità da ogni peccato e da ogni iniquità[601].

Il tropario 1° dell’ode 7° del tetraodio per il Sabato Santo sviluppa il concetto della vittoria sull’ade, esposto in Os 13,14 e citato in 1Cor 15, 54-55, predicato dai Padri fin da inizi: L’ade è ferito al cuore accogliendo colui che ha avuto il fianco ferito dalla lancia: geme consumato dal fuoco divino (Τέτρωται ᾅδης, ἐν τῇ καρδίᾳ δεξάμενος τὸν τρωθέντα λόγχῃ τὴν πλευρὰν, καὶ σθένει πυρὶ θείῳ δαπανώμενος)[602]. Melitone di Sardi nell’omelia Sulla Pasqua in pochi tratti ci offre una rappresentazione drammatica della discesa agli inferi e della vittoria sull’ade:

Sono io – dice – il Cristo. Sono io che ho distrutto la morte, che ho trionfato del nemico (cfr. Col 2,15), che ho calpestato l’Ade, che ho legato il forte (Mt 12,29; Mc 3,27), che ho rapito l’uomo verso le sommità dei cieli. Sono io – dice – il Cristo[603].

Infatti, l’esclamazione biblica “Dov’è, o morte il tuo pungiglione? Dov’è, o ade, la tua vittoria?” (cfr. Os 13,14; 1Cor 15,55) faceva parte delle parecchie omelie pasquali dell’epoca patristica. Gregorio Teologo, interpretando l’episodio del serpente di bronzo (Num 21,8-9), nell’Orazione 45 Per la Santa Pasqua, proclama:

“Dov’è, o morte, il tuo pungolo? Dove, inferno, la tua vittoria?” (Os 13,14; 1Cor 15,55). Sei stato colpito dalla croce, hai ricevuto la morte da colui che dispensa la vita. Ora sei esanime, morto, immobile e privo di forza: se anche conservi l’aspetto del serpente, stando nell’alto sei marchiato d’infamia[604].

Giovanni Crisostomo nell’omelia In Sanctum Pascha proclama:

Oggi è distrutto il potere del diavolo! Oggi i vincoli della morte sono sciolti, la vittoria dell’ade è annientata! Oggi è opportuno proclamare di nuovo questo detto profetico: “Dov’è, o morte il tuo pungiglione? Dov’è, o ade, la tua vittoria?” (Os 13,14; 1Cor 15,55). Oggi il Signore nostro Cristo “ha spezzato le porte di bronzo” (Is 45,2) ed ha annientato il volto della morte [605]

Il Sermo catecheticus in Pascha pseudo-crisostomico aggiunge e sviluppa la frase iniziale del canto funebre per il re di Babilonia, un canto che resta insuperato nell’AT per bellezza e forza drammatica; il Sermo lo trasferisce nel contesto cristologico:

… “L’ade è stato amareggiato, incontrandoti nelle profondità” (Is 14,9). Amareggiato, perché distrutto. Amareggiato, perché giocato. Amareggiato, perché ucciso. Amareggiato, perché annientato. Amareggiato, perché incatenato. Aveva preso un corpo, e si è trovato davanti Dio. Aveva preso terra e ha incontrato il cielo. Aveva preso ciò che vedeva, ed è caduto per quel che non vedeva. “Dov’è, o morte il tuo pungiglione? Dov’è, o ade, la tua vittoria?” (Os 13,14). È risorto il Cristo, e tu sei stato precipitato[606].

La citazione dell’esclamazione biblica “Dov’è, o morte il tuo pungiglione? Dov’è, o ade, la tua vittoria?” (cfr. Os 13,14; 1Cor 15,55) nel contesto pasquale riprendono anche gli innografi. Romano il Melodo la cita nel contacio La Risurrezione IV o Le dieci dracme, in cui la parabola evangelica (Lc 15,8ss) è soltanto lo spunto da cui Romano parte per cantare la discesa di Cristo agli Inferi e la sua vittoria sulle potenze infernali. Cristo, trionfando nello scontro con Ades, vanifica il potere della Morte e libera i trapassati che si ridestano cantando il celebre grido di Paolo:

Sepolti con Cristo in virtù del Battesimo e con Lui risorti, cantando diciamo a gran voce: “Dov’è, Morte, la tua vittoria? Dov’è, Ades, il tuo pungiglione? È risorto infatti il Signore che è la Vita e Risurrezione[607].

La fonte ispiratrice diretta per il tropario 1° dell’ode 7° del tetraodio per il Sabato Santo potrebbe trovarsi nel contacio di Romano il Melodo Il trionfo della Croce, che pure tratta dell’ade ferito al cuore:

Tre croci piantò sul Golgota Pilato, due per i ladroni, una per il Datore della vita: quando Ades vide questa croce, disse agli spiriti infernali: “Miei servitori e miei guerrieri, chi ha piantato un chiodo nel mio cuore? Una lancia di legno mi ha ferito d’improvviso e io sento che ne schiatterò: i visceri mi dolgono e ho un gran mal di pancia, i sensi ribollono sconvolgendomi lo spirito …[608].

Cosma il Melodo nel tropario 1° dell’ode 7° riesce a creare una bella antitesi commovente: L’ade è ferito al cuore accogliendo colui che ha avuto il fianco ferito dalla lancia [Gv 19,34] (Τέτρωται ᾅδης, ἐν τῇ καρδίᾳ δεξάμενος τὸν τρωθέντα λόγχῃ τὴν πλευρὰν), ponendola nel contesto soteriologico: per la salvezza di noi (εἰς σωτηρίαν ἡμῶν)[609].

Probabilmente la venerazione per il Santo Sepolcro, possibile per il fatto della vicinanza geografica, stimolava i poeti palestinesi esaltarlo con tanto rispetto e devozione. Così Cosma il Melodo nel tropario 2° dell’ode 7° del tetraodio per il Sabato Santo esclama: O felice tomba! Accogliendo in sé il Creatore come un dormiente, è divenuta divino forziere di vita (Ὄλβιος τάφος! ἐν ἑαυτῷ γὰρ δεξάμενος ὡς ὑπνοῦντα τὸν δημιουργὸν, ζωῆς θησαυρὸς θείας ἀναδέδεικται)[610]. Con il sentimento di grande onore al Santo Sepolcro predicava Giovanni Crisostomo nell’omelia De coemeterio et de cruce:

Non sapete come gli angeli stavano presso il sepolcro, che non ha avuto il suo corpo, cioè presso il sepolcro vuoto? Tuttavia poiché esso ha accolto del tutto il corpo del Signore, loro recano il grande onore anche al luogo stesso. Gli angeli, che superano la nostra natura, con tanto rispetto e devozione stavano presso il sepolcro …[611]

Romano il Melodo canta la lode al Santo Sepolcro: A te lode, a te onore, sepolcro santo, piccolo e grandissimo, povero e ricco, scrigno della vita, porto della pace, segno di gioia, tomba di Cristo …[612]. Osserviamo le espressioni somiglianti: ζωῆς ταμιεῖον (scrigno della vita) in Romano e ζωῆς θησαυρὸς (forziere di vita) in Cosma.

Il tropario 3° dell’ode 7° del tetraodio per il Sabato, sulla base di Gv 1,4 (In lui era la vita), di Gv 11,25 (“Io sono la risurrezione e la vita”) e di Gv 14,6 (“Io sono la via, la verità e la vita”) chiama Cristo la vita di tutti (ἡ τῶν ὅλων ζωὴ), è così il tropario inizia con una antitesi concettuale: Come è norma per i morti, la vita di tutti è deposta in una tomba (Νόμῳ θανόντων τὴν ἐν τῷ τάφῳ κατάθεσιν ἡ τῶν ὅλων δέχεται ζωὴ)[613]. L’espressione somigliante, a cui potrebbe alludere il tropario, troviamo nell’Homilia in divini corporis sepulturam di Pseudo-Epifanio, predicata nel giorno del Sabato Santo: Ma ascoltiamo le parole sacre come Cristo la Vita, da chi e quando viene messo in una tomba[614].

Poi, Cristo, la vita di tutti, rende la tomba sorgente di risurrezione (καὶ τοῦτον πηγὴν δείκνυσιν ἐγέρσεως); il concetto della risurrezione è espresso con il termine ἔγερσις, come anche in Mt 27,53 (μετὰ τὴν ἔγερσιν αὐτοῦ) e nella norma di fede esposta in Ireneo di Lione (καὶ τὴν ἔγερσιν ἐκ νεκρῶν)[615]. Dall’altra parte con il termine ἔγερσις (risurrezione) il tropario potrebbe alludere a Gen 49,9 (Un giovane leone è Giuda … si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi lo farà alzare? [τίς ἐγερεῖ αὐτόν]); questo brano biblico è interpretato da Giovanni Crisostomo nella luce del riposo di Cristo, il tema del Sabato Santo, cioè nella luce della morte e risurrezione:

Poi, indicando la croce, disse: “Si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi lo farà alzare? (τίς ἐγερεῖ αὐτόν;)”. La sua morte, infatti, viene chiamata addormentamento e sonno; e con la morte ha collegato la risurrezione, dicendo: “Chi lo farà alzare?” Nessun altro, se non lui sé stesso[616].

La lode magnifica al Santo Sepolcro con lo stesso concetto della tomba di Cristo come sorgente della nostra risurrezione (ἡ πηγὴ τῆς ἡμῶν ἀναστάσεως) troviamo nel libro liturgico bizantino Oktôêchos nel tropario composto da Giovanni Damasceno:

La tua tomba, sorgente della nostra risurrezione, o Cristo, si è rivelata portatrice di vita, più bella in verità del paradiso, più splendente di qualsiasi talamo regale[617].

Dall’altra parte il concetto della tomba di Cristo come sorgente di risurrezione potrebbe alludere, almeno concettualmente, a Gv 4,14: “… l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna (πηγὴ ὕδατος ἁλλομένου εἰς ζωὴν αἰώνιον)”[618].

L’ultimo tropario dell’ode 7° ribadisce le questioni cristologiche: Dove “permaneva” l’ipostasi di Cristo nel frattempo tra la morte sulla croce e la risurrezione? E come possibile che l’unica ipostasi di Cristo accompagna contemporaneamente il corpo e l’anima di Cristo separati tra di loro dalla morte? Annuncia Cosma con questo tropario: Una e indivisa era nell’ade, nella tomba e nell’Eden la divinità di Cristo, insieme al Padre ed allo Spirito (Μία ὑπῆρχεν ἡ ἐν τῷ ᾅδῃ ἀχώριστος καὶ ἐν τάφῳ καὶ ἐν τῇ Ἐδὲμ θεότης Χριστοῦ σὺν πατρὶ καὶ πνεύματι)[619]. Dato che il tropario tratta lo stesso argomento che il tropario 1° dell’ode 6° dello stesso tetraodio valgono qua le riflessioni sopracitate di Giovanni Damasceno che la divinità del Verbo rimane non-separata dall’anima e dal corpo anche nella morte del Signore e permane una sola ipostasi[620]. Vale qui anche la spiegazione del Damasceno della possibilità che l’unica ipostasi di Cristo accompagni contemporaneamente il corpo e l’anima di Cristo separati tra di loro dalla morte grazie all’attributo divino dell’onnipresenza[621]. Bisogna osservare la vicinanza particolare dell’ultimo tropario dell’ode 7° con il tropario di Giovanni Damasceno che tratta della presenza contemporanea del Logos in “diversi posti”[622]:

Giovanni Damasceno, Canone anastasimos, ode 1°, trop. 2°: “Ἐν τάφῳ σωματικῶς, ἐν ᾍδῃ δὲ μετὰ ψυχῆς ὡς Θεός· ἐν Παραδείσῳ δὲ μετὰ Λῃστοῦ, καὶ ἐν θρόνῳ ὑπῆρχες, Χριστὲ, μετὰ Πατρὸς καὶ Πνεύματος …” – “Col corpo nella tomba, con l’anima nell’ade come Dio, col ladrone in paradiso e in trono tu eri, o Cristo, col Padre e con lo Spirito …”;

Cosma di Maiuma; Tetr. Sab. S., ode 7°, trop. 4°: “Μία ὑπῆρχεν ἡ ἐν τῷ ᾅδῃ ἀχώριστος καὶ ἐν τάφῳ καὶ ἐν τῇ Ἐδὲμ θεότης Χριστοῦ σὺν πατρὶ καὶ πνεύματι …” – “Una e indivisa era nell’ade, nella tomba e nell’Eden la divinità di Cristo, insieme al Padre ed allo Spirito …”.

L’inizio dell’irmo dell’ode 8° del tetraodio per il Sabato Santo fa appello al cielo e alla terra a imitazione di Dt 32,1 (“Udite, o cieli: io voglio parlare. Ascolti la terra le parole della mia bocca!”) e di Is 1,2 (“Udite, o cieli, ascolta, o terra, così parla il Signore”); l’invocazione di Cosma, però, è arricchita ed adornata con l’idea espressa nel Sal 81,5 LXX (vacillano tutte le fondamenta della terra – σαλευθήσονται πάντα τὰ θεμέλια τῆς γῆς) e in Gb 9,6 (Scuote la terra dal suo posto e le sue colonne tremano – ὁ σείων τὴν ὑπ᾽ οὐρανὸν ἐκ θεμελίων, οἱ δὲ στῦλοι αὐτῆς σαλεύονται); dunque esclama l’irmo 8° del tetraodio: Sbigottisci tremando, o cielo, e si scuotano le fondamenta della terra (Ἔκστηθι φρίττων, οὐρανὲ, καὶ σαλευθήτωσαν τὰ θεμέλια τῆς γῆς)[623]. La causa che fa tremare il cielo e fa scuotere la terra sta nel paradosso espresso da Cosma con un’antitesi concettuale: è annoverato tra i morti il Dio che è nell’alto dei cieli (ἐν νεκροῖς λογίζεται ὁ ἐν ὑψίστοις οἰκῶν), che potrebbe nella prima parte alludere al Sal 87,5 LXX (Sono annoverato tra quelli che scendono nella tomba, sono come un uomo senza aiuto che circola tra i morti – προσελογίσθην μετὰ τῶν καταβαινόντων εἰς λάκκον ἐγενήθην ὡς ἄνθρωπος ἀβοήθητος ἐν νεκροῖς ἐλεύθερος)[624]. Poi l’irmo rileva che Cristo è ospitato in una piccola tomba (τάφῳ μικρῷ ξενοδοχεῖται), ciò potrebbe accentuare il concetto della povertà del Figlio dell’uomo, che assumendo una condizione di servo (Fil 2,7), non ha dove posare il capo (Mt 8,20)[625]. Questa parte dell’irmo potrebbe attingere l’idea dall’Homilia in divini corporis sepulturam di Pseudo-Epifanio, predicata nel giorno del Sabato Santo, che descrive in modo drammatico la richiesta del corpo di Cristo da parte di Giuseppe di Arimatea da Pilato:

“Dammi questo straniero, perché è venuto qua dal paese lontano per salvare straniero … Dammi questo Nazareno straniero … che non ha dove posare il capo (Mt 8,20). Dammi questo straniero, che, come lo straniero in terra straniera, non ebbe la propria casa, è nato nella mangiatoia … Dammi questo morto, che è contemporaneamente Dio …”[626].

Sulla base dell’esclamazione «Δός μοι τοῦτον τὸν ξένον» (“Dammi questo straniero”) è fondato l’ἐπιτάφιος θρῆνος(il lamento funebre), composto da Giorgio Acropolita (+1282), e cantato durante la processione con l’epitáfios nel giorno del Sabato Santo:

Vedendo il sole nascondere i suoi raggi, e il velo del tempio lacerato alla morte del Salvatore, Giuseppe andò da Pilato, e così lo pregava:

Dammi questo straniero, che dall’infanzia come straniero si è esiliato nel mondo (Gv 1,5.10-11; Mt 2,13ss).

Dammi questo straniero, che i suoi fratelli di razza hanno odiato e ucciso come straniero (Sal 68,9 LXX).

Dammi questo straniero, di cui stranito contemplo la morte strana.

Dammi questo straniero, che ha saputo accogliere poveri e stranieri.

Dammi questo straniero, che gli ebrei per invidia hanno estraniato dal mondo (Mt 27,18).

Dammi questo straniero, perché io lo seppellisca in una tomba, giacché, come straniero, non ha ove posare il capo (Mt 8,20).

Dammi questo straniero, al quale la Madre, vedendolo morto, gridava:

O Figlio e Dio mio, anche se sono trafitte la mie viscere (Lc 2,35) e il mio cuore dilaniato al vederti morto, tuttavia ti magnifico, confidando nella tua risurrezione. Supplicando Pilato con questi discorsi, il nobile Giuseppe ricevette il corpo del Salvatore: con timore lo avvolse in una sindone con mirra e depose in una tomba colui che a tutti elargisce la vita eterna e la grande misericordia (Sal 50,3 LXX)[627].

L’efimnio dell’irmo, con il cantico dei tre fanciulli nella fornace di Babilonia, rende gloria divina al Figlio di Dio, basandosi su Dn 3,83ss e sul Sal 112,1 LXX: Fanciulli, beneditelo, sacerdoti, celebratelo, sovresaltalo, o popolo, per tutti i secoli (ὃν παῖδες εὐλογεῖτε, ἱερεῖς ἀνυμνεῖτε, λαὸς ὑπερυψοῦτε εἰς πάντας τοὺς αἰῶνας)[628].

Il tropario 1° dell’ode 8° del tetraodio per il Sabato Santo parla della morte e risurrezione di Cristo in termini dell’esegesi biblica[629]:

La morte di Cristo – Gv 2,19 (cfr. Mc 14,58):

Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 1°: “Λέλυται ἄχραντος ναὸς …” – “È stato distrutto il tempio immacolato …”;

Gv 2,19: “λύσατε τὸν ναὸν τοῦτον καὶ ἐν τρισὶν ἡμέραις ἐγερῶ αὐτόν” – “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”.

La risurrezione di Cristo – Am 9,11 (cfr. At 15,16):

Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 1°: “τὴν πεπτωκυῖαν δὲ συνανίστησι σκηνήν …” – “ma risuscita con sé la tenda caduta …”;

Am 9,11: “ἐν τῇ ἡμέρᾳ ἐκείνῃ ἀναστήσω τὴν σκηνὴν Δαυιδ τὴν πεπτωκυῖαν …” – “In quel giorno rialzerò la capanna di Davide, che è cadente …”.

La parola di Gesù “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,19) si riferisce alla sua morte e risurrezione: il nuovo tempio è il Cristo risorto[630]. Giovanni Crisostomo interpreta questo passo evangelico non soltanto nella luce della risurrezione del Signore, ma la risurrezione è una prova della divinità di Cristo:

“Quando”, dice, “Gesù risorse dai morti, allora si ricordarono e credettero alle sue parole e alla Scrittura” (Gv 2,22). Due cose venivano loro proposte: la risurrezione della carne, e ciò che era anche più grande, la divinità di colui che abitava in quella carne. Le accennò entrambe: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificherò” (Gv 2,19)… Perché ciò che meglio poteva provare che non era semplice uomo era appunto il poter innalzare un trofeo di vittoria contro la morte, il poter abbattere la sua lunga tirannide e il poter mettere così prontamente termine a questa difficile guerra[631].

Con il termine “tempio immacolato” (ἄχραντος ναὸς) il tropario 1° dell’ode 8° chiama il corpo di Cristo secondo la spiegazione di Gv 2,21: “Ma egli parlava del tempio del suo corpo”; il tempio immacolato è stato distrutto (λέλυται), ciò significa, citando il Damasceno, che Cristo morì come uomo e la su santa anima fu divisa dal corpo immacolato (τοῦ ἀχράντου σώματος); quindi il termine “tempio immacolato” (ἄχραντος ναὸς) in Cosma corrisponde al termine “corpo immacolato” (τοῦ ἀχράντου σώματος) in Giovanni Damasceno[632].

Cirillo di Alessandria, interpretando il passo di Am 9,11 nella luce della risurrezione di Cristo, intende sotto la capanna cadente il corpo di Cristo risuscitato dal Padre, ma anche la natura umana rinnovata in Cristo:

Quando, infatti, Egli è risuscitato dai morti, il Dio Padre ha rialzato la sua capanna caduta fino alla morte, cioè il suo corpo dalla terra, allora, certo allora tutto l’umano è risorto verso la forma originaria, e tutto abbattuto in noi fu portato all’aspetto nuovo. “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura” (2Cor 5,17), secondo le Scritture; noi, infatti, siamo risorti insieme con lui. E anche se la morte aveva abbattuto le capanne di tutti, il Dio Padre le ha ricostruito in Cristo; e questo è misurato per noi non per un tempo, ma per giorni eterni, perché il bene dell’incorruttibilità è inalienabile in noi, e la morte non avrà dominio sui salvati in Cristo[633].

La parte centrale del tropario, per mezzo di una forte immagine drammatica dell’incontro dei due Adami, presenta il punto culminante della kenosis del Figlio di Dio, del secondo Adamo, che dimora nel più alto dei cieli (cfr. 1Cor 15,45.47) e che è disceso verso il primo, fino alle stanze segrete dell’ade (Ἀδὰμ γὰρ τῷ προτέρῳ δεύτερος ὁ ἐν ὑψίστοις οἰκῶν κατῆλθε μέχρις ᾅδου ταμείων)[634]. Per salvare Adamo caduto, Cristo scense non soltanto sulla terra, ma negli inferi, come dice un testo liturgico del Sabato Santo:

Sulla terra sei disceso per salvare Adamo, e non avendolo trovato sulla terra, o Sovrano, sino all’ade sei disceso per cercarlo[635].

Il concetto soteriologico viene espresso da Paolo tramite il parallelismo di Adamo e di Cristo nuovo Adamo (1Cor 15,21-23; 15,45-49; Rm 5,12-21), che ambedue vengono visti in modo simbolico come tipo e anti-tipo. Attraverso l’uno sono venuti morte, peccato, privazione di grazia; attraverso l’altro, il rientro nella grazia, “nuova creazione”, promessa di vita[636].

Il tropario 2° dell’ode 8° del tetraodio per il Sabato Santo, fondandosi su Mt 26,35, Mc 15,42ss, fa un grande encomio del coraggio di Giuseppe di Arimatea, che, mentre gli apostoli essendo fuggiti, chiede il corpo di Cristo da Pilato: È finito il coraggio dei discepoli, migliore di loro è Giuseppe d’Arimatea: egli infatti, contemplando morto e nudo il Dio che tutto trascende, lo chiede e gli presta le ultime cure (Πέπαυται τόλμα μαθητῶν, Ἀριμαθαίας δὲ ἀριστεύει Ἰωσήφ· νεκρὸν γὰρ καὶ γυμνὸν θεώμενος τὸν ἐπὶ πάντων θεὸν αἰτεῖται καὶ κηδεύει)[637]. La fonte ispiratrice del tropario in questione potrebbe trovarsi nell’Homilia in divini corporis sepulturam di Pseudo-Epifanio, che descrive in modo commovente il coraggio di Giuseppe di Arimatea che chiede da Pilato il corpo di Gesù morto e nudo, che è contemporaneamente Dio:

Mentre Nicodemo è generoso di mirra e di aloe, Giuseppe è degno di lode per il coraggio e l’audacia davanti a Pilato. Poiché egli gettando via tutta la paura, osò di entrare da Pilato, chiedendo il corpo di Gesù … “Dammi per la sepoltura il corpo morto di quel Gesù Nazzareno da te condannato, di Gesù povero, di Gesù che non aveva la propria casa, di Gesù crocifisso, nudo, disprezzato, di Gesù il figlio di falegname, di Gesù legato, all’addiaccio, straniero e non riconosciuto come ospite, disdegnato e crocifisso da tutti … Dammi, o governatore, questo nudo sulla croce: coprirò Colui che ha coperto la nudità della mia natura. Dammi questo morto, che è contemporaneamente Dio: coprirò Colui che ha coperto le mie iniquità. Dammi, o governatore, il morto che ha seppellito il mio peccato nel Giordano”[638].

Come il tropario 2° dell’ode 1° del triodio per il Lunedì Santo pone l’accento sulla volontarietà dell’incarnazione del Logos (Sono venuto per servire Adamo divenuto povero, della cui forma volontariamente mi sono rivestito, io, il Creatore … – Διακονῆσαι αὐτὸς ἐλήλυθα, οὗ τὴν μορφὴν ὁ πλαστουργὸς ἑκὼν περίκειμαι, τῷ πτωχεύσαντι Ἀδὰμ), così anche il tropario 3° dell’ode 8° del tetraodio per il Sabato Santo rileva la volontarietà della sepoltura: Colui che dimora nel più alto dei cieli volontariamente si lascia sigillare sotto terra (ἑκὼν γὰρ ὑπὸ γῆς σφραγίζεται ὁ ἐν ὑψίστοις οἰκῶν)[639]. Il segno caratteristico dell’amore estremo, secondo l’insegnamento di Gesù, sta nel dare la sua vita (Gv 15,13). Così, il Figlio di Dio è venuto volontariamente per subire le passioni, per essere crocifisso e morto dall’estremo amore per gli uomini [640]. Atanasio di Alessandria riflette sulla ragione della libera incarnazione e dunque sulla morte volontaria nella chiave soteriologica:

Il Verbo vedendo che la corruzione degli uomini non poteva essere eliminata se non con una morte generale e che d’altra parte non poteva morire il Verbo, che è immortale e figlio del Padre, si prese un corpo che può morire affinché questo corpo, partecipando del Verbo che è al di sopra di tutti, fosse sufficiente a morire per tutti, pur rimanendo incorruttibile in virtù del Verbo che abita in lui, e si allontanasse così da tutti la corruzione per la grazia della risurrezione[641].

Poi il tropario interpreta l’episodio della richiesta da parte dei capi dei sacerdoti e dei farisei per imposizione delle guardie presso la tomba di Gesù: “Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore (ὁ πλάνος), mentre era vivo, disse: «Dopo tre giorni risorgerò»” (Mt 27,63); il tropario esprime l’indignazione dell’assurdo, come possibile che Dio è calunniato come seduttore (πλάνος θεὸς συκοφαντεῖται)[642]. Giovanni Crisostomo deride questo episodio tramite la figura retorica del paradosso:

Considera la loro ridicola malizia. “Ci siamo ricordati”, dicono, “che quell’impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò”. Se era un impostore e millantava il falso, perché temete, correte qua e là e ci mettete tanto impegno?[643]

Dall’altra parte Giovanni Crisostomo in questo contesto loda l’amore per la verità dei discepoli e accusa i nemici per la loro crudeltà:

Considera l’amore dei discepoli per la verità, come non tengano nascosto nulla di quanto hanno detto i nemici, pur avendo essi detto cose vergognose. Ecco, lo chiamano impostore, e non lo passano sotto silenzio. Questo dimostra la loro crudeltà, perché non deposero la loro ira nemmeno di fronte alla morte, e l’indole schietta e l’amore per la verità dei discepoli[644].

L’ode 9° del tetraodio per il Sabato Santo presenta un dialogo veramente drammatico tra Gesù morto e la sua Madre dolorosa; l’irmo inizia con l’invocazione effettivamente impressionante: Non piangere per me, o Madre, vedendo nella tomba il Figlio (Μὴ ἐποδύρου μοι, μῆτερ, καθορῶσα ἐν τάφῳ … υἱόν); questa frase potrebbe essere ispirata dalle parole di Gesù: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli” (Lc 23,28)[645]. La Madonna dolente risponde: ora, Dio mio, vedendoti morto, senza respiro, sono orribilmente straziata dalla spada del dolore (νῦν δέ σε, θεέ μου, ἄπνουν ὁρῶσα νεκρὸν, τῇ ῥομφαίᾳ τῆς λύπης σπαράττομαι δεινῶς); si menziona, ovviamente, la profezia di Simeone: “anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,35)[646]. Il tropario 2°, che è una risposta per le parole della Madonna del tropario precedente, pone l’accento sulla volontarietà della morte e della sepoltura di Cristo: Per mio volere la terra mi ricopre (Γῆ με καλύπτει ἑκόντα)[647]. Il dialogo tragico si rompe ogni volta con la frase finale di ogni strofa che pregusta il trionfo e la gioia della risurrezione:

  • perché io risorgerò e sarò glorificato (ἀναστήσομαι γὰρ καὶ δοξασθήσομαι), con allusione a Gv 13,31-32[648];
  • Risorgi, dunque, perché io sia magnificata (ἀλλ’ ἀνάστηθι, ὅπως μεγαλυνθήσομαι), con allusione a Lc 1,46[649];
  • di nuovo risorgerò e ti magnificherò (ἀναστήσομαι αὖθις καὶ μεγαλύνω σε)[650].

Il tropario conclusivo pieno della gioia pasquale ci esorta intensamente: Esulti il creato, si rallegrino tutti gli abitanti della terra … Vengano avanti le donne con gli aromi … il terzo giorno risorgerò (Ἀγαλλιάσθω ἡ κτίσις, εὐφραινέσθωσαν πάντες οἱ γηγενεῖς … μετὰ μύρων γυναῖκες προσυπαντάτωσαν … τῇ τρίτῃ ἡμέρᾳ ἐξαναστήσομαι); il tropario allude al Sal 95,11 (LXX) e fa riferimento alla storia delle donne che portavano gli aromi al sepolcro (Mc 16,1, Lc 24,1) e all’incontro con Gesù risorto (Mt 28,9)[651].

Nonostante la tensione emotiva e la densità drammatica dell’ode 9° del tetraodio per il Sabato Santo, l’innografo non si stanca di esporre accanto anche le dottrine teologiche. L’irmo tratta della dottrina mariologica della concezione verginale: … il Figlio che senza seme hai concepito in grembo (… ὃν ἐν γαστρὶ ἄνευ σπορᾶς συνέλαβες υἱόν); sulla maternità verginale nel senso della concezione del Figlio di Dio nel seno di Maria per opera solo dello Spirito Santo, nella mariologica patristica c’è una totale unanimità[652]. Ignazio di Antiochia confessa:

Il nostro Dio, Gesù Cristo, è stato portato nel seno della Vergine Maria, secondo l’economia divina, dalla radice di Davide e dello Spirito Santo.

… essendo pieni di ardore verso il Signore nostro, che veramente discende dalla stirpe di Davide secondo la carne, Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, nato veramente dalla Vergine …[653]

Secondo l’affermazione di Ireneo di Lione:

… di Cristo Gesù Figlio di Dio, il quale per la sua immensa carità verso gli uomini sue creature si sottopose alla generazione dalla Vergine unendo così l’uomo a Dio …[654]

Anche nel simbolo niceno-costantinopolitano viene rilevata la dottrina mariologica della concezione verginale: … si è incarnato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine e si è fatto uomo (… σαρκωθέντα ἐκ Πνεύματος Ἁγίου καὶ Μαρίας τῆς παρθένου καὶ ἐνανθρωπήσαντα)[655].

Dall’altra parte l’irmo ci esorta alla venerazione della Madonna, riferendosi probabilmente a Lc 1,48 (D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata – ἰδοὺ γὰρ ἀπὸ τοῦ νῦν μακαριοῦσίν με πᾶσαι αἱ γενεαί), con l’assicurazione della ricompensa ai fedeli da parte di Cristo Dio: poiché sono Dio, incessantemente innalzerò nella gloria coloro che con fede e amore magnificano te [la Madonna] (καὶ ὑψώσω ἐν δόξῃ ἀπαύστως ὡς θεὸς τοὺς ἐν πίστει καὶ πόθῳ σὲ μεγαλύνοντας)[656].

Il tropario 1° dell’ode 9° del tetraodio per il Sabato Santo tratta della dottrina mariologica della nascita straordinaria: All’ora della tua nascita straordinaria, ho sfuggito le doglie, in beatitudine sovrannaturale (Ἐπὶ τῷ ξένῳ σου τόκῳ τὰς ὠδῖνας φυγοῦσα ὑπερφυῶς ἐμακαρίσθην); così si adempisce la profezia messianica isaiana: Prima delle doglie essa ha partorito; prima di essere sorpresa dai dolori si è sgravata di un maschio (Is 66,7)[657]. La prima testimonianza riguardo alla questione della verginità di Maria durante il parto ci danno le Odi di Salomone, un innario cristiano degli inizi del II sec.:

Lo Spirito stese le sue ali sul seno della Vergine, ed ella concepì e partorì, e divenne Madre-Vergine con molta misericordia; rimase incinta e partorì un figlio senza dolore …[658].

Secondo Ireneo di Lione:

… il Verbo si sarebbe fatto carne e il Figlio di Dio figlio dell’uomo – puro in modo puro aprendo la pura vagina che rigenera gli uomini in Dio da lui stesso purificata – e colui che è divenuto ciò che noi siamo è il Dio forte ed ha una genealogia indescrivibile[659].

Il tropario 1° dell’ode 9° del tetraodio per il Sabato Santo da una parte ribadisce la dottrina cristologica nicena della divinità del Figlio di Dio; la Madonna lo chiama: o Figlio che non hai principio … Dio mio (ἄναρχε υἱέ … θεέ μου); dall’altra parte, però, la Madonna si rivolge a Gesù: vedendoti morto, senza respiro (ἄπνουν ὁρῶσα νεκρὸν), testimoniando in questo modo contro il docetismo la realtà della morte di Cristo[660].

Gli ultimi due tropari riprendono il tema centrale del Sabato Santo. Il tropario 2° dell’ode 9° tratta della discesa vittoriosa di Cristo agli inferi e la gloriosa vittoria sull’ade: tremano i custodi dell’ade vedendomi avvolto … nella veste insanguinata della vendetta: perché io, Dio, ho abbattuto i nemici con la croce (φρίττουσιν ᾅδου οἱ πυλωροὶ, ἠμφιεσμένον βλέποντες στολὴν ᾑμαγμένην … τῆς ἐκδικήσεως· τοὺς ἐχθροὺς ἐν σταυρῷ γὰρ πατάξας ὡς θεὸς); il tropario ricorre ad uno dei più forti e più impressionanti carmi di tutto il libro d’Isaia, al canto della grande vendetta del Servo sofferente (Is 63,1-6)[661]. Si schiude la visione apocalittica: nella suprema lotta cosmica col male, che trascende ogni umana resistenza, Dio è la sorgente di ogni potere; nel terrificante giorno del Signore, Dio distrugge totalmente il male. Gesù stesso, annunciando la venuta dell’era messianica, chiaramente s’identificò col Servo sofferente (Lc 4,18-21; Is 61,1-2), perciò i Padri riferivano spesso questi versi a Cristo nella sua cruenta morte sulla croce[662]. Oltre il canto della grande vendetta del Servo sofferente (Is 63,1-6), il tropario può riferirsi a Is 59,17 (Ha indossato le vesti della vendetta, si è avvolto di zelo come di un manto), Gen 49,11 (lava nel vino la sua veste e nel sangue dell’uva il suo manto)[663]. Per quanto riguarda l’espressione “tremano i custodi dell’ade” (φρίττουσιν ᾅδου οἱ πυλωροὶ) il tropario 2° dell’ode 9° potrebbe attingere anche da Gb 38,17: Gli aditi della morte sono stati spalancati a te, o le hai vedute tu le soglie dell’ombra di morte? (ἀνοίγονται δέ σοι φόβῳ πύλαι θανάτου, πυλωροὶ δὲ ᾅδου ἰδόντες σε ἔπτηξαν;)[664]. La fonte patristica del tropario 2° dell’ode 9° potrebbe trovarsi nell’Orazione 45: Per la Santa Pasqua di Gregorio Teologo:

Se si meraviglieranno, dicendo secondo la composizione drammatica di Isaia: “Chi è questo che viene da Edom” e dalla realtà terrena? O: “Come mai è rosso il mantello di colui che è privo di corpo e di sangue, proprio come se si trattasse di uno che pigia l’uva e che calpesta un tino ricolmo?”, tu poni innanzi a te la bellezza della stola del corpo che ha sofferto, che è stato reso ancor più bello dalla Passione, e che splendeva della sua natura divina, della quale niente è più amabile e più bello[665].

Discesa agli Inferi. Affresco. Chiesa del Salvatore di Chora, Costantinopoli, 1310

L’ultimo tropario del tetraodio per il Sabato Santo presenta una delle più splendide immagini della piena sconfitta, della spoliazione totale del nemico ade e della liberazione della stirpe umana, un’immagine tradizionalmente presentata nell’icona bizantina dedicata alla festa della Pasqua: è stato spogliato l’ade, il nemico! … io libero Adamo insieme ad Eva, con tutta la loro stirpe (ὁ γὰρ ἐχθρὸς ἐσκύλευται ᾅδης … τὸν Ἀδὰμ σὺν τῇ Εὔᾳ λυτροῦμαι παγγενῆ)[666]. Il tropario allude al grido di trionfo per la salvezza divina del profeta Osea (Os 13,14): Dal potere dello sceòl li libererò! Dalla morte li salverò![667]Gregorio Teologo nell’Orazione 45 Per la Santa Pasqua, proclama:

“Dov’è, o morte, il tuo pungolo? Dove, inferno, la tua vittoria?” (Os 13,14; 1Cor 15,55). Sei stato colpito dalla croce, hai ricevuto la morte da colui che dispensa la vita. Ora sei esanime, morto, immobile e privo di forza …[668].

L’esclamazione finale del tropario e, quindi, l’espressione conclusiva del tetraodio per il Sabato Santo è destinata a preannunciare il pieno trionfo della risurrezione: il terzo giorno risorgerò (τῇ τρίτῃ ἡμέρᾳ ἐξαναστήσομαι)[669].

Dunque, il merito principale di Cosma e degli altri melodi consiste nel trasferire i concetti teologici dall’ambito teologico speculativo nella vita liturgica. Seguendo il principio della Lex orandi, lex credendi, secondo il quale la preghiera liturgica esprime ciò che si deve credere, Cosma come gli altri innografi bizantini rese accessibili i dogmi teologici ai cristiani partecipanti nella preghiera liturgica, attribuendo alla liturgia un valore regolatore in materia di fede[670].

Conclusione

Durante l’VIII sec. nella liturgia bizantina fiorisce il nuovo genere dell’innografia ecclesiale, il canone. È un grande inno poetico musicale in lode di Dio e dei santi in occasione di festività religiose. Il canone prende la sua origine dalle odi bibliche (cantica), che godevano una grande stima tra i cristiani dai tempi molto antichi[671]. Dal V sec. nell’innografia bizantina appare il τροπάριον, un piccolo inno laudatorio, cantato secondo un dato modulo musicale, destinato a rivelare l’essenza della festa[672]. Il tropario dalla prosa ritmica si allargò in forma strofica[673]; i tropari accompagnavano la salmodia in qualità dei ritornelli essendo inseriti tra i versi dei salmi[674]; nel VI sec. in Palestina si affermò la pratica di intercalare i tropari pure tra i versi dei cantici biblici[675]. Dunque il nome di canone è passato a indicare la composizione poetica dei tropari intrecciati con i versi dei 9 cantici biblici; il ritmo musicale e poetico è dato dal tropario iniziale detto irmos[676].

L’isosillabismo e l’omotonia sono le due leggi fondamentali del lirismo bizantino e del ritmo usato dai melodi[677]. L’isosillabismo consiste in due regole generali: 1) l’irmo ed ogni tropario di un’ode sono provvisti dal medesimo invariabile numero di sillabe; 2) le pause che in melodia separano i membri ritmici di un’irmo si riproducono in tropari dipendenti nelle stesse posizioni determinate[678]. La legge dell’omotonia può essere espressa sotto la formulazione seguente: i tropari riproducono tutti gli accenti ritmici del suo irmo in ogni periodo sillabico corrispettivo[679]. Tranne tre canoni giambici di Giovanni Damasceno, creati secondo le regole della metrica greca classica, tutti i canoni, inclusi quelli di Cosma il Melodo, appartengono alla nuova poesia ecclesiastica bizantina[680] in cui i componenti poetici sono strutturati sui modelli complessi delle corrispondenti sillabe accentuate, seguendo i ritmi della lingua parlata più che artificiali sillabe lunghe o brevi della prosodia greca classica[681].

Cosma di Maiuma (674/676 – 751/752), detto il Princeps Melodorum, nella storia della poesia ecclesiale bizantina è uno dei più grandi rappresentanti del genere letterario del canone[682]. Alla sua mano appartengono molti canoni dedicati alle solennità più importanti: Esaltazione della Croce, Natale, Epifania, Presentazione del Signore, Domenica delle Palme, della Settimana Santa, Pentecoste, Trasfigurazione, Dormizione della Madre di Dio, ecc.[683] Secondo la biografia tradizionale Cosma nacque intorno al 674/676 a Damasco; rimasto orfano fu allevato insieme con Giovanni Damasceno. Divenne monaco nella Laura di S. Saba e nel 735 fu elevato alla sede vescovile di Maiuma. Morì nel 751/752[684].

Generalmente i dati biografici su Cosma sono scarsi e contradditori, le notizie sulla sua vita sono molto limitate e non chiare. La confusione moltiplicata per quanto riguarda alla sua origine, infanzia, educazione, data di nascita e quella di morte, rapporti con il Damasceno, ecc. complicano gravemente la possibilità di trovare la verità storica[685]. Nel silenzio delle fonti contemporanee irrompe la notizia dell’autore del lessico Suda (il tardo X sec.) che riporta i dati biografici elementari, i quali tra l’altro risultano dagli acrostici delle opere del Melodo: Cosma è collegato in qualche modo con Gerusalemme (la provenienza o la vita monastica nei pressi della Città Santa), egli è contemporaneo di Giovanni Damasceno, è un uomo molto intelligente, dotato del grande talento musicale[686]. L’analisi del suo patrimonio poetico ci permette di porre Cosma accanto a Giovanni Damasceno, collocandolo nella stessa epoca della fine del VII – prima metà dell’VIII sec. La contemporaneità dei due poeti è confermata dalla cooperazione tra Cosma e Giovanni Damasceno nel campo dell’innografia: ci sono almeno 6 canoni di Cosma fondati su irmi del Damasceno e almeno 10 canoni del Damasceno fondati su irmi di Cosma[687]. Dall’altra parte bisogna osservare che tutti i tre tropari dell’ode 6° del tetraodio per il Sabato Santo seguono i temi dei quattro ultimi capitoli del terzo libro dell’Expositio fidei di Giovanni Damasceno, ciò potrebbe suscitare l’idea della dipendenza o collaborazione[688].

Per quanto riguarda i rapporti interpersonali tra Cosma e Giovanni Damasceno, descritti largamente nelle fonti agiografiche: amici e compagni (versione georgiana), fratelli spirituali (Vita Hierosolymitana), fratelli adottivi (testi del tipo A, vita composta da Giovanni Mercuropulo, Vita Vaticana), maestro-allievo (Vita di Halki, Vita Atheniensis, sinassario etiopico), non possiamo affermare con sicurezza nessuna delle versioni. Dato che tutti i testi agiografici provengono dalla stessa epoca di X-XI sec., non sembra possibile né fissare la versione primaria, né stabilire le correlazioni tra le fonti delle tradizioni diverse. Perciò qualsiasi tentativo di comporre lo schema biografico di Cosma sulla base del materiale agiografico pervenuto rischia di permanere soltanto sul piano dell’ipotetico.

Le opere di Cosma subito sono entrate nei libri liturgici e sono cantate fino ad oggi[689]. La poesia di Cosma è caratterizzata dalla ricchezza del contenuto, dallo stile elevato, dalla maestosità delle frasi, dai voli poetici irripetibili e dal lirismo elevato[690]. L’elenco delle opere di Cosma contiene 173 irmi, 33 canoni, 83 idiomela, il Contacio per la Dormizione della Madre di Dio, anche 6 triodia, diodia e tetraodia, 30 stichera prosomoia[691]. Tuttavia, il lavoro per stabilire la collezione completa ed autentica degli inni di Cosma il Melodo sulla base dell’analisi del contenuto delle sue opere ancora non è stato fatto[692]. Le caratteristiche principali dei canoni di Cosma ci sono: l’uso degli acrostici, dell’efimnio (ritornello alla fine di strofe), l’assenza dell’ode 2°, l’uso raro dei theotokia. Dato che non troviamo questi elementi nella stessa misura in altri poeti, essi possono costituire le caratteristiche distintive dei canoni di Cosma, ciò potrebbe aiutare nell’attribuzione di opere dubbie[693].

La poesia di Cosma è profondamente ancorata nella tradizione patristica dell’esegesi biblica, facendo delle sintesi teologiche basate sulle opere dei Padri ed insegnamenti conciliari. Nonostante le delimitazioni definite dalle regole dell’isosillabismo e dell’omotonia gli irmi e tropari comprendono una profondità straordinaria dei concetti cristologici, rappresentando una teologia ortodossa matura in pieno accordo con la dottrina cristologica espressa negli atti dei concili ecumenici e negli insegnamenti dei Padri. Il Mistero della Passione di Cristo nei poemi di Cosma il Melodo della Settimana Santa è presentato teologicamente in modo assai ricco e profondo. Riflettendo il mistero doloroso e glorioso insieme della passione, morte e risurrezione di Gesù, l’innografo tocca tutti i punti principali della cristologia: l’affermazione della vera divinità e della completa umanità di Cristo, l’incarnazione del Logos come evento soteriologico, il mistero della passione, morte, discesa agli inferi e risurrezione. I canti di Cosma sono pieni delle citazioni e allusioni bibliche, presentando sia i fondamenti veterotestamentari sia il Mistero di Cristo del Nuovo Testamento[694].

Dunque, il merito principale di Cosma e degli altri melodi consiste nel trasferire i concetti teologici dall’ambito teologico speculativo nella vita liturgica. Seguendo il principio della Lex orandi, lex credendi, secondo il quale la preghiera liturgica esprime ciò che si deve credere, Cosma come gli altri innografi bizantini rese accessibili i dogmi teologici ai cristiani partecipanti nella preghiera liturgica, attribuendo alla liturgia un valore regolatore in materia di fede[695].


[1] «Μεγάλην δὲ καλοῦμεν τὴν ἑβδομάδα … Ἐπειδὴ μεγάλα τινὰ καὶ ἀπόῤῥητα τυγχάνει τὰ ὑπάρξαντα ἡμῖν ἐν αὐτῇ ἀγαθά. Ἐν γὰρ ταύτῃ ὁ χρόνιος ἐλύθη πόλεμος, θάνατος ἐσβέσθη, κατάρα ἀνῃρέθη, τοῦ διαβόλου ἡ τυραννὶς κατελύθη, τὰ σκεύη αὐτοῦ διηρπάγη, Θεοῦ καταλλαγὴ πρὸς ἀνθρώπους γέγονεν, οὐρανὸς βάσιμος γέγονεν, ἄνθρωποι τοῖς ἀγγέλοις συνεμίγησαν, τὰ διεστῶτα συνήφθη, ὁ φραγμὸς περιῃρέθη, τὸ κλεῖθρον ἀνῃρέθη, ὁ τῆς εἰρήνης Θεὸς εἰρηνοποίησε τὰ ἄνω καὶ τὰ ἐπὶ τῆς γῆς. Διὰ τοῦτο τοίνυν μεγάλην τὴν ἑβδομάδα καλοῦμεν, ἐπειδὴ τοσοῦτον πλῆθος δωρεῶν ἡμῖν ἐν αὐτῇ κεχάρισται ὁ Δεσπότης». Ioannes Chrysostomus, Homiliae in Genesim, Homilia XXX,1 / PG 53, 273-274. Malingrey A.-M., Zincone S. Giovanni Crisostomo / NDPAC 2, p. 2220.

[2] «…ἡμεῖς ἔχομεν νὰ μεταβῶμεν ὡς ἀπὸ ᾄσματα ἁπλῶς εἰς αὐτὰ τὰ ᾄσματα τῶν ᾀσμάτων …» Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion: êtoi hermêneia eis tous asmatikous kanonas tôn despotikôn kai theomitorikôn heortôn. Benetia 1836, p. 287.

[3] Cfr. Vawter B. Il vangelo secondo Giovanni / GCB, p. 1420.

[4] Cfr. Vawter, Il vangelo secondo Giovanni / GCB, p. 1423.

[5] Triod. Lun. S., ode 8°, trop. 1°. Cfr. Anthologhion, vol. 2, p. 945.

[6] Triod. Lun. S., ode 1°, irmo e trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, p. 943.

[7] Can. Giov. S, ode 1°, irmo e tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 190-191. Anthologhion, vol. 2, p. 1005.

[8] Triod. Merc. S., ode 3°, irmo e tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, pp. 986-987.

[9] Can. Giov. S, ode 7°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, pp. 1009-1010.

[10] Tetr. Sab. S., ode 7°, irmo e tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 199-200. Anthologhion, vol. 2, pp. 1113-1114.

[11] Tetr. Sab. S., ode 8°, irmo, tropari 1° e 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, pp. 1114-1115.

[12] Diod. Mart. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, p. 967.

[13] Triod. Ven. S., ode 8°, tropari 1°, 3°, 4°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 194-195. Anthologhion, vol. 2, p. 1055.

[14] Triod. Lun. S., ode 8°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, p. 945.

[15] Simonetti M. Cristologia / NDPAC 1, 1285.

[16] “… Talvolta, come a coloro che stavano vicino ad Anania, Azaria e Misaele, [il Logos] si faceva vedere ad assisterli nella fornace di fuoco e nel forno preservandoli dal fuoco; e « la figura del quarto, dice, pareva quella del Figlio di Dio » (Dn 3,92). Ireneo di Lione, Adversus haereses, IV,20,11. S. Ireneo di Lione, Contro le eresie, vol. II (ed. Dellagiacoma V.). Siena 1968, p. 74. Irénée de Lyon, Contre les hérésies (ed. Rousseau A.) / SCh 100 (1965), pp. 662-663.

[17] Simonetti M. Cristologia / NDPAC 1, 1285.

[18] Giovanni Paolo II. Gesù Cristo: compimento delle profezie sul Messia. / Udienza Generale – 4 Marzo 1987, Catechesi sul Credo, parte II: Gesù Figlio e Salvatore, p. 1.

[19] Cfr. Vawter, Il vangelo secondo Giovanni / GCB, pp. 1422, 1424.

[20] Can. Giov. S., ode 4°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Cfr. Anthologhion, vol. 2, p. 1007.

[21] Can. Giov. S., ode 8°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Cfr. il Sal 40,10, LXX: καὶ γὰρ ὁ ἄνθρωπος τῆς εἰρήνης μου, ἐφ᾽ ὃν ἤλπισα, ὁ ἐσθίων ἄρτους μου, ἐμεγάλυνεν ἐπ᾽ ἐμὲ πτερνισμόν. Septuaginta (ed. Rahlfs A.), vol. II. Stuttgart 1979, p. 43. “Anche il mio intimo amico, quello in cui io nutrivo fiducia, quello che mangiava il mio stesso pane, ha alzato il calcagno contro di me”. La Bibbia. Nuovissima versione dai testi originali. Milano 1987, p. 823.

[22] Triod. Ven. S., ode 5°, trop. 2°. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Cfr. Anthologhion, vol. 2, p. 1052.

[23] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 2°. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Cfr. Anthologhion, vol. 2, p. 1056.

[24] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 4°. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 195-196.

[25] King Ph.J. Amos / GCB, p. 325.

[26] Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114.

[27] «Chi è costui che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza?». «Sono io, che parlo con giustizia, e sono grande nel salvare». «Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel torchio?». «Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me. Li ho pigiati nella mia ira, li ho calpestati nella mia collera. Il loro sangue è sprizzato sulle mie vesti e mi sono macchiato tutti gli abiti, perché il giorno della vendetta era nel mio cuore ed è giunto l’anno del mio riscatto. Guardai: nessuno mi aiutava; osservai stupito: nessuno mi sosteneva. Allora mi salvò il mio braccio, mi sostenne la mia ira. Calpestai i popoli con sdegno, li ubriacai con ira, feci scorrere per terra il loro sangue». La Bibbia. Nuova versione CEI. Noventa Padovana 2008, pp. 1241-1242.

[28] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[29] Stuhlmueller C. Deutero-Isaia / GCB, pp. 492, 494.

[30] La Bibbia. Nuovissima versione, p. 1431. Cfr. McCarthy D.J. Osea / GCB, p. 340.

[31] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 3°. Anthologhion, vol. 2, pp. 1115-1116. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[32] Triod. Merc. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 189-190. Anthologhion, vol. 2, p. 989.

[33] Cfr. Moriarty F.L. Isaia 1-39 / GCB, p. 349.

[34] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[35] La Bibbia. Nuovissima versione, p. 1220.

[36] Amato A. Gesù il Signore. Saggio di cristologia. Bologna 1993, p. 137.

[37] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[38] Triod. Ven. S., ode 5°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1053. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194.

[39] Can. Giov. S, ode 9°, trop. 2. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Cfr. il simbolo niceno: «γεννηθέντα οὐ ποιηθέντα». Simonetti M. Il Cristo. Vol. II. Roma 2003, p. 100.

[40] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1696.

[41] Cfr. Vawter B. Teologia giovannea / GCB, p. 1907. Cfr. Amato, Gesù il Signore, p. 138.

[42] Amato, Gesù il Signore, p. 138.

[43] Can. Giov. S, ode 9°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193.

[44] Can. Giov. S, ode 8°, trop. 1. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193.

[45] Can. Giov. S, ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011.

[46] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199.

[47] Teodoro di Mopsuestia, Omelie catechetiche, 6,6. Simonetti, Il Cristo, II, p. 344. Amato, Gesù il Signore, pp. 195-196.

[48] Amato, Gesù il Signore, p. 205. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 386-387.

[49] Simonetti, Il Cristo, II, pp. 444-445.

[50] Anatematismi del concilio di Costantinopoli (553), 3, 4. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 506-509.

[51] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199.

[52] Ci sono, soprattutto, i testi di Pv 8-9;9,1-6, Sir 1; 24, Sp 7-8, Gb 28, Bar 3,9-4,4. Vergés S., Dalmau J.M. Dio rivelato in Cristo. Roma 1972, p. 75. Gilbert M. Sapienza / NDTB, pp. 1437-1440.

[53] Vergés, Dalmau, Dio rivelato in Cristo, p. 72. Forestell J.T. Proverbi / GCB, pp. 639-640.

[54] Vergés, Dalmau, Dio rivelato in Cristo, p. 99. Gilbert, Sapienza / NDTB, pp. 1440-1441.

[55] Vergés, Dalmau, Dio rivelato in Cristo, p. 75. Forestell, Proverbi / GCB, p. 640. Gilbert M. Sapienza / NDTB, p. 1441. Beauchamp P. Sapienza. Teologia biblica / DCT, p. 1215.

[56] Kugelman R. La prima lettera ai Corinti / GCB, p. 1158. Vergés, Dalmau, Dio rivelato in Cristo, p. 75. Gilbert M. Sapienza / NDTB, p. 1441.

[57] Grassi J.A. La lettera ai Colossei / GCB, p. 1265. Cfr. Vergés, Dalmau, Dio rivelato in Cristo, p. 75. Gilbert M. Sapienza / NDTB, p. 1441. Beauchamp P. Sapienza. Teologia biblica / DCT, p. 1215.

[58] Amato, Gesù il Signore, p. 91.

[59] Gilbert M. Sapienza / NDTB, pp. 1441-1442.

[60] Simonetti M. Cristologia / NDPAC 1, 1284-1285.

[61] Origène, Commentaire sur Saint Jean, tome I (ed. Blanc C.) / SCh 120 (1966), pp. 132-133. Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, I/XXII,140 (ed. Corsini E.). Torino 1968, p. 158. Simonetti M. Cristologia / NDPAC 1, 1287.

[62] Origene, I principi (ed. Simonetti M.),I,2,1. Torino 1979, p. 142. Origène, Traité des Principes, tome I (ed. Crouzel H., Simonetti M.) / SCh 252 (1978), pp. 112-113.

[63] O’Donovan O. Sapienza. Teologia morale e sistematica / DCT, p. 1215.

[64] Cfr. Athanasius Alexandrinus, Ad Episcopos Aegypti et Libyae Epistola Encyclica contra arianos, 17 / PG 25 (1884), 575-580. Forestell, Proverbi / GCB, p. 639. Edwards M.J. Verbo. Teologia storica e sistematica / DCT, p. 1455. Simonetti M. Cristologia / NDPAC 1, 1288.

[65] Can. Giov. S, ode 9°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Fitzmyer J.A. Teologia paolina / GCB, p. 1876.

[66] Can. Giov. S, ode 1°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 190-191. Anthologhion, vol. 2, p. 1005.

[67] Can. Giov. S, ode 1°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1005. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190.

[68] Can. Giov. S, ode 5°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1007. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192.

[69] Forestell, Proverbi / GCB, p. 640.

[70] Can. Giov. S, ode 1°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1005. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190. Simonetti M. Cristologia / NDPAC 1, 1288, 1290.

[71] Fitzmyer J.A. Teologia paolina / GCB, p. 1879. Fitzmyer J.A. La lettera ai filippesi / GCB, p. 1149. Cfr. Grillmeier A. Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, vol. I, tomo I. Brescia 1982, pp. 123-124. Cfr. Amato, Gesù il Signore, pp. 134-136.

[72] Fitzmyer, Teologia paolina / GCB, p. 1879. Amato, Gesù il Signore, pp. 134-135.

[73] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[74] Triod. Ven. S., ode 5°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1053. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194.

[75] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1825.

[76] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[77] Can. Giov. S, ode 3°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1006. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191.

[78] Fitzmyer, Teologia paolina / GCB, p. 1880.

[79] Triod. Lun. S., ode 8°, tropari 1°, 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[80] Can. Giov. S, ode 7°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1009. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192.

[81] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1803. Kugelman R. La prima lettera ai Corinti / GCB, p. 1163.

[82] Can. Giov. S, ode 3°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1006. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191.

[83] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195.

[84] Murray R. Adamo. Teologia biblica / DCT, pp. 46-47.

[85] Irénée de Lyon, Contre les hérésies, livre III,21,10 (ed. Sagnard F.) / SCh 34 (1952), pp. 370-373. S. Ireneo di Lione, Contro le eresie, vol. I (ed. Dellagiacome V.). Siena 1968, pp. 328-329. Behr J. Adamo. Teologia storica e sistematica / DCT, p. 47. Kannengiesser Ch. Adamo ed Eva. Esegesi patristica / NDPAC 1, 68.

[86] Gregorio di Nazianzo, Tutte le orazioni (ed. Moreschini C.), II,25. Milano 2002, p. 25. Alfeev I. Tainstvo very. Vvedenie v pravoslavnoe dogmaticheskoe bogoslovie. Mosca 2000, p. 45.

[87] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[88] Amato, Gesù il Signore, pp. 435-437.

[89] Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200.

[90] Fitzmyer, Teologia paolina / GCB, p. 1879.

[91] Vergés, Dalmau, Dio rivelato in Cristo, p. 97.

[92] Amato, Gesù il Signore, p. 424.

[93] Triod. Ven. S., ode 5°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1053. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194.

[94] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Can. Giov. S, ode 6°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1008. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 3°. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199.

[95] Triod. Merc. S., ode 3°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 987. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189.

[96] Tetr. Sab. S., ode 7°, irmo e tutti tropari. Anthologhion, vol. 2, pp. 1113-1114. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 199-200.

[97] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[98] Triod. Lun. S., ode 9°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[99] Tetr. Sab. S., ode 7°, irmo e tutti tropari. Anthologhion, vol. 2, pp. 1113-1114. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 199-200.

[100] Simonetti, Il Cristo, II, pp. 100-101.

[101] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 3°. Anthologhion, vol. 2, pp. 1115-1116. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[102] Can. Giov. S, ode 4°, irmo e tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1007.

[103] Can. Giov. S, ode 3°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1006. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191.

[104] Can. Giov. S, ode 8°, trop. 3°. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193.

[105] Can. Giov. S, ode 3°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1006. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191.

[106] Amato, Gesù il Signore, p. 435.

[107] Amato, Gesù il Signore, p. 435.

[108] Can. Giov. S, ode 4°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1007. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191.

[109] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 4°. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 195-196.

[110] Can. Giov. S, ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193.

[111] Amato, Gesù il Signore, p. 434.

[112] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[113] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[114] Triod. Lun. S., ode 9°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[115] Can. Giov. S, ode 3°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1006. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191.

[116] Can. Giov. S, ode 5°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1007. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 191-192.

[117] Can. Giov. S, ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193.

[118] Can. Giov. S, ode 9°, trop. 3°. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193.

[119] Triod. Ven. S., ode 5°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1053. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194.

[120] Triod. Ven. S., ode 8°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194.

[121] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195.

[122] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195.

[123] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 3°. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195.

[124] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199.

[125] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199.

[126] Tetr. Sab. S., ode 7°, trop. 4°. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200.

[127] Tetr. Sab. S., ode 8°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200.

[128] Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, pp. 1114-1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200.

[129] Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 3°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200.

[130] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[131] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[132] Triod. Ven. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1056.

[133] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[134] Triod. Lun. S., ode 9°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[135] Diod. Mart. S., ode 9°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 968. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188.

[136] Tetr. Sab. S., ode 9°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[137] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[138] Triod. Merc. S., ode 9°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 989. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 189-190.

[139] Tetr. Sab. S., ode 9°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[140] Triod. Merc. S., ode 9°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 989. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 189-190.

[141] Triod. Lun. S., ode 9°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1650.

[142] Fitzmyer J.A. La lettera ai filippesi / GCB, p. 1149. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I/I, p. 123. Amato, Gesù il Signore, pp. 134-136.

[143] Cfr. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I/I, p. 126.

[144] Triod. Lun. S., ode 8°, trop. 1°; ode 9°, trop. 2° Anthologhion, vol. 2, pp. 945-946. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[145] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 1-2. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[146] Theodôrou A. “Pros to hekousion Pathos”. Athêna 1998, p. 29.

[147] Triod. Lun. S., ode 1°, irmo, trop 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 64v. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 289.

[148] Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 65r. Cfr. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 290.

[149] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 1-2. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[150] Anatematismi del concilio di Costantinopoli (553), 3: un unico e stesso signore nostro Gesù Cristo, il Logos di Dio che si è incarnato …”; 4: il signore Gesù Cristo, uno della santa Trinità …”; 5: si è incarnato uno della santa Trinità, il Dio Logos …”; 10: il signore nostro Gesù Cristo crocifisso nella carne è Dio vero e signore della gloria e uno della santa Trinità …”. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 506-513. Cfr. Amato, Gesù il Signore, p. 238. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, 2/2, pp. 537, 549, 551, 554.

[151] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[152] «Ἀλλὰ καὶ τὸ πάσης θεολογίας ἐκφανέστατον ἡ καθ’ ἡμᾶς Ἰησοῦ θεοπλαστία καὶ ἄῤῥητός ἐστι λόγῳ παντὶ καὶ ἄγνωστος νῷ παντὶ … Καὶ τὸ μὲν ἀνδρικῶς αὐτὸν οὐσιωθῆναι μυστικῶς παρειλήφαμεν …» Pseudo-Dionysius Areopagita, De divinis nominibus, II,9 (ed. Suchla B.R.). Berlin – New York 1990, p. 133. Dionigi Areopagita, Tutte le opere (ed. Scazzoso P., Bellini E.) / Nomi divini, II,9. Milano 1981, pp. 277-278. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 291.

[153] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 290-291. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 65r.

[154] Fil 2,6: “Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1849.

[155] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Byrne B. Lettera ai Filippesi / NGCB, p. 1039. Cfr. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I/I, p. 125. Cfr. Bouyer L. Breve dizionario teologico. Bologna 1993, p. 213.

[156] Byrne B. Lettera ai Filippesi / NGCB, p. 1039.

[157] Mt 20,28: «ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου … ἦλθεν … διακονῆσαι καὶ δοῦναι τὴν ψυχὴν αὐτοῦ λύτρον ἀντὶ πολλῶν». The Greek New Testament (ed. Aland K.), Stuttgart 1968, p. 78. La Bibbia. Nuova versione CEI, p.1605. Cfr. Mc 10,45; Lc 22,27; Gv 13,12-15.

[158] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, p. 943.

[159] Gli esegeti distinguono quattro cantici: 1) Is 42,1-7; 2) Is 49,1-6; 3) Is 50,4-9; 4) Is 52,13 – 53,12. Amato, Gesù il Signore, pp. 78-81.

[160] Is 53,12: «… παρεδόθη εἰς θάνατον ἡ ψυχὴ αὐτοῦ … καὶ αὐτὸς ἁμαρτίας πολλῶν ἀνήνεγκεν …». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 639. “perché ha spogliato se stesso fino alla morte … mentre egli portava il peccato di molti”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1227. Byrne B. Lettera ai Filippesi / NGCB, p. 1039. Bouyer L. Breve dizionario teologico. Bologna 1993, p. 347.

[161] At 3,13: “Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo …”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1734. At 4,27: “davvero in questa città Erode e Ponzio Pilato, con le nazioni e i popoli d’Israele, si sono alleati contro il tuo santo servo Gesù, che tu hai consacrato …”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1735. At 4,30: “… stendendo la tua mano affinché si compiano guarigioni, segni e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1735. Cfr. Bouyer, Breve dizionario teologico, p. 347.

[162] Amato, Gesù il Signore, p. 84.

[163] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1825.

[164] O’Rourke J.J. La seconda lettera ai corinti / GCB, p. 1194.

[165] Bouyer, Breve dizionario teologico, p. 213.

[166] Byrne B. Lettera ai Filippesi / NGCB, p. 1039.

[167] Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I/I, p. 125. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 30.

[168] Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I/I, p. 125.

[169] Bouyer, Breve dizionario teologico, p. 213.

[170] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, p. 943.

[171] Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, pp. 31-32.

[172] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 292.

[173] Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, pp. 30-31.

[174] « … μεγίστης ἀπόδειξιν δυνάμεως ἔχει τὸ δυνηθῆναι Θεὸν ἐν ἀνθρώπου φύσει γενέσθαι. Οὐ γὰρ τοσοῦτον οὐρανοῦ καὶ γῆς σύστασις, καὶ θαλάσσης, καὶ ἀέρος, καὶ τῶν μεγίστων στοιχείων ἡ γένεσις, καὶ εἴ τι ὑπερκόσμιον νοεῖται, καὶ εἴ τι καταχθόνιον, τὴν δύναμιν παρίστησι τοῦ Θεοῦ Λόγου, ὅσον ἡ περὶ τὴν ἐνανθρώπησιν οἰκονομία, καὶ ἡ πρὸς τὸ ταπεινὸν καὶ ἀσθενὲς τῆς ἀνθρωπότητος συγκατάβασις». S. Basilii Magni, Homiliae super Psalmos. In Psalmum XLIV, 5 B / PG 29, 400. “ … la maggior dimostrazione della sua potenza Dio la dà assumendo la natura umana. Infatti, né la creazione del cielo e della terra , né la creazione del mare, dell’aria, dei maggiori elementi o di qualunque cosa si possa immaginare al di sopra del mondo, o sotto terra, dimostrano la potenza del Verbo di Dio tanto quanto il disegno dell’incarnazione, e il suo abbassarsi fino all’umiltà e alla debolezza umana”. S. Basilio di Cesarea, Omelie sui salmi, (ed. Regaldo Raccone A.). Omelia sul Salmo 44,10. Alba 1965, p. 213. «… ἢ τὸ ἐναντίον ἔκπληξιν τῆς μεγάλης δυνάμεως ὁμοῦ καὶ φιλανθρωπίας τοῦ σῴζοντος ἐμποιοῦσιν, ὅτι καὶ ἠνέσχετο συμπαθῆσαι ταῖς ἀσθενείαις ἡμῶν, καὶ ἐδυνήθη πρὸς τὸ ἡμέτερον ἀσθενὲς καταβῆναι; Οὐ γὰρ τοσοῦτον οὐρανὸς καὶ γῆ καὶ τὰ μεγέθη τῶν πελαγῶν, καὶ τὰ ἐν ὕδασι διαιτώμενα καὶ τὰ χερσαῖα τῶν ζῴων, καὶ τὰ φυτὰ καὶ ἀστέρες καὶ ἀὴρ καὶ ὧραι καὶ ἡ ποικίλη τοῦ παντὸς διακόσμησις τὸ ὑπερέχον τῆς ἰσχύος συνίστησιν, ὅσον τὸ δυνηθῆναι τὸν Θεὸν τὸν ἀχώρητον, ἀπαθῶς διὰ σαρκὸς συμπλακῆναι τῷ θανάτῳ, ἵνα ἡμῖν τῷ ἰδίῳ πάθει τὴν ἀπάθειαν χαρίσηται». Basile de Césarée, Sur le Saint-Esprit, VIII / 18 (ed. Pruche B.) / Sch 17A (1968), p. 308.“ … O, al contrario, non ci sospingono all’ammirazione della grande potenza e insieme dell’amore del Salvatore per noi, dal momento che egli ha sopportato di compatire le nostre infermità e ha potuto discendere fino alla nostra debolezza? Né il cielo, né la terra, né l’immensità dei mari e gli esseri che vivono nelle acque e sulla terra, e le piante e le stelle e l’aria e le stagioni, e il multiforme ordine dell’universo provano l’eccellenza della sua forza, quanto il fatto di aver potuto, lui, Dio immenso, impassibilmente scontrarsi con la morte mediante la carne, per donarci l’impassibilità mediante la sua propria passione”. Basilio di Cesarea, Lo Spirito Santo, VIII / 18 (ed. Azzali Bernardelli G.) / CTP 106, pp. 110-111. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 291.

[175] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, p. 943.

[176] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1896.

[177] Amato, Gesù il Signore, pp. 428-429.

[178] 1Tm 2,5-6: “Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1870.

[179] Denzer G.A. Le lettere pastorali (1Tm) / GCB, pp. 1287-1288. O’Collins G. Cristologia. Uno studio biblico, storico e sistematico su Gesù Cristo. Brescia 1997, pp. 294, 296ss. Wild R.A. Le lettere pastorali (1 Timoteo) / NGCB, p. 1175.

[180] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[181] «ἔστιν οὐσία τις ἀΐδιος καὶ ἀκίνητος καὶ κεχωρισμένη τῶν αἰσθητῶν … ἀπαθὲς καὶ ἀναλλοίωτον …»; “esiste una sostanza eterna, immobile e separata dalle cose sensibili … essa è impassibile e inalterabile …” Aristotele, Metafisica (ed. Reale G.), vol. II, Λ 1073a 11. Milano 1993, pp. 566-567. Lilla S. Aristotelismo / NDPAC 1, p. 522.

[182] «Θεὸς γὰρ ἄκμητός τε καὶ ἀπαθὴς καὶ ἀπροσδεής …». Clément d’Alexandrie, Les Stromates (ed. Descourtieux P.), VI, 137,4 / SCh 446 (1999), p. 334. “Dio è infatti indefesso, senza passioni e senza bisogni …”. Clemente di Alessandria, Gli Stromati (ed. Pini G., Rizzi M.), VI/16, 137,4. Milano 2006, p. 702. Lilla S. Aristotelismo / NDPAC 1, p. 522. Cfr. Gli Stromati, II/8, 40,1, p. 211; II/16 72,1-2, p. 238.

[183] «… τοῦ κυρίου ἀπαθοῦς ἀνάρχως …».Clément d’Alexandrie, Les Stromates (ed. Le Boulluec A.), VII, 7,2 6 / SCh 428 (1997), p. 54. “… il Signore che fu dall’eternità senza passioni …”. Clemente di Alessandria, Gli Stromati (ed. Pini G., Rizzi M.), VII/2, 7,2, p. 732. Cfr. Gli Stromati, V/14, 94,5, p. 573; VI/9, 71,2, p. 654; VII/2, 7,5, p. 732; VII/12, 72,1, p. 788.

[184] «Πιστεύομεν τοιγαροῦν εἰς ἕνα θεόν, μίαν ἀρχὴν ἄναρχον, ἄκτιστον … ἀπαθῆ …»; «Τὰ ἰδιώματα τῆς θείας φύσεως. Τὸ ἄκτιστον, τὸ ἄναρχον … τὸ ἀπαθές … πάντα ταῦτα καὶ τοιαῦτα φύσει ἔχει οὐκ ἄλλοθεν εἰληφυῖα …». Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), I 8; I 14. Berlin – New York 1973, pp. 18, 42. “Dunque, noi crediamo in un solo Dio, unico principio senza inizio, non creato … impassibile …”; “Le proprietà della natura divina. L’increato, il senza principio … l’impassibile … ha per sua natura tutte queste e tali cose, non avendole prese da altrove …”. Giovanni Damasceno, La fede ortodossa (ed. Fazzo V.),I,8; I,14 / CTP 142. Roma 1998, pp. 60, 86.

[185] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[186] Cfr. Col 1,15-20, Gv 1,3. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1854-1855, 1695. Amato, Gesù il Signore, pp. 136-137. Cfr. Grassi J.A. La lettera ai Colossei / GCB, p. 1265.

[187] “Il Verbo celeste … a imitazione del Padre che lo ha generato, creò l’uomo immagine dell’immortalità … Il Verbo prima della formazione dell’uomo divenne creatore degli angeli …”. Tatiani Oratio ad graecos (ed. Marcovich M.), 7 / PTS 43. Berlin – New York 1995, p. 17. Taziano, Il discorso ai greci (ed. Ubaldi P.), 7,1-2. Torino 1921, p. 13. Cfr. Taziano, Discorso ai greci (ed. Fermi M.), 7. Roma 1924, p. 43. Theophili Antiocheni Ad Autolycum (ed. Marcovich M.), 2.18.1-2 / PTS 44. Berlin – New York 1995, p. 65. Theophilus of Antioch, Ad Autolycum (ed. Grant R.M.), II.18. Oxford 1970, pp. 56-57. “… sono sempre a sua disposizione il Verbo e la Sapienza, (cioè) il Figlio e lo Spirito, mediante i quali opera tutte le cose con ogni libertà e indipendenza”. S. Ireneo di Lione, Contro le eresie, vol. II (ed. Dellagiacoma V.), IV, 20,1. Siena 1968, p. 66. Irénée de Lyon, Contre les hérésies (ed. Rousseau A.) / SCh 100 (1965), pp. 626-627. Vergés, Dalmau, Dio rivelato in Cristo, pp. 283-284. Studer B. Creazione / NDPAC 1, 1254.

[188] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 292-294. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 65v-66r.

[189] Triod. Lun. S., ode 8°, irmo e tutti tropari. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, pp. 944-945.

[190] O’Collins, Cristologia, p. 139.

[191] Cfr. Fitzmyer J.A. La lettera ai filippesi / GCB, pp. 1149-1151.

[192] Triod. Lun. S., ode 8°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[193] Triod. Lun. S., ode 8°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[194] Triod. Lun. S., ode 9°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 187-188.

[195] Triod. Lun. S., ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, pp. 945-946. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188.

[196] Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 68r-68v. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 299-300. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 42.

[197] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1849.

[198] Fitzmyer J.A. La lettera ai filippesi / GCB, pp. 1149-1150.

[199] Triod. Lun. S., tutti tropari. Anthologhion, vol. 2, pp. 943-946. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 187-188.

[200] Si tratta innanzitutto dell’arabizzazione dell’amministrazione, secondo la quale gli arabi musulmani prendevano le posizioni amministrative superiori, e si tratta della privazione dai cristiani della basilica di Giovanni Battista. Petrynko, pp. 68, 69-70.

[201] Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 67r-67v. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 296-297. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, pp. 38-39.

[202] Triod. Lun. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 66v-67r. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 294-295. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 37.

[203] Triod. Lun. S., ode 9°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 297. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 40.

[204] Maritano M. Maria / NDPAC 2, 3037. Cfr. González, Mariologia, p. 144. Cfr. De Fiores S. Maria Madre di Gesù. Sintesi storico-salvifica. Bologna 1998, p. 122. Peretto E. Theotokos / NDPAC 3, 5346.

[205] Peretto E. Theotokos / NDPAC 3, 5346. Cfr. González, Mariologia, p. 145. Cfr. De Fiores, Maria Madre di Gesù, pp. 126-129.

[206] De Fiores, Maria Madre di Gesù, p. 129.

[207] De Fiores, Maria Madre di Gesù, p. 129.

[208] Triod. Lun. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, p. 945.

[209] «Καθάπερ οὖν οὐ περιγράφεται τόπῳ θεὸς οὐδὲ ἀπεικονίζεταί ποτε ζῴου σχήματι, οὕτως οὐδὲ ὁμοιοπαθὴς οὐδὲ ἐνδεὴς καθάπερ τὰ γενητά, ὡς θυσιῶν, δίκην τροφῆς, διὰ λιμὸν ἐπιθυμεῖν». Clément d’Alexandrie, Les Stromates, VII (ed. Le Boulluec A.), VII,VI,1 (30,1) 1-4 / SCh 428 (1997), pp. 112-113. “Come dunque Dio non è circoscritto ad alcun luogo né può mai raffigurarsi in forma di essere vivente, così non è nemmeno soggetto alle stesse passioni o bisogni degli esseri generati, sì da desiderare per fame i sacrifici a mo’ di cibo”. Clemente di Alessandria, Gli Stromati (ed. Pini G., Rizzi M.), VII/6,1 (30,1). Milano 2006, p. 750.

[210] Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 40. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 68r.

[211] «…ὁ ἀπαθὴς ὢν τῇ θεότητι καὶ ὁμοιοπαθές μοι περιθέμενος σῶμα …». Die Schriften des Johannes von Damaskos V (ed. Kotter B.) Berlin – New York 1988. Feria II Maioris Hebdomadae Oratio in ficum arefactam et in parabolam vineae, 1 3-4, p. 102. “… che pur essendo impassibile in forza della divinità, ha assunto un corpo sensibile al pari del mio …”. Giovanni Damasceno, Omelie cristologiche e mariane (ed. Spinelli M.). Omelia sul fico sterile, 1 / CTP 25 (1993), p. 67.

[212] Triod. Lun. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Stuhlmueller C. Il vangelo secondo Luca / GCB, p. 980.

[213] Triod. Lun. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, p. 945.

[214] Triod. Lun. S. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 187-188. Anthologhion, vol. 2, pp. 943-946. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 300. Fitzmyer J.A. La lettera ai filippesi / GCB, p. 1149. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I/I, pp. 123, 126. Amato, Gesù il Signore, pp. 134-136.

[215] Triod. Lun. S., tutti tropari. Anthologhion, vol. 2, pp. 943-946. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 187-188.

[216] Diod. Mart. S. Anthologhion, vol. 2, pp. 967-968. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188.

[217] Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 69r. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 302-303. Cfr. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 958. Cfr. Mello A. Evangelo secondo Matteo. Torino 1995, pp. 425-440. Cfr. Schniewind J. Il Vangelo secondo Matteo. Brescia 1977. pp. 428-438.

[218] Diod. Mart. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, p. 967.

[219] Diod. Mart. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, p. 967. Grégoire de Nazianze, Discours 38-41 (ed. Moreschini C., Gallay P.), 40,46 B 6-8 / SCh 358 (1990), p. 308. Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 40,46, p. 977.

[220] Diod. Mart. S., ode 8°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, p. 967. «… ἀπαντήσομεν τῷ νυμφίῳ φαιδραὶ καὶ παρθένοι ψυχαί, φαιδραῖς ταῖς λαμπάσι τῆς πίστεως, μήτε καθεύδουσαι διὰ ῥᾳθυμίαν, ἵνα μὴ λάθῃ παρὼν ἀδοκήτως ὁ προσδοκώμενος, μήτε ἄτροφοι καὶ ἀνέλαιοι καὶ καλῶν ἔργων ἐπιδεεῖς, ἵνα μὴ τοῦ νυμφῶνος ἐκπέσωμεν». Grégoire de Nazianze, Discours 38-41 (ed. Moreschini C., Gallay P.), 40,46 B 6-10 / SCh 358 (1990), p. 308. “… noi andremo incontro allo Sposo, noi, anime brillanti e virginali, con le splendenti lucerne della fede. Né le nostre anime dormiranno per pigrizia, perché non arrivi, senza che esse se ne accorgano, Colui che stanno attendendo, e non saranno senza nutrimento né senza olio né manchevoli di opere buone, affinché noi non siamo gettati fuori dalla stanza nuziale”. Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 40,46, p. 977. «Λαμπάδας δὲ ἐνταῦθά φησιν αὐτὸ τὸ τῆς παρθενίας χάρισμα, τὸ καθαρὸν τῆς ἁγιωσύνης· ἔλαιον δὲ, τὴν φιλανθρωπίαν, τὴν ἐλεημοσύνην, τὴν περὶ τοὺς δεομένους βοήθειαν». Ioannes Chrysostomus, In Matthaeum Homiliae, LXXVIII,1 / PG 58, 711. “Chiama qui lampade il dono stesso della verginità, la purezza della santità; olio invece la bontà, l’elemosina, l’aiuto verso i bisognosi”. Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo/3 (ed. Zincone S.), 78,1 / CTP 172 (2003), p. 229. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 69r. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 304.

[221] «… Ἰδοὺ γὰρ αἱ πέντε παρθένοι αἱ φρόνιμοι, νήψασαι καὶ γοργευσάμεναι τὸ ξένον τῆς ἑαυτῶν φύσεως, λαβοῦσαι τὸ ἔλαιον ἐν τοῖς ἀγγείοις τῆς καρδίας αὐτῶν, τουτέστι τὴν ἄνωθεν χάριν τοῦ πνεύματος, ἠδυνήθησαν συνεισελθεῖν τῷ νυμφίῳ εἰς τὸν ἐπουράνιον νυμφῶνα». Die 50 geistlichen Homilien des Makarios (ed. Dörries H., Klostermann E., Kroeger M.), 4,6 / PTS 4 (1964), p. 31. “Vedi, le cinque vergini sagge furono vigilanti e si affrettarono a ciò che era estraneo alla loro natura accogliendo nei vasi del loro cuore l’olio, cioè la grazia dello Spirito che viene dall’alto, e così poterono entrare con lo sposo nella sala delle nozze del cielo”. Pseudo-Macario, Spirito e fuoco. Omelie spirituali (Collezione II) (ed. Cremaschi L.), 4,6. Magnano 1995, p. 85. «Αἱ νήψασαι πέντε παρθένοι ἐκεῖναι, καὶ τὸ ξένον τῆς ἑαυτῶν φύσεως ἔλαιον ἐν τοῖς ἀγγείοις παραλαβοῦσαι τῆς καρδίας, τοῦτο δὲ ἡ χάρις τοῦ Πνεύματος, ἐδυνήθησαν εἰς τὸν νυμφῶνα συνεισελθεῖν τῷ νυμφίῳ». “Quelle cinque vergini vigili, prendendo nei vasi del cuore l’olio insolito per loro natura, cioè la grazia dello Spirito, poterono entrare insieme con lo sposo nella sala delle nozze”. Macarius Magnus, De elevatione mentis, IV / PG 34, 892. Gribomont J. Macario/Simeone / NDPAC 2, 2954-2955. « … ὅταν μὴ ἐλεημοσύνην ἐργασώμεθα, οὐ δυνησόμεθα ἀπελθεῖν ἐκεῖσε, ἀλλὰ καὶ πεισόμεθα ὃ γέγονε ταῖς παρθένοις. Ὅπου γὰρ ἦν, οὐκ ἐδυνήθησαν εἰσελθεῖν, ἀλλ’ ἀνεχώρησαν, σβεσθεισῶν αὐτῶν τῶν λαμπάδων· τουτέστι, τοῦ χαρίσματος αὐτὰς καταλιπόντος. Τὴν γὰρ φλόγα ἐκείνην ἣν εὐθέως ἐδεξάμεθα τῇ τοῦ Πνεύματος χάριτι, ἂν μὲν βουλώμεθα, σφοδροτέραν ἐργασόμεθα αὐτήν· ἂν δὲ μὴ βουλώμεθα, ταχέως αὐτὴν ἀπολέσομεν». Ioannes Chrysostomus, Commentarius in sanctum Joannem Apostolum et Evangelistam, Homilia L,4/ PG 59, 282. “… se non facciamo elemosina, non potremo andar colà; ci accadrà invece quello che accadde alle vergini che non poterono entrare con Lui, ma dovettero ritirarsi con le lampade spente, cioè prive della grazia. La fiamma infatti che abbiamo ricevuto con la grazia dello Spirito, se vogliamo, possiamo renderla più ardente; ma se non vogliamo la perderemo …”. S. Giovanni Crisostomo, Le omelie su S. Giovanni Evangelista (ed. Tirone D.C.), 50. Torino 1948, pp. 136, 138.

[222] Diod. Mart. S., ode 8°, trop. 3°. Anthologhion, vol. 2, p. 967. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188.

[223] «Λογίζομαι τὴν παραβολὴν πρὸς πᾶσαν θεοῦ δωρεὰν εἰρῆσθαι· ἵνα ἕκαστος, ἢν ἂν δοκιμασθῇ χάριν ἔχειν παρὰ τοῦ Θεοῦ, ταύτην πολυπλασιάσῃ εἰς εὐεργεσίαν καὶ ὄφελος πλειόνων ἐνεγκών. Οὐδεὶς γὰρ ἐστιν ἀμέτοχος τῆς τοῦ Θεοῦ χρηστότητος». Basilius Caesariensis, Capita Regularum brevius tractatarum, 253 / PG 31, 1252. “Penso che questa parabola sia stata detta per qualsiasi dono di Dio, affinché chiunque sia stato fatto degno di avere una grazia da Dio, la moltiplichi col volgerla a beneficio e vantaggio di tutti. Nessuno infatti può essere escluso dalla bontà di Dio”. Opere Ascetiche di Basilio di Cesarea (ed. Neri U., Artioli M.B.), Regole brevi, 253. Torino 1980, p. 464. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 1371.

[224] « … γῆ γὰρ ὄντως ἐστὶ καὶ σκοδὸς καρδία τὸ χάρισμα τοῦ Θεοῦ κατακρύπτουσα …». Ioannes Chrysostomus, In Epistolam ad Hebraeos, Homilia ΧΧΧ,2 / PG 63, 211. “poiché è proprio terra e cenere quel cuore che tiene nascosto il dono di Dio”. S. Giovanni Crisostomo, Omelie sull’Epistola agli Ebrei (ed. Borghini B.), XXX,2. Alba 1965, p. 426. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 1371. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 69r-69v. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 305.

[225] Diod. Mart. S., ode 8°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, p. 967.

[226] Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo / 3 (ed. Zincone S.), 78,3 / CTP 172 (2003), p. 235. «Ὡς ἔστι καιρὸς, ἀντιλαβώμεθα τῆς σωτηρίας τῆς ἡμετέρας, λάβωμεν ἔλαιον εἰς τὰς λαμπάδας, ἐργασώμεθα εἰς τὸ τάλαντον. Ἂν γὰρ ὀκνήσωμεν καὶ ἐν ἀργίᾳ διατρίβωμεν ἐνταῦθα, οὐδεὶς ἡμᾶς ἐλεήσει λοιπὸν ἐκεῖ, κἃν μυρία θρηνῶμεν». Ioannes Chrysostomus, In Matthaeum Homiliae, LXXVIII,3 / PG 58, 714. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 1371.

[227] Diod. Mart. S., ode 9°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, p. 968. Cfr. MacKenzie J.L. Il vangelo secondo Matteo / GCB, p. 958.

[228] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1612.

[229] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1961.

[230] Cfr. D’Aragon J-L. L’Apocalisse / GCB, p. 1470.

[231] Diod. Mart. S., ode 9°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, p. 968.

[232] The New Testament in the Original Greek. Byzantine Text Form (ed. Robinson M.A., Pierpont W.G.). Southborough 2005, p. V, Mt 24,42: p. 56. Cfr. Mt 24,42: Nestle-Alland, Greek-English New Testament. Stuttgart 1994, p. 70. Cfr. Ioannes Chrysostomus, Commentarius in S. Matthaeum Evangelistam, HomiliaLXXVII,2 / PG 58, 704. Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, 77,2 / CTP 172 (2003), p. 216.

[233] Diod. Mart. S., ode 9°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, p. 968. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 77.

[234] «Ἀπειλεῖ γὰρ γέενναν ὁ Θεὸς, οὐχ ἵνα εἰς γέενναν ἐμβάλῃ, ἀλλ’ ἵνα γεέννης ἀπαλλάξῃ. Εἰ γὰρ ἐβούλετο κολάσαι, οὐκ ἂν προηπείλησεν, ἵνα ἀσφαλισάμενοι φύγωμεν τὰ ἀπειλούμενα. Ἀπειλεῖ τὴν τιμωρίαν, ἵνα φύγωμεν τὴν πεῖραν τῆς τιμωρίας· φοβεῖ τῷ λόγῳ, ἵνα μὴ κολάσῃ τῷ ἔργῳ». “Poiché Dio minaccia di Geenna non per gettare nella Geenna, ma per distogliere dalla Geenna. Se, infatti, avesse voluto punire, non avrebbe minacciato prima, per farci, assicurati, fuggire dalla minaccia. Minaccia con il castigo per farci fuggire dal vero castigo, spaventa con la parola per non punire in atto”. Ioannes Chrysostomus, De Poenitentia, Homilia VII,7 / PG 49, 336. « … κολάζειν δὲ βουλόμενος, οὐκ ἂν προσήνεγκεν ἀπειλὴν, ἀλλ’ αὐτὴν τὴν τιμωρίαν ἐπέφερεν. Ἐπειδὴ δὲ μόνῃ χαίρει τῇ σωτηρίᾳ, ἀπειλεῖ τὰ λυπηρὰ, ἵνα μὴ ἐπαγάγῃ τὰ λυπηρά». “Se volesse punire, non minaccerebbe, ma imporrebbe la punizione. Ma poiché gioisce della sola salvezza, minaccia con il dolore per evitare il dolore”. Theodoreti Cyrensis, Interpretatio in XII prophetas minores, Interpretatio Jonae prophetae, III,10/ PG 81, 1736C. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 307.

[235] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 307-308.

[236] «Καὶ τοῖς γιγνωσκομένοις τοίνυν μὴ μόνον τὸ γιγνώσκεσθαι φάναι ὑπὸ τοῦ ἀγαθοῦ παρεῖναι, ἀλλὰ καὶ τὸ εἶναί τε καὶ τὴν οὐσίαν ὑπ’ ἐκείνου αὐτοῖς προσεῖναι, οὐκ οὐσίας ὄντος τοῦ ἀγαθοῦ, ἀλλ’ ἔτι ἐπέκεινα τῆς οὐσίας πρεσβείᾳ καὶ δυνάμει ὑπερέχοντος». Platonis Opera (ed. Burnet Ι.), Tomus IV, Res Publica, VI, Oxford 1949, 509b. “E così anche ai conoscibili dirai che proviene dal Bene non solo l’essere conosciuti, ma anche l’essere e l’essenza provengono loro da questo, pur non essendo il Bene essere, ma ancora al di sopra dell’essere, superiore ad essa in dignità e potere”. Plato, Tutti gli scritti (ed. Reale G.), Repubblica, VI, 509B. Milano 2010, p. 1235. «… νόει, ὅτι τἀγαθόν – ζωῆς γὰρ ἔμφρονος καὶ νοερᾶς αἴτιος δύναμις ὤν, ἀφ’ οὗ ζωὴ καὶ νοῦς ὅ τί [τε] οὐσίας καὶ τοῦ ὄντος …». Plotinus, Enneads (ed. Armstrong A.H.), V,5,10, Cambridge – London 1984, p. 186. “… pensa che è il Bene – è infatti la potenza che è causa di una vita saggia e intelligente, e da cui provengono vita, intelletto, e tutto ciò che appartiene alla sostanza e all’essere …”. Enneadi di Plotino (ed. Casaglia M., Guidelli C., Linguiti A., Moriani F.), V 5,10 10, Torino 1997, p. 783. Cfr. Rist J.M. Plotinus: the Road to Reality. Cambridge 1967, pp. 54-55.

[237] «…τοῦ δὲ ἀγαθοῦ κρεῖττον οὐδὲ ἕν … ἀγαθὸς δὲ ὁ θεὸς ὁμολογεῖται …». Clément d’Alexandrie, Le Pédagogue (ed. Marrou H-I., Harl M.), I,VIII 63,1 / SCh 70 (1960), p. 224. “… nulla è migliore del bene … tutti riconoscono che Dio è buono …”. Clemente Alessandrino, Il Pedagogo (ed. Tessore D.), I,8 63.1 / CTP 181 (2005), p. 93. «Ὁ Θεὸς γὰρ ἀγαθός ἐστι, μᾶλλον δὲ πηγὴ τῆς ἀγαθότητος ὑπάρχει». Athanase d’Alexandrie, Sur l’incarnation du Verbe (ed. Kannengiesser Ch.), 3,3 / SCh 199 (1973), p. 270. “Dio è buono, o piuttosto la fonte della bontà”. Atanasio, L’incarnazione del Verbo (ed. Bellini E.), I,3 / CTP 2 (2005), p. 42. «Τὸ παντέλειον ἀγαθὸν αὐτός ἐστιν ὁ Θεός». Basilius Caesariensis, Homilia in Psalmum XXXIII, 7 / PG 29 368B. “Solo Dio è il bene veramente perfetto”. S.Basilio di Cesarea, Omelie sui Salmi (ed. Regaldo Raccone A.), Omelia sul Salmo 33, 14. Alba 1965, p. 181. «Τὸ πρώτως καὶ κυρίως ἀγαθόν, οὗ ἡ φύσις ἀγαθότης ἐστίν, αὐτὸ τὸ Θεῖον, ὅ τί ποτε τῇ φύσει νοεῖται, τοῦτο καὶ ἔστι καὶ ὀνομάζεται». Grégoire de Nysse, La vie de Moïse (ed. Danielou J.), I,7 / SCh 1 (1955), p. 3. “Il bene primo e sommo, quale è concepibile dall’umana natura, è quello che possiede la bontà per natura: Dio”. S. Gregorio Nisseno, La vita di Mosè (Brigatti C.). Alba 1967, p. 50. «Ἐπειδὴ γὰρ τὸ κάλλιστον πάντων καὶ ἐξοχώτατον ἀγαθὸν αὐτὸ τὸ Θεῖόν ἐστι, πρὸς ὃ πάντα νένευκεν, ὅσα τοῦ καλοῦ τὴν ἔφεσιν ἔχει …». Gregorius Nyssenus, De hominis opificio, XII / PG 44, 161. “Poiché di tutto il più bello e il bene supremo è la stessa divinità verso la quale si dirigono tutti gli esseri che hanno desiderio della bellezza …”. Gregorio di Nissa, L’uomo (ed. Salmona B.), 12 / CTP 32 (2000), p. 59. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 4.

[238] «Εἶεν δὴ οὖν, ἐπ’ αὐτὴν ἤδη τῷ λόγῳ τὴν ἀγαθωνυμίαν χωρῶμεν, ἣν ἐξῃρημένως οἱ θεολόγοι τῇ ὑπερθέῳ θεότητι καὶ ἀπὸ πάντων ἀφορίζουσιν αὐτὴν, ὡς οἶμαι, τὴν θεαρχικὴν ὕπαρξιν ἀγαθότητα λέγοντες, καὶ ὅτι τῷ εἶναι τἀγαθὸν ὡς οὐσιῶδες ἀγαθὸν εἰς πάντα τὰ ὄντα διατείνει τὴν ἀγαθότητα», «… ὕμνηται τἀγαθὸν ὡς ὄντως ἀγαστόν, ὡς ἀρχὴ καὶ πέρας πάντων, ὡς περιοχὴ τῶν ὄντων, ὡς εἰδοποιὸν τῶν οὐκ ὄντων, ὡς πάντων ἀγαθῶν αἴτιον, ὡς τῶν κακῶν ἀναίτιον, ὡς πρόνοια καὶ ἀγαθότης παντελὴς καὶ ὑπερβάλλουσα τὰ ὄντα καὶ οὐκ ὄντα καὶ τὰ κακὰ καὶ τὴν ἑαυτῆς στέρησιν ἀγαθύνουσα …». Pseudo-Dionysius Areopagita, De divinis nominibus (ed. Suchla B.R.), IV,1 693B; IV,35 736B. Berlin – New York 1990, pp. 143-144, 180. “Ebbene, dunque, procediamo ormai col discorso riguardo al nome di Bene, che gli autori sacri attribuiscono per separazione alla divinità sovradivina togliendolo a tutte le altre cose, chiamando Bontà, come credo, la stessa realtà del Principio divino e dicendo che, poiché il Bene è come bene sostanziale, emana la bontà a tutti gli esseri”; “… è stato celebrato sufficientemente il Bene come veramente ammirabile, come principio e fine di tutte le cose, come abbraccio di tutte le cose, come formatore dei non esseri, come origine di tutti i beni, come non origine dei mali, come provvidenza e bontà perfetta, superiore agli esseri e ai non esseri e capace di rendere buoni anche i mali e la privazione di sé …”. Dionigi, I nomi divini (ed. Morani M., Regoliosi G., Barzaghi G.), IV,1; IV,35. Bologna 2010, p. 179, 251.

[239] Diod. Mart. S., ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 968. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 308. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 78.

[240] Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 69v-70r.

[241] Mello A. Evangelo secondo Matteo. Torino 1995, pp. 436-440. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 78.

[242] Diod. Mart. S. Anthologhion, vol. 2, pp. 967-968. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 308-309.

[243] S. Giovanni Crisostomo, Le omelie su S. Giovanni Evangelista, 50, pp. 138, 140. Cfr. Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Giovanni (ed. Del Zanna A.), L. Roma 1970, pp. 197-198. «Ἀλλὰ μὴ γένοιτό τινα ταύτην ἀκοῦσαι τὴν φωνὴν τὴν, Οὐκ οἶδα ὑμᾶς. Πόθεν δὲ ταύτην ἔστιν ἀκοῦσαι τὴν φωνὴν, ἢ ὅταν πένητα ἰδόντες, ὡς οὐκ ἰδόντες αὐτὸν διακεώμεθα; … Διὸ, παρακαλῶ, πάντα ποιῶμεν, καὶ πραγματευώμεθα, ὥστε μὴ ἐκλιπεῖν ἡμᾶς τὸ ἔλαιον, ἀλλὰ κοσμῆσαι τὰς λαμπάδας, καὶ συνεισελθεῖν τῷ νυμφίῳ εἰς τὸν νυμφῶνα». Ioannes Chrysostomus, Commentarius in sanctum Joannem Apostolum et Evangelistam, Homilia L,4/ PG 59, 282.

[244] «Πορεύεσθε ο κατραμένοι ες τ σκότος τ ξώτερον, τ τοιμασμένον τ διαβόλ κα τος γγέλοις ατο. Διὰ τί; ὑπὲρ τίνος; τι πείνων, κα οκ δώκατέ μοι φαγεν … ὑπὲρ ἀπανθρωπίας ὑμᾶς καταδικάζω, ὅτι ἔχοντες τοσοῦτον καὶ τηλικοῦτον φάρμακον σωτηρίας, τὴν ἐλεημοσύνην, ἐν ᾗ ἐξηλείφετο πάντα τὰ ἁμαρτήματα, παρήκατε τοσαύτην εὐεργεσίαν. Ὀνειδίζω τοίνυν τὴν ἀπανθρωπίαν ὡς ῥίζαν κακίας καὶ πάσης ἀσεβείας· ἐπαινῶ τὴν φιλανθρωπίαν ὡς ῥίζαν πάντων τῶν ἀγαθῶν». Ioannes Chrysostomus, De Poenitentia, Homilia VII,7 / PG 49, 335.

[245] Montanari F. Vocabolario della lingua greca / Torino 1995, pp. 1423-1424.

[246] Gingrich F.W., Danker F.W. Shorter Lexicon of the Greek New Testament. Chicago, London 1965, p. 153.

[247] « … μόνον τὸν γνωστικὸν ὅσιόν τε καὶ εὐσεβῆ, θεοπρεπῶς τὸν τῷ ὄντι θεὸν θρῃσκεύοντα …». Clément d’Alexandrie, Les Stromates (ed. Le Boulluec A.), VII,I,2,1 29-31 / SCh 428 (1997), pp. 40-41. “… solo lo “gnostico” è santo e pio e pratica il culto del vero Dio in modo degno di Dio …”. Clemente di Alessandria, Gli Stromati, VII,I,2,1, p. 728. « … μόνον ὄντως ὅσιον καὶ θεοσεβῆ τὸν τῷ ὄντι κατὰ τὸν ἐκκλησιαστικὸν κανόνα γνωστικόν …». Clément d’Alexandrie, Les Stromates (ed. Le Boulluec A.), VII,VII,41,3 10-12 / SCh 428 (1997), pp. 144-145. “ … solo veramente santo e pio è il vero “gnostico” secondo la norma della chiesa …”. Clemente di Alessandria, Gli Stromati, VII,VII,41,3, p. 760. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 976.

[248] Ioannes Chrysostomus, De tribus pueris sermo (spuria) / PG 56, 593-600. “Probabiliter Proclo tribuitur”. Geerard M. Clavis Patrum Graecorum, vol. II. Brepols – Turnhout 1974, p. 561, 4568.

[249] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1443.

[250] «αὐτοὶ … ὅτε ἔλεγον … σιοι καὶ ταπεινοὶ τῇ καρδίᾳ, οὐκ ἦσαν ἐν τοῖς ὁσίοις ἠριθμημένοι;» Ioannes Chrysostomus, De tribus pueris, et de fornace babylonica, oratio / PG 56, 599.

[251] Diod. Mart. S., ode 8°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, p. 967.

[252] Maritano M. Maria / NDPAC 2, 3037-3038.

[253] Triod. Lun. S., ode 9°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 945. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187.

[254] Diod. Mart. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, p. 968. De Fiores, Maria Madre di Gesù, pp. 117-121, 131. González, Mariologia, pp. 134-136, 139. Maritano M. Maria / NDPAC 2, 3036, 3038-3039.

[255] Eucologio è il libro liturgico che riporta i formulari eucaristici, le preghiere presidenziali della Liturgia delle ore, i riti dei sacramenti ed una serie più o meno ampia di benedizioni e preghiere per varie situazioni e necessità. L’Eucologio Barberini gr. 336 (ed. Parenti S., Velkovska E.), / Bibliotheca “Ephemerides Liturgicae”. Subsidia, 80. Roma 2000, pp. 19-20.

[256] «Ἐξαιρέτως τῆς παναγίας … θεοτόκου καὶ ἀειπαρθένου Μαρίας», «Τῆς παναγίας … θεοτόκου καὶ ἀειπαρθένου Μαρίας …». L’Eucologio Barberini gr. 336 (ed. Parenti S., Velkovska E.), 36,2 [32v]; 150,18 [147r], pp. 79, 157. Evxologij Barberini gr. 336 (ed. Golovanov S., Parenti S., Velkovska E.), 36,2 [32v]; 150,18 [147r]. Omsk 2011, pp. 289, 369.

[257] Eulogius Alexandrinus, Sermo in ramos palmarum, X / PG 86, 2933A. Orlandi T. Eulogio di Alessandria / NDPAC 1, 1835. «τῆς παναγίας ἀχράντου Δεσποίνης ἡμῶν Θεοτόκου καὶ Ἀειπαρθένου Μαρίας». Ioannes Moschus, Pratum, CLXXX / PG 87, 3052A. Špidlík T. Giovanni Mosco (Moschos) / NDPAC 2, 2247-2248. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 1000.

[258] Diod. Mart. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, p. 968. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 69v. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 76.

[259] Epifanio di Salamina, Panarion, vol. 1 (ed. Pini G., Aragione G., Cangemi Trolla B.), 30,31,4. Brescia 2010, pp. 477, 479. «μεγάλη γὰρ ὡς ἀληθῶς Μαριὰμ ἡ ἁγία παρθένος ἐνώπιον θεοῦ καὶ ἀνθρώπων. πῶς γὰρ οὐκ ἂν εἴποιμεν ταύτην μεγάλην, χωρήσασαν τὸν ἀχώρητον, ὃν οὐρανὸς καὶ γῆ χωρεῖν οὐ δύνανται; αὐτὸς δὲ ἀχώρητος ὢν κατὰ ἰδίαν προαίρεσιν καὶ εὐδοκίαν ἐχωρήθη, βουλόμενος καὶ οὐ κατὰ ἀνάγκην». Epiphanius, Panarion (Holl K.), 30,31,4. Leipzig 1915, p. 376, 2-6. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 306.

[260] Diod. Mart. S. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 188. Anthologhion, vol. 2, pp. 967-968. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 69r. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 302-303. Cfr. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 958. Cfr. Mello A. Evangelo secondo Matteo. Torino 1995, pp. 425-440. Cfr. Schniewind J. Il Vangelo secondo Matteo. Brescia 1977. pp. 428-438.

[261] Triod. Merc. S., ode 3°, tutti tropari. Anthologhion, vol. 2, p. 987. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189.

[262] Triod. Merc. S., ode 8°, tutti tropari. Anthologhion, vol. 2, p. 988. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189.

[263] Triod. Merc. S., ode 9°, tutti tropari. Anthologhion, vol. 2, p. 989. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190.

[264] Triod. Merc. S., ode 3°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 987.

[265] Triod. Merc. S., ode 8°, tutti tropari. Anthologhion, vol. 2, p. 988. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189.

[266] Triod. Merc. S., ode 9°, tutti tropari. Anthologhion, vol. 2, p. 989. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190.

[267] Le parabole delle dieci vergini (Mt 25,1-13), dei talenti (Mt 25,14-30), e la descrizione del giudizio finale (Mt 25,31-46), che costituiscono i temi principali del diodio del Martedì Santo, fanno parte della lettura dei Presantificati del Martedì Santo (Mt 24,36-26,2). Anthologhion, vol. 2, pp. 976-978. Così anche gli avvenimenti dell’unzione a Betania (Mt 26,6-13) e del tradimento di Giuda (Mt 26,14-16), descritti nel triodio del Mercoledì Santo, fanno parte della lettura dei Presantificati del Mercoledì Santo (Mt 26,6-16). Anthologhion, vol. 2, p. 998. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 311.

[268] Triod. Merc. S., ode 3°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 987.

[269] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1614. Cfr. Mc 14,1: “Mancavano due giorni alla Pasqua”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1642. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 311. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, pp. 959-960.

[270] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1614. Viviano B.T. Il Vangelo secondo Matteo / NGCB, p. 873.

[271] Triod. Merc. S., ode 3°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 987.

[272] Is 3,9-10: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 569. Cfr. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta (ed. Brunello A.), vol. II. Città di Castello 1962, p. 147. Triod. Merc. S., ode 3°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 987. Viviano B.T. Il Vangelo secondo Matteo / NGCB, p. 873. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 70v. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 312. Cfr. Sp 2,12: «ἐνεδρεύσωμεν τὸν δίκαιον, ὅτι δύσχρηστος ἡμῖν ἐστιν …». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 347. “Tendiamo insidie al giusto, perché ci è molesto …”. La Bibbia. Nuovissima versione, p. 1013. Il blocco degli insegnamenti sapienziali di Sp 2,12 – 5,23 è frutto della meditazione sui capitoli 52-66 di Isaia nella versione dei LXX, seguendo lo stesso ordine di caratteri o tipi forniti da Isaia. Wright A.G. Sapienza / NGCB, p. 670.

[273] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1632.

[274] La Bibbia. Nuovissima versione, p. 1013. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 312. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 952. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 102.

[275] Cfr. Is 53,11 [dal Quarto canto del Servo sofferente (Is 52,13 – 53,12)]: «… δικαιῶσαι δίκαιον εὖ δουλεύοντα πολλοῖς, καὶ τὰς ἁμαρτίας αὐτῶν αὐτὸς ἀνοίσει». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 639. “… il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1227. Triod. Merc. S., ode 3°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 987. Stuhlmueller C. Deutero-Isaia / GCB, pp. 486-488. Amato, Gesù il Signore, pp. 83-84.

[276] Mc 9,31 (Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà) [La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1635], Mc 10,45 (il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti) [La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1637], 1Cor 11,25 (Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue) [La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1810] rinviano al canto del Servo di Is 53 [La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1226-1227]. Duquoc Ch. Cristologia. Brescia 1974, pp. 174-176.

[277] Duquoc, Cristologia, p. 176.

[278] Lc 4,16-21: “… Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore …”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1656. Is 61,1-2: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1239. Amato, Gesù il Signore, p. 57.

[279] Cfr. Amato, Gesù il Signore, pp. 78, 81.

[280] «δετε ς δίκαιος πώλετο, κα οδες νρ κ(δέχετ)αι τ καρδί. Τὸν δεσποτικὸν ἐνταῦθα σταυρὸν προεσήμηνεν· δίκαιον γὰρ τὸν δεσπότην ὀνομάζει Χριστόν, ὃς (μαρτίαν) οκ ποίησεν οδ δόλον ν τ στόματι ατο. Σημαίνει δὲ κατὰ ταὐτὸν καὶ τῆς τῶν ἐσταυρωκότων (καρδίας τὴν π)ώρωσιν· οὐδεὶς γὰρ αὐτῶν φησι συνιδεῖν ἐβουλήθη τὸ ἔγκλημα». Théodoret de Cyr, Commentaire sur Isaïe. Tome III, Sections 14-20(ed. Guinot J.-N.), 18e section, 120-126; 57,1 / SCh 315 (1984), pp. 196, 198. Cfr. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. II, pp. 190, 189.

[281] Triod. Merc. S., ode 3°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 987. Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 503. Cfr. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1493. Cfr. La Bibbia. Nuovissima versione, p. 1442. King Ph.J. Amos / GCB, p. 319. Barré M.L. Amos / NGCB, p. 276. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 312.

[282] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1734. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 312.

[283] Triod. Merc. S., ode 3°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 987. Sal 18(17),3: “Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore (ῥύστης μου), mio Dio”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 773. Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 14. Sal 18(17),49: “Mi ha liberato da rabbiosi nemici (ὁ ῥύστης μου ἐξ ἐχθρῶν μου ὀργίλων)”. La Bibbia. Nuovissima versione, p. 798. Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 17. Sal 70(69),6: “Tu sei mio aiuto e mio liberatore (βοηθός μου καὶ ῥύστης μου)”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 834. Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 73. Sal 144(143),2: “mio rifugio e mio liberatore (ἀντιλήμπτωρ μου καὶ ῥύστης μου)”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 921. Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 157. Murphy R.E. Salmi / GCB,p. 768.

[284] Gronchi M. Trattato su Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Brescia 2008, p. 931.

[285] Triod. Merc. S., ode 3°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 987. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 335. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1737. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 312.

[286] Viviano B.T. Il Vangelo secondo Matteo / NGCB, p. 873.

[287] Triod. Merc. S., odi 8-9, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 189-190. Anthologhion, vol. 2, pp. 988-989.

[288] «Καὶ ὅτε ἡ πόρνη μετενόησεν, ὅτε τὸν Δεσπότην ἐπέγνω, τότε ὁ μαθητὴς τὸν διδάσκαλον παρέδωκε … Κἀκείνη μὲν ἀπ’ αὐτοῦ τοῦ πυθμένος τῆς κακίας εἰς αὐτὸν τὸν οὐρανὸν ἀνῆλθεν· οὗτος δὲ μετὰ μυρία θαύματα καὶ σημεῖα, μετὰ τὴν τοσαύτην διδασκαλίαν, μετὰ τὴν ἄφατον συγκατάβασιν, εἰς αὐτὸν τὸν πυθμένα τῶν ταρτάρων κατέπεσε». Ioannes Chrysostomus, De proditione Judae, Homilia II,2 / PG 49, 384-385.

[289] «Εἶδες πῶς ἡ πόρνη μὲν ἐσώθη, ἐπειδὴ ἔνιψεν· ὁ μαθητὴς δὲ ῥᾳθυμήσας κατέπεσε;» Ioannes Chrysostomus, De proditione Judae, Homilia II,2 / PG 49, 385. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 315.

[290] «Ἔχεις ἀμφοτέρων τὰ παραδείγματα, πῶς ὁ μαθητὴς δοκῶν ἑστάναι, ἔπεσε· καὶ πῶς ἡ πόρνη κειμένη, ἀνέστη». Ioannes Chrysostomus, De proditione Judae, Homilia I,2 / PG 49, 376. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 315.

[291] MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 960. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 314-315. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 110.

[292] Lc 7,38; 7,44-46: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1662-1663. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 960. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 315.

[293] Triod. Merc. S., ode 8°, tropari 1-3. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 988.

[294] Mt 26,7: «προσῆλθεν αὐτῷ γυνὴ ἔχουσα ἀλάβαστρον μύρου βαρυτίμου καὶ κατέχεεν ἐπὶ τῆς κεφαλῆς αὐτοῦ ἀνακειμένου»; “gli si avvicinò una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre egli stava a tavola”. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 75. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1614-1615. Mc 14,3: «… κατακειμένου αὐτοῦ ἦλθεν γυνὴ ἔχουσα ἀλάβαστρον μύρου νάρδου πιστικῆς πολυτελοῦς, συντρίψασα τὴν ἀλάβαστρον κατέχεεν αὐτοῦ τῆς κεφαλῆς»; “… Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo”. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 136. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1642. «Ἀποκενοῦσα γυνὴ μύρον ἔντιμον δεσποτικῇ καὶ θείᾳ φρικτῇ κορυφῇ, Χριστὲ …»; “Una donna versò il prezioso unguento sul tuo divino, tremendo capo sovrano, o Cristo …”. Triod. Merc. S., ode 8°, trop. 1ο. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 988. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 71r.

[295] Lc 7,37-38; 7,44-46: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1662-1663. Triod. Merc. S., ode 8°, trop. 1ο. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 988.

[296] Lc 7,37: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 178. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1662. «Καὶ ἡ πόρνη δὲ ἐν βραχείᾳ καιροῦ ῥοπῇ προσελθοῦσα τῷ Χριστῷ, τὰ ὀνείδη πάντα ἀπενίψατο … ἐκείνην δὲ πάντων ἀπαλλάξας τῶν κακῶν, καὶ τῆς σπουδῆς ἀποδεξάμενος, οὕτως ἀπέπεμψε». “E la meretrice avvicinandosi a Cristo, in un breve momento di tempo lavò ogni onta … e dopo aver perdonato tutti i suoi peccati, e avendo accettato il suo zelo, la lasciò andare”. Ioannes Chrysostomus, De beato Philogonio / PG 48, 754. «Διὰ τοῦτο καὶ ὁ Κύριος τῇ σώφρονι ἐκείνῃ πόρνῃ οὐ λέγει, ὅτι ἐφοβήθη, ἀλλ’ Ὄτι ἠγάπησε πολὺ, καὶ ἐδυνήθη εὐχερῶς ἔρωτι ἔρωτα διακρούσασθαι». S.Giovanni Climaco, Scala Paradisi, I (ed. Trevisan P.), Gradino V, I, 54. Torino 1941, p. 233. “Per questo anche il Signore a quella prostituta casta non dice che aveva provato timore, ma che aveva molto amato, e aveva potuto scacciare con facilità amore con amore”. Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso (ed. Parrinello R.M.), Gradino V,6. Milano 2007, p. 288. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 316.

[297] Karris R.J. Il Vangelo secondo Luca / NGCB, p. 909.

[298] Triod. Merc. S., ode 8°, trop. 2-3. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 988.

[299] Triod. Merc. S., ode 8°, trop. 2. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 988. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 71v.

[300] Triod. Merc. S., ode 8°, trop. 3. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 988.

[301] Montanari, Vocabolario della lingua greca, pp. 939, 1211, 699. Lampe, Patristic Greek Lexicon, pp. 671, 815, 490.

[302] Montanari, Vocabolario della lingua greca, p. 716. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 499.

[303] Montanari, Vocabolario della lingua greca, p. 699. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 490.

[304] «Ὅτε πόρνη προσελθοῦσα, τὸ ἀλάβαστρον τοῦ μύρου καταχέασα κατὰ τῶν ποδῶν τοῦ Ἰησοῦ, ταῖς οἰκείαις θριξὶν ἐξέμαξε, καὶ πολλὴν τὴν θεραπείαν ἐπεδείκνυτο, τὰ ἐν παντὶ τῷ χρόνῳ ἁμαρτήματα ἐξαλείφουσα διὰ τῆς ἐξομολογήσεως αὐτῆς». “Quando la meretrice avvicinandosi e versando il vaso di alabastro con il profumo sui piedi di Gesù, li ha asciugati con i suoi capelli, e diede prova della grande premura, abolendo i peccati di tutta la sua vita per mezzo di tale confessione”. Ioannes Chrysostomus, De proditione Judae, Homilia II,2 / PG 49, 384. «μᾶλλον δέ, εἰ δοκεῖ, σκόπησον τὴν ἁμαρτωλὸν γυναῖκα τὴν παρὰ τῷ Λουκᾷ ἐπὶ τοῦ παρόντος ἀναγνωσθεῖσαν ἡμῖν. Κἀκείνης τὸ ταπεινὸν καὶ εὐσύνετον ζήλωσον καὶ λάβε κανόνα μετανοίας ἠκριβωμένης. Ἐλθοῦσα γὰρ ἐπὶ τὸν οἶκον τοῦ Φαρισαίου οὔτε τὸ πλῆθος τῶν ἑστιωμένων ἠρυθρίασεν, οὔτε τὸν καιρὸν τῆς εὐωχίας ὡς ἄκαιρον εἰς ἐξομολόγησιν ἔφυγεν …». “Di più fa’ attenzione, se ti sembra giusto, alla donna peccatrice, di cui al presente è stato letto per noi da Luca (Lc 7,36-50). Imita la sua umiltà e prudenza e prendi la regola della sua penitenza rigorosa. Lei, infatti, venuta alla casa del fariseo, non si vergognò di molti ospiti, né evitò il tempo della festa come incomodo per la confessione …”. Asterius of Amasea, Homilies I-XIV (ed. Datema C.), Homily XIII,10,1-2. Leiden 1970, p. 191. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 316-317.

[305] Triod. Merc. S., ode 8°, trop. 3. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 988. Lc 7,48: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 179. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1663. Vogel C. Penitenza. I. Penitenza e riconciliazione / NDPAC 3, 4017. Cfr. Vogel C. Penitenza / DCT, pp. 1025-1026. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 112.

[306] Asterius of Amasea, Homilies I-XIV (ed. Datema C.), Homily XIII,10,2. Leiden 1970, p. 191.

[307] Triod. Merc. S., ode 8°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 988.

[308] Triod. Merc. S., odi 8-9, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 189-190. Anthologhion, vol. 2, pp. 988-989.

[309] Gioe 2,17: «Φεῖσαι, κύριε, τοῦ λαοῦ σου …». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 521. “Risparmia, o Signore, il tuo popolo …”. Cfr. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. II, p. 384. Triod. Merc. S., ode 9°, tutti tropari. Anthologhion, vol. 2, p. 989. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 319.

[310] Cfr. Gv 12,4-6. Vawter B. Il vangelo secondo Giovanni / GCB, p. 1412. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 320.

[311] Triod. Merc. S., ode 9°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 989. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 960. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, pp. 114-115.

[312] Triod. Merc. S., ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 989. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 960. Cfr. Mt 26,15: “Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1615. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 323. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, pp. 115-116.

[313] «… οὐ γὰρ μετακληθεὶς ὑπὸ τῶν ἀρχιερέων, οὐκ ἀναγκασθεὶς οὐδὲ βιασθεὶς, ἀλλ’ αὐτὸς ἀφ’ ἑαυτοῦ καὶ οἴκοθεν ἔτεκε τὸν δόλον, καὶ τὴν γνώμην ἐξήγαγε ταύτην, οὐδένα ἔχων σύμβουλον τῆς πονηρίας ταύτης». Ioannes Chrysostomus, De proditionem Judae, Homilia I,2 / PG 49, 375.

[314] «… ἀγωνισώμεθα μὴ προδοῦναι τοῖς πάθεσι τὸν Λόγον, κατὰ τὸν Ἰούδαν· … προδοσία δέ, ἡ κατ’ ἐνέργειαν ἐμπρόθετος ἁμαρτία, καὶ ἡ πρὸς τὴν ἁμαρτίαν ὁρμή». Maximus Confessor, Diversa capita ad theologiam et oeconomiam spectantia, 43 / PG 90, 1193. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 324.

[315] Triod. Merc. S., ode 9°, trop. 3°. Anthologhion, vol. 2, p. 989. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190. Mc 8,36-37: “Difatti che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se perde l’anima sua? E che cosa mai potrà dare l’uomo in cambio della sua anima?”. Mt 16,26: “Che giova mai all’uomo guadagnar tutto il mondo, se poi perderà l’anima? O cosa darà l’uomo in cambio dell’anima sua?”. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. II, pp. 509, 478. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 323. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, pp. 116-117.

[316] «Ὢ τῆς ἀπονοίας! μᾶλλον δὲ, ὢ τῆς φιλαργυρίας! πάντα γὰρ ἐκείνη ἔτεκε τὰ κακά· ἐκείνης αὐτὸς ἐπιθυμήσας, προὔδωκε τὸν διδάσκαλον. Τοιοῦτον γάρ ἐστιν ἡ πονηρὰ ῥίζα ἐκείνη, δαίμονος χαλεπώτερον τὰς ἀλούσας ἐκβακχεύει ψυχὰς, καὶ ποιεῖ πάντας ἀγνοεῖν, καὶ ἑαυτὸν καὶ τοὺς πλησίον καὶ τοὺς τῆς φύσεως νόμους, καὶ αὐτῶν ἐκβάλλει τῶν φρενῶν καὶ παραπλῆγας ἐργάζεται. Ὅρα γὰρ πόσα ἐξέβαλεν ἐκ τῆς τοῦ Ἰούδα ψυχῆς· τὴν ὁμιλίαν, τὴν συνήθειαν, τὴν κοινωνίαν τὴν ἐν τραπέζῃ, τὰ θαύματα, τὴν διδασκαλίαν, τὴν παραίνεσιν, τὴν νουθεσίαν· ταῦτα πάντα εἰς λήθην ἐνέβαλεν ἡ φιλαργυρία τότε». Ioannes Chrysostomus, De proditionem Judae, Homilia I,3 / PG 49, 376. Nell’omelia II troviamo un passo molto simile: « Ὢ τῆς μανίας, μᾶλλον δὲ τῆς φιλαργυρίας! Πάντα γὰρ ταῦτα τὰ κακὰ ἡ φιλαργυρία πεποίηκεν, ἡ ῥίζα τῶν κακῶν, ἥτις τὰς ψυχὰς ἡμῶν σκοτοῖ καὶ αὐτοὺς τοὺς τῆς φύσεως νόμους, καὶ αὐτῶν ἡμᾶς ἐκβάλλει τῶν φρενῶν, καὶ οὐκ ἀφίησιν οὔτε φιλίας οὔτε συγγενείας οὔτε ἄλλου τινὸς μεμνῆσθαι· ἀλλὰ καθάπαξ πηρώσασα ἡμῶν τὰ ὄμματα τῆς διανοίας, οὕτως ἐν σκότει ποιεῖ βαδίζειν. Καὶ ἵνα μάθῃς τοῦτο σαφῶς, ὅρα τότε πόσα ἐξέβαλεν ἐκ τῆς τοῦ Ἰούδα ψυχῆς. Αὕτη ἐπεισελθοῦσα τὴν ὁμιλίαν, τὴν συνήθειαν, τὴν κοινωνίαν, τὴν θαυμαστὴν διδασκαλίαν, πάντα ταῦτα εἰς λήθην ἐνέβαλεν ἡ φιλαργυρία». “Che follia! O piuttosto che avarizia (φιλαργυρία)! Poiché l’avarizia produsse tutti questi mali; l’avarizia è radice dei mali, perché ottenebra le nostre anime e le stesse leggi della natura, essa ci fa perdere il senno e non lascia ricordare né amicizia, né familiarità, né qualcosa altro, ma aver storpiato una volta i nostri occhi della intelligenza, così fa vagare nelle tenebre. E per apprenderti questo chiaramente, guarda allora quanto l’avarizia ha fatto uscire dall’anima di Giuda. Essa si scagliò contro l’amicizia, contro la familiarità, contro la comunione, contro l’insegnamento mirabile – tutto questo l’avarizia ha messo in oblio”. Ioannes Chrysostomus, De proditione Judae, Homilia II,3 / PG 49, 386.

[317] Triod. Merc. S., ode 9°, trop. 3°. Anthologhion, vol. 2, p. 989. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190. Nel Crisostomo troviamo anche gli altri passi che rilevano che Giuda non ha approfittato nulla dall’insegnamento di Gesù: «ὁ δὲ Ἰούδας, ἐπειδὴ ἠμελημένος καὶ ῥᾴθυμος ἦν, οὐδὲν παρὰ τῆς τοῦ Χριστοῦ συνουσίας ἐκέρδανεν, ἀλλ’ ἔμεινεν ὢν προδότης μετὰ τὰς πολλὰς παραινέσεις ἐκείνας καὶ συμβουλάς …». “Giuda invece, perché era negligente e spensierato, non ha approfittato nulla dall’amicizia con Cristo, ma è rimasto traditore dopo molti tali esortazioni e consigli …”. Ioannes Chrysostomus, In dictum Pauli: Oportet haereses esse, 2 / PG 51,254. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 315. «… οὗτος δὲ μετὰ μυρία θαύματα καὶ σημεῖα, μετὰ τὴν τοσαύτην διδασκαλίαν, μετὰ τὴν ἄφατον συγκατάβασιν, εἰς αὐτὸν τὸν πυθμένα τῶν ταρτάρων κατέπεσε». “… questo dopo i miriadi miracoli e segni, dopo tanto grande insegnamento, dopo l’ineffabile condiscendenza, cadde proprio sul fondo dell’inferno”. Ioannes Chrysostomus, De proditione Judae, Homilia II,2 / PG 49, 385.

[318] «Οὐκ ἔστιν οὐδεμία κακία μετανοίᾳ μὴ λυομένη». Ioannes Chrysostomus [Dub.], De Chananaea, 2 / PG 52, 451. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 324. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 117.

[319] «Ἐγὼ δὲ νομίζω, ὅτι καὶ Ἰούδας ὁ Ἰσκαριώτης, εἰ μὴ ταχέως αὐτὸς ἑαυτοῦ ἐγένετο δήμιος ἀσύγγνωστον κρίνας τὴν ἁμαρτίαν, προσπεσὼν δὲ τὸν ἔλεον ᾔτησεν, οὐκ ἂν τῶν οἰκτιρμῶν τῶν πάσης ὑπερχεομένων τῆς οἰκουμένης ἠστόχησεν». Asterius of Amasea, Homilies I-XIV (ed. Datema C.), Homily XIII,6,1, p. 186. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 324.

[320] 1Re [1Sm] 2,1-2: Septuaginta (Rahlfs), vol. I, p. 504. Cfr. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta (ed. Brunello A.), vol. I. Città di Castello 1962, p. 304. Triod. Merc. S., ode 3°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 986. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 310. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 100.

[321] Triod. Merc. S., ode 3°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 986. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 310.

[322] Si tratta soprattutto dell’arabizzazione dell’amministrazione, secondo la quale gli arabi musulmani prendevano le posizioni amministrative superiori. Petrynko, pp. 68, 69-70.

[323] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 310. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 101.

[324] Cfr. Die Schriften des Johannes von Damaskos IV (ed. Kotter B.). Berlin – New York 1981. Liber de haeresibus, Haeresis 100, pp. 60-67; Disputatio Christiani et Saraceni, pp. 427-438. Jean Damascène, Écrits sur l’Islam (ed. Le Coz R.) / SCh 383 (1992), pp. 210-227. Giovanni Damasceno, Centesima eresia: l’Islam (ed. Rizzi G.). Milano 1997, pp. 33-50.

[325] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 310-311.

[326] Sal 60,3: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 62. Sal 61 (60),3: “Deponimi sulla rupe”. La Bibbia. Nuovissima versione, p. 841.

[327] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 334.

[328] 1Sm 2,2, testo masoretico: « car il n’est personne sinon toi, et il n’est de roc comme notre Dieu ». La Bible d’Alexandrie. Premier livre des Règnes (ed. Grillet B., Lestienne M.). Paris 1997, p. 140.

[329] L’irmo nell’efimnio presenta una piccola deviazione: “e non c’è giusto all’infuori di te, Signore” (καὶ οὐκ ἔστι δίκαιος πλήν σου, κύριε). Triod. Merc. S., ode 3°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 986.

[330] Triod. Merc. S., ode 3°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Anthologhion, vol. 2, p. 986.

[331] Triod. Merc. S., ode 3°, tutti tropari. Anthologhion, vol. 2, p. 987. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189.

[332] Dn 3,19: «τότε Ναβουχοδονοσορ … ἐπέταξε καῆναι τὴν κάμινον ἑπταπλασίως παρ᾽ ὃ ἔδει αὐτὴν καῆναι». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 884. “Allora Nabucodònosor … ordinò che si aumentasse il fuoco della fornace sette volte più del solito”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1440. Triod. Merc. S., ode 8°, irmo. Anthologhion, vol. 2, p. 988. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 189. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 70v-71r. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 313. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 108.

[333] Triod. Merc. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 189-190. Anthologhion, vol. 2, p. 989.

[334] Cfr. Amato, Gesù il Signore, pp. 69-70.

[335] Nell’VIII sec. nacque in Oriente la festa liturgica, celebrata l’8 dicembre, che nel IX sec. passò in Occidente come De conceptione Beatae Mariae. In questa epoca solo in forma implicita si parla di ciò che in seguito verrà chiamata l’immacolata concezione. González, Mariologia, pp. 151, 208.

[336] «Μεμένηκε γὰρ αὕτη παρθένος καὶ μετὰ τόκον, ὥσπερ ἦν καὶ πρὸ τόκου καὶ πρὸ συλλήψεως, ἡ καὶ διὰ βίου παντὸς ἀειπάρθενος ἄχραντός τε καὶ ἀκηλίδωτος». “Lei è rimasta Vergine anche dopo il parto, come era anche prima del parto e prima della concezione, e anche durante tutta la vita Lei è sempre Vergine incontaminata ed immacolata (ἀκηλίδωτος). Cyrillus Alexandrinus (dubia), De Sacrosancta Trinitate, 14 / PG 77, 1152A. Geerard M. Clavis Patrum graecorum, vol. III, n. 5432. Brepols, Turnhout 1979, p. 56. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 62.

[337] «Revera quidem tu et mater tua soli estis, qui omni ex parte omnino pulchri estis; non enim in te, Domine, labes est, nec ulla in matre tua macula». S.Efrem Syri, Carmina Nisibena (ed. Bickell G.), XXVII. Lipsia 1866, pp. 122-123. González, Mariologia, p. 159.

[338] «… πρεσβείαις τῆς ἀχραντου Δεσποίνης ἡμῶν Θεοτόκον καὶ ἀειπαρθένου Μαρίας, τῶν φωτοειδῶν ἀγγέλων καὶ πάντων τῶν ἁγίων». “… per l’intercessione della immacolata Sovrana nostra la Madre-di-Dio e sempre Vergine Maria, dei luminosi angeli e dei tutti i santi”. Eusebius Alexandrinus, Sermones, XXI,23 / PG 86A, 452 BC. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 1128. Voicu S.J. Eusebio di Alessandria, (pseudo) / NDPAC 1, 1843-1844.

[339] Triod. Merc. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 189-190. Anthologhion, vol. 2, p. 989. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 318.

[340] Pseudo-Macario, Spirito e fuoco. Omelie spirituali (Collezione II) (ed. Cremaschi L.), 3,3. Magnano 1995, pp. 76-77. «Εἰσὶ δέ τινες τοῦτο λέγοντες ὅτι κύριος μόνους φανερος καρπος παιτε παρ τν νθρώπων, τ δ κρυπτ θες κατορθο. οὐχ οὕτως δέ εἰσι τὰ πράγματα, ἀλλ’ ὥσπερ εἰς τὸν ἔξω ἄνθρωπον ἀσφαλίζεται, οὕτως ὀφείλει καὶ ἐν τοῖς λογισμοῖς ποιεῖν ἀγῶνα καὶ πόλεμον. ἀπαιτεῖ σε γὰρ ὁ κύριος, ἵνα ὀργισθῇς σεαυτῷ καὶ μάχην ποιήσῃς μετὰ τοῦ νοός σου, μήτε συμφωνήσῃς μήτε συνηδυνθῇς τοῖς λογισμοῖς τῆς κακίας». Die 50 geistlichen Homilien des Makarios (ed. Dörries H., Klostermann E., Kroeger M.), 3,3 / PTS 4 (1964), pp. 22-23. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 318.

[341] Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 20,4, p. 497. «… καθαρτέον ἑαυτὸν πρῶτον, εἶτα τῷ καθαρῷ προσομιλητέον». Grégoire de Nazianze, Discours 20-23 (ed. Mossay J., Lafontaine G.), 20,4 / SCh 270 (1980), p. 62.

[342] «Τὸ τηνικαῦτα ὁ νοῦς τῆς πρὸς Θεὸν παρρησίας ἐκπίπτει, ὁπηνίκα πονηροῖς ἢ ῥυπαροῖς λογισμοῖς συνόμιλος γένηται». Massimo Confessore, Capitoli sulla carità (ed. Ceresa-Gastaldo A.), 1,50. Roma 1963, pp. 66-67. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 318.

[343] Triod. Merc. S. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 189-190. Anthologhion, vol. 2, pp. 986-989.

[344] Can. Giov. S. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 190-193. Anthologhion, vol. 2, pp. 1005-1011. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 960.

[345] Can. Giov. S., ode 1°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190. Anthologhion, vol. 2, p. 1005. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 73v-74v. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 326-327. Forestell, Proverbi / GCB, p. 640. Gilbert M. Sapienza / NDTB, pp. 1438-1439. McCreesh Th.P. Proverbi / NGCB, pp. 596-597.

[346] Can. Giov. S., ode 1°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190. Anthologhion, vol. 2, p. 1005. Cfr. Vergés, Dalmau, Dio rivelato in Cristo, pp. 72, 96. Cfr. Forestell J.T. Proverbi / GCB, pp. 639-640. Cfr. Gilbert M. Sapienza / NDTB, pp. 1440-1441. Cfr. Amato, Gesù il Signore, pp. 88-89.

[347] Gregorio di Nissa, Teologia trinitaria (ed. Morschini C.): Contro Eunomio, III,I, [10] 44-45. Milano 1994, p. 351. «φαμὲν τοίνυν ὅτι ἐν μὲν τοῖς πρὸ τούτου λόγοις εἰπὼν τὴν σοφίαν ἑαυτῇ ᾠκοδομηκέναι τὸν οἶκον τὴν τῆς σαρκὸς τοῦ κυρίου κατασκευὴν διὰ τοῦ λόγου αἰνίσσεται· οὐ γὰρ ἐν ἀλλοτρίῳ οἰκοδομήματι ἡ ἀληθινὴ σοφία κατῴκησεν, ἀλλ’ ἑαυτῇ τὸ οἰκητήριον ἐκ τοῦ παρθενικοῦ σώματος ἐδομήσατο. ἐνταῦθα δὲ τὸ ἑνωθὲν ἐξ ἀμφοτέρων τῷ λόγῳ προτίθησι, τοῦ τε οἴκου λέγω καὶ τῆς σοφίας τῆς οἰκοδομησάσης τὸν οἶκον, τουτέστιν ἔκ τε τοῦ ἀνθρωπίνου καὶ ἐκ τῆς ἀνακραθείσης τῷ ἀνθρώπῳ θεότητος …». Gregorii Nysseni opera (ed. Jaeger W.), vol. II: Contra Eunomium libri, III,1,44-45. Leiden 1960, p. 19. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 327.

[348] Gv 1,14: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 247. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1696.

[349] Gv 2,21: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 252. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1698. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 327.

[350] «ἰδὲ τὴν ἀπείρανδρον διὰ τοῦ γεννήματος ἰωμένην τοῦ τραύματος». Romanos le Mélode, Hymnes (ed. Grosdidier de Matons J.), XI,4 / SCh 110 (1965), p. 92. “guarda la vergine ignara d’uomo che col figlio suo guarisce la nostra ferita”. Romano il Melode, Kontakia (ed. Mangogna V., Trombi U.), La natività, II,4/ CTP 197 (2007), p. 154. Cfr. anche Hymnes XII,9 (p. 126), XIII,6 (p. 142), XIII,16 (p. 148). «Τί δὲ σταλεὶς ὁ μακαριστὸς ἄγγελος πρὸς τὴν Παρθένον φησὶ τὴν ἀπείρανδρον;». Sophronius Hierosolymitanus, Homilia in Annuntiationem, 2,17 / PG 87, 3236D. “Che cosa dice il beatissimo angelo mandato alla Vergine che non conosce uomo?”. Sofronio di Gerusalemme, Le omelie (ed. Gallico A.), II,17 / CTP 92. Roma 1991, p. 87. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 179.

[351] «… καὶ ἐξ αὐτῆς τῆς συλλήψεως ἑνῶσαι ἑαυτῷ τὸν ἐξ αὐτῆς ληφθέντα ναόν». Formula di unione del 433. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 386-387.

[352] Can. Giov. S., ode 1°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190. Anthologhion, vol. 2, p. 1005. «Ἀτὰρ εἰκότως πόρρωθεν ὁρᾶται τῷ Ἀβραὰμ διὰ τὸ ἐν γενέσει εἶναι, καὶ δι’ ἀγγέλου προσεχῶς μυσταγωγεῖται». Clément d’Alexandrie, Stromate V. (ed. Le Boulluec A., Voulet P.), V,XI 73,4 / SCh 278 (1981), p. 146. “Ed è ragionevole che Abramo la veda «da lontano», perché era ancora nella generazione e viene passo passo guidato al mistero dall’angelo”. Clemente di Alessandria, Gli Stromati, V/11 73,4-74,1, p. 554. «Ἀλλ’ ἦν εἰκὸς ὑπονοῆσαί τινας ἀποκεκινῆσθαι μὲν τοὺς πρώτους, ἀντεισενηνέχθαι δὲ τούτους ὡς ἄμεινον ἢ ἐκεῖνοι μυσταγωγεῖν δυναμένους». Fragmente der Homilien des Cyrill von Alexandrien zum Lukasevangelium (ed. Sickenberger J.), zu Lk 10,2 / TU 34 (1910), p. 100. Montanari, Vocabolario della lingua greca, p. 1313. Cfr. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 890.

[353] Pv 9,2: «ἔσφαξεν τὰ ἑαυτῆς θύματα, ἐκέρασεν εἰς κρατῆρα τὸν ἑαυτῆς οἶνον καὶ ἡτοιμάσατο τὴν ἑαυτῆς τράπεζαν». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 197. “Ha macellato il suo bestiame, ha pigiato il suo vino, ha imbandito la sua mensa”. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. II, p. 13.

[354] Gv 6,54: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1705. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 328. Vawter B. Il vangelo secondo Giovanni / GCB, p. 1398.

[355] «Εἶτα τὸ κοινωφελὲς αὐτῆς ἐνδεικνύμενος, καὶ ὅτι πᾶσιν ὁμοίως ἀνεῖται τὸ ἀπ’ αὐτῆς ὠφέλιμον· … Κρατῆρα δὲ λέγει τὴν κοινὴν καὶ πάνδημον τῶν ἀγαθῶν μετουσίαν». Basilius Caesariensis, Homilia XII: In principium Proverbiorum, 4 / PG 31, 392D-393A. Biblia Patristica, vol. 5 (ed. Allenbach J., ecc.). Paris 1991, p. 235.

[356] Can. Giov. S., ode 1°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 190-191. Anthologhion, vol. 2, p. 1005. Pv 9,3: La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. II, p. 13. «ἀπέστειλεν τοὺς ἑαυτῆς δούλους συγκαλούσα μετὰ ὑψηλοῦ κηρύγματος ἐπὶ κρατῆρα λέγουσα». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 197.

[357] «Μετὰ ταῦτα ἀκούετε τοῦ ψάλλοντος μετὰ μέλους θείου προτρεπρομένου ὑμᾶς εἰς τὴν κοινωνίαν τῶν ἁγίων μυστηρίων καὶ λέγοντος· Γεύσασθε καὶ ἴδετε, ὅτι χρηστὸς ὁ Κύριος». Cyrille de Jérusalem, Catéchèses Mystagogiques (ed. Piédagnel A., Paris P.), V,20 / SCh 126 (1966), pp. 168, 170. “Dopo ascoltate un cantore che con melodia divina vi invita alla comunione dei santi misteri e dice: «Gustate e vedete come è buono il Signore»”. Cirillo e Giovanni di Gerusalemme, Le Catechesi ai Misteri (ed. Quacquarelli A.), Catechesi V mistagogica, 20 / CTP 8 (1990), p. 88. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 329. Taft R.F. The Precommunion Rites / OCA 261 (2000), p. 276.

[358] Cfr. Vergés, Dalmau, Dio rivelato in Cristo, p. 72. Cfr. Forestell J.T. Proverbi / GCB, pp. 639-640. Cfr. Gilbert M. Sapienza / NDTB, p. 1438.

[359] Forestell J.T. Proverbi / GCB, p. 639. Cfr. Simonetti M. Cristologia / NDPAC 1, 1288.

[360] Cfr. il simbolo niceno: Simonetti, Il Cristo, II, p. 100. «Τέως γε μὴν μηδὲ ἐκεῖνο ἀπαρασήμαντον καταλίπωμεν ὅτι ἄλλοι τῶν ἑρμηνέων, οἱ καιριώτερον τῆς σημασίας τῶν Ἑβραϊκῶν καθικόμενοι, κτήσατό με ἀντὶ τοῦ κτισεν ἐκδεδώκασιν. Ὅπερ μέγιστον αὐτοῖς ἐμπόδιον ἔσται πρὸς τὴν βλασφημίαν τοῦ κτίσματος». “Non dobbiamo ignorare il fatto che altri interpreti, che hanno colto più adeguatamente il significato dell’ebraico, traducono ‘ektesato me’ invece di ‘ektisen’. Ciò offrirà a loro [gli Ariani] il maggior ostacolo contro la bestemmia della loro interpretazione creaturale”. Basile de Césarée, Contre Eunome. Tome II (ed. Sesboüé B.), 2,20 / SCh 305 (1983), p. 84. «οὐδὲ … τὰς ἀποδείξεις παρέχονται· οὔτε τοῦ ῥητοῦ τὴν διάνοιαν ἐκ τῆς τῶν Ἑβραίων γραφῆς εἰς τοῦτο τὸ σημαινόμενον φέρουσαν ἐπιδεῖξαι δυνήσονται, τῶν λοιπῶν ἑρμηνέων τὸ Ἐκτήσατο καὶ Κατέστησεν ἀντὶ τοῦ Ἔκτισεν ἐκδεδωκότων …». Gregorii Nysseni opera (ed. Jaeger W.), vol. I: Contra Eunomium libri, I,1,299. Leiden 1960, pp. 114-115. “Infatti, costoro non sono in grado di dimostrare … che il significato della frase porti dalla Scrittura degli Ebrei al significato da essi voluto, dal momento che gli altri interpreti hanno edito: «Si acquistò» o «Mi pose» invece di «Mi creò»”. Gregorio di Nissa, Teologia trinitaria (ed. Morschini C.): Contro Eunomio, I,I, [40] 299, p. 63. Forestell J.T. Proverbi / GCB, p. 639.

[361] Can. Giov. S., ode 1°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 190-191. Anthologhion, vol. 2, p. 1005.

[362] Can. Giov. S., ode 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1006. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 330-331.

[363] Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 332-333.

[364] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 330. Cfr. Petrynko, pp. 68, 69-70.

[365] 2Cor 8,9: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1825. Can. Giov. S., ode 3°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1006.

[366] Col 2,9: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1856. O’Rourke J.J. La seconda lettera ai corinti / GCB, p. 1194.

[367] Can. Giov. S., ode 3°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1006. Cfr. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 75r. Cfr. Amato, Gesù il Signore, p. 134.

[368] 1Cor 5,7: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 448. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1803. Can. Giov. S., ode 3°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1006.

[369] Fitzmyer J.A. Teologia paolina / GCB, p. 1882.

[370] Kugelman R. La prima lettera ai Corinti / GCB,p. 1163.

[371] Cantalamessa, I più antichi testi pasquali: Melitone di Sardi, Sulla Pasqua, 65, p. 48. «πολλὰ μὲν οὖν καὶ ἕτερα ὑπὸ πολλῶν προφητῶν ἐκηρύχθη εἰς τὸ τοῦ πάσχα μυστήριον, ὅ ἐστιν Χριστός …». Melito of Sardis, On Pascha (ed. Hall S.G.), 65, p. 34.

[372] Gregorio Nazianzeno, I cinque discorsi teologici. Appendici: Lettere teologiche. Il mistero cristiano – Poesie (Carmina Arcana) (ed. Moreschini C.): IX. I Testamenti e l’Avvento di Cristo / CTP 58 (20063), p. 255. «Καὶ γὰρ ἐμὸν, τὸ Χριστὸς ἐμὸς Θεὸς ἐξεκένωσε | Ῥύσιον ἀρχεγόνων ποθέων, κόσμοιό τ’ ἄποινον». Gregorius Theologus, Carmina dogmatica, IX. De Testamentis et Adventu Christi / PG 37, 463. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 331.

[373] Can. Giov. S., ode 3°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1006.

[374] Eb 7,26-27: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1893. Bourke M.M. L’Epistola agli Ebrei / GCB, pp. 1335, 1341.

[375] Is 53,10: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1227. Bourke M.M. L’Epistola agli Ebrei / GCB, p. 1341.

[376] La Divina Liturgia del nostro Padre S. Giovanni Crisostomo (ed. De Meester P.). Roma 1925, pp. 56-57.

[377] Sal 91,7 (LXX): «ἀνὴρ ἄφρων οὐ γνώσεται, καὶ ἀσύνετος οὐ συνήσει ταῦτα». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 101. L’uomo insensato non li conosce e lo stolto non li capisce”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 863. Can. Giov. S., ode 3°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1006. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 75r-75v. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 332.

[378] Can. Giov. S., ode 4°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1007.

[379] Mt 26,29: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1615.

[380] Can. Giov. S., ode 3°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1007. Cfr. Lc 22,15: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1687. «ἐπιθυμίᾳ ἐπεθύμησα τοῦτο τὸ πάσχα φαγεῖν μεθ᾽ ὑμῶν πρὸ τοῦ με παθεῖν». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 232. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 75v-76r. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 334.

[381] Can. Giov. S., ode 3°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1007. Cfr. Mt 26,29a: “Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite …”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1615. «λέγω δὲ ὑμῖν, οὐ μὴ πίω ἀπ᾽ ἄρτι ἐκ τούτου τοῦ γενήματος τῆς ἀμπέλου …». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 76. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), f. 76r. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 335.

[382] Can. Giov. S., ode 3°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1007. Cfr. Mt 26,29b: “… fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1615. «… ἕως τῆς ἡμέρας ἐκείνης ὅταν αὐτὸ πίνω μεθ᾽ ὑμῶν καινὸν ἐν τῇ βασιλείᾳ τοῦ πατρός μου». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 76. Sal 81,1 (LXX): “Dio presiede l’assemblea divina, giudica in mezzo agli dèi”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1615. «ὁ θεὸς ἔστη ἐν συναγωγῇ θεῶν ἐν μέσῳ δὲ θεοὺς διακρίνει». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 89. Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 76r-76v. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 335.

[383] 1Gv 4,9-10: “In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1923. «ἐν τούτῳ ἐφανερώθη ἡ ἀγάπη τοῦ θεοῦ ἐν ἡμῖν, ὅτι τὸν υἱὸν αὐτοῦ τὸν μονογενῆ ἀπέσταλκεν ὁ θεὸς εἰς τὸν κόσμον ἵνα ζήσωμεν δι᾽ αὐτοῦ. ἐν τούτῳ ἐστὶν ἡ ἀγάπη, οὐχ ὅτι ἡμεῖς ἠγαπήκαμεν τὸν θεὸν ἀλλ᾽ ὅτι αὐτὸς ἠγάπησεν ἡμᾶς καὶ ἀπέστειλεν τὸν υἱὸν αὐτοῦ ἱλασμὸν περὶ τῶν ἁμαρτιῶν ἡμῶν». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 622. L’efimnio dell’irmo è un po’ modificato in conformità al contenuto dell’irmo: “Hai manifestato forte e potente amore, o Padre pietoso, perché tu hai inviato nel mondo come sacrificio espiatorio il tuo Figlio Unigenito, o buono” (ἔθου κραταιὰν ἀγάπησιν ἰσχύος, πάτερ οἰκτίρμον· τὸν μονογενῆ υἱὸν γὰρ, ἀγαθὲ, ἱλασμὸν εἰς τὸν κόσμον ἀπέστειλας). Can. Giov. S., ode 3°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1007.

[384] Vawter B. Le epistole giovannee / GCB, pp. 1362, 1357.

[385] Gv 15,15: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1720. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 301.

[386] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 334.

[387] Gregorii Nysseni Opera, vol. VII/2 (ed. Callahan J.F.): De beatitudinibus, Omelia VI. Leiden 1992, pp. 142,15-22, 143,4-13, 143,28-144,4, 144,9-13. Lilla S. Apatheia / NDPAC 1, 384-385.

[388] Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso, Gradino XXIX,2, pp. 513-514. «Ἀπαθὴς μὲν οὖν κυρίως καὶ ὑπάρχει καὶ γνωρίζεται, ὁ τὴν σάρκα μὲν ἄφθαρτον ποιήσας, τὸν δὲ νοῦν τῆς κτίσεως ἀνυψώσας, τὰς δὲ πάσας αἰσθήσεις τούτῳ ὑποτάξας· τῷ δὲ προσώπῳ Κυρίου τὴν ψυχὴν παραστήσας, ὑπὲρ τὴν ἑαυτῆς ἰσχὺν, πρὸς αὐτὸν ἀεὶ ἐπεκτεινομένης». S.Giovanni Climaco, Scala Paradisi, vol. IΙ. Gradino XXIX,194, p. 293.Lilla S. Apatheia / NDPAC 1, 385-386.

[389] Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 42.

[390] «Ἅγιος ὁ Θεός, ἅγιος ἰσχυρός, ἅγιος ἀθάνατος, ἐλέησον ἡμᾶς» (Santo Dio, Santo forte, Santo immortale abbi pietà di noi). I monofisiti, seguendo l’interpretazione cristologica dell’inno, lo usano con l’aggiunta “che è stato crocifisso per noi”. I calcedonesi, riferendo l’inno alla Trinità, rimproveravano i monofisiti di aver introdotto una quarta persona nella Trinità e di aver attribuito la soffernza a tutta la Trinità. Cfr. Die Schriften des Johannes von Damaskos, II (ed. Kotter B.): Expositio fidei, 54; III 3 10, pp. 129-131. Dell’Osso C. L’inno Trishagion: origini e dispute teologiche / SEA 108 (2008), pp. 835-846.

[391] Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 40,4,6, p. 927. «… φῶς καὶ ἡ ἐκεῖθεν λαμπρότης τοῖς ἐνταῦθα κεκαθαρμένοις, ἡνίκα ἐκλάμψουσιν οἱ δίκαιοι ὡς ὁ ἥλιος, ὧν ἵσταται ὁ Θεὸς ἐν μέσῳ, θεῶν ὄντων καὶ βασιλέων, διαστέλλων καὶ διαιρῶν τὰς ἀξίας τῆς ἐκεῖθεν μακαριότητος». Grégoire de Nazianze, Discours 38-41 (ed. Moreschini C., Gallay P.), 40,6 / SCh 358 (1990), p. 208. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 335.

[392] Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 45,12,34, pp. 1161, 1163. «Μεταληψόμεθα δὲ τοῦ Πάσχα, νῦν μὲν τυπικῶς ἔτι … μικρὸν δὲ ὕστερον, τελεώτερον καὶ καθαρώτερον, ἡνίκα ἂν αὐτὸ πίνῃ καινὸν μεθ’ ἡμῶν ὁ Λόγος ἐν τῇ βασιλείᾳ τοῦ Πατρὸς, ἀποκαλύπτων καὶ διδάσκων, ἃ νῦν μετρίως παρέδειξε. Καινὸν γάρ ἐστιν ἀεὶ τὸ νῦν γνωριζόμενον. Τίς δὲ ἡ πόσις καὶ ἡ ἀπόλαυσις, ἡμῶν μὲν τὸ μαθεῖν, ἐκείνου δὲ τὸ διδάξαι, καὶ κοινώσασθαι τοῖς ἑαυτοῦ μαθηταῖς τὸν λόγον. Τροφὴ γάρ ἐστιν ἡ δίδαξις, καὶ τοῦ τρέφοντος». Gregorius Theologus, Oratio XLV: In sanctum Pascha, XXIII / PG 36, 653, 656. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 336.

[393] Gregorio Pardos, Exêgêseis / cod. Vat. gr. 1712 (XII), ff. 76r-76v. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 336.

[394] Can. Giov. S., ode 5°, ode 6° eccetto l’irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 191-192. Anthologhion, vol. 2, pp. 1007-1008.

[395] Can. Giov. S., ode 5°, irmo, trop. 2°, ode 6°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 191-192. Anthologhion, vol. 2, pp. 1007-1008. Is 52,7: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 638. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1225. Rm 10,15: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, pp. 427-428. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1790. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 336.

[396] «ἀληθῶς δὲ καὶ κυρίως ἁρμόττει τοῖς ἱεροῖς ἀποστόλοις ἡ προφητεία· τούτων γὰρ ὡραῖοι (οἱ πόδε)ς, οὓς αἱ δεσποτικαὶ χεῖρες ἀπένιψάν τε καὶ ἔρρωσαν ὥστε πᾶσαν τὴν οἰκουμένην (διαδρα)μεῖν καὶ τῆς θείας εἰρήνης διαπορθμεῦσαι τὰ εὐαγγέλια καὶ μηνῦσαι τῶν ἐπηγγελμένων (ἀγαθ)ῶν τὴν ἀπόλαυσιν». Théodoret de Cyr, Commentaire sur Isaïe, Tome III (ed. Guinot J.-N.), Section 16, 449-454, 52,7 / SCh 315 (1984), pp. 136-139. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 337.

[397] «Φέρει τοίνυν τοῦ Ἡσαΐου τὴν προφητείαν, καί φησιν· Ὡς ὡραῖοι οἱ πόδες τῶν εὐαγγελιζομένων εἰρήνην, τῶν εὐαγγελιζομένων τὰ ἀγαθά! Καὶ γὰρ τοῖς ἀποστόλοις ὁ Κύριος ἐνετείλατο εἰς οἰκίαν εἰσιοῦσι λέγειν· «Εἰρήνη τῷ οἴκῳ τούτῳ». Κατεμήνυον γὰρ τὰς θείας καταλλαγὰς, εὐηγγελίζοντο δὲ καὶ τῶν ἀγαθῶν τὴν ἀπόλαυσιν. Τούτων τοὺς πόδας ὡραίους ἀποκαλεῖ, ὡς τὸν καλὸν τρέχοντας δρόμον, ὡς ὑπὸ τῶν Δεσποτικῶν ἀπονιφθέντας χειρῶν». Theodoretus Cyrensis, Interpretatio Epistolae ad Romanos, X,15 / PG 82, 167 B.

[398] Ef 2,14: “Egli infatti è la nostra pace”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1842. «Αὐτὸς γάρ ἐστιν ἡ εἰρήνη ἡμῶν». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 506. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 336.

[399] «ἢ γὰρ αὐτὸν αἰτοῦσι Χριστόν· αὐτὸς γάρ ἐστιν ἡ εἰρήνη ἡμῶν, κατὰ τὰς Γραφὰς». Cyrillus Alexandrinus, Commentarius in Isaiam prophetam, Libro III, Tomus I, Vers. 12,13 / PG 70, 580C. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 337.

[400] Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 45,11,19, p. 1161, 1157. «Τὰ δὲ ὑποδήματα, ὁ μὲν τῆς ἁγίας γῆς καὶ θεοστιβοῦς ψαύειν μέλλων, ὑπολυέσθω, καθὰ καὶ Μωϋσῆς ἐκεῖνος ἐπὶ τοῦ ὄρους, ἵνα μηδὲν νεκρὸν φέρῃ, μηδὲ μέσον Θεοῦ καὶ ἀνθρώπων. Ὡς δὲ καὶ εἴ τις μαθητὴς ἐπὶ τὸ Εὐαγγέλιον πέμπεται, φιλοσόφως καὶ ἀπερίττως· ὃν δεῖ πρὸς τῷ ἀχάλκῳ, καὶ ἀράβδῳ, καὶ μονοχίτωνι, ἔτι καὶ γυμνοποδεῖν, ἵνα φανῶσιν οἱ πόδες ὡραῖοι τῶν εὐαγγελιζομένων εἰρήνην, καὶ ἄλλο πᾶν ἀγαθόν». Gregorius Theologus, Oratio XLV: In sanctum Pascha, XXIII / PG 36, 649B. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 337.

[401] Can. Giov. S., ode 5°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 191-192. Anthologhion, vol. 2, p. 1007. Col 3,14: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 528. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1857. Mt 19,27: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 54. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1604. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 336-337.

[402] Gd 1,4: “… il nostro unico padrone e signore Gesù Cristo”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1931. «… τὸν μόνον δεσπότην καὶ κύριον ἡμῶν Ἰησοῦν Χριστὸν …». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 629. 2Pt 2,1: “…il loro padrone che li riscattò”. La Bibbia. Nuovissima versione, p. 1863.«… τὸν ἀγοράσαντα αὐτοὺς δεσπότην …». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 610.

[403] Can. Giov. S., ode 5°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1007. Gv 13,5: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1717. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 294.

[404] Pv 8,27-30: “Quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull’abisso, quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell’abisso, quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini, quando disponeva le fondamenta della terra, io ero con lui come artefice …”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 941. «ἡνίκα ἡτοίμαζεν τὸν οὐρανόν, συμπαρήμην αὐτῷ, καὶ ὅτε ἀφώριζεν τὸν ἑαυτοῦ θρόνον ἐπ᾽ ἀνέμων. ἡνίκα ἰσχυρὰ ἐποίει τὰ ἄνω νέφη, καὶ ὡς ἀσφαλεῖς ἐτίθει πηγὰς τῆς ὑπ᾽ οὐρανὸν καὶ ἰσχυρὰ ἐποίει τὰ θεμέλια τῆς γῆς, ἤμην παρ᾽ αὐτῷ ἁρμόζουσα, ἐγὼ …». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, pp. 196-197. Forestell J.T. Proverbi / GCB, p. 640.

[405] Can. Giov. S., ode 5°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1007.

[406] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 338.

[407] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 338. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 156.

[408] Can. Giov. S., ode 5°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1007. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 338. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 157.

[409] Can. Giov. S., ode 5°, trop. 2°, ode 6° trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1008. Gv 13,14-15: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1717. «εἰ οὖν ἐγὼ ἔνιψα ὑμῶν τοὺς πόδας ὁ κύριος καὶ ὁ διδάσκαλος, καὶ ὑμεῖς ὀφείλετε ἀλλήλων νίπτειν τοὺς πόδας··ὑπόδειγμα γὰρ ἔδωκα ὑμῖν ἵνα καθὼς ἐγὼ ἐποίησα ὑμῖν καὶ ὑμεῖς ποιῆτε». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 295. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 339.

[410] Vawter B. Il vangelo secondo Giovanni / GCB, p. 1417.

[411] Can. Giov. S., ode 5°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1008. Sal 146,8 (LXX): “Egli copre il cielo di nubi …”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 924. «τῷ περιβάλλοντι τὸν οὐρανὸν ἐν νεφέλαις …». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 161. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 339.

[412] «Ἐν ἐκείνῃ τῇ ὤρᾳ ἦν ἰδεῖν πρᾶγμα φοβερόν. Τί ἀνέστη καὶ ἀπέθετο τὸ ἱμάτιον ὁ περιβαλλόμενος φῶς ὡς ἱμάτιον, καὶ διεζώσατο λέντιον; Καὶ ἦν ἰδεῖν τότε τὴν Παύλου φωνὴν ἀληθεύουσαν, ὅτι Ἐν μορφῇ Θεοῦ ὑπάρχων, μορφὴν δούλου ἔλαβε. Διεζώσατο λέντιον ὁ περιβάλλων τὸν οὐρανὸν ἐν νεφέλαις· καὶ ἔβαλεν ὕδωρ εἰς τὸν νιπτῆρα ὁ ποταμοῖς καὶ πηγαῖς καὶ θαλάσσαις τὴν τῶν ὑδάτων φύσιν ἐκχέας. Ἐννόησον μαθητὴν καθήμενον, καὶ τὸν Δεσπότην ἐπικαμπτόμενον, καὶ πρὸς γόνυ βλέποντα, ᾧ κάμπτει γόνυ ἐπουρανίων καὶ ἐπιγείων καὶ καταχθονίων. Ἡ ταπείνωσις τοῦ Σωτῆρος πᾶσαν ἔσβεσεν ὑπερηφανίαν· ἐκείνη ἡ ἐπιείκεια πᾶσαν ἔσβεσεν ἀλαζονείαν». Ioannes Chrysostomus (spuria), In proditionem Servatoris, et in lotionem pedum, 1 / PG 59, 715-716. In Clavis Patrum graecorum questa opera è attribuita a Severiano di Gabala: Geerard M. Clavis Patrum graecorum, vol. II, n. 4205. Brepols 1974, p. 473. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 339.

[413] Can. Giov. S., ode 5°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1008.

[414] Can. Giov. S., ode 6°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1008. Gv 13,13-15: “Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1717. «ὑμεῖς φωνεῖτέ με· ὁ διδάσκαλος, καί··ὁ κύριος, καὶ καλῶς λέγετε· εἰμὶ γάρ. εἰ οὖν ἐγὼ ἔνιψα ὑμῶν τοὺς πόδας ὁ κύριος καὶ ὁ διδάσκαλος, καὶ ὑμεῖς ὀφείλετε ἀλλήλων νίπτειν τοὺς πόδας· ὑπόδειγμα γὰρ ἔδωκα ὑμῖν ἵνα καθὼς ἐγὼ ἐποίησα ὑμῖν καὶ ὑμεῖς ποιῆτε». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 295. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 341.

[415] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 341.

[416] Can. Giov. S., ode 6°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1008. Gv 13,10: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1717. «ὁ λελουμένος οὐκ ἔχει χρείαν εἰ μὴ τοὺς πόδας νίψασθαι, ἀλλ᾽ ἔστιν καθαρὸς ὅλος· καὶ ὑμεῖς καθαροί ἐστε, ἀλλ᾽ οὐχὶ πάντες». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, pp. 294-295. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 341.

[417] Pseudo-Dionigi l’Areopagita, La Gerarchia Ecclesiastica (ed. Lilla S.), III,10 / CTP 166 (2002), pp. 87-88. «Ὅτι μὲν οὖν, ὡς τὰ λόγιά φησιν, ὁ λελουμένος οὐ δεῖταί τινος ἑτέρας εἰ μὴ τῆς τῶν ἄκρων εἴτ’ οὖν ἐσχάτων ἑαυτοῦ νίψεως δι’ ἧς ἀκροτάτης καθάρσεως ἐν πανάγνῳ τοῦ θεοειδοῦς ἕξει καὶ πρὸς τὰ δεύτερα προϊὼν ἀγαθοειδῶς ἄσχετος ἔσται καὶ ἀπόλυτος ὡς καθάπαξ ἑνοειδής … Τοὺς γὰρ ἐπὶ τὴν παναγεστάτην ἰόντας ἱερουργίαν ἀποκεκαθάρθαι δεῖ καὶ τὰς ἐσχάτας τῆς ψυχῆς φαντασίας καὶ δι’ ὁμοιότητος αὐτῇ κατὰ τὸ δυνατὸν προσιέναι». Pseudo-Dionysius Areopagita, De Ecclesiastica Hierarchia (ed. Heil G., Ritter A.M.), III,10 440A. Berlin – New York 1991, p. 89. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 342.

[418] Can. Giov. S., ode 7°, ode 8°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 192-193. Anthologhion, vol. 2, pp. 1009-1010.

[419] Can. Giov. S., ode 7°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1009. Mt 26,16: “Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1615. «καὶ ἀπὸ τότε ἐζήτει εὐκαιρίαν ἵνα αὐτὸν παραδῷ». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 75. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 343.

[420] Can. Giov. S., ode 7°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1009. 2Tm 4,1: “Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1879. «Διαμαρτύρομαι ἐνώπιον τοῦ θεοῦ καὶ Χριστοῦ Ἰησοῦ τοῦ μέλλοντος κρίνειν ζῶντας καὶ νεκρούς, καὶ τὴν ἐπιφάνειαν αὐτοῦ καὶ τὴν βασιλείαν αὐτοῦ». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 554. Denzer G.A. Le lettere pastorali / GCB, pp. 1294-1295.

[421] Can. Giov. S., ode 7°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1009. Sir 12,18: “Scuoterà il capo e batterà le mani, poi sparlerà di te voltandoti la faccia”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1057. «τὴν κεφαλὴν αὐτοῦ κινήσει καὶ ἐπικροτήσει ταῖς χερσὶν αὐτοῦ καὶ πολλὰ διαψιθυρίσει καὶ ἀλλοιώσει τὸ πρόσωπον αὐτοῦ». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 398. Di Lella A.A. Siracide / NGCB, p. 653.

[422] Homerus, Odyssea. Pars II(ed. Dindorf G., Hentze C.), XVIII, 154. Lipsiae 1900, p. 91. Omero, Odissea (ed. Delvinotti N., Ikonomou Tz., Volpi V.), Libro XVIII, 190-191 / 154-155. Iseo 2005, p. 286. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 343.

[423] Can. Giov. S., ode 7°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, pp. 1009-1010. Dn 3,26; 3,52: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dei nostri padri …”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1440, 1442. «Εὐλογητὸς εἶ, κύριε, ὁ θεὸς τῶν πατέρων ἡμῶν …». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, pp. 885, 889. Fitzmyer J.A. Teologia paolina / GCB, p. 1880.

[424] Can. Giov. S., ode 7°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1009. Mt 26,21-22: “Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?»”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1615. «καὶ ἐσθιόντων αὐτῶν εἶπεν· ἀμὴν λέγω ὑμῖν ὅτι εἷς ἐξ ὑμῶν παραδώσει με. καὶ λυπούμενοι σφόδρα ἤρξαντο λέγειν αὐτῷ εἷς ἕκαστος· μήτι ἐγώ εἰμι, κύριε;». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 76. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 343-344.

[425] MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 960.

[426] Can. Giov. S., ode 7°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Mt 26,23-24: “Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!»”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1615. «ὁ δὲ ἀποκριθεὶς εἶπεν· ὁ ἐμβάψας μετ᾽ ἐμοῦ τὴν χεῖρα ἐν τῷ τρυβλίῳ οὗτός με παραδώσει. ὁ μὲν υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου ὑπάγει καθὼς γέγραπται περὶ αὐτοῦ, οὐαὶ δὲ τῷ ἀνθρώπῳ ἐκείνῳ δι᾽ οὗ ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου παραδίδοται· καλὸν ἦν αὐτῷ εἰ οὐκ ἐγεννήθη ὁ ἄνθρωπος ἐκεῖνος». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 76. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 344-345.

[427] MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 961.

[428] Giovanni Damasceno, La fede ortodossa (ed. Fazzo V.),IV,21 / CTP 142. Roma 1998, p. 303. «Εἰ καὶ τοίνυν ἔφη ὁ κύριος· «Συνέφερε τῷ ἀνθρώπῳ ἐκείνῳ, εἰ οὐκ ἐγεννήθη», οὐ τὴν οἰκείαν κτίσιν κακίζων ἔλεγεν, ἀλλὰ τὴν ἐξ οἰκείας προαιρέσεως καὶ ῥαθυμίας ἐπιγενομένην τῷ κτίσματι αὐτοῦ κακίαν. Ἡ γὰρ τῆς οἰκείας γνώμης ῥαθυμία ἄχρηστον αὐτῷ τὴν τοῦ δημιουργοῦ εὐεργεσίαν ἐποίησεν …». Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), 94; IV 21. Berlin – New York 1973, p. 222. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 344-345.

[429] Can. Giov. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010.

[430] La Parola scolpita. La Bibbia alle origini dell’arte cristiana. Città del Vaticano 2005, p. 18.

[431] Can. Giov. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1711, 1668. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 346.

[432] Can. Giov. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1787.

[433] Can. Giov. S., ode 8°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Dn 3,57: “Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1442. «εὐλογεῖτε, πάντα τὰ ἔργα τοῦ κυρίου, τὸν κύριον· ὑμνεῖτε καὶ ὑπερυψοῦτε αὐτὸν εἰς τοὺς αἰῶνας». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 890.

[434] Can. Giov. S., ode 8°, trop. 2° e 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Lv 19,18: “… amerai il tuo prossimo come te stesso”. Gv 15,13: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 154, 1719. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 347. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 171.

[435] Can. Giov. S., ode 8°, trop. 2° e 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 347.

[436] Can. Giov. S., ode 8°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Sal 40, 10 (LXX): “Anche il mio intimo amico, quello in cui io nutrivo fiducia, quello che mangiava il mio stesso pane, ha alzato il calcagno contro di me”. La Bibbia. Nuovissima versione, p. 823. «καὶ γὰρ ὁ ἄνθρωπος τῆς εἰρήνης μου, ἐφ᾽ ὃν ἤλπισα, ὁ ἐσθίων ἄρτους μου, ἐμεγάλυνεν ἐπ᾽ ἐμὲ πτερνισμόν». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 43. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 347.

[437] Can. Giov. S., ode 8°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Mt 27,6: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1617. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 81. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 348.

[438] Can. Giov. S., ode 8°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Sal 35,5 (LXX): La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 796. Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 35. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 349.

[439] «Ὅρα οὖν ὅσα ἐποίησεν, ὥστε αὐτὸν ἀνακτήσασθαι καὶ διασῶσαι … τοὺς πόδας αὐτοῦ μετὰ τῶν ἄλλων ἔνιψεν, ἁλῶν αὐτῷ καὶ τραπέζης ἐκοινώνησεν … Ὥσπερ γὰρ τοὺς πόδας αὐτοῦ μετὰ τῶν ἄλλων ἔνιψε μαθητῶν, οὕτω καὶ τῆς ἱερᾶς μετέσχε τραπέζης». Ioannes Chrysostomus, De proditione Judae, Homilia I,3; I,5 / PG 49, 377, 380. Invece, secondo le Costituzioni apostoliche, 5,14, Dionigi Areopagita, De Ecclesiastica Hierarchia, III, Theoria, 1, ecc. sembra che Giuda non fu presente nel momento della comunione. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 348, nota 1.

[440] Can. Giov. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Gv 6,54: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1705. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 267. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 349.

[441] Cirillo di Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni/1(ed. Leone L.), IV,II / CTP 111 (1994), p. 506. «ὥσπερ γὰρ εἴ τις σπινθῆρα λαβὼν ἀχύροις ἐγκαταχώσαι πολλοῖς, ἵνα σωζόμενον ἔχοι τὸ τοῦ πυρὸς σπέρμα· οὕτω καὶ ἐν ἡμῖν ὁ Κύριος ἡμῶν Ἰησοῦς ὁ Χριστὸς διὰ τῆς ἰδίας σαρκὸς ἐναποκρύπτει τὴν ζωὴν, καὶ ὥσπερ τι σπέρμα τὴν ἀθανασίαν ἐντίθησιν, ὅλην τὴν ἐν ἡμῖν ἀφανίζον φθοράν». Sancti patris nostri Cyrilli archiepiscopi Alexandrini in D. Joannis Evangelium, vol. I (ed. Pusey Ph.E.), Lib. IV, Cap. II, 363e. Oxonii 1872, p. 533.

[442] Can. Giov. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Mc 14,15: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1643. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 137. At 1,13: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1730. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 321.

[443] Can. Giov. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Mt 26,26-28: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1615. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 349.

[444] Can. Giov. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011.

[445] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Lc 22,8-12: “Andate a preparare per noi, perché possiamo mangiare la Pasqua … Egli vi mostrerà al piano superiore una sala, grande e arredata; lì preparate”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1687. «πορευθέντες ἑτοιμάσατε ἡμῖν τὸ πάσχα ἵνα φάγωμεν … κἀκεῖνος ὑμῖν δείξει ἀνάγαιον μέγα ἐστρωμένον· ἐκεῖ ἑτοιμάσατε». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 232. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 350.

[446] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. 1Cor 5,8: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1803. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 448. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 351.

[447] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Sal 103,15 (LXX): Cfr. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 874. Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 112. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 351.

[448] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 2°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011.

[449] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011.

[450] Pv 8,22;8,25: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 196. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. II, p. 12. Sir 24,9: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 418. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1079.

[451] Forestell J.T. Proverbi / GCB, p. 639. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 352. Simonetti M. Cristologia / NDPAC 1, 1288.

[452] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. «λέγουσι γὰρ καὶ τοῦτό τινες τῶν δι’ ἀκριβείας τὰ θεῖα πεπαιδευμένων, ὅτι οὐ γέγραπται παρ’ Ἑβραίοις τὸ Ἔκτισε, καὶ ἡμεῖς ἐν ἀρχαιοτέραις βίβλοις ἀνέγνωμεν Ἐκτήσατο γεγραμμένον ἀντὶ τοῦ Ἔκτισέ με … εἰ δέ τις καὶ τὴν ἐπικρατοῦσαν ἐν ταῖς ἐκκλησίαις ἀνάγνωσιν ἐν τῷ μέρει τούτῳ προβάλοιτο, οὐδὲ τὴν Ἔκτισε φωνὴν ἀποβάλλομεν … καὶ ταύτην τὴν φωνὴν εὐσεβῶς ἔχειν φαμέν. ἐκτίσθη γὰρ ἀληθῶς ἐπ’ ἐσχάτου τῶν ἡμερῶν ὁ δι’ ἡμᾶς καθ’ ἡμᾶς γενόμενος, ὁ ἐν μὲν τῇ ἀρχῇ λόγος ὢν καὶ θεός, μετὰ ταῦτα δὲ σὰρξ γενόμενος καὶ ἄνθρωπος. κτιστὴ δὲ τῆς σαρκὸς ἡ φύσις· ἧς μετασχὼν κατὰ πάντα καθ’ ὁμοιότητα χωρὶς ἁμαρτίας ἐκτίσθη γενόμενος ἄνθρωπος, ἐκτίσθη δὲ κατὰ θεόν, οὐ κατὰ ἄνθρωπον, καθώς φησιν ὁ ἀπόστολος, καινόν τινα τρόπον καὶ οὐ κατὰ τὴν ἀνθρωπίνην συνήθειαν. ἐμάθομεν γὰρ ὅτι ἐκ πνεύματος ἁγίου καὶ τῆς τοῦ ὑψίστου δυνάμεως, πλὴν ἀλλ’ ἐκτίσθη ὁ καινὸς οὗτος ἄνθρωπος …». Gregorii Nysseni opera (ed. Jaeger W.), vol. II: Refutatio confessionis Eunomii, 110-112. Leiden 1960, pp. 358-359. “Dicono, infatti, alcuni che sono stati istruiti con diligenza nello studio delle realtà divine, che nel testo ebraico non sta scritto “creò”, e noi nei libri più antichi abbiamo trovato che sta scritto “si procurò”, invece che “mi creò” (Pv 8,22) … Ma se uno anche a questo proposito ci opponesse la lettura che è invalsa nelle Chiese, ebbene, noi non respingeremmo neppure la lezione “creò” … noi diciamo che è conforme alla fede anche la parola “creò”. Infatti fu veramente creato alla fine dei giorni colui che ai nostri tempi fu fatto conforme a noi per il nostro bene, che nel principio era Logos ed era Dio, ma successivamente si fece carne e uomo. Ma la natura della carne è creata, ed egli, partecipando ad essa in tutto secondo la somiglianza, ad eccezione del peccato (Eb 4,15), fu creato, perché fu fatto uomo, ma fu creato in conformità a Dio, non in conformità all’uomo, come dice l’apostolo, in un modo nuovo e non secondo la consuetudine umana. Abbiamo appreso, infatti, che egli nacque dallo Spirito Santo e dalla potenza dell’Altissimo –, ma, comunque, fu creato questo uomo nuovo …”. Gregorio di Nissa, Teologia trinitaria (ed. Moreschini C.): Confutazione della professione di fede di Eunomio, 14,110-112, p. 620. «Τί τῶν ὄντων ἀναίτιον; Θεότης. Οὐδεὶς γὰρ αἰτίαν εἰπεῖν ἔχει Θεοῦ· ἢ τοῦτο ἂν εἴη Θεοῦ πρεσβύτερον. Τίς δὲ τῆς ἀνθρωπότητος, ἣν δι’ ἡμᾶς ὑπέστη Θεός, αἰτία; Τὸ σωθῆναι πάντως ἡμᾶς. Τί γὰρ ἕτερον; Ἐπειδὴ τοίνυν ἐνταῦθα καὶ τὸ «Ἔκτισε» καὶ τὸ «Γεννᾷ με» σαφῶς εὑρίσκομεν, ἁπλοῦς ὁ λόγος. Ὃ μὲν ἂν μετὰ τῆς αἰτίας εὑρίσκωμεν, προσθῶμεν τῇ ἀνθρωπότητι· ὃ δὲ ἁπλοῦν καὶ ἀναίτιον, τῇ θεότητι λογισώμεθα». Grégoire de Nazianze, Discours 27-31 (ed. Gallay P., Jourjon M.), 30,2 / SCh 250 (1978), p. 228. “… quale degli esseri è senza causa? La divinità. Nessuno, infatti, può parlare di una causa di Dio; altrimenti si dovrebbe trattare di qualcosa di anteriore a Dio. Qual è, invece, la causa della natura umana che Dio ha assunto a causa nostra? È certamente la nostra salvezza. E quale altra potrebbe essere, infatti? Poiché, allora, noi chiaramente troviamo in questo passo le espressioni “mi creò” (Pv 8,22) e “mi genera” (Pv 8,25), il discorso è semplice. Ciò che noi troviamo unito alla causa, attribuiamolo all’umanità; ciò che è semplicemente e senza causa, riferiamolo alla divinità”. Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 30,1,2, pp. 721, 1318 nota 16. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 352-353.

[453] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Anatematismi del concilio di Costantinopoli (553), 3: un unico e stesso signore nostro Gesù Cristo, il Logos di Dio che si è incarnato …”; 4: il signore Gesù Cristo, uno della santa Trinità …”; 5: si è incarnato uno della santa Trinità, il Dio Logos …”; 10: il signore nostro Gesù Cristo crocifisso nella carne è Dio vero e signore della gloria e uno della santa Trinità …”. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 506-513. Cfr. Amato, Gesù il Signore, p. 238. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, 2/2, pp. 537, 549, 551, 554.

[454] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011.

[455] Gregorio Nazianzeno la afferma in maniera più classica: “Poiché quello che non è stato assunto da Cristo è rimasto non sanato, mentre quello che ha formato un’unione con Dio, quello è stato anche salvato”. Gregorio Nazianzeno, I cinque discorsi teologici (ed. Moreschini C.), Prima Lettera al presbitero Cledonio, 32 / CTP 58 (1986), p. 207. Grégoire de Nazianze, Lettres théologiques (ed. Gallay P.), Epistola 101,32 (= Epistula ad Cledonium I) / SCh 208 (1974), pp. 50-51. Simonetti M. Cristologia / NDPAC 1, 1285. Studer B. Docetismo / NDPAC 1, 1465.

[456] Giovanni Damasceno, La fede ortodossa (ed. Fazzo V.),III,3 / CTP 142 (1998), pp. 168-169. «Οἰκειοῦται δὲ τὰ ἀνθρώπινα ὁ λόγος (αὐτοῦ γάρ εἰσι τὰ τῆς ἁγίας αὐτοῦ σαρκὸς ὄντα) καὶ μεταδιδοῖ τῇ σαρκὶ τῶν ἰδίων κατὰ τὸν τῆς ἀντιδόσεως τρόπον διὰ τὴν εἰς ἄλληλα τῶν μερῶν περιχώρησιν καὶ τὴν καθ’ ὑπόστασιν ἕνωσιν, καὶ ὅτι εἷς ἦν καὶ ὁ αὐτὸς ὁ καὶ τὰ θεῖα καὶ τὰ ἀνθρώπινα «ἐνεργῶν ἐν ἑκατέρᾳ μορφῇ μετὰ τῆς θατέρου κοινωνίας». Διὸ δὴ καὶ ὁ κύριος τῆς δόξης ἐσταυρῶσθαι λέγεται καίτοι τῆς θείας αὐτοῦ μὴ παθούσης φύσεως, καὶ ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου πρὸ τοῦ πάθους ἐν τῷ οὐρανῷ εἶναι ὡμολόγηται, ὡς αὐτὸς ὁ κύριος ἔφησεν. Εἷς γὰρ ἦν καὶ ὁ αὐτὸς κύριος τῆς δόξης ὁ φύσει καὶ ἀληθείᾳ υἱὸς ἀνθρώπου ἤτοι ἄνθρωπος γενόμενος, καὶ αὐτοῦ τά τε θαύματα καὶ τὰ πάθη γινώσκομεν, εἰ καὶ κατ’ ἄλλο ἐθαυματούργει καὶ κατ’ ἄλλο τὰ πάθη ὁ αὐτὸς ὑπέμεινεν». Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.): Expositio fidei, 47; III 3 75-85, p. 115. L’espressione communicatio idiomatum viene usata in cristologia per indicare una conseguenza dell’unicità della persona di Cristo: si può attribuire alla sua divinità ciò che è proprio della sua umanità, e viceversa, evitando, però, qualsiasi confusione fra le nature che rimangono distinte. Bouyer, Breve dizionario teologico, p. 95.

[457] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. (ed. Kotter B.): Expositio fidei, 47; III 3 76-77, p. 115. Cfr. Giovanni Damasceno, La fede ortodossa (ed. Fazzo V.),III,3 / CTP 142 (1998), p. 168.

[458] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 443-445.

[459] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 444-445.

[460] Can. Giov. S., ode 9°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 193. Anthologhion, vol. 2, p. 1011. «… τὰς αὐτοῦ φύσεις, ἐξ ὧν, καὶ ἐν αἷς ὑπάρχει». Maximus Confessor, Disputatio cum Pyrrho / PG 91, 289. “… le sue nature, di cui ed in cui consiste”. Massimo il Confessore, Umanità e divinità di Cristo (ed. Ceresa-Gastaldo A.): Disputa con Pirro / CTP 19 (1990), p. 101. «… φυσικῶς κατ’ ἄμφω, ἐξ ὧν καὶ ἐν αἷς καὶ ἅπερ ἐστὶ Χριστὸς ὁ θεὸς ἡμῶν». Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.): Expositio fidei, 58; III 14 6, p. 137. “… secondo ambedue le nature, dalle quali, nelle quali e in relazione alle quali appunto egli è Cristo nostro Dio”. Giovanni Damasceno, La fede ortodossa (ed. Fazzo V.),III,14 / CTP 142 (1998), p. 195.

[461] Cirillo di Alessandria, Lettera 45, a Succenso, 6. Simonetti, Il Cristo, II, p. 937.

[462] Leone, Lettera dogmatica a Flaviano, 3. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 418-419, 427.

[463] Il simbolo di Calcedonia. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 442-445, 620, nota 2.

[464] Anatematismi del concilio di Costantinopoli, 8: «Εἴ τις ἐκ δύο φύσεων, θεότητος καὶ ἀνθρωπότητος ὁμολόγων τὴν ἕνωσιν γεγενῆσθαι, ἢ μίαν φύσιν τοῦ θεοῦ λόγου σεσαρκωμένην λέγων, μὴ οὕτως αὐτὰ λαμβάνῃ, καθάπερ καὶ οἱ ἅγιοι πατέρες ἐδίδαξαν, ὅτι ἐκ τῆς θείας φύσεως καὶ τῆς ἀνθρωπίνης τῆς ἑνώσεως καθ’ ὑπόστασιν γενομένης, εἷς Χριστὸς ἀπετελέσθη, ἀλλ’ ἐκ τῶν τοιούτων φωνῶν μίαν φύσιν ἤτοι οὐσίαν θεότητος καὶ σαρκὸς τοῦ Χριστοῦ εἰσάγειν ἐπιχειρεῖ· ὁ τοιοῦτος ἀνάθεμα ἔστω. καθ’ ὑπόστασιν γὰρ λέγοντες τὸν μονογενῆ λόγον ἡνῶσθαι οὐκ ἀνάχυσίν τινα τὴν εἰς ἀλλήλους τῶν φύσεων πεπρᾶχθαί φαμεν, μενούσης δὲ μᾶλλον ἑκατέρας ὅπερ ἐστὶν ἡνῶσθαι σαρκὶ νοοῦμεν τὸν λόγον». “Se uno, professando che l’unione si è fatta da due nature, dalla divinità e dall’umanità, e affermando una sola natura del Dio Logos incarnata, non assume questi concetti così come hanno insegnato anche i santi padri, cioè nel senso che dalla natura divina e da quella umana, fattasi l’unione secondo l’ipostasi, è stato formato un solo Cristo, ma con queste espressioni cerca di introdurre una sola natura ο sostanza della divinità e della carne di Cristo, un tale sia anatema. Infatti noi affermando che il Logos unigenito si è unito secondo l’ipostasi, non diciamo che si è prodotta un’effusione delle nature una nell’altra, ma invece pensiamo che il Logos si è unito alla carne, continuando a sussistere l’una e l’altra natura come sono”. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 512-513, 632, nota 10.

[465] Can. Giov. S., ode 1°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190. Anthologhion, vol. 2, p. 1005. Huesman J.E. Esodo / GCB, p. 63.

[466] Can. Giov. S., ode 1°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 190. Anthologhion, vol. 2, p. 1005. Huesman J.E. Esodo / GCB, p. 63.

[467] Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 326.

[468] Can. Giov. S., ode 4°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 191. Anthologhion, vol. 2, p. 1007. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 333-334.

[469] «σεσώσμεθα γὰρ “οὐκ ἐξ ἔργων δικαιοσύνης, ἃ ἐποιήσαμεν” αὐτοὶ, οὐκ ἐξ αὐχημάτων νομικῶν· τετελείωκε γὰρ ὁ νόμος οὐδένα· ἀλλ’ ἐξ ἡμερότητος τοῦ Θεοῦ καὶ Πατρὸς, κραταιὰν, τουτέστιν ἰσχυρὰν καὶ μεγάλην, θέντος τὴν ὑπὲρ ἡμῶν ἀγάπησιν τοῦ Υἱοῦ. “Οὕτω γὰρ ἠγάπησεν ὁ Θεὸς καὶ Πατὴρ τὸν κόσμον, ὥστε τὸν Υἱὸν αὐτοῦ τὸν μονογενῆ δέδωκεν, ἵνα πᾶς ὁ πιστεύων εἰς αὐτὸν μὴ ἀπόληται, ἀλλ’ ἔχῃ ζωὴν αἰώνιον.” σεσώσμεθα δὴ οὖν ἐξ ἀγάπης τοῦ Θεοῦ καὶ Πατρὸς, καὶ μὴν καὶ αὐτοῦ τοῦ Υἱοῦ τὸν ὑπὲρ ἡμῶν ἀνατλάντος θάνατον· εἰ καὶ ἀνεβίω πάλιν, καταργήσας μὲν τὸ τῆς φθορᾶς κράτος, ἀποστήσας δὲ ἡμῶν τὴν ἁμαρτίαν». Sancti patris nostri Cyrilli archiepiscopi Alexandrini, In XII prophetas, vol. II (ed. Pusey Ph.E.). In Abacuc, Tom II, III,4, 5-16. Oxomii 1868, p. 133. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 334.

[470] «ἑκάτερον δὲ πεποίηκε λίαν ἀγαπήσας τῶν ἀνθρώπων τὴν φύσιν· τοῦτο δὲ καὶ αὐτὸς ὁ Κύριος ἐν τοῖς ἱεροῖς Εὐαγγελίοις εἶπεν· Ἐγώ εἰμι ποιμὴν καλός· ποιμὴν καλὸς τὴν ψυχὴν αὑτοῦ τίθησιν ὑπὲρ τῶν προβάτων. Καί· Μείζονα ταύτης ἀγάπην οὐδεὶς δύναται δεῖξαι,ἵνα τις θῇ τὴν ψυχὴν αὑτοῦ ὑπὲρ τῶν φίλων αὑτοῦ». Theodoretus Cyrensis, Interpretatio prophetae Habacuc, Caput III, vers. 4 / PG 81, 1828A. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 334.

[471] Can. Giov. S., ode 6°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1008. Gion 2,6-7: “Le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l’abisso mi ha avvolto, l’alga si è avvinta al mio capo. Sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso le sue spranghe dietro a me per sempre. Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore, mio Dio”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1512. «περιεχύθη ὕδωρ μοι ἕως ψυχῆς, ἄβυσσος ἐκύκλωσέν με ἐσχάτη, ἔδυ ἡ κεφαλή μου εἰς σχισμὰς ὀρέων. κατέβην εἰς γῆν, ἧς οἱ μοχλοὶ αὐτῆς κάτοχοι αἰώνιοι, καὶ ἀναβήτω φθορὰ ζωῆς μου, κύριε ὁ θεός μου». Septuaginta (Rahlfs), vol. ΙΙ, p. 527-528. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 340.

[472] Can. Giov. S., ode 6°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1008. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 340. Murphy R.E. Salmi / GCB, p. 751.

[473] Montanari, Vocabolario della lingua greca, p. 2150.

[474] Can. Giov. S., ode 7°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 192. Anthologhion, vol. 2, p. 1009. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 342.

[475] Can. Giov. S., ode 8°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 192-193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Es 20,3-5: “Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 105. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 345-346.

[476] Can. Giov. S., ode 8°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 192-193. Anthologhion, vol. 2, p. 1010. Cfr. Petrynko, pp. 68, 69-70.

[477] Triod. Ven. S., acrostico. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1053. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 356.

[478] Triod. Ven. S. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 194-196. Anthologhion, vol. 2, pp. 1053-1056. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 961.

[479] Triod. Ven. S., ode 5°, ode 8°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 194-195. Anthologhion, vol. 2, pp. 1053-1055. Detorakis, Kosmas, pp. 151-154.

[480] Triod. Ven. S., ode 9°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 195-196. Anthologhion, vol. 2, p. 1056.

[481] Triod. Ven. S., ode 5°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1053. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 261.

[482] Triod. Ven. S., ode 5°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1053. Is 26,9.12: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, pp. 598-599. Cfr. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1176. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. II, p. 165. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 357-358.

[483] Sal 62,2 (LXX): Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 63. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. I, p. 755. Gv 14,27: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 299. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1719. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 358.

[484] Triod. Ven. S., ode 5°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1053. Triôdion katanyktikon : periechon apasan tên anêkousan autô akolouthian tês Hagias kai Megalês Tessarakostês. Roma 1879, p. 675.

[485] Codice Sinaitico greco New Finds Megalogramma (majuscule) 56, fasc. 24, p. 5. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. CXLIII- CXLIV, 194. Cirillo, Seconda Lettera a Nestorio, 4. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 358-359. Formula di unione del 433. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 386-387. In ogni caso la questione rimane difficile, perché l’espressione «ἑαυτὸν τῷ πεσόντι ἑνώσαντα» a prima vista sembra di aderire alla cristologia divisionista antiochena del Logos-anthropos o del Logos assumptus che afferma in Cristo i due soggetti distinti. Secondo la cristologia divisionista, però, il Logos e l’uomo sono associati per congiunzione, mentre nell’irmo di Cosma si tratta tuttavia dell’unione (ἑνώσαντα). Cfr. Amato, Gesù il Signore, pp. 195-196.

[486] Can. Giov. S., ode 3°, irmo; ode 9°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 191, 193. Anthologhion, vol. 2, pp. 1006, 1011.

[487] Triod. Ven. S., ode 5°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1053. «ἐν δύο φύσεσιν ἀσυγχύτως, ἀτρέπτως, ἀδιαιρέτως, ἀχωρίστως» (in due nature senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione). Il simbolo di Calcedonia. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 444-445, 620, nota 3.

[488] Triod. Ven. S., ode 5°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1053.

[489] I Padri Apostolici (ed. Dell’Osso C.): Ignazio, A Policarpo, 3,2 / CTP 5* (2011), p. 124. Ignace d’Antioche, Lettres (ed. Camelot P.Th.): A Polycarpe, III,2 / SCh 10 (1958), pp. 173-174. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 171.

[490] Gregorio di Nazianzo, Prima lettera a Cledonio, 3. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 326-327.

[491] Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.): Expositio fidei, 65; III 21 31-32, p. 164. Giovanni Damasceno, La fede ortodossa (ed. Fazzo V.),III,21 / CTP 142 (1998), p. 231.

[492] Triod. Ven. S., ode 5°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1053. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I/I, p. 125.

[493] Triod. Ven. S., ode 5°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, pp. 1053-1054. Mt 26,30: “Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1615. «Καὶ ὑμνήσαντες ἐξῆλθον εἰς τὸ ὄρος τῶν ἐλαιῶν». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 76. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 358-359.

[494] Triod. Ven. S., ode 5°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, pp. 1053-1054. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 961.

[495] Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 359.

[496] Triod. Ven. S., ode 5°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1054. Mt 26,31-32: “Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: ‘Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge’. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea»”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1615-1616. «Τότε λέγει αὐτοῖς ὁ Ἰησοῦς· πάντες ὑμεῖς σκανδαλισθήσεσθε ἐν ἐμοὶ ἐν τῇ νυκτὶ ταύτῃ, γέγραπται γάρ· πατάξω τὸν ποιμένα, καὶ διασκορπισθήσονται τὰ πρόβατα τῆς ποίμνης. μετὰ δὲ τὸ ἐγερθῆναί με προάξω ὑμᾶς εἰς τὴν Γαλιλαίαν». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, pp. 76-77. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 359.

[497] MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 961. Zc 13,7: “Percuoti il pastore e sia disperso il gregge”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1562. «πατάξατε τοὺς ποιμένας καὶ ἐκσπάσατε τὰ πρόβατα». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 559. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 359.

[498] Triod. Ven. S., ode 5°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1054. Mt 24,6: “Guardate di non allarmarvi”. Gv 14,27: “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”. Mt 26,45: “Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori”. Gv 16,32: “Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo”. Gv 11,52: “… per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”. Is 66,18: “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1611, 1719, 1616, 1721, 1714, 1248.

[499] Triod. Ven. S., ode 8°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. Dn 3,18: “… sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto”. Mt 26,3-4: “Allora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo … tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1440, 1614.

[500] Triod. Ven. S., ode 8°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. Sal 2,1-2: Cfr. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. I, p. 719. «Ἵνα τί ἐφρύαξαν ἔθνη καὶ λαοὶ ἐμελέτησαν κενά; παρέστησαν οἱ βασιλεῖς τῆς γῆς, καὶ οἱ ἄρχοντες συνήχθησαν ἐπὶ τὸ αὐτὸ κατὰ τοῦ κυρίου καὶ κατὰ τοῦ χριστοῦ αὐτοῦ διάψαλμα». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 1. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 360.

[501] Triod. Ven. S., ode 8°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1055.

[502] Triod. Ven. S., ode 8°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 194-195. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. Dn 3,57ss: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1442-1443.

[503] Triod. Ven. S., ode 8°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 194-195. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. Mt 26,33-75; Mc 14,29-72; Lc 22,31-62; Gv 13,37-38;18,17.25-27: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1617, 1643-1645, 1688-1689, 1718, 1723. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 361-363.

[504] Triod. Ven. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. Mt 26,43; Mc 14,40: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1616, 1643-1644.

[505] Triod. Ven. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. Lc 22,31-32; Sp 6,5-6: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1688, 1010. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 361-362.

[506] Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo/3 (ed. Zincone S.), 82,3 / CTP 172 (2003), pp. 287-288. «Διὰ τοῦτο τοίνυν ἀφίησιν αὐτὸν πεσεῖν, παιδεύων αὐτὸν ἐντεῦθεν πάντα πείθεσθαι τῷ Χριστῷ, καὶ τῆς οἰκείας συνειδήσεως πιστοτέραν ἡγεῖσθαι τὴν ἀπόφασιν τὴν αὐτοῦ … κἂν πάντες τοῦτο πάθωσι, φησὶν, ἐγὼ οὐ πείσομαι· ὅπερ εἰς αὐθάδειαν αὐτὸν ἦγε κατὰ μικρόν. Τοῦτο τοίνυν καταστεῖλαι βουλόμενος ὁ Χριστὸς, συνεχώρησε τὴν ἄρνησιν … Ὅτι γὰρ διὰ τοῦτο συνεχώρησεν, ἵνα τοῦτο ἐν αὐτῷ κατορθώσῃ, ἄκουσον τί φησιν· Ἐγὼ δὲ ἐδεήθην περὶ σοῦ, ἵνα μὴ ἐκλίπῃ σου πίστις. Τοῦτο γὰρ σφόδρα αὐτοῦ καθαπτόμενος ἔλεγε, καὶ δηλῶν ὅτι τὸ πτῶμα αὐτοῦ τῶν ἄλλων χαλεπώτερον, καὶ πλείονος δεόμενον βοηθείας. Καὶ γὰρ δύο τὰ ἐγκλήματα ἦν, καὶ ὅτι ἀντεῖπε, καὶ ὅτι τῶν ἄλλων ἑαυτὸν προὔθηκε· μᾶλλον δὲ καὶ τρίτον, ὅτι τὸ πᾶν ἑαυτῷ ἀνέθηκε». Ioannes Chrysostomus, In Matthaeum Homiliae, LXXXII,3 / PG 58, 741. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 363-364.

[507] Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 21,7,14, p. 521. «πολὺς μὲν περὶ αὐτὸν ὁ πόλεμος, ὡς γενναῖον προστάτην τοῦ Λόγου· πρὸς γὰρ τὸ ἀντιτεῖνον μάλιστα ἡ παράταξις …». Grégoire de Nazianze, Discours 20-23 (ed. Mossay J., Lafontaine G.), 21,14 / SCh 270 (1980), p. 138. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 362.

[508] S. Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso, vol. I (ed. Ignesti D.B.), XXIII,127. Siena 1955, p 346. «Ὅπου πτῶμα κατέλαβεν, ἐκεῖ ὑπερηφανία προεσκήνωσε· μηνυτὴς γὰρ τοῦ προτέρου τὸ δεύτερον». S.Giovanni Climaco, Scala Paradisi, II (ed. Trevisan P.), Gradino XXIII. Torino 1941, p. 61. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 364.

[509] Triod. Ven. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 194. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. Mt 26,72.74: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1617. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 80. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 362.

[510] Triod. Ven. S., ode 8°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 194-195. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. Mt 16,17: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1600. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 362. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 938.

[511] Triod. Ven. S., ode 8°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. Rm 11,33; 1Cor 1,24; Sal 35,7 (LXX); 1Sm 2,3; Is 40,6-7: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1792, 1800, 796, 334, 1199. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 363.

[512] Triod. Ven. S., ode 8°, trop. 4°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 364.

[513] «Καιρὸς γὰρ ἀθυμίας, οὐχ ὅταν πάσχωμεν κακῶς, ἀλλ’ ὅταν δρῶμεν κακῶς». Joannes Chrysostomus (spuria), Eclogae i-xlviii ex diversis homiliis, Homilia XIX / PG 63, 686. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 364.

[514] Triod. Ven. S., ode 8°, trop. 4°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1055. 2Cor 7,10: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1824. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 364-365.

[515] «Ὁ τοίνυν ταῖς οὕτως μεγαλοπρεπέσι καὶ ἀνυπερβλήτοις δωρεαῖς πλουτισθείς, ἁμαρτὼν εἰς τὸν φιλότιμον καὶ ἀγαθὸν εὐεργέτην, παρὰ μὲν ὑμῖν τοῖς δυσκόλοις καὶ ἀμειλίκτοις δικασταῖς εὐθὺς μήτε λόγου μεταλαβών, πάντως ἂν ἐπὶ τὸν ὄλεθρον ἤχθη καὶ τῆς ἐνθάδε ζωῆς ἀποκοπεὶς καὶ τὴν ἐκεῖ κολαζόμενος. Ἐπεὶ δὲ ἄλλος ἐστὶν ὁ τῆς ψήφου Κύριος, ὁ ποιῶν τὸ ἔλεος εἰς χιλιάδας καὶ μυριάδας καὶ μὴ θέλων τὸν θάνατον τοῦ ἁμαρτωλοῦ, ἀναμένων δὲ τὴν ἐπιστροφήν, οὐδ’ οὕτως οἱ τὴν πρώην χάριν ὑβρίσαντες ἐτιμωρήθησαν, ἀλλὰ πάλιν δεύτερος ἔλεος ἀκολουθεῖ τῷ προτέρῳ καὶ ἀμνηστείᾳ συγγνώμη συνάπτεται καὶ δάκρυον στάζον ἰσοδυναμεῖ τῷ λουτρῷ καὶ στεναγμὸς ἐπίμοχθος ἐπανάγει τὴν χάριν πρὸς ὀλίγον ἀναχωρήσασαν. Εἰ ἀπιστεῖς τῷ λόγῳ, Πέτρον ἐρώτησον ἐν τῇ οἰκίᾳ τοῦ ἀρχιερέως καθήμενον, καὶ λέξει σοι, ὅπως τὸ παράπτωμα τῆς ἀρνήσεως πικρῶς ὀδυράμενος ἐκαθάρθη καὶ οὐκ ἀνέλυσεν εἰς τὸν Σίμωνα, ἀλλὰ Πέτρος διέμεινεν ὁ ἀπόστολος». Asterius of Amasea, Homilies I-XIV (ed. Datema C.), Homily XIII,5,3-4, p. 186. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 365.

[516] «Πέτρος δὲ, ἡ πέτρα ἡ στερεὰ, φοβερὸν πτῶμα κατενεχθεὶς, ὡς ἐμπειροπόλεμος οὐκ ἐξελύθη οὐδὲ ἀπέγνω δυσθυμήσας· ἀλλὰ ἀναπηδήσας προσήγαγεν πικρότατα δάκρυα ἀπὸ καρδίας θλιβομένης καὶ τεταπεινωμένης· καὶ παραυτίκα ὁ πολέμιος ἡμῶν θεασάμενος ταῦτα, ὥσπερ φλοξὶ σφοδροτάταις τὰς ὄψεις φλεγόμενος, ἀπεπήδησεν φεύγων μακρὰν, καὶ δεινῶς ὀλολύζων». Ioannes Carpathius, Capita hortatoria ad monachos in India, 85 / PG 85, 1854. De Nicola A. Giovanni di Carpato / NDPAC 2, p. 2206. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 365.

[517] Triod. Ven. S., ode 9°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 195-196. Anthologhion, vol. 2, p. 1056.

[518] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Gv 18,3: “Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi”. Mt 26,47: “Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1723, 1616. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 368.

[519] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Sal 21,17 (LXX): “Poiché molti cani mi attorniano; una frotta di tristi mi si serra addosso, mi hanno trafitto mani e piedi”. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. I, p. 731. “Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 780. «ὅτι ἐκύκλωσάν με κύνες πολλοί, συναγωγὴ πονηρευομένων περιέσχον με, ὤρυξαν χεῖράς μου καὶ πόδας». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 20.

[520] Melito of Sardis, On Pascha (ed. Hall S.G.), 96, p. 54. Cantalamessa, I più antichi testi pasquali, p. 58.

[521] Munier Ch. Cristiani e giudei. La controversia tra giudei e cristiani / NDPAC 1, p. 1277.

[522] De Nicola A. Cristiani e giudei. Il periodo bizantino e il giudaismo / NDPAC 1, 1279, 1281.

[523] Grech P. Giudaismo / NDPAC 2, 2286.

[524] San Giovanni Crisostomo, Omelie contro gli Ebrei (ed. Centro Librario Sodalitium), I,7. Verrua Savoia 1997, pp. 3, 18. «Τοῦ Δεσπότου σου τὸν Υἱὸν ἀνεῖλον, καὶ τολμᾷς αὐτοῖς εἰς ταυτὸν συνιέναι; Καὶ ὁ μὲν ἀναιρεθεὶς οὕτω σε ἐτίμησεν, ὡς ἀδελφόν σε ποιῆσαι καὶ συγκληρονόμον αὑτοῦ· σὺ δὲ αὐτὸν οὕτως ἀτιμάζεις, ὡς τοὺς ἐκείνου φονέας καὶ σταυρώσαντας αὐτὸν τιμᾷν καὶ θεραπεύειν τῇ τῶν ἑορτῶν κοινωνίᾳ, καὶ εἰς τοὺς βεβήλους αὐτῶν τόπους ἀπαντᾷν, καὶ τῶν ἀκαθάρτων ἐπιβαίνειν προθύρων, καὶ κοινωνεῖν τραπέζης δαιμονίων· οὕτω γὰρ ἐγὼ πείθομαι καλεῖν μετὰ τὴν θεοκτονίαν τὴν τῶν Ἰουδαίων νηστείαν». Ioannes Chrysostomus, Adversus Judaeos, I,7 / PG 48, 854.

[525] La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1723.

[526] Is 3,9-10: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 569. Cfr. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. II, p. 147.

[527] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Gv 18,12-13: “Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero …”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1723.

[528] Col 1,15-20: “… in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili … Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui …”. Gv 1,3: “tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1854-1855, 1695. Amato, Gesù il Signore, pp. 136-137. Cfr. Grassi J.A. La lettera ai Colossei / GCB, p. 1265.

[529] Tatiani Oratio ad graecos (ed. Marcovich M.), 7 / PTS 43. Berlin – New York 1995, p. 17. Taziano, Il discorso ai greci (ed. Ubaldi P.), 7,1-2. Torino 1921, p. 13. Cfr. Taziano, Discorso ai greci (ed. Fermi M.), 7. Roma 1924, p. 43. Vergés, Dalmau, Dio rivelato in Cristo, pp. 283-284. Studer B. Creazione / NDPAC 1, 1254.

[530] Theophili Antiocheni Ad Autolycum (ed. Marcovich M.), 2.18.1-2 / PTS 44. Berlin – New York 1995, p. 65. Theophilus of Antioch, Ad Autolycum (ed. Grant R.M.), II.18. Oxford 1970, pp. 56-57. Studer B. Creazione / NDPAC 1, 1254.

[531] “… sono sempre a sua disposizione il Verbo e la Sapienza, (cioè) il Figlio e lo Spirito, mediante i quali opera tutte le cose con ogni libertà e indipendenza”. S. Ireneo di Lione, Contro le eresie, vol. II (ed. Dellagiacoma V.), IV, 20,1. Siena 1968, p. 66. Irénée de Lyon, Contre les hérésies (ed. Rousseau A.), IV, 20,1 / SCh 100 (1965), pp. 626-627. Studer B. Creazione / NDPAC 1, 1254.

[532] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Vawter B. Il vangelo secondo Giovanni / GCB, p. 1394.

[533] Mt 22,29: “E Gesù rispose loro: Vi ingannate, perché non conoscete le Scritture …”; Mc 4,11-12: “Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato»”; Gv 5,39: “Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me”; Gv 12,39-40: “Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse: Ha reso ciechi i loro occhi e duro il loro cuore, perché non vedano con gli occhi e non comprendano con il cuore e non si convertano, e io li guarisca!”; 2Cor 3,14-16: “Ma le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1609, 1626, 1703, 1716, 1821. Rm 10,4: “Infatti il culmine della legge è Cristo …”: La Bibbia. Nuovissima versione, p. 1737. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 369. O’Rourke J.J. La Seconda Lettera ai Corinti / GCB, p. 1187.

[534] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Is 53,7: “…era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1227. «… ὡς πρόβατον ἐπὶ σφαγὴν ἤχθη καὶ ὡς ἀμνὸς ἐναντίον τοῦ κείροντος αὐτὸν ἄφωνος οὕτως οὐκ ἀνοίγει τὸ στόμα αὐτοῦ». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 639. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 369. Amato, Gesù il Signore, pp. 78, 81.

[535] Gv 1,29.36: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”; 1Pt 1,19: “… ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia”; Ap 5,6: “Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato”: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1697, 1910, 1942. Stuhlmueller C. Deutero-Isaia / GCB, p. 487.

[536] At 8,32ss: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1742. Dillon R.J., Fitzmyer J.A. Atti degli Apostoli / GCB, p. 1063.

[537] Melitone di Sardi, Sulla Pasqua, 6 in: Cantalamessa, I più antichi testi pasquali, p. 32. Gv 19,33-34: “Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua”; La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1725. Rm 10,4: “Infatti il culmine della legge è Cristo …”: La Bibbia. Nuovissima versione, p. 1737.

[538] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Mt 20,18-19: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà”; Mt 27,1-2: “Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato”; At 2,23: “voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1605, 1617, 1732. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 369. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 946. Dillon R.J., Fitzmyer J.A. Atti degli Apostoli / GCB, pp. 1046, 1048.

[539] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Mc 15,10: “Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia”; Mt 27,18: “Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1645, 1618. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 369. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 964.

[540] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Gv 1,4: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”; Gv 11,25: “Io sono la risurrezione e la vita”; Gv 14,6: “Io sono la via, la verità e la vita”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1695, 1713, 1718.

[541] Basilius Seleuciensis, Oratio X / PG 85, 148A. Pseudo-Dionysius Areopagita, De Ecclesiastica Hierarchia (ed. Heil G., Ritter A.M.), II,7 404B. Berlin – New York 1991, p. 78. Proclus Constantinopolitanus, Homilia X,2: In feriam V / PG 65, 780C. Die Schriften des Johannes von Damaskos, V. (ed. Kotter B.): Sermo In Transfigurationem Domini, 17. Berlin – New York 1988, p. 45612. Lampe, Patristic Greek Lexicon, p. 597.

[542] Romanos le Mélode, Hymnes (ed. Grosdidier de Matons J.) : XXXIII Hymne de Judas, 14; XXXVI La Passion, prooïmion I; XXXVIII Triomphe de la Croix, 1; XL La Résurrection (I), 18 / SCh 128 (1967), pp. 86, 202, 286, 410. Romano il Melode, Kontakia/2 (ed. Trombi U.): Il tradimento di Giuda, 14; La Passione, proemio I; Il trionfo della Croce, 1; La Risurrezione VI, 18 / CTP 198 (2007), pp. 20, 35, 60, 123.

[543] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 1°, 4°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 195-196. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Sal 21,17 (LXX): “Poiché molti cani mi attorniano; una frotta di tristi mi si serra addosso, mi hanno trafitto mani e piedi”. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. I, p. 731. “Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 780. «ὅτι ἐκύκλωσάν με κύνες πολλοί, συναγωγὴ πονηρευομένων περιέσχον με, ὤρυξαν χεῖράς μου καὶ πόδας». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 20. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 370.

[544] Sal 21,2.8-9.17-19 (LXX): “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? … Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: «Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!» … Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi. Posso contare tutte le mie ossa. Essi stanno a guardare e mi osservano: si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 779-780. Murphy R.E. Salmi / GCB,p. 740.

[545] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 4°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 195-196. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Cfr. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 963.

[546] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 4°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 195-196. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Is 50,6 (LXX): «τὸν νῶτόν μου δέδωκα εἰς μάστιγας, τὰς δὲ σιαγόνας μου εἰς ῥαπίσματα, τὸ δὲ πρόσωπόν μου οὐκ ἀπέστρεψα ἀπὸ αἰσχύνης ἐμπτυσμάτων». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 635. “Io ho presentato il mio dorso a chi mi percoteva, le mie guance a chi mi strappava la barba; io non ho voltato il mio volto all’onta di chi mi sputava addosso”. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. II, p. 186. Gv 18,22: “Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?»”; Mt 26,67: “Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono”; Mc 14,65: “Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: «Fa’ il profeta!». E i servi lo schiaffeggiavano”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1723, 1617, 1644. Mally E.J. Il vangelo secondo Marco / GCB, p. 892. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 370-371.

[547] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 4°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 195-196. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Sal 34,11 (LXX): «ἀναστάντες μάρτυρες ἄδικοι ἃ οὐκ ἐγίνωσκον ἠρώτων με». Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 34. “Si levano testimoni iniqui, pretendono da me quello che non so”; La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. I, p. 738. Gv 18,19: “Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1623. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 370-371.

[548] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 4°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 195-196. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Mc 14,60: “Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?»”; Mt 26,59-62: “I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”». Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?»”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1644, 1617. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 370-371.

[549] Triod. Ven. S., ode 9°, trop. 4°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 195-196. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 371.

[550] Eb 2,17: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, pp. 565-566. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1889. 1Gv 2,2: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 616. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1920. Ap 5,6.9.12: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1942. Gv 1,29: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1697. Amato, Gesù il Signore, pp. 428-429.

[551] Triod. Ven. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1056.

[552] Roberts, Catalogue, pp. 32, 30-31.

[553] Triod. Ven. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 195. Anthologhion, vol. 2, p. 1056. Boissonade J.Fr. Anecdota graeca e codicibus regiis, vol. ΙΙΙ. Paris 1831, p. 45. Papadopoulos G. Symbolai eis tên historian tês par’hêmin ekklêsiastikês mousikês. Athênai 1890, p. 126. Detorakis, Kosmas, pp. 208-209.

[554] «… οὐδὲν τοίνυν ἐν βίῳ οἷον ἡ Θεοτόκος Μαρία. περίελθε δή, ὦ ἄνθρωπε, πᾶσαν τὴν κτίσιν τῷ λογισμῷ καὶ βλέπε εἰ ἔστιν ἴσον ἤ μεῖζον τῆς ἁγίας καὶ Θεοτόκου παρθένου. περινόστησον τὴν γῆν, περίβλεψαι τὴν θάλασσαν, πολυπραγμόνησον τὸν ἀέρα, τοὺς οὐρανοὺς τῇ διανοίᾳ ἐρεύνησον, τὰς ἀοράτους πάσας δυνάμεις ἐνθυμήθητι καὶ βλέπε εἰ ἔστιν ἄλλο τοιοῦτον θαῦμα ἐν πάσῃ τῇ κτίσει». Constas N. Proclus of Constantinople and the Cult of the Virgin in Late Antiquity: Homily 5,II,50-55. Leiden, Boston 2003, p. 260. Questo brano è citato da: Ioannes Damascenus, Epistula de hymno trisagio, 18,3-7 in: Die Schriften des Johannes von Damaskos, IV (ed. Kotter B.). Berlin1981, p. 323. In PG l’omelia è ascritta tra le opere spurie di: Ioannes Chrysostomus, In S. Virginem et Deiparam Mariam / PG 59, 709. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 366.

[555] «Εἴ τις οὐ Θεοτόκον τὴν ἁγίαν Μαρίαν ὑπολαμβάνει, χωρὶς ἐστὶ τῆς θεότητος». Gregorio di Nazianzo, Epistola 101,16 (= Epistula ad Cledonium I). Grégoire de Nazianze, Lettres théologiques (ed. Gallay P.) / SCh 208 (1974), pp. 42-43. “Se uno non crede che la Santa Maria sia la genitrice di Dio, è separato dalla divinità”. Gregorio Nazianzeno, I cinque discorsi teologici (ed. Moreschini C.) / CTP 58 (1986), p. 203. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 366-367. Maritano M. Maria / NDPAC 2, 3038. Peretto E. Theotokos / NDPAC 3, 5346. Cfr. González, Mariologia, p. 145. Cfr. De Fiores, Maria Madre di Gesù, pp. 124, 126-129.

[556] Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, III,12 / CTP 142, p. 190. «Θεοτόκον δὲ κυρίως καὶ ἀληθῶς τὴν ἁγίαν παρθένον κηρύττομεν· ὡς γὰρ θεὸς ἀληθὴς ὁ ἐξ αὐτῆς γεννηθείς, ἀληθὴς θεοτόκος ἡ τὸν ἀληθινὸν θεὸν ἐξ αὐτῆς σεσαρκωμένον γεννήσασα». Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), 56; III 12, p. 133. «Διὸ καὶ θεοτόκον τὴν ἁγίαν παρθένον κηρύττομεν ὡς θεὸν κυρίως καὶ ἀληθῶς ἐξ αὐτῆς σαρκωθέντα γεννήσασαν». “Perciò noi proclamiamo che la santa Vergine è la Madre di Dio, perché lei ha generato Dio incarnato da Lei propriamente e veramente”. Die Schriften des Johannes von Damaskos, IV. Contra Nestorianos, 43,59-60 (ed. Kotter B.). Berlin 1981, p. 287. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 367.

[557] Triod. Ven. S. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 194-196. Anthologhion, vol. 2, pp. 1053-1056. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 961. Detorakis, Kosmas, pp. 151-154.

[558] «Διὸ καὶ μεγάλην καλοῦμεν αὐτήν· … ἀλλ’ ἐπειδὴ μεγάλα ἡμῖν γέγονεν ἐν αὐτῇ παρὰ τοῦ Δεσπότου κατορθώματα. Καὶ γὰρ ἐν ταύτῃ τῇ ἑβδομάδι τῇ μεγάλῃ ἡ χρονία τοῦ διαβόλου κατελύθη τυραννὶς, ὁ θάνατος ἐσβέσθη, ὁ ἰσχυρὸς ἐδέθη, τὰ σκεύη αὐτοῦ διηρπάγη, ἡ ἁμαρτία ἀνῃρέθη, ἡ κατάρα κατελύθη, ὁ παράδεισος ἀνεῴχθη, ὁ οὐρανὸς βάσιμος γέγονεν, ἄνθρωποι τοῖς ἀγγέλοις ἀνεμίγησαν, τὸ μεσότοιχον τοῦ φραγμοῦ ἤρθη, τὸ θριγκίον περιῃρέθη, ὁ τῆς εἰρήνης Θεὸς εἰρηνοποίησε τὰ ἄνω καὶ τὰ ἐπὶ τῆς γῆς. Διὰ τοῦτο μεγάλη καλεῖται ἑβδομάς· καὶ ὥσπερ αὕτη κεφάλαιον τῶν λοιπῶν ἑβδομάδων, οὕτω ταύτης κεφαλὴ τὸ σάββατον τὸ μέγα· καὶ καθάπερ ἐν σώματι κεφαλὴ, οὕτως ἐν τῇ ἑβδομάδι τὸ σάββατον». Ioannes Chrysostomus, in Psalmum CXLV, 1 / PG 55, 519, 27-44. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 372, nota 1.

[559] Tetr. Sab. S.: Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 198-201. Anthologhion, vol. 2, pp. 1112-1116.

[560] Tetr. Sab. S., ode 6°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 198. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Gion 2,1: “Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti”; Mt 12,39-40: “Ed egli rispose loro: Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra”; Mt 16,4: “Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona”; Lc 11,29: “Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1511, 1593, 1599, 1671. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 930. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, pp. 348-349.

[561] Tetr. Sab. S., ode 6°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 198. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 395.

[562] Di Berardino A. Tipologia / NDPAC 3, 5369-5370.

[563] Tetr. Sab. S., ode 6°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 198. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 395.

[564] Tetr. Sab. S., ode 6°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 198. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Sal 18,6 (LXX): “egli (il sole) è come uno sposo che esce dal suo talamo”. La Bibbia. Nuovissima versione, p. 799. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 395.

[565] Tetr. Sab. S., ode 6°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 198. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Gion 2,9: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 528. Cfr. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1512. Cfr. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. II, p. 404. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 395-396.

[566] Tetr. Sab. S., ode 6°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 198. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Mt 28,4: “Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte”; Mt 28,11-15: “Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: “Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo”. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione”. Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino ad oggi”; Is 56,10: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1620, 1231. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 395-396. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 967.

[567] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112.

[568] Amato, Gesù il Signore, pp. 361-362.

[569] Amato, Gesù il Signore, pp. 435-436.

[570] At 2,31; cfr. Sal 15,10 (LXX): “perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa”; At 2,24: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1732, 772. Amato, Gesù il Signore, p. 440.

[571] Mc 15,37; Mt 27,50: “Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito”; Lc 23,46: “Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò”; Gv 19,30: “Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto!”. E, chinato il capo, consegnò lo spirito”; Fil 2,8: umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1646, 1619, 1691, 1725, 1849. Amato, Gesù il Signore, p. 420.

[572] Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 40,17,45, p. 975. «ἀπαθῆ θεότητι, παθητὸν τῷ προσλήμματι, τοσοῦτον ἄνθρωπον διὰ σὲ ὅσον σὺ γίνῃ δι’ ἐκεῖνον Θεός· τοῦτον ὑπὲρ τῶν ἀνομιῶν ἡμῶν ἦχθαι εἰς θάνατον, σταυρωθέντα τε καὶ ταφέντα, ὅσον θανάτου γεύσασθαι, καὶ ἀναστάντα τριήμερον ἀνεληλυθέναι εἰς τοὺς οὐρανοὺς ἵνα σε συναγάγῃ κάτω κείμενον». Grégoire de Nazianze, Discours 38-41 (ed. Moreschini C., Gallay P.), 40,45 / SCh 358 (1990), p. 306.

[573] Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, III,27 / CTP 142, pp. 238-239. «Εἰ καὶ τέθνηκε τοιγαροῦν ὡς ἄνθρωπος καὶ ἡ ἁγία αὐτοῦ ψυχὴ τοῦ ἀχράντου διῃρέθη σώματος, ἀλλ’ ἡ θεότης ἀχώριστος ἀμφοτέρων διέμεινε, τῆς τε ψυχῆς φημι καὶ τοῦ σώματος, καὶ οὐδὲ οὕτως ἡ μία ὑπόστασις εἰς δύο ὑποστάσεις διῃρέθη· τό τε γὰρ σῶμα καὶ ἡ ψυχὴ κατὰ ταὐτὸν ἐξ ἀρχῆς ἐν τῇ τοῦ λόγου ὑποστάσει ἔσχον τὴν ὕπαρξιν καὶ ἐν τῷ θανάτῳ ἀλλήλων διαιρεθέντα ἕκαστον αὐτῶν ἔμεινε τὴν μίαν ὑπόστασιν τοῦ λόγου ἔχοντα. Ὥστε ἡ μία τοῦ λόγου ὑπόστασις τοῦ τε λόγου καὶ τῆς ψυχῆς καὶ τοῦ σώματος ὑπῆρχεν ὑπόστασις· οὐδέποτε γὰρ οὔτε ἡ ψυχή, οὐδὲ τὸ σῶμα ἰδίαν ἔσχον ὑπόστασιν παρὰ τὴν τοῦ λόγου ὑπόστασιν· μία δὲ ἀεὶ ἡ τοῦ λόγου ὑπόστασις καὶ οὐδέποτε δύο. Ὥστε μία ἀεὶ τοῦ Χριστοῦ ἡ ὑπόστασις. Ὥστε, εἰ καὶ τοπικῶς ἡ ψυχὴ τοῦ σώματος κεχώριστο, ἀλλ’ ὑποστατικῶς διὰ τοῦ λόγου ἥνωτο». Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), 71; III 27, pp. 170-171.

[574] Giovanni Damasceno, Omelie cristologiche e mariane (ed. Spinelli M.): Omelia sul Sabato Santo, 29 / CTP 25 (1993), p. 109. «… ἐν τάφῳ τίθεται, ὁ θρόνον ἔχων τὸν οὐρανὸν καὶ τὴν γῆν ὑποπόδιον, ὁ πληρῶν καὶ περιγράφων τὰ σύμπαντα, ὁ μόνος ὡς θεὸς ἀπερίγραπτος καὶ δρακὶ περιδεδραγμένος τῆς κτίσεως ἐν τάφῳ σωματικῶς περιγράφεται, αὐτὸς ὡς θεὸς ἐν οὐρανῷ σὺν πατρὶ προσκυνούμενος καὶ τῷ πνεύματι, καὶ αὐτὸς ὡς ἄνθρωπος σωματικῶς ἐν μνήματι κείμενος καὶ ψυχικῶς ἐν τοῖς ᾅδου μυχοῖς αὐλιζόμενος καὶ τῷ λῃστῇ εἰσιτητὸν ποιῶν τὸν παράδεισον, συμπαρομαρτούσης ἁπανταχῇ τῆς ἀπεριγράπτου θεότητος. Εἰ γὰρ καὶ διῃρέθη ἡ θεία καὶ ἱερὰ ψυχὴ τοῦ ζωοποιοῦ καὶ ἀχράντου σώματος, ἀλλ’ ἡ θεότης τοῦ λόγου μετὰ τὴν ἐν γαστρὶ τῆς ἁγίας παρθένου καὶ θεοτόκου Μαρίας συλλήψεως καθ’ ὑπόστασιν γεγενημένης τῶν δύο φύσεων ἀδιάσπαστον ἕνωσιν ἀμφοτέρων μεμένηκεν ἀδιάστατος, τῆς τε ψυχῆς φημι καὶ τοῦ σώματος, καὶ οὕτω μία ὑπόστασις τοῦ Χριστοῦ καὶ ἐν αὐτῷ τῷ θανάτῳ διέμεινεν ἐν τῇ τοῦ θεοῦ λόγου ὑποστάσει ὑφισταμένης τῆς τε ψυχῆς καὶ τοῦ σώματος καὶ μετὰ θάνατον καὶ ταύτην κεκτημένων ὑπόστασιν». Die Schriften des Johannes von Damaskos, V. (ed. Kotter B.): Oratio in Sabbatum Sanctum, 29,24-39. Berlin – New York 1988, pp. 138-139.

[575] Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, I,13 / CTP 142, p. 81. «Ὁ μὲν οὖν θεὸς ἄυλος ὢν καὶ ἀπερίγραπτος ἐν τόπῳ οὐκ ἔστιν· αὐτὸς γὰρ ἑαυτοῦ τόπος ἐστὶ τὰ πάντα πληρῶν καὶ ὑπὲρ τὰ πάντα ὢν καὶ αὐτὸς συνέχων τὰ πάντα». Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), 13; I 13, p. 38. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 397.

[576] Canone anastasimos. Poema di Giovanni Damasceno, ode 1°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 1, p. 317. «Ἐν τάφῳ σωματικῶς, ἐν ᾍδῃ δὲ μετὰ ψυχῆς ὡς Θεός· ἐν Παραδείσῳ δὲ μετὰ Λῃστοῦ, καὶ ἐν θρόνῳ ὑπῆρχες, Χριστὲ, μετὰ Πατρὸς καὶ Πνεύματος, πάντα πληρῶν ὁ ἀπερίγραπτος». Anthologion tou holou eniautou, vol. 1.Roma1967, p. 324. Cfr. Oktôêchos. Roma 1886, p. 61. Cfr. Paraklêtikê êtoi Ochtôêchos hê megalê. Roma 1885, p. 280. 1Pt 3,18-19: “… perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere”; Lc 23,43: “Gli rispose: In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”; Col 3,1: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio”; Ef 1,23: “… essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose”; Ef 4,10: “Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose”: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1912, 1691, 1856, 1841, 1843. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 397.

[577] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112.

[578] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Gv 2,19: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1698. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 397.

[579] Atanasio, L’incarnazione del Verbo (ed. Bellini E.), V,20 / CTP 2 (2005), pp. 73-74. «μετὰ τὰς περὶ θεότητος αὐτοῦ ἐκ τῶν ἔργων ἀποδείξεις, ἤδη λοιπὸν καὶ ὑπὲρ πάντων τὴν θυσίαν ἀνέφερεν, ἀντὶ πάντων τὸν ἑαυτοῦ ναὸν εἰς θάνατον παραδιδούς, ἵνα τοὺς μὲν πάντας ἀνυπευθύνους καὶ ἐλευθέρους τῆς ἀρχαίας παραβάσεως ποιήσῃ· δείξῃ δὲ ἑαυτὸν καὶ θανάτου κρείττονα, ἀπαρχὴν τῆς τῶν ὅλων ἀναστάσεως τὸ ἴδιον σῶμα ἄφθαρτον ἐπιδεικνύμενος». Athanase d’Alexandrie, Sur l’incarnation du Verbe (ed. Kannengiesser Ch.), 20,2 / SCh 199 (1973), pp. 336, 338.

[580] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112, vol. 4, p. 1074, note 42, 43. «… θεὸν ἀληθῶς καὶ ἄνθρωπον ἀληθῶς … ἕνα καὶ τὸν αὐτὸν Χριστὸν υἱὸν κύριον μονογενῆ, ἐν δύο φύσεσιν … γνωριζόμενον». “… lo stesso veramente Dio e veramente uomo … un solo e lo stesso Cristo, Figlio, Signore, Unigenito, che si fa conoscere in due nature”. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 444-445. Amato, Gesù il Signore, p. 362.

[581] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112.

[582] Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, III,26 / CTP 142, p. 237. «Αὐτὸς οὖν ὁ τοῦ θεοῦ λόγος πάντα ὑπέμεινε σαρκὶ τῆς θείας καὶ μόνης ἀπαθοῦς αὐτοῦ φύσεως ἀπαθοῦς μενούσης. Τοῦ γὰρ ἑνὸς Χριστοῦ τοῦ ἐκ θεότητός τε καὶ ἀνθρωπότητος συντεθειμένου, ἐν θεότητί τε καὶ ἀνθρωπότητι ὄντος, πάσχοντος τὸ μὲν παθητὸν ὡς πεφυκὸς πάσχειν ἔπασχεν, οὐ συνέπασχε δὲ τὸ ἀπαθές. Ἡ μὲν γὰρ ψυχὴ παθητὴ οὖσα, τοῦ σώματος τεμνομένου αὐτὴ μὴ τεμνομένη συναλγεῖ καὶ συμπάσχει τῷ σώματι· ἡ δὲ θεότης ἀπαθὴς οὖσα, οὐ συνέπασχε τῷ σώματι. Ἰστέον δέ, ὅτι θεὸν μὲν σαρκὶ παθόντα φαμέν, θεότητα δὲ σαρκὶ παθοῦσαν ἢ θεὸν διὰ σαρκὸς παθόντα οὐδαμῶς». Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), 70; III 26, p. 169.

[583] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Gen 2,7: “… nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire”; Rm 5,12: “Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato”; 1Pt 2,22; Is 53,9: “Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca”; 1Gv 3,5: “Voi sapete che egli si manifestò per togliere i peccati e che in lui non vi è peccato”; 2Cor 5,21: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 21, 1783, 1911, 1227, 1922, 1823. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 398.

[584] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112.

[585] Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, III,28 / CTP 142, pp. 239-241. «Τὸ τῆς φθορᾶς ὄνομα δύο σημαίνει. Σημαίνει γὰρ τὰ ἀνθρώπινα ταῦτα πάθη· πεῖναν, δίψαν, κόπον, τὴν τῶν ἥλων διάτρησιν, θάνατον ἤτοι χωρισμὸν τῆς ψυχῆς ἐκ τοῦ σώματος καὶ τὰ τοιαῦτα. Κατὰ τοῦτο τὸ σημαινόμενον φθαρτὸν τὸ τοῦ κυρίου σῶμά φαμεν· πάντα γὰρ ταῦτα ἑκουσίως ἀνέλαβε. Σημαίνει δὲ ἡ φθορὰ καὶ τὴν τελείαν τοῦ σώματος εἰς τά, ἐξ ὧν συνετέθη, στοιχεῖα διάλυσιν καὶ ἀφανισμόν· ἥτις μᾶλλον ὑπὸ πολλῶν διαφθορὰ λέγεταί τε καὶ ὀνομάζεται. Ταύτης πεῖραν τὸ τοῦ κυρίου σῶμα οὐκ ἔσχεν, ὥς φησιν ὁ προφήτης Δαυίδ· Ὅτι οὐκ ἐγκαταλείψεις τὴν ψυχήν μου εἰς ᾅδου οὐδὲ δώσεις τὸν ὅσιόν σου ἰδεῖν διαφθοράν … Κατὰ δὲ τὸ δεύτερον τῆς φθορᾶς σημαινόμενον ἄφθαρτον ἤτοι ἀδιάφθορον ὁμολογοῦμεν τὸ τοῦ κυρίου σῶμα, καθὼς ἡμῖν οἱ θεοφόροι πατέρες παραδεδώκασι. Μετὰ μέντοι τὴν ἐκ νεκρῶν ἀνάστασιν τοῦ σωτῆρος καὶ κατὰ τὸ πρῶτον σημαινόμενον ἄφθαρτον τὸ τοῦ κυρίου σῶμά φαμεν· καὶ τῷ ἡμετέρῳ γὰρ σώματι τήν τε ἀνάστασιν καὶ τὴν μετὰ ταῦτα ἀφθαρσίαν ὁ κύριος διὰ τοῦ ἰδίου ἐδωρήσατο σώματος, αὐτὸς ἀπαρχὴ τῆς τε ἀναστάσεως καὶ τῆς ἀφθαρσίας καὶ τῆς ἀπαθείας ἡμῖν γενόμενος. Δεῖ γὰρ τὸ φθαρτὸν τοῦτο ἐνδύσασθαι ἀφθαρσίαν, φησὶν ὁ θεῖος ἀπόστολος». Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), 72; III 28, pp. 171-172.

[586] Cocchini F. Aftartodocetismo / NDPAC 1, 117. Leontius Byzantinus, Contra Nestorianos et Eutychianos, II / PG 86, 1316-1357. Leonzio di Bizanzio, Le Opere (ed. Dell’Osso C.): Contro i Nestoriani e gli Eutichiani, II: Dialogo contro gli Aftartodoceti / CTP 161 (2001), pp. 93-124.

[587] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112.

[588] Amato, Gesù il Signore, pp. 435-436.

[589] Gli apocrifi del Nuovo Testamento, vol. 1/2 (ed. Erbetta M.). Casale Monferrato 1981, pp. 268-269. Amato, Gesù il Signore, p. 436.

[590] Amato, Gesù il Signore, pp. 436, 437.

[591] Ireneo di Lione, Epideixis (ed. Peretto E.), 78. Roma 1981, pp. 174-175, nota 268. In Geremia non c’è un passo che possa essere accostato con certezza al presente. Giustino rimproverava ai Rabbini di averlo espunto dal libro di Geremia (Dial 72,4). Il passo così come si presenta ha i requisiti per essere ritenuto un midrash cristiano su Geremia, uscito dai cenacoli giudeo-cristiani.

[592] Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 45,12,24, p. 1165. «Ἂν εἰς ᾅδου κατίῃ, συγκάτελθε. Γνῶθι καὶ τὰ ἐκεῖσε τοῦ Χριστοῦ μυστήρια, τίς ἡ οἰκονομία τῆς διπλῆς καταβάσεως, τίς ὁ λόγος· ἁπλῶς σώζει πάντας ἐπιφανεὶς, ἢ κακεῖ τοὺς πιστεύοντας». Gregorius Theologus, Oratio XLV: In sanctum Pascha, XXIV / PG 36, 657.

[593] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112.

[594] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Rm 5,14; Sal 106,16 (LXX); Is 45,2; Mc 15,46; 1Pt 4,6; Col 1,18: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1783, 881, 1211, 1646, 1913, 1854-1855. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 399-400.

[595] Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, III,29 / CTP 142, p. 241. «Κάτεισιν εἰς ᾅδην ψυχὴ τεθεωμένη, ἵνα … οὕτω καὶ τοῖς ὑπὸ γῆν ἐν σκότει καὶ σκιᾷ θανάτου καθημένοις ἐπιλάμψῃ τὸ φῶς· ἵνα … γέγονεν αἴτιος σωτηρίας αἰωνίου … οὕτω καὶ τοῖς ἐν ᾅδου· ἵνα αὐτῷ κάμψῃ πᾶν γόνυ ἐπουρανίων καὶ ἐπιγείων καὶ καταχθονίων (Fil 2,10), καὶ οὕτω τοὺς ἀπ’ αἰῶνος λύσας πεπεδημένους αὖθις ἐκ νεκρῶν ἀνεφοίτησεν ὁδοποιήσας ἡμῖν τὴν ἀνάστασιν». Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), 73; III 29, p. 172.

[596] Tetr. Sab. S., ode 6°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 198-199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), 70-73; III 26-29, pp. 169-172. Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, III,26-29 / CTP 142, pp. 237-241.

[597] «Σήμερον γὰρ τὰ ἐν ᾅδου περιπολεῖ πάντα ὁ Δεσπότης ἡμῶν· σήμερον τὰς χαλκᾶς πύλας συνέκλασε· σήμερον τοὺς μοχλοὺς τοὺς σιδηροῦς συνέθλασεν … Ὁ δὲ Χριστὸς … δεῖξαι βουλόμενος, ὅτι τέλος ὁ θάνατος ἔχει, συνέθλασεν αὐτοῦ τὰς πύλας τὰς χαλκᾶς … Ἐν τοσούτῳ χρόνῳ οὐδεὶς αὐτὸν ἔπεισεν ἀφεῖναι οὐδένα τῶν κατεχομένων, ἕως αὐτὸν ὁ τῶν ἀγγέλων Δεσπότης κατελθὼν ἠνάγκαζε … οὕτω καὶ ὁ Χριστὸς ἐποίησε, τὸν λῄσταρχον καὶ τὸν δεσμοφύλακα, τὸν διάβολον ὁμοῦ καὶ τὸν θάνατον, διὰ τοῦ θανάτου αὐτοῦ δήσας, καὶ τὸν πλοῦτον πάντα, τῶν ἀνθρώπων λέγω τὸ γένος, μετήγαγεν εἰς τὰ ταμιεῖα τὰ βασιλικά. Τοῦτο καὶ Παῦλος δηλοῖ λέγων· Ἐλυτρώσατο ἡμᾶς ἐκ τῆς ἐξουσίας τοῦ σκότους, καὶ μετέστησεν εἰς τὴν βασιλείαν αὐτοῦ τῆς ἀγάπης (Col 1,13) … αὐτὸς ἦλθε πρὸς τοὺς δεσμώτας ὁ βασιλεὺς, καὶ οὐκ ἐπῃσχύνθη τὸ δεσμωτήριον οὐδὲ τοὺς δεδεμένους· ὃν γὰρ ἔπλασεν, ἐπαισχύνεσθαι οὐκ ἔμελλε· καὶ συνέκλασε τὰς θύρας, συνέτριψε τοὺς μοχλοὺς, ἐπέστη τῷ ᾅδῃ, ἔρημον αὐτοῦ τὴν φυλακὴν ἐποίησεν ἅπασαν, καὶ τὸν δεσμοφύλακα λαβὼν δεδεμένον, οὕτως ἡμῖν ἐπανῆλθεν. Ὁ τύραννος αἰχμάλωτος ἤγετο, ὁ ἰσχυρὸς δεδεμένος· ὁ θάνατος αὐτὸς ῥίψας τὰ ὅπλα, γυμνὸς πρὸς τοὺς πόδας τοῦ βασιλέως ἔδραμεν». Ioannes Chrysostomus, De coemeterio et de cruce, 2 / PG 49, 394-396. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 399-400, nota 1.

[598] S. Ireneo di Lione, Contro le eresie, vol. II (ed. Dellagiacoma V.), IV,20,11, p. 74. aliquando enim cum his qui erant circa Ananiam, Azariam, Misahel videbatur, assistens eis in fornace ignis et in camino et liberans eos de igne: Et visio, inquit, quarti similis Filio Dei (Dn 3,92)”.Irénée de Lyon, Contre les hérésies (ed. Rousseau A.), IV,20,11 / SCh 100 (1965), p. 662.

[599] Tetr. Sab. S., ode 7°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1113. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 401.

[600] Tetr. Sab. S., ode 7°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1113. Cfr. Il simbolo niceno-costantinopolitano: “Per noi uomini e per la nostra salvezza …” (δι’ ἡμᾶς τοὺς ἀνθρώπους καὶ διὰ τὴν ἡμετέραν σωτηρίαν …). Simonetti, Il Cristo, II, pp. 304-305.

[601] Tetr. Sab. S., ode 7°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1113. 1Cor 1,30: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 443. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1800. Amato, Gesù il Signore, p. 428.

[602] Tetr. Sab. S., ode 7°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, pp. 1113-1114. Os 13,14: “Li strapperò di mano agli inferi, li riscatterò dalla morte? Dov’è, o morte, la tua peste? Dov’è, o inferi, il vostro sterminio? La compassione è nascosta ai miei occhi”; 1Cor 15,54-55: “La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1480, 1816.

[603] Cantalamessa, I più antichi testi pasquali: Melitone di Sardi, Sulla Pasqua, 102, pp. 60, 118 nota 72. «ἐγώ, φησὶν ὁ Χριστός, ἐγὼ ὁ καταλύσας τὸν θάνατον καὶ θριαμβεύσας τὸν ἐχθρὸν καὶ καταπατήσας τὸν ᾅδην καὶ δήσας τὸν ἰσχυρὸν καὶ ἀφαρπάσας τὸν ἄνθρωπον εἰς τὰ ὑψηλὰ τῶν οὐρανῶν· ἐγώ, φησιν ὁ Χριστός». Melito of Sardis, On Pascha (ed. Hall S.G.), 102, pp. 56, 58.

[604] Num 21,8-9: “Il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita”. Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 196. Gregorio non interpreta il serpente di bronzo come figura di Cristo, che salva gli uomini dalla morte del peccato, ma come figura rovesciata: il serpente, infatti, induce l’uomo alla morte e, quindi, al peccato; Cristo libera dal peccato e salva dalla morte. Quindi il serpente di bronzo posto sull’asta è salvifico perché è morto, al contrario di Cristo, che salva venendo tra gli uomini. Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 45,12,22, pp. 1161, 1395 nota 121. «Ποῦ σου, θάνατε, τὸ κέντρον; Ποῦ σου, ᾅδη, τὸ νῖκος; Τῷ σταυρῷ βέβλησαι, τῷ ζωοποιῷ τεθανάτωσαι. Ἄπνους, νεκρὸς, ἀκίνητος, ἀνενέργητος, καὶ, εἰ τὸ σχῆμα σώζεις ὄφεως, ἐν ὕψει στηλιτευόμενος». Gregorius Theologus, Oratio XLV: In sanctum Pascha, XXII / PG 36, 653. Lilla S. La fonte inedita di un’omelia greca sulla Pasqua / Byzantion 40 (1970), p. 73.

[605] «Σήμερον καταλύεται τοῦ διαβόλου ἡ τυραννίς· σήμερον τὰ δεσμὰ τοῦ θανάτου ἐλύθη, τοῦ ᾅδου τὸ νῖκος ἠφάνισται· σήμερον εὔκαιρον πάλιν εἰπεῖν τὴν προφητικὴν ἐκείνην φωνήν· Ποῦ σου, θάνατε, τὸ κέντρον; ποῦ σου, ᾅδη, τὸ νῖκος; Σήμερον τὰς χαλκᾶς πύλας συνέθλασεν ὁ Δεσπότης ἡμῶν Χριστὸς, καὶ αὐτὸ τοῦ θανάτου τὸ πρόσωπον ἠφάνισε …». Ioannes Chrysostomus, In Sanctum Pascha, 1 / PG 52, 766-767.

[606] Catechesi sulla Pasqua: Anthologhion, vol. 3, p. 166. «… ᾅδης, φησὶν, ἐπικράνθη. Συναντήσας σοι κάτω ἐπικράνθη· καὶ γὰρ καθῃρέθη· ἐπικράνθη· καὶ γὰρ ἐνεπαίχθη. Ἔλαβε σῶμα, καὶ Θεῷ περιέτυχεν· ἔλαβε γῆν, καὶ συνήντησεν οὐρανῷ· ἔλαβεν ὅπερ ἔβλεπε, καὶ πέπτωκεν ὅθεν οὐκ ἔβλεπε. Ποῦ σου, θάνατε, τὸ κέντρον; ποῦ σου, ᾅδη, τὸ νῖκος; Ἀνέστη Χριστὸς, καὶ σὺ καταβέβλησαι». Ioannes Chrysostomus, Sermo catecheticus in Pascha [Spuria] / PG 59, 723-724. Moriarty F.L. Isaia 1-39 / GCB, p. 353. Lilla S. Un’omelia greca sulla Pasqua / Byzantion 38 (1968), pp. 285-286. Geerard M. Clavis Patrum graecorum, vol. II, n. 4605, p. 573.

[607] Romano il Melode, Kontakia / 2 (ed. Trombi U.), La Risurrezione IV (Le dieci dracme), proemio/ CTP 198 (2007), p. 97. «[Οἱ συνταφέ]ντες Χριστῷ διὰ τοῦ βαπτίσματος καὶ ἀναστάν[τες σὺν] αὐτῷ, ψάλλοντες κραυγάσωμεν, λέγοντες· Ποῦ σοῦ, [Θάνατε,] τὸ νῖκος; Ποῦ σοῦ, Ἅιδη, τὸ κέντρον; Ἀνέστη γὰρ ὁ Κύριος, [ἡ ζωὴ] καὶ ἀνάστασις». Romanos le Mélode, Hymnes (ed. Grosdidier de Matons J.) : XLV. Hymne des dix drachmes (6e hymne de la Résurrection), prooïmion / SCh 128 (1967), p. 576.

[608] Romano il Melode, Kontakia / 2 (ed. Trombi U.), Il trionfo della Croce, 1/ CTP 198 (2007), p. 60. «Τρεῖς σταυροὺς ἐπήξατο ἐν Γολγοθὰ ὁ Πιλᾶτος, δύο τοῖς λῃστεύσασι καὶ ἕνα τῷ ζωοδότῃ· ὃν εἶδεν ὁ Ἅιδης καὶ εἶπε τοῖς κάτω· Ὦ λειτουργοί μου καὶ δυνάμεις μου, τίς ὁ ἐμπήξας ἧλον τῇ καρδίᾳ μου; Ξυλίνη με λόγχη ἐκέντησεν ἄφνω καὶ διαρρήσσομαι· τὰ ἔνδον πονῶ, τὴν κοιλίαν μου ἀλγῶ· τὰ αἰσθητήριά μου· μαιμάσσει τὸ πνεῦμά μου …». Romanos le Mélode, Hymnes (ed. Grosdidier de Matons J.) : XXXVIII. Triomphe de la Croix, 1 / SCh 128 (1967), p. 286.

[609] Tetr. Sab. S., ode 7°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, pp. 1113-1114. Gv 19,34: “… uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1725.

[610] Tetr. Sab. S., ode 7°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 199-200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114.

[611] «Οὐκ ἔγνωτε τοὺς ἀγγέλους, πῶς παρειστήκεισαν τῷ τάφῳ οὐκ ἔχοντι σῶμα, τάφῳ κενῷ; ἀλλ’ ὅμως ἐπειδὴ ὅλως ἐδέξατο τὸ σῶμα τὸ Δεσποτικὸν, πολλὴν ἀπονέμουσι καὶ τῷ τόπῳ τὴν τιμήν. Οἱ ἄγγελοι ὑπερβαίνοντες τὴν ἡμετέραν φύσιν μετὰ τοσαύτης αἰδοῦς καὶ εὐλαβείας παρειστήκεισαν τῷ τάφῳ …». Ioannes Chrysostomus, De coemeterio et de cruce, 2 / PG 49, 397. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 403.

[612] Romano il Melode, Kontakia / 2 (ed. Trombi U.), La Risurrezione VI, 17/ CTP 198 (2007), p. 123. «Αἶνός σοι, ὕμνος σοι, ἅγιε τάφε, μικρὲ καὶ μέγιστε, πτωχὲ καὶ πλούσιε, ζωῆς ταμιεῖον, εἰρήνης δοχεῖον, χαρᾶς σημεῖον, Χριστοῦ μνημεῖον …». Romanos le Mélode, Hymnes (ed. Grosdidier de Matons J.) : XL. La Résurrection, 17 / SCh 128 (1967), p. 408.

[613] Tetr. Sab. S., ode 7°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Gv 1,4; Gv 11,25; Gv 14,6: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1695, 1713, 1718. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 404.

[614] «Πῶς δὲ ἐν τάφῳ καὶ πότε, καὶ ὑπὸ τίνων Χριστὸς ἡ ζωὴ κατατίθεται, τῶν ἱερῶν λογίων ἀκούσωμεν». Epiphanius,Homilia in divini corporis sepulturam [Spuria] / PG 43, 444C. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 404.

[615] Tetr. Sab. S., ode 7°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Mt 27,53: «καὶ ἐξελθόντες ἐκ τῶν μνημείων μετὰ τὴν ἔγερσιν αὐτοῦ εἰσῆλθον εἰς τὴν ἁγίαν πόλιν καὶ ἐνεφανίσθησαν πολλοῖς». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 78. “Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1619. Irénée de Lyon, Contre les hérésies (ed. Rousseau A., Doutreleau L.), I,10,1 / SCh 264 (1979), p. 156. “resurrezione dai morti”. S. Ireneo di Lione, Contro le eresie, vol. I (ed. Dellagiacoma V.), I,10,1. Siena 1968, p. 54. Montanari, Vocabolario della lingua greca, p. 584. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 404-405.

[616] «Εἶτα τὸν σταυρὸν δηλῶν ἔλεγεν· Ἀναπεσὼν ἐκοιμήθης ὡς λέων, καὶ ὡς σκύμνος λέοντος, τίς ἐγερεῖ αὐτόν; Τὸν γὰρ θάνατον αὐτοῦ κοίμησιν ἐκάλεσε καὶ ὕπνον, καὶ τῷ θανάτῳ συνῆψε τὴν ἀνάστασιν, λέγων· Τίς ἐγερεῖ αὐτόν; Ἄλλος μὲν οὐδεὶς, αὐτὸς δὲ ἑαυτόν». Ioannes Chrysostomus,In illud: Pater, si possibile est, transeat, 1 / PG 51, 32. Gen 49,9: Septuaginta (Rahlfs), vol. I, p. 82. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 78. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 403.

[617] Canone anastasimos. Poema di Giovanni Damasceno, ode 7°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 1, p. 320. «Ὡς ζωηφόρος, ὡς Παραδείσου ὡραιότερος ὄντως καὶ παστάδος πάσης βασιλικῆς ἀναδέδεικται λαμπρότερος, Χριστὲ, ὁ τάφος σου, ἡ πηγὴ τῆς ἡμῶν ἀναστάσεως». Oktôêchos. Roma 1886, p. 66. Paraklêtikê êtoi Ochtôêchos hê megalê. Roma 1885, p. 284. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 405.

[618] Tetr. Sab. S., ode 7°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Gv 4,14: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 256. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1700.

[619] Tetr. Sab. S., ode 7°, trop. 4°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114.

[620] Tetr. Sab. S., ode 6°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, III,27 / CTP 142, pp. 238-239. Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), 71; III 27, pp. 170-171.

[621] Giovanni Damasceno, Omelie cristologiche e mariane (ed. Spinelli M.): Omelia sul Sabato Santo, 29 / CTP 25 (1993), p. 109. Die Schriften des Johannes von Damaskos, V. (ed. Kotter B.): Oratio in Sabbatum Sanctum, 29,24-39. Berlin – New York 1988, pp. 138-139.

[622] Tetr. Sab. S., ode 7°, trop. 4°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Canone anastasimos. Poema di Giovanni Damasceno, ode 1°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 1, p. 317. Anthologion tou holou eniautou, vol. 1.Roma1967, p. 324. Cfr. Oktôêchos. Roma 1886, p. 61. Cfr. Paraklêtikê êtoi Ochtôêchos hê megalê. Roma 1885, p. 280. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 397, 406.

[623] Tetr. Sab. S., ode 8°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Dt 32,1; Is 1,2: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 256, 1135. Sal 81,5 (LXX); Gb 9,6: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 851, 712. Septuaginta (Rahlfs), vol. II, pp. 90, 286. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 406.

[624] Tetr. Sab. S., ode 8°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Sal 87,5 (LXX): Cfr. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. I, p. 772. Cfr. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 856. Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 9495. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 406. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, pp. 359-360.

[625] Tetr. Sab. S., ode 8°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Fil 2,7; Mt 8,20: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1849, 1587. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 406-407.

[626] «Δός μοι τοῦτον τὸν ξένον· ἐκ μακρᾶς γὰρ ἦλθεν ὧδε τῆς χώρας, ἵνα σώσῃ τὸν ξένον … Δός μοι τοῦτον τὸν Ναζωραῖον ξένον … τὸν μὴ ἔχοντα ὧδε ποῦ τὴν κεφαλὴν κλίνῃ. Δός μοι τοῦτον τὸν ξένον, τὸν ὡς ξένον ἐπὶ ξένης ἄοικον, ἐπὶ φάτνης τεχθέντα … Δός μοι τοῦτον τὸν νεκρὸν ὁμοῦ καὶ Θεόν …». Epiphanius,Homilia in divini corporis sepulturam [Spuria] / PG 43, 445, 448.

[627] Anthologhion, vol. 2, pp. 1127-1128. «Τὸν ἥλιον κρύψαντα τὰς ἰδίας ἀκτῖνας, καὶ τὸ καταπέτασμα τοῦ ναοῦ διαρραγὲν τῷ τοῦ σωτῆρος θανάτῳ ὁ Ἰωσὴφ θεασάμενος, προσῆλθε τῷ Πιλάτῳ καὶ ἱκέτευε λέγων· ’Δός μοι τοῦτον τὸν ξένον, τὸν ἐκ βρέφους ὡς ξένον Αἰγύπτῳ ξενωθέντα· Δός μοι τοῦτον τὸν ξένον, ὃν ὁμόφυλοι μισοῦντες μαστιγοῦσιν ὡς ξένον· Δός μοι τοῦτον τὸν ξένον, οὐ ξενίζομαι βλέπειν τὸν θάνατον τοῦ ξένου· Δός μοι τοῦτον τὸν ξένον, ὃς παρῆν εἰς ξενίζειν τοὺς πτωχοὺς καὶ ξένους. Δός μοι τοῦτον τὸν ξένον, ὃν Ἰούδας δολίως ἀπεξένωσε κόσμου. Δός μοι τοῦτον τὸν ξένον, ὃν ὁ φίλος ἀρνεῖται μὴ εἰδέναι ὡς ξένον. Δός μοι τοῦτον τὸν ξένον, [ἵνα κρύψω ἐν τάφῳ,] ὅτι οὐκ ἔχει ὁ ξένος τὴν κεφαλὴν ὅπου κλίναι. Δός μοι τοῦτον τὸν ξένον, ὃν ἡ μήτηρ ὡς ζῶντα καθικετεύει βοῶσα· Εἰ καὶ τὰ σπλάγχνα σπαράττομαι καὶ τὴν καρδίαν τιτρώσκομαι νεκρὸν ἄπνουν σε βλέπουσα, ἀλλὰ τῇ σῇ ἀναστάσει μεγαλυνθῆναι θαρρῶ.’ Τούτοις δυσωπήσας τὸν Πιλᾶτον τοῖς λόγοις, ὁ εὐσχήμων λαμβάνει τὸ σῶμα τοῦ σωτῆρος, καὶ εὐσχημόνως εἰλύσας ἐν σινδόνι καὶ μύροις κατέθετο μνημείῳ, τοῖς πιστοῖς παρεχόμενος ζωὴν αἰώνιον καὶ τὸ μέγα ἔλεος». Georgius Acropolites,Carmen in magnum sabbatum. Georgii Acropolitae opera, vol. 2 (ed. Heisenberg A.). Leipzig 1903, pp. 9-11.

[628] Tetr. Sab. S., ode 8°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Dn 3,83ss: «εὐλογεῖτε, Ισραηλ, τὸν κύριον … εὐλογεῖτε, ἱερεῖς, τὸν κύριον … εὐλογεῖτε, δοῦλοι, τὸν κύριον· ὑμνεῖτε καὶ ὑπερυψοῦτε αὐτὸν εἰς τοὺς αἰῶνας»; “Israele, benedici il Signore … Sacerdoti del Signore, benedite il Signore … Servi del Signore, benedite il Signore, celebratelo, esaltatelo in eterno!”: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 893. La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. II, p. 349. Sal 112,1 (LXX): «Αἰνεῖτε, παῖδες, κύριον, αἰνεῖτε τὸ ὄνομα κυρίου»; “Lodate, servi (παῖδες) del Signore, lodate il nome del Signore”: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, pp. 125-126. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 888. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 407.

[629] Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Gv 2,19: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 252. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1698. Mc 14,58: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1644. Am 9,11: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 511. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1504. At 15,16: “Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide, che era caduta”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1753. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 408.

[630] Vawter B. Il vangelo secondo Giovanni / GCB, p. 1386.

[631] «Ὅτε γὰρ, φησὶν, ἀνέστη Ἰησοῦς ἐκ τῶν νεκρῶν, τότε ἐμνήσθησαν καὶ ἐπίστευσαν τῷ λόγῳ καὶ τῇ Γραφῇ. Δύο γὰρ ἦν αὐτοῖς τὰ προϊστάμενα τέως· ἓν μὲν τὸ τῆς ἀναστάσεως, ἕτερον δὲ τὸ τούτου μεῖζον, εἰ Θεὸς ἦν ὁ ἔνδον οἰκῶν· ἅπερ ἀμφότερα ᾐνίξατο εἰπών· Λύσατε τὸν ναὸν τοῦτον, καὶ ἐν τρισὶν ἡμέραις ἐγερῶ αὐτόνὍτι τοῦτο μάλιστα ἦν τὸ δεικνύον αὐτὸν οὐκ ὄντα ἄνθρωπον ψιλὸν, τὸ δυνηθῆναι κατὰ τοῦ θανάτου στῆσαι τρόπαιον, τὸ τὴν τυραννίδα αὐτοῦ τὴν μακρὰν, καὶ τὸν χαλεπὸν καταλῦσαι πόλεμον οὕτω ταχέως». Ioannes Chrysostomus, Commentarius in sanctum Joannem Apostolum et Evangelistam, Homilia XXIII,3/ PG 59, 141-142. San Giovanni Crisostomo, Le omelie su S. Giovanni Evangelista, II (ed. Tirone D.C.), 23. Torino 1947, pp. 16-19.

[632] Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. Gv 2,21: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1698. Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, III,27 / CTP 142, p. 239. «Εἰ καὶ τέθνηκε τοιγαροῦν ὡς ἄνθρωπος καὶ ἡ ἁγία αὐτοῦ ψυχὴ τοῦ ἀχράντου διῃρέθη σώματος …». Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), 71; III 27, p. 170. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 408. Cfr. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 360.

[633] «ἐπειδὴ γὰρ ἐκ νεκρῶν ἀνεβίω, τὴν εἰς θάνατον αὐτοῦ πεσοῦσαν σκηνὴν, τουτέστι τὴν ἀπὸ γῆς σάρκα, ἐγείραντος τοῦ Θεοῦ καὶ Πατρὸς, τότε δὴ τότε πάντα τὰ ἀνθρώπινα πρὸς τὸ ἀρχαῖον ἀνέστη σχῆμα, καὶ πάντα ἡμῶν τὰ κατεῤῥιμμένα πρὸς νέαν ὄψιν ἐνήνεκται. “Εἴ τις γὰρ ἐν Χριστῷ καινὴ κτίσις,” κατὰ τὰς γραφάς· συνεγηγέρμεθα γὰρ αὐτῷ. καὶ κατέσκαψε μὲν ὁ θάνατος τὰς ἁπάντων σκηνὰς, ἀνῳκοδόμησε δὲ ὁ Θεὸς καὶ Πατὴρ ἐν Χριστῷ· καὶ τοῦτο ἡμῖν οὐκ εἰς χρόνον ὑπάρξει μεμετρημένον, ἀλλ’ εἰς ἡμέρας, αἰῶνος· ἀναπόβλητον γὰρ ἐν ἡμῖν τὸ τῆς ἀφθαρσίας ἀγαθὸν, καὶ οὐκ ἔτι κρατήσει θάνατος τῶν ἐν Χριστῷ σεσωσμένων». Sancti patris nostri Cyrilli archiepiscopi Alexandrini in XII prophetas, vol. I (ed. Pusey Ph.E.), In Amos, IV, Oxonii 1868, p. 541. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 408.

[634] Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1114. 1Cor 15,45.47: Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita … Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1816.

[635] Anthologhion, vol. 2, p. 1117. «Ἐπὶ γῆς κατῆλθες, ἵνα σώσῃς Ἀδάμ, καὶ ἐν γῇ μὴ εὑρηκὼς τοῦτον, Δέσποτα, μέχρις ᾍδου κατελήλυθας ζητῶν». Anthologion tou holou eniautou, vol. 2.Roma1974, p. 1186. Cfr. Triôdion katanyktikon. Roma 1879, p. 712. Alfeyev H. L’Orthodoxie, vol. II. Paris 2012, pp. 249-250. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 408.

[636] Murray R. Adamo. Teologia biblica / DCT, pp. 46-47.

[637] Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, pp. 1114-1115. Mt 26,35: “Pietro gli rispose: “Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò”. Lo stesso dissero tutti i discepoli”; Mc 15,42-46: “Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro”. La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1616, 1646. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 409. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, pp. 361-362.

[638] «Ὁ μὲν γὰρ Νικόδημος ἐν τῇ σμύρνῃ, καὶ ἐν τῇ ἀλόῃ μεγαλόψυχος· ὁ δὲ Ἰωσὴφ ἐν τῇ πρὸς Πιλᾶτον τόλμῃ καὶ παῤῥησίᾳ ἀξιέπαινος. Οὗτος γὰρ πάντα φόβον ἀποῤῥιψάμενος, τολμήσας εἰσῆλθε πρὸς Πιλᾶτον, αἰτούμενος τὸ σῶμα τοῦ Ἰησοῦ· … Δός μοι νεκρὸν πρὸς ταφήν· τὸ σῶμα ἐκείνου τοῦ παρὰ σοῦ κατακριθέντος Ἰησοῦ τοῦ Ναζαρινοῦ, Ἰησοῦ τοῦ πτωχοῦ, Ἰησοῦ τοῦ ἀοίκου, Ἰησοῦ τοῦ κρεμαμένου, τοῦ γυμνοῦ, τοῦ εὐτελοῦς, Ἰησοῦ τοῦ τέκτονος υἱοῦ, Ἰησοῦ τοῦ δεσμίου, τοῦ αἰθρίου, τοῦ ξένου, καὶ ἐπὶ ξενίᾳ ἀγνωρίστου, τοῦ εὐκαταφρονήτου, καὶ ἐπὶ πᾶσι κρεμαμένουΔός μοι, ἡγεμὼν, τοῦτον τὸν ἐπὶ ξύλου γυμνόν· σκεπάσω τὸν τῆς ἐμῆς φύσεως σκεπάσαντα γύμνωσιν. Δός μοι τοῦτον τὸν νεκρὸν ὁμοῦ καὶ Θεόν· σκεπάσω τὸν τὰς ἐμὰς ἀνομίας καλύψαντα. Δός μοι, ἡγεμὼν, νεκρὸν, τὸν ἐπὶ Ἰορδάνου τὴν ἐμὴν ἁμαρτίαν ἐνθάψαντα». Epiphanius,Homilia in divini corporis sepulturam [Spuria] / PG 43, 445, 448. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 409.

[639] Triod. Lun. S., ode 1°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 187. Anthologhion, vol. 2, p. 943. Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 365.

[640] Gv 15,13: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1719. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 292.

[641] Atanasio, L’incarnazione del Verbo (ed. Bellini E.), II,9 / CTP 2 (2005), p. 53. «Συνιδὼν γὰρ ὁ Λόγος ὅτι ἄλλως οὐκ ἂν λυθείη τῶν ἀνθρώπων ἡ φθορὰ εἰ μὴ διὰ τοῦ πάντως ἀποθανεῖν, οὐχ οἷόν τε δὲ ἦν τὸν Λόγον ἀποθανεῖν ἀθάνατον ὄντα καὶ τοῦ Πατρὸς Υἱόν, τούτου ἕνεκεν τὸ δυνάμενον ἀποθανεῖν ἑαυτῷ λαμβάνει σῶμα, ἵνα τοῦτο τοῦ ἐπὶ πάντων Λόγου μεταλαβὸν ἀντὶ πάντων ἱκανὸν γένηται τῷ θανάτῳ, καὶ διὰ τὸν ἐνοικήσαντα Λόγον ἄφθαρτον διαμείνῃ, καὶ λοιπὸν ἀπὸ πάντων ἡ φθορὰ παύσηται τῇ τῆς ἀναστάσεως χάριτι». Athanase d’Alexandrie, Sur l’incarnation du Verbe (ed. Kannengiesser Ch.), II,9,1 / SCh 199 (1973), p. 294.

[642] Tetr. Sab. S., ode 8°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 200. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Mt 27,63: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1620. Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 85. MacKenzie J.L. Il Vangelo secondo Matteo / GCB, p. 967. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 410-411.

[643] Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo/3 (ed. Zincone S.), 89,2 / CTP 172 (2003), p. 370. «Σκόπει δέ μοι τὴν κακουργίαν αὐτῶν τὴν καταγέλαστον. Ἐμνήσθημεν, φησὶν, ὅτι εἶπεν πλάνος ἐκεῖνος ἔτι ζῶν, Μετὰ τρεῖς ἡμέρας ἐγείρομαι. Καὶ εἰ πλάνος ἦν, καὶ ψευδῆ ἐκόμπαζε, τί δεδοίκατε καὶ περιτρέχετε, καὶ τοσαύτῃ κέχρησθε σπουδῇ;». Ioannes Chrysostomus, In Matthaeum Homiliae, LXXXIX,2 / PG 58, 783. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 411.

[644] Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo/3 (ed. Zincone S.), 89,1 / CTP 172 (2003), p. 368. « Σὺ δέ μοι σκόπει τῶν μαθητῶν τὸ φιλάληθες· πῶς τῶν λεγομένων παρὰ τῶν ἐχθρῶν οὐδὲν ἀποκρύπτονται, κἂν ἐπονείδιστα λέγωσιν. Ἰδοὺ γοῦν καὶ πλάνον καλοῦσι, καὶ οὐ σιγῶσιν αὐτὸ οὗτοι. Ταῦτα δὲ καὶ τὴν ἐκείνων δείκνυσιν ὠμότητα, ὅτι οὐδὲ τῷ θανάτῳ τὴν ὀργὴν ἀφῆκαν· καὶ τούτων τὸν ἁπλοῦν καὶ φιλαληθῆ τρόπον». Ioannes Chrysostomus, In Matthaeum Homiliae, LXXXIX,1 / PG 58, 781. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 411.

[645] Tetr. Sab. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Lc 23,28: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1690. Cfr. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 411. Detorakis, Kosmas, pp. 153-154. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, pp. 363-364.

[646] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Lc 2,35: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1656. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 412. Detorakis, Kosmas, p. 154.

[647] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 413. Detorakis, Kosmas, p. 154.

[648] Tetr. Sab. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Gv 13,31-32: «λέγει Ἰησοῦς· νῦν ἐδοξάσθη ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου καὶ ὁ θεὸς ἐδοξάσθη ἐν αὐτῷ··[εἰ ὁ θεὸς ἐδοξάσθη ἐν αὐτῷ,] καὶ ὁ θεὸς δοξάσει αὐτὸν ἐν αὐτῷ, καὶ εὐθὺς δοξάσει αὐτόν». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 296. “Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito»”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1718. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 411-412. Detorakis, Kosmas, pp. 153-154.

[649] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 1°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Lc 1,46: «Μεγαλύνει ἡ ψυχή μου τὸν κύριον». Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 153. “L’anima mia magnifica il Signore”. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1650. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 412.

[650] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 2°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Anthologhion, vol. 2, p. 1115.

[651] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Anthologhion, vol. 2, pp. 1115-1116. Sal 95,11 (LXX): «εὐφραινέσθωσαν οἱ οὐρανοί, καὶ ἀγαλλιάσθω ἡ γῆ»: Septuaginta (Rahlfs), vol. II, p. 105. “Gioiscano i cieli, esulti la terra”: La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 866. Mc 16,1: “Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo”; Lc 24,1: “Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato”; Mt 28,9: “Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono”: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1646, 1691, 1620. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, pp. 414-415.

[652] Tetr. Sab. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. González, Mariologia, pp. 52, 170. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 411.

[653] I Padri Apostolici (ed. Dell’Osso C.): Ignazio Lettera agli Efesini, 18,2; Ignazio, Lettera agli Smirnesi 1,1 / CTP 5* (2011), pp. 92, 117. «Ὁ γὰρ θεὸς ἡμῶν Ἰησοῦς ὁ Χριστὸς ἐκυοφορήθη ὑπὸ Μαρίας κατ’ οἰκονομίαν θεοῦ ἐκ σπέρματος μὲν Δαυίδ, πνεύματος δὲ ἁγίου»; «πεπληροφορημένους εἰς τὸν κύριον ἡμῶν, ἀληθῶς ὄντα ἐκ γένους «Δαυὶδ κατὰ σάρκα», υἱὸν θεοῦ κατὰ θέλημα καὶ δύναμιν θεοῦ, γεγεννημένον ἀληθῶς ἐκ παρθένου …». Ignace d’Antioche, Lettres (ed. Camelot P.Th.): Aux Éphésiens, XVIII,2; Aux Smyrniotes, I,1 / SCh 10 (1958), pp. 86, 154. González, Mariologia, p. 130.

[654] S. Ireneo di Lione, Contro le eresie, vol. II (ed. Dellagiacoma V.), III,4,2, p. 237. “… Christum Iesum Dei Filium, qui propter eminentissimam erga figmentum suum dilectionem, eam quae esset ex Virgine generationem sustinuit, ipse per se hominem adunans Deo”.Irénée de Lyon, Contre les hérésies (ed. Sagnard F.), III,4,2 / SCh 34 (1952), p. 116. González, Mariologia, p. 131.

[655] Il simbolo niceno-costantinopolitano. Simonetti, Il Cristo, II, pp. 304-305. Cfr. González, Mariologia, p. 131.

[656] Tetr. Sab. S., ode 9°, irmo. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Lc 1,48: Nestle-Alland, Greek-English New Testament, p. 153. La Bibbia. Nuova versione CEI, p. 1650.

[657] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Is 66,7: La Bibbia. Nuovissima versione, p. 1220. Cfr. Stuhlmueller C. Deutero-Isaia / GCB, p. 496. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 412. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, p. 364.

[658] Citato secondo: Quasten J. Patrologia, vol. I. Torino 1980, p. 147. González, Mariologia, p. 136. Cfr. Le Odi di Salomone (ed. Tondelli L., Mercati A.), 19. Roma 1914, p. 200-201.

[659] S. Ireneo di Lione, Contro le eresie, vol. II (ed. Dellagiacoma V.), IV,33,11, pp. 113-114. «…ὁ Λόγος σὰρξ ἔσται καὶ ὁ Υἱὸς τοῦ Θεοῦ Υἱὸς ἀνθρώπου, ὁ καθαρὸς καθαρῶς τὴν καθαρὰν ἀνοίξας μήτραν τὴν ἀναγεννῶσαν τοὺς ἀνθρώπους εἰς Θεόν, ἣν αὐτὸς καθαρὰν πεποίηκε, καὶ τοῦτο γενόμενος ὅπερ καὶ ἡμεῖς, Θες σχυρός, καὶ ἀδιήγητον ἔχει τὴν γενεάν».Irénée de Lyon, Contre les hérésies (ed. Rousseau A.), IV,33,11 / SCh 100 (1965), p. 831. González, Mariologia, p. 137.

[660] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 1°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[661] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Is 63,1-6: «Chi è costui che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza?». «Sono io, che parlo con giustizia, e sono grande nel salvare». «Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel torchio?». «Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me. Li ho pigiati nella mia ira, li ho calpestati nella mia collera. Il loro sangue è sprizzato sulle mie vesti e mi sono macchiato tutti gli abiti, perché il giorno della vendetta era nel mio cuore ed è giunto l’anno del mio riscatto. Guardai: nessuno mi aiutava; osservai stupito: nessuno mi sosteneva. Allora mi salvò il mio braccio, mi sostenne la mia ira. Calpestai i popoli con sdegno, li ubriacai con ira, feci scorrere per terra il loro sangue». La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1241-1242. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 414.

[662] Stuhlmueller C. Deutero-Isaia / GCB, pp. 492, 494. Lc 4,18-21: “«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato»”; Is 61,1-2: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti …”: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1656, 1239.

[663] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Is 59,17; Gen 49,11: La Bibbia. Nuova versione CEI, pp. 1236, 78. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 414.

[664] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 2°. Anthologhion, vol. 2, p. 1115. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Gb 38,17: La Bibbia. Secondo la versione dei Settanta, vol. I, p. 710. Septuaginta (Rahlfs), vol. ΙΙ, p. 335. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 414.

[665] Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 45,12,25, p. 1165. «Κἂν θαυμάζωσι, λέγοντες, κατὰ τὴν Ἡσαΐου δραματουργίαν· Τίς οὗτος παραγενόμενος ἐξ Ἐδὼμ, καὶ τῶν γηίνων; ἢ, Πῶς ἐρυθρὰ τὰ ἱμάτια τοῦ ἀναίμου καὶ ἀσωμάτου, ὡς ληνοβάτου, καὶ πλήρη ληνὸν πατήσαντος; προβαλοῦ τὸ ὡραῖον τῆς στολῆς τοῦ πεπονθότος σώματος, τῷ Πάθει καλλωπισθέντος, καὶ τῇ Θεότητι λαμπρυνθέντος, ἧς οὐδὲν ἐρασιμιώτερον, οὐδὲ ὡραιότερον». Gregorius Theologus, Oratio XLV: In sanctum Pascha, XXV / PG 36, 657. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 414.

[666] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 3°. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201. Anthologhion, vol. 2, pp. 1115-1116. Alfeyev H. L’Orthodoxie, vol. II. Paris 2012, p. 250. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 415. Theodôrou, “Pros to hekousion Pathos”, pp. 366-367.

[667] Os 13,14: La Bibbia. Nuovissima versione, p. 1431. Cfr. McCarthy D.J. Osea / GCB, p. 340. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 415.

[668] Gregorio di Nazianzo, Tutte le Orazioni, 45,12,22, pp. 1161. «Ποῦ σου, θάνατε, τὸ κέντρον; Ποῦ σου, ᾅδη, τὸ νῖκος; Τῷ σταυρῷ βέβλησαι, τῷ ζωοποιῷ τεθανάτωσαι. Ἄπνους, νεκρὸς, ἀκίνητος, ἀνενέργητος …». Gregorius Theologus, Oratio XLV: In sanctum Pascha, XXII / PG 36, 653. Nikodêmos Hagiorita, Heortodromion, p. 415.

[669] Tetr. Sab. S., ode 9°, trop. 3°. Anthologhion, vol. 2, pp. 1115-1116. Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. 201.

[670] Capelle B. Autorité de la liturgie chez les Pères / Recherches de théologie ancienne et médiévale 21 (1954), p. 6. Gy P-M. Liturgia / DCT, p. 779. Pellegrino M. Liturgia e Padri / NDPAC 2, 2858.

[671] Cfr. Christ, Paranikas, Anthologia, p. LXIII.

[672] Christ, Paranikas, Anthologia, pp. LXVIII-LXIX. Bouvy, Poètes et Mélodes, pp. 222, 258. Skaballanovič, vol. I, pp. 365-366. Mateos J. La psalmodie dans le rite byzantin / « Proche-Orient Chrétien », 15 (1965), p. 115. Tzirakês E.N. Troparion / Thrêskeutikê christianikê enkyklopaideia, vol. 11 (ed. Martinos A.). Athênai 1967, p. 865. Dalmais, p. 424. Trypanis, La poesia bizantina, pp. 70, 252, nota 37. Jeffreys, Troparion, p. 2124. Anthologhion, vol. 4, p. 1084.

[673] Bouvy, Poètes et Mélodes, p. 225. Wellesz, History, p. 171. Jeffreys, Troparion, p. 2124. Petrynko, p. 41.

[674] Wellesz, History, p. 171. Jeffreys, Troparion, p. 2124. Velimirovic M. Canticle / The New Grove Dictionary of Music and Musicians (ed. Sadie S.), 2nd ed., vol. III. New York, 2001, p. 724.

[675] Christ, Paranikas, Anthologia, p. LXIII. Weyh W. Die Akrostichis in der byzantinischen Kanonesdichtung // BZ 17 (1908), p. 6. Cfr. Beck H.G. Kirche und theologische Literatur im Byzantinischen Reich. München 1959, p. 265. Dalmais, p. 431. Trypanis, La poesia bizantina, pp. 73-74. Follieri E. I libri liturgici della Chiesa bizantina in Vaccaro L. Storia religiosa della Grecia. Milano 2002, p. 88. Petrynko, p. 46.

[676] Anthologhion, vol. 4, pp. 1078-1079.

[677] Bouvy, Poètes et Mélodes, pp. 273, 274. Stevenson, Du rhythme, p. 33. Lamy, Mélodes, in: Stevenson, Du rhythme, pp. 27-28. Petrynko, p. 239. Sull’isosillabismo e sull’omotonia nell’Inno Acatisto cfr. Averincev, L’anima e lo specchio, pp. 316, 317. Averincev, Poetika, pp. 245-246.

[678] Bouvy, Poètes et Mélodes, pp. 274-275.

[679] Bouvy, Poètes et Mélodes, p. 283.

[680] Petrynko, p. 239.

[681] Jeffreys, Poetry, Ecclesiastical / ODB 3, p. 1689.

[682] Cfr. Christ, Paranikas Anthologia, p. XLIX. Cfr. Detorakis Th. Kosmas ho Melôdos : bios kai ergo. Thessalonikê 1979, p. 3.

[683] Cfr. Christ, Paranikas Anthologia, p. XXXVI. Detorakis, Kosmas, pp. 205-221.

[684] Dell’Osso C. Cosma di Maiuma / NDPAC, vol. 1. Roma 2006, pp. 1206-1207. Nikodêmos Hagiorita, Synaxaristês, I/ III. Kônstantinoupolis 1842, pp. 83-84. Nikodêmos Hagiorita, Synaxaristês, I. Athênai 1868, pp. 128-129. Cfr. Christ, Paranikas Anthologia, pp. XLIX-L. Eustratiadês S. Kosmas Hierosolymitês ho poiêtês episkopos Maiouma / Nea Siôn 28 (1933), pp. 83-91. Detorakis, Kosmas, pp. 84-98. Kazhdan, Gero, Kosmas / BZ 82 (1989), p. 122. Kalogeras N. The (Purported) Teacher of John of Damascus and Kosmas Melodos / Byzantinoslavica (1-2/2010), p. 102.

[685] Detorakis, Kosmas, p. 3. Kazhdan, Gero, Kosmas / BZ 82 (1989), p. 125.

[686] «Κοσμᾶς: ὁ ἐξ Ἱεροσολύμων, σύγχρονος Ἰωάννου τοῦ Δαμασκηνοῦ». Suidae Lexicon (ed. Adler A.), pars III. Lipsiae 1933, p. 162, n. 2139. «συνήκμαζε δ’ αὐτῷ καὶ Κοσμᾶς ὁ ἐξ Ἱεροσολύμων, ἀνὴρ εὐφυέστατος καὶ πνέων μουσικὴν ὅλως τὴν ἐναρμόνιον. οἱ γοῦν ᾀσματικοὶ κανόνες Ἰωάννου τε καὶ Κοσμᾶ σύγκρισιν οὐκ ἐδέξαντο οὐδὲ δέξαιντο, μέχρις ἂν ὁ καθ’ ἡμᾶς βίος περαιωθήσεται». Suidae Lexicon (ed. Adler A.), pars II, Lipsiae 1931, p. 649, n. 467. Gli acrostici «Δεύτερος ὕμνος Κοσμᾶ ἁγιοπολίτου», «Τρίτος ὕμνος Κοσμᾶ Ἱεροσολυμίτου»: Eustratiadês S. Kosmas Hierosolymitês ho poiêtês episkopos Maiouma / Nea Siôn 28 (1933), pp. 257-262, 263-267, 406-413. Detorakis, Kosmas, pp. 20, 81, 83-85, 120, 155, 196. Detorakis Th. Vie inédite de Cosmas le Mélode BHG 394b in Analecta Bollandiana 99 (1981), p. 104. Kazhdan, Gero, Kosmas / BZ 82 (1989), pp. 122, 125. Kiprian (Kern), Liturgika : Gimnografija i eortologija. Paris 1964, p. 79.

[687] Detorakis, Kosmas, pp. 154-157.

[688] Tetr. Sab. S., ode 6°, tutti tropari. Christ, Paranikas, Anthologia, pp. 198-199. Anthologhion, vol. 2, p. 1112. Die Schriften des Johannes von Damaskos, II. Expositio fidei (ed. Kotter B.), 70-73; III 26-29, pp. 169-172. Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, III,26-29 / CTP 142, pp. 237-241.

[689] Detorakis, Kosmas, pp. 111, 112-115.

[690] Detorakis, Kosmas, pp. 130ss.

[691] Detorakis, Kosmas, pp. 167, 205-212, 219-221, 246.

[692] Kazhdan A. Kosmas of Jerusalem: can we speak of his political views? / Le Muséon 103 (1990), p. 329.

[693] Detorakis, Kosmas, pp. 118-119.

[694] Cfr. Amato, Gesù il Signore, pp. 419, 494-503.

[695] Capelle B. Autorité de la liturgie chez les Pères / Recherches de théologie ancienne et médiévale 21 (1954), p. 6. Gy P-M. Liturgia / DCT, p. 779. Pellegrino M. Liturgia e Padri / NDPAC 2, 2858.