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La θεωρία e la πρᾶξις negli Stromati di Clemente Alessandrino

Tesi di licenza in Teologia e Scienze Patristiche

Pontificia Università Lateranense
Institutum Patristicum Augustinianum
Peter Mojzeš (ієродиякон Пімен)
Direttore: Patrick Descourtieux
Relatore: Salvatore Lilla
Roma 2005

Indice

Indice
Introduzione
La vita di Clemente Alessandrino
Gli scritti di Clemente
Gli Stromati di Clemente
La metodologia
1 La θεωρία negli Stromati
1.1 Analisi del testo
1.2 Commento all’analisi testuale
1.2.1 Il vocabolario relativo alla θεωρία
1.2.2 La parola θεωρία nella Sacra Scrittura
1.2.3 La parola θεωρία nei principali filosofi precedenti
1.2.4 La θεωρία negli Stromati
2 La πρᾶξις negli Stromati
2.1 Analisi testuale
2.1.1 Le pericopi contenenti parola πρᾶξις, non segnate dal Registro di Stählin
2.2 Commento all’analisi testuale
2.2.1 La parola πρᾶξις nella Sacra Scrittura
2.2.2 La parola πρᾶξις negli Stromati
3 Θεωρία e πρᾶξις e il loro rapporto
negli Stromati di Clemente
3.1 La θεωρία come visione delle cose sensibili terrene
3.2 La θεωρία come visione delle cause prime
3.3 La θεωρία come visione di Dio
Conclusione
Bibliografia

Introduzione

Una delle più famose antinomie della spiritualità cristiana è quella fra teoria e prassi. Nel corso della storia si è usata tanta dialettica per innalzare sia l’una sia l’altra come via della salvezza. Così oggigiorno è una locuzione comune che la prassi è sempre molto diversa dalla teoria. Alcuni si sono sforzati di riunirle, ma senza grande successo. Gli unici che sono passati alla storia come coloro che sono riusciti a riconciliare i termini di quest’ antinomia, cioè vivere quello che pensavano erano i santi. Nell’antichità un grande esempio di questi uomini capaci di mettere armonia tra queste due dimensioni dell’uomo erano i martiri cristiani.

Frequentando il corso su Gli Stromati di Clemente Alessandrino, ho scoperto che in lui la teoria e la prassi non sono contrapposte. Così ho voluto approfondire questa questione con lo studio[1] e l’analisi di questi due termini nella più importante opera di Clemente, Gli Stromati. Θεωρία e πρᾶξις non sono termini introdotti da Clemente, ma erano usati e discussi anche molto prima di lui nella filosofia greca. Dunque per poter inserire Clemente nel suo “Sitz im Leben”, ho dovuto fare anche qualche ricerca nelleopere dei più grandi esponenti della filosofia contemporanea e classica precedente a Clemente come Platone, Aristotele, gli Stoici e i Medioplatonici. E non potevo dimenticare ovviamente Filone Alessandrino, che ha influenzato in larga misura la scuola alessandrina.

Sfortunatamente non c’è rimasto nessuno scritto di Panteno, maestro di Clemente, anche se forse Panteno volutamente non voleva dedicarsi allo scrivere, sfruttando tutto il tempo per insegnare come un’ ape siciliana”[2] che dedica tutta la sua vita a far crescere un’altra generazione di api senza lasciare alcuna traccia di sé dopo la morte.

La vita di Clemente Alessandrino

Tito Flavio Clemente[3] nacque verso il 150 ad Atene[4] da una famiglia pagana[5], che doveva essere abbastanza ricca da poter permettere al suo discendente Clemente di viaggiare attraverso tutto l’impero in ricerca della vera vita, cosa che in quell’età, nella classe medio-alta, era una prassi comune per i giovani. L’interessante coincidenza del nome di Clemente Alessandrino con quello di Tito Flavio Clemente, nipote di Vespasiano e console in 95, potrebbe essere non accidentale, ma non esiste diretta evidenza del rapporto di Clemente Alessandrino con la famiglia imperiale dei Flavi. Forse egli era discendente di qualche liberto del console.[6] Sfortunatamente le precise date della vita di Clemente Alessandrino non si possono stabilire dalle poche righe scritte soppratutto da Eusebio[7] e Gerolamo[8]. Stranamente Origene, il presunto μαθητής di Clemente, non cita spesso il suo nome[9]. Epifanio di Salamina (315-395), scrivendo contro Origene, parla di Clemente ponendo le sue origini ad Alessandria o in Atene: “Clemente, che alcuni dicono alessandrino, e altri ateniense…”.[10]

Dopo gli anni della ricerca delle parole della vita in Grecia, nell’Italia meridionale, in Siria e Palestina, Clemente arrivò ad Alessandria tra il 180 e 190 dove ascoltò Panteno, capo della scuola catechetica[11], doveva essere questa un’autonoma scuola filosofica, più o meno analogica a quella di Giustino a Roma, che rifletteva sulla fede con l’ausilio del metodo filosofico e che, di norma, non istruiva i catecumeni e non operava dietro incarico della Chiesa. Dunque dopo tanti viaggi per il mondo alla ricerca della verità, Clemente si fermò[12] ad Alessandria, la città di Panteo, suo maestro e padre, come egli stesso lo definisce.

Durante la persecuzione dell’imperatore romano Settimo Severo (202/203), che colpì anche il padre di Origene Leonidas, Clemente dovette abbandonare Alessandria e rifugiarsi in Cappadocia, presso il suo allievo e amico vescovo Alessandro, successivamente vescovo di Gerusalemme. Pare essere morto prima del 215/216 o in Cappadocia[13] o a Gerusalemme, come si evince da una lettera di vescovo Alessandro ad Origene.[14]

Concludendo questa piccola biografia, caratterizzata dalla scarsità di fonti, vorrei ricordare che Clemente stesso parla pochissimo di se stesso; però quando parla dei suoi maestri, diventa un narratore eccezionale e abbondante:

“Questo scritto [Gli Stromati] è… una pura esposizione di quelle cose splendide e piene di vita, ossia di quei discorsi e di quegli uomini beati e degni di ogni lode che io sono stato stimato meritevole di ascoltare. Di questi uno ionico era nella Grecia, un altro invece nella Magna Grecia (il primo della Celesiria, l’altro dell’Egitto). Altri poi erano dell’Oriente; uno in Assiria, un altro in Palestina, di origine ebrea. Ne incontrai poi un ultimo (ma questi era il primo per la sua forza) e, dopo essermi fermato, lo inseguii in Egitto dove si era nascosto.[15] Anch’egli era veramente un’ape siciliana che, raccogliendo i fiori del prato dei profeti e degli apostoli, generava un puro tesoro di conoscenza nelle anime di coloro che erano suoi discepoli. Ora questi sapienti conservavano la vera tradizione della beata dottrina; essi l’avevano ricevuta di padre in figlio (“pochi del resto quelli simili ai padri!”),[16] provenendo direttamente dai Santi Apostoli Pietro, Giacomo, Giovanni e Paolo; e sono giunti, grazie a Dio, anche a noi per depositare in noi quei preziosi semi degli antenati e degli apostoli”.[17]

Questa storia di un maestro che non aveva lasciato niente di scritto e di un allievo, che aveva messo nelle lettere l’insegnamento del maestro assomiglia molto a quella di Socrate e Platone.

Hans von Campenhausen ci fornisce un interessante giudizio generale su Clemente Alessandrino definendolo come l’uomo dell’esperienza spirituale[18]:

“Non v’è Padre della Chiesa che sia stato oggetto di giudizi tanto diversi quanto Clemente; pur nella amabilità ed elasticità, infatti, egli è in fondo una natura complessa e poliedrica, non segue le vie solite, evita consapevolmente formule fisse, moduli risaputi, e nella sua ricerca, nella sua speculazione non giunge mai ad una conclusione definitiva. È un maestro della discussione, quasi si direbbe un eterno letterato, un bohémien della cultura accademica.”[19]

Clemente dimostra nelle citazioni dirette o indirette di conoscere circa 400 autori, il che indica l’alto grado della sua classica. Anche come scrittore, Clemente dimostra qualità veramente notevoli. Ad esempio l’esordio del Protretico, “con le sue ricercate cadenze ritmiche, è stato giudicato, dal maggior conoscitore della prosa d’arte antica, come uno degli esempi della più raffinata prosa sofistica, paragonabile a quella del quasi contemporaneo romanzo di Longo.”[20]

 

Gli scritti di Clemente

Nonostante la scarsità dei dati biografici, gli scritti di Clemente ci danno un’idea più completa della sua personalità. “La sua opera letteraria presuppone un uomo di grande cultura, estesa alla filosofia, alla poesia, all’archeologia, alla mitologia e alla letteratura”.[21] Anche se non risale sempre alle fonti originali, egli mostra di conoscere la prima letteratura cristiana e in una misura più vasta e profonda la Bibbia. Ma J. Daniélou lo chiama “teologo della tradizione” anziché “teologo della Scrittura” che è il titolo che riserva ad Origene.[22]

Inoltre Clemente “capiva benissimo che la Chiesa non poteva evitare la lotta con la filosofia e la letteratura pagana, se voleva assolvere il suo compito rispetto a tutta l’umanità ed assurgere al ruolo di educatrice delle nazioni”.[23] Egli offre la prova che la fede e la filosofia, il vangelo e l’insegnamento profano non si contrappongono necessariamente, ma si completano a vicenda. Ogni scienza profana serve alla teologia, “che è il coronamento e la gloria di tutte le verità che si scoprono nelle diverse dottrine filosofiche”.[24] A prescindere dalle opere andate perdute,[25] vanno qui ricordati Il Protreptico e Il Pedagogo e naturalmente Gli Stromati.

Il Protreptico, è l’Esortazione rivolta ai Greci; ha come scopo la loro conversione e per il suo contenuto si ricollega ai primi scritti apologetici spiegando e svelando il mistero della salvezza operata da Cristo, “Verbo di Verità, Verbo di Incorruttibilità, Colui che rigenera l’uomo riconducendolo alla verità; lo stimolo della salvezza, Colui che scaccia la Corruzione, Colui che espelle la morte, Colui che costruì negli uomini il suo tempio per collocare negli uomini Dio” (Protreptico 117,3-4). In questo si rivela l’importanza del Logos attraverso tutta la storia dell’umanità descritta da Clemente con vigore anche poetico.[26]

Il Pedagogo. In quest’opera in tre libri il Logos si fa pedagogo per insegnare ai convertiti come regolare la propria vita. Il primo libro parla dell’opera educatrice del Logos. Il secondo libro tratta i problemi della vita quotidiana. Se il primo libro era di carattere più generale dal punto di vista del comportamento morale il secondo e il terzo contengono una sorta di casistica più circostanziata: vi vengono descritti veri aspetti della vita quotidiana, sopratutto nell’Alessandria del II° secolo. L’opera si conclude con un inno a Cristo Salvatore. Oltre l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento, le fonti a cui attinge Clemente sono rappresentate da alcuni filosofi greci (Platone, Plutarco e sopratutto stoico Musonio Rufo).

Sia nel Pedagogo che nel Protreptico è chiaro l’intento di Clemente, che ha in mente il concreto di vivere dei cristiani di Alessandria. Quanto egli dice, tocca in qualche modo anche il tema del rapporto fra θεωρία e πρᾶξις negli Stromati.

Gli Stromati di Clemente

Alla fine dell’introduzione del Pedagogo, Clemente Alessandrino osserva: “Σπεύδων δὲ ἄρα τελειῶσαι σωτηρίῳ ἡμᾶς βαθμῷ, καταλλήλῳ εἰς παίδευσιν ἐνεργῆ τῇ καλῇ συγχρῆται οἰκονομίᾳ ὁ πάντα φιλάνθρωπος λόγος, προτρέπων ἄνωθεν, ἔπειτα παιδαγωγῶν, ἐπὶ πᾶσιν ἐκδιδάσκων.”[27] (Pedagogo I, 3,3). Queste parole sembrano indicare che Clemente avesse intenzione di comporre un volume intitolato il Maestro (Διδάσκαλος) destinato a formare la terza parte della sua trilogia.

Alcuni studiosi pensano che proprio gli Stromati sono la terza parte, alcuni affermano, che gli Stromati sono il Διδάσκαλος ma con lo stile cambiato, proprio per l’incapacità di Clemente Alessandrino “di dominare un cumulo cospicuo dei materiali”.[28] Ma forse il terzo libro non è mai esistito, perché essere alla scuola del Logos – Maestro era un mistero personale di ogni cristiano basato sulla relazione personale con Cristo, dove i libri non servivano più. In questo contesto gli Stromati sarebbero solo apposite note di uno che vive questa relazione con il suo Maestro – Cristo, senza però rivederla nella sua piena profondità e integrità, ma lasciandola sempre enigmatica per gli estranei.

Clemente illustra l’aspetto enigmatico degli Stromati alla fine del settimo libro: “Gli Stromati somigliano, incerto qual modo, non a quei giardini ben coltivati, dove le piante sono disposte ad intervalli regolari per dilettare l’occhio, ma piuttosto a un monte boscoso e folto d’ombre, dove sono piantati cipressi e platani, alloro ed edera, ma anche ulivi e siepi e fichi: a bella apposta sono frammischiati nella piantagione alberi da frutto e improduttivi, a causa degli audaci che azzardano rubare i frutti maturi. La Scrittura vuole restare nascosta.”[29]

Il titolo dell’opera è molto adatto, anche se il suo inizio, dove doveva figurare, non ci è pervenuto nella tradizione manoscritta degli Stromati[30]. Il termine Στροματεῖς (gli Stromati) si potrebbe tradurre come “Tappezzerie”. Il nome “Tappezzerie” aveva allora dei paralleli. Si conoscevano Il Prato, I Banchetti, Il favo di miele. Questi titoli indicano secondo J. Quasten “un genere in voga tra i filosofi del tempo, che vi discutevano i problemi più vari senza costringersi ad osservare un ordine o un piano rigoroso. I differenti temi erano legati come i colori che si sposano in una tappezzeria.”[31]

Alla fine del settimo libro Clemente dice che dovrebbe riprendere la sua trattazione da un nuovo punto di vista. Questa frase potrebbe indicare la sua intenzione di aggiungere altri libri di Stromati a quelli già scritti o di svuluppare il suo grande progetto letterario disegnato nel Str. IV, 1-3. In favore della prima ipotesi si può ricordare che Eusebio e Fozio menzionano espressivamente 8 libri degli Stromati. Sfortunatamente l’ottavo libro che è giunto fino a noi non è l’ottavo libro originario degli Stromati, ma un trattato sulla logica.[32] Perciò non rientra nel nosocordaregià scritti o di svuluppare il tro spazio di ricerca.

La metodologia

Il modesto scopo di questa tesina è quello di analizzare due termini importanti della scuola alessandrina in particolare e della filosofia greca in generale; θεωρία e πρᾶξις, e di precisare il loro rapporto reciproco allo scopo di stabilire se si tratta di contrapposizione o di sintonia. In particolare vorrei restringere il campo d’indagine a Gli Stromati di Clemente Alessandrino, poiché secondo E. Cavalcanti con lui la parola θεωρία entra abbondantemente nel vocabolario cristiano con il significato di contemplazione.[33] Non ho compreso nella mia ricerca tutte le opere di Clemente, perché Gli Stromati da soli basterebbero a riempire le pagine di tante tesi di dottorato con il loro raffinato, vasto e anche profondo contenuto. Gli Stromati sono probabilmente la prima testimonianza scritta dei insegnamenti dei “uomini beati e veramente meritevoli di stima”[34] che insegnavano ad Alessandria “parole luminose e vive”[35].

Sapendo che uno dei metodi migliori per definire il significato di un termine presso determinato autore è quello di partire dai suoi contrari, ho scelto la parola πρᾶξις come termine opposto, pur insistendo maggiormente sulla θεωρία, che in Clemente coindcide spesso con la stessa γνῶσις, vale a dire con la conoscenza che rende perfetta la fede.

Il quesito principale è: Che cosa è la θεωρία per Clemente e quale è il suo rapporto con la πρᾶξις? Per dare una risposta a questa domanda ho seguito il seguente metodo:

1. Dal Registro di O. Stählin ho ricavato tutti i passi in cui vengono citate parole θεωρία e πρᾶξις. Il numero totale dei passi relativi alla θεωρία, presenti nel Registro è 82. Di questi passi 3[36] non sono dagli Stromati, 5 sono dal non autentico VIII° libro e 20 appartengono alla stessa pericope.[37] I passi in cui ricorre il termine θεωρία negli otto libri degli Stromati si riducono quindi a 54. Lo stesso procedimento ho applicato alla πρᾶξις: il numero dei passi relativi è 29, 10 dei quali si trovano nelle citazioni dagli Atti degli apostoli (Πράξεις τῶν ἀποστόλων). Tutte le cifre ho controllato con l’aiuto del software TLG (Thesaurus Linguae grecae).[38]

2. In seguito ho attentamente letto il contesto allo scopo di spiegare il pensiero di Clemente in ciascuno dei passaggi citati, anche se alcune volte, per raggiungere questo scopo, è stato necessario citare anche metà della pagina dell’edizione di Stählin. I passaggi sono numerati secondo ordine in cui gli presenta il Registro di Stählin; tale disposizione non segue quindi un ordine di successione numerica ma concettuale.[39]

3. Ho utilizzato la traduzione italiana di G. Pini raffrontandola con la traduzione inglese curata da A. Cleveland Coxe.[40] A proposito della traduzione italiana, servendomi anche della traduzione inglese ho fatto alcune osservazioni in note. Ho desunto da G. Pini molti riferimenti ad altri autori greci (a sua volta Pini ha attinto da Stählin).

4. Successivamente ho provato a sistematizzare i significati dei testi provenienti dalle pericopi scelte contenenti itermini θεωρία e πρᾶξις, mettendone in evidenza di volta in volta le diverse sfumature semantiche. Così ho provato di dividere i significati secondo la gradazione del concetto di visione[41] che è il significato base della θεωρία e di quello di azione, espresso da πρᾶξις.

5. In seguito ho cercato di operare un confronto critico per trarre conclusioni sul significato del rapporto fra θεωρία e πρᾶξις negli Stromati di Clemente.

Di conseguenza, la presente ricerca si suddivide in tre capitoli.

Il primo capitolo tratta l’uso della parola θεωρία negli Stromati; le note a piè di pagina contengono alcune osservazioni.

Analogamente il secondo Capitolo tratta l’uso della parola πρᾶξις negli Stromati ed è anch’esso munito di note con osservazioni.

Il terzo capitolo sintetizza il rapporto fra θεωρία e πρᾶξις negli Stromati e en trae le conclusioni.

1 La θεωρία negli Stromati

Lo scopo di questo capitolo é di presentare in modo chiaro, sulla base del Registro dello Stählin, tutti i passi degli Stromati in cui ricorre il termine θεωρία. Come si è visto, la parola θεωρία negli Stromati ricorre 60 volte. La stessa parola appare in contesti diversi, biblico e filosofico, e riguarda diverse sfere, come ad es. la teoria di filosofi, la teoria della natura e della creazione, la teoria degli angeli, la teoria della vera gnosi, la teoria applicata alla vita pratica. Nel terzo capitolo verranno valutati questi diversi significati della θεωρία in rapposto con il termine πρᾶξις. Alla fine del capitolo ci si trova una breve sintesi delle osservazini critiche fatte durante la lettura del testo.

1.1 Analisi del testo[42]

1. Str. II, 130,1 – 4

Οὔκουν ἐπὶ τούτοις ἀρκουμένους καταπαυστέον, φιλοτιμητέον δὲ ὡς ἔνι μάλιστα καὶ τὰ πρὸς τῶν φυσικῶν δογματιζόμενα περὶ τοῦ προκειμένου παραθέσθαι. ᾿Αναξαγόραν μὲν γὰρ τὸν Κλαζομένιον τὴν θεωρίαν φάναι τοῦ βίου τέλος εἶναι καὶ τὴν ἀπὸ ταύτης ἐλευθερίαν λέγουσιν ῾Ηρακλειτόν τε τὸν ᾿Εφέσιον τὴν εὐαρέστησιν. Πυθαγόραν δὲ ὁ Ποντικὸς ῾Ηρακλείδης ἱστορεῖ τὴν ἐπιστήμην τῆς τελειότητος τῶν ἀριθμῶν τῆς ψυχῆς εὐδαιμονίαν εἶναι παραδεδωκέναι.

Non bisogna ancora accontentarsi e fermarsi a questi; bisogna anzi sforzarsi di esporre il meglio possibile le dottrine dei fisici sull’argomento. Anassagora di Clazomene, secondo si riferisce, proclamava come fine della vita la contemplazione e la libertà che ne deriva, Eraclito di Efeso la soddisfazione perfetta. Quanto a Pitagora, Eraclide Pontico racconta che ha insegnato come le scienze della perfezione dei numeri costituisce la felicità dell’anima.

2. Str. I, 166,2 – 4[43]

Τέλος γὰρ οἶμαι τοῦ τε πολιτικοῦ τοῦ τε κατὰ νόμον βιοῦντος ἡ θεωρία· ἀναγκαῖον γοῦν τὸ πολιτεύεσθαι ὀρθῶς, ἄριστον δὲ τὸ φιλοσοφεῖν. ὁ γὰρ νοῦν ἔχων πάντα τὰ αὑτοῦ εἰς γνῶσιν συντείνας βιώσειεν, κατευθύνας μὲν τὸν βίον ἔργοις ἀγαθοῖς, ἀτιμάσας δὲ τὰ ἐναντία τά τε πρὸς ἀλήθειαν συλλαμβανόμενα μεθέπων μαθήματα.

Scopo infatti, così io penso, dell’uomo politico come di colui che vive secondo la legge è la contemplazione; sicché se fare politica rettamente è necessario, il meglio però è filosofare. Così chi ha senno vivrà protendendo tutte le sue energie verso la “gnosi”: renderà retta tutta la sua vita con opere buone, disprezzerà le contrarie e perseguirà le discipline che aiutano alla [scoperta della ] verità.

3. Str. VI, 61,1 – 3

Εἰ τοίνυν αὐτόν τε τὸν Χριστὸν σοφίαν φαμὲν καὶ τὴν ἐνέργειαν αὐτοῦ τὴν διὰ τῶν προφητῶν, δι’ ἧς ἔστι τὴν γνωστικὴν παράδοσιν ἐκμανθάνειν, ὡς αὐτὸς κατὰ τὴν παρουσίαν τοὺς ἁγίους ἐδίδαξεν ἀποστόλους, σοφία εἴη ἂν ἡ γνῶσις, ἐπιστήμη οὖσα καὶ κατάληψις τῶν ὄντων τε καὶ ἐσομένων καὶ παρῳχηκότων βεβαία καὶ ἀσφαλής, ὡς ἂν παρὰ τοῦ υἱοῦ τοῦ θεοῦ παραδοθεῖσα καὶ ἀποκαλυφθεῖσα. καὶ δὴ καὶ εἰ ἔστι τέλος τοῦ σοφοῦ ἡ θεωρία[44], ὀρέγεται μὲν ὁ [μὲν] ἔτι φιλοσοφῶν τῆς θείας ἐπιστήμης, οὐδέπω δὲ τυγχάνει. ἢν μὴ μαθήσει παραλάβῃ σαφηνισθεῖσαν αὐτῷ[45] τὴν προφητικὴν φωνήν, δι’ ἧς τά τ’ ἐόντα τά τ’ ἐσόμενα πρό τ’ ἐόντα, ὅπως ἔχει τε καὶ ἔσχεν καὶ ἕξει, παραλαμβάνει. ἡ γνῶσις δὲ αὕτη [ἡ] κατὰ διαδοχὰς εἰς ὀλίγους ἐκ τῶν ἀποστόλων ἀγράφως παραδοθεῖσα κατελήλυθεν. ᾿Εντεῦθεν δὲ ἄρα γνῶσιν εἴτε σοφίαν συνασκηθῆναι χρὴ εἰς ἕξιν θεωρίας ἀίδιον καὶ ἀναλλοίωτον·

Se dunque noi definiamo “sapienza” il Cristo nella sua persona e nella sua opera, spiegata dai profeti, attraverso la quale possiamo apprendere la tradizione “gnostica”, come la insegnò Egli stesso ai santi apostoli al tempo della sua venuta, anche la “gnosi” deve essere sapienza: essa è scienza e comprensione sicura ad fallibile di ciò che è, che sarà e che è passato, in quanto tramandata e rivelata dal Figlio di Dio. E se il fine del sapiente è la contemplazione, ebbene l’attività contemplativa di chi tuttora fa filosofia tende, sì, alla divina scienza, ma non la consegue ancora: a meno che non apprenda con disciplina la voce profetica che [solo così] le si fa chiara, attraverso la quale può comprendere “le cose che sono, che saranno e che furono”, nel modo che sono, furono e saranno. Ma proprio questa “gnosi” concessa per diretta trasmissione, discese solo su pochi fra gli apostoli, tramandata senza scrittura.[46] Perciò questa “gnosi” ossia sapienza va conquistata con ascetico sforzo, per appropriarsi di un abito eterno ed inalterabile di contemplazione.

4. Str. VI, 132,5

Οὐ μόνον τοίνυν τοῖς ἐπιτυγχάνουσιν ἁπλῶς οὕτως δύσκολος ἡ τῆς ἀληθείας κτῆσις, ἀλλὰ καὶ ὧν τυγχάνει ἡ ἐπιστήμη οἰκεία, μηδὲ τούτοις ἀθρόαν δίδοσθαι τὴν θεωρίαν ἡ κατὰ τὸν Μωυσέα ἱστορία διδάσκει, μέχρις ἂν ἐθισθέντες ἀντωπεῖν, καθάπερ οἱ ῾Εβραῖοι τῇ δόξῃ τῇ Μωυσέως καὶ οἱ ἅγιοι τοῦ ᾿Ισραὴλ ταῖς τῶν ἀγγέλων ὀπτασίαις, οὕτως καὶ ἡμεῖς ταῖς τῆς ἀληθείας μαρμαρυγαῖς ἀντιβλέπειν δυνηθῶμεν.

E la conquista della verità non è difficile solo a quelli che vi si accostano così, sprovveduti, ma neppure a quelli che raggiungono la scienza in modo personale si concede di colpo e perfetta la contemplazione: lo insegna ancora la storia di Mosè. [Essa non ci sarà concessa] finché non ci saremo abituati ad una visione diretta, come gli Ebrei alla gloria di Mosè e i santi d’Israele alla visione degli angeli, finché allo stesso modo non potremo fissare lo sguardo sui fulgidi raggi della verità.

5. Str. VII, 13,1 – 3[47]

«Τὰ δ’ ἄλλα σιγῶ«[48], δοξάζων τὸν κύριον. πλὴν ἐκείνας φημὶ τὰς γνωστικὰς ψυχάς, τῇ μεγαλοπρεπείᾳ τῆς θεωρίας ὑπερβαινούσας ἑκάστης ἁγίας τάξεως τὴν πολιτείαν, kaq’ ἃς αἱ μακάριαι θεῶν οἰκήσεις διωρισμέναι διακεκλήρωνται, ἁγίας ἐν ἁγίοις λογισθείσας καὶ μετακομισθείσας ὅλας ἐξ ὅλων, εἰς ἀμείνους ἀμεινόνων τόπων τόπους ἀφικομένας, οὐκ ἐν κατόπτροις ἢ διὰ κατόπτρων ἔτι τὴν θεωρίαν ἀσπαζομένας τὴν θείαν, ἐναργῆ δὲ ὡς ἔνι μάλιστα καὶ ἀκριβῶς εἰλικρινῆ τὴν ἀκόρεστον ὑπερφυῶς ἀγαπώσαις ψυχαῖς ἑστιωμένας θέαν, ἀιδίως ἀίδιον εὐφροσύνην [ἀκόρεστον] καρπουμένας, εἰς τοὺς ἀτελευτήτους αἰῶνας ταὐτότητι τῆς ὑπεροχῆς ἁπάσας τετιμημένας διαμένειν. αὕτη τῶν «καθαρῶν τῇ καρδίᾳ« ἡ καταληπτικὴ θεωρία. αὕτη τοίνυν ἡ ἐνέργεια τοῦ τελειωθέντος γνωστικοῦ, προσομιλεῖν τῷ θεῷ διὰ τοῦ μεγάλου ἀρχιερέως, ἐξομοιούμενον εἰς δύναμιν τῷ κυρίῳ διὰ πάσης τῆς εἰς τὸν θεὸν θεραπείας, ἥτις εἰς τὴν τῶν ἀνθρώπων διατείνει σωτηρίαν κατὰ κηδεμονίαν τῆς εἰς ἡμᾶς εὐεργεσίας κατά τε αὖ τὴν λειτουργίαν κατά τε τὴν διδασκαλίαν κατά τε τὴν δι’ ἔργων εὐποιίαν.[49]

“Del resto taccio” glorificando il Signore. Dico solo che quelle grandi anime “gnostiche” che trascendono con la magnificenza della contemplazione il tenore di vita di ognuno dei santi ordini, fra i quali sono state distribuite le beate dimore degli dei loro riservate, sono state valutate “sante fra i santi”. Trasferite radicalmente integre [di qui], giungono in luoghi più ameni dei luoghi più ameni e non abbracciano più la divina visione di riflesso o attraverso specchi, ma sono convitate allo spettacolo quanto più è possibile luminoso e perfettamente puro, del quale non si saziano, anime straordinariamente infiammate di amore. Godono eternamente di eterna letizia e perdurano nel tempo infinito, onorate della identità della loro somma elevazione: tale la contemplazione comprensiva dei “puri di cuore”. Questa è dunque l’attività del perfetto “gnostico”: essere vicino a Dio attraverso il gran sacerdote, assimilandosi per quanto si può al Signore mediante tutto il culto dedicato a Dio: esso ha per scopo la salvezza degli uomini, attraverso una sollecita benevolenza nei nostri riguardi, attraverso la sacra “liturgia” e l’insegnamento della dottrina e la pratica del bene.

6. Str. VII, 56,5 – 7[50]

Ἔπειτα καθαροὺς τῇ καρδίᾳ γενομένους κατὰ τὸ προσεχὲς τοῦ κυρίου προσμένει τῇ θεωρίᾳ τῇ ἀιδίῳ ἀποκατάστασις.[51] καὶ θεοὶ τὴν προσηγορίαν[52] κέκληνται, οἱ σύνθρονοι τῶν ἄλλων θεῶν, τῶν ὑπὸ τῷ σωτῆρι πρώτων τεταγμένων, γενησόμενοι.

Divenuti puri di cuore, li aspetta quindi la reintegrazione definitiva nella contemplazione eterna per l’unione con il Signore. E hanno ricevuto nome di dei, quelli che occuperanno lo stesso trono degli altri dei, disposti come prima gerarchia sotto il Salvatore.

7. Str. II, 47,4

Πολλάκις δὲ ἐπαναλαμβάνουσα ἡ γραφὴ τὸ «ἐγὼ κύριος ὁ θεὸς ὑμῶν«[53] δυσωπεῖ μὲν διατρεπτικώτατα, ἕπεσθαι διδάσκουσα τῷ τὰς ἐντολὰς δεδωκότι θεῷ, ὑπομιμνῄσκει δὲ ἠρέμα ζητεῖν τὸν θεὸν καὶ ὡς οἷόν τε γινώσκειν ἐπιχειρεῖν, ἥτις ἂν εἴη θεωρία μεγίστη, ἡ ἐποπτική, ἡ τῷ ὄντι ἐπιστήμη, ἡ ἀμετάπτωτος λόγῳ γινομένη. αὕτη ἂν εἴη μόνη ἡ τῆς σοφίας γνῶσις, ἧς οὐδέποτε χωρίζεται ἡ δικαιοπραγία.

E con la frequente ripetizione delle parole: “Io sono il Signore vostro Dio”, la Scrittura vuole sgomentarci nel modo più drastico, insegnandoci e seguire Dio che ci ha dato i comandamenti; ma pure delicatamente ci esorta a cercare Dio, a sforzarci di conoscerlo come più si può: ed è senz’altro la più grande contemplazione, quella mistica[54], la verace scienza, non mutabile mediante il ragionamento. Questa sola sarà la “gnosi” della sapienza, da cui mai andrà disgiunta la pratica della giustizia.

8. Str. VII, 46,3 – 5

Καὶ ὁ μὲν ἐξ ἐθνῶν ἐπιστρέφων τὴν πίστιν, ὁ δὲ εἰς γνῶσιν ἐπαναβαίνων τῆς ἀγάπης τὴν τελειότητα αἰτήσεται. κορυφαῖος δ’ ἤδη ὁ γνωστικὸς θεωρίαν εὔχεται αὔξειν τε καὶ παραμένειν, καθάπερ ὁ κοινὸς ἄνθρωπος τὸ συνεχὲς ὑγιαίνειν. ναὶ μὴν μηδὲ ἀποπεσεῖν ποτε τῆς ἀρετῆς αἰτήσεται, συνεργῶν μάλιστα πρὸς τὸ ἄπτωτος διαγενέσθαι.

E colui che si converte dai pagani domanderà la fede, chi ascende alla “gnosi”, la perfezione dell’amore[55]; chi poi ha gia raggiunto il vertice della “gnosi” prega che la sua capacità di contemplazione si accresca e perduri, come l’uomo comune di aver sempre la salute. In particolare chiederà di non mai allontanarsi dalla virtù, cooperando al massimo a restarvi per la vita senza vacillare.

9. Str. IV, 136,2 – 137,1[56]

Ἔμπαλιν γὰρ χρείας τινὸς ἕνεκεν, ἵνα μοι τόδε γένηται καὶ τόδε μὴ γένηται, τῆς ἐπιστήμης ἐφίεσθαι τῆς περὶ τὸν θεὸν οὐκ ἴδιον γνωστικοῦ, ἀπόχρη δ’ αὐτῷ αἰτία τῆς θεωρίας ἡ γνῶσις αὐτή. τολμήσας γὰρ εἴποιμ’ ἄν, οὐ διὰ τὸ σῴζεσθαι βούλεσθαι τὴν γνῶσιν αἱρήσεται ὁ δι’ αὐτὴν τὴν θείαν ἐπιστήμην μεθέπων τὴν γνῶσιν· τὸ μὲν γὰρ νοεῖν ἐκ συνασκήσεως εἰς τὸ ἀεὶ νοεῖν ἐκτείνεται, τὸ δὲ ἀεὶ νοεῖν, οὐσία τοῦ γινώσκοντος κατὰ ἀνάκρασιν ἀδιάστατον γενομένη καὶ ἀίδιος θεωρία, ζῶσα ὑπόστασις μένει. εἰ γοῦν τις καθ’ ὑπόθεσιν προθείη τῷ γνωστικῷ, πότερον ἑλέσθαι βούλοιτο, τὴν γνῶσιν τοῦ θεοῦ ἢ τὴν σωτηρίαν τὴν αἰώνιον, εἴη δὲ ταῦτα κεχωρισμένα (παντὸς μᾶλλον ἐν ταὐτότητι ὄντα), οὐδὲ καθ’ ὁτιοῦν διστάσας ἕλοιτ’ ἂν τὴν γνῶσιν τοῦ θεοῦ, δι’ αὑτὴν αἱρετὴν κρίνας εἶναι τὴν ἐπαναβεβηκυῖαν τῆς πίστεως δι’ ἀγάπην εἰς γνῶσιν ἰδιότητα.

Viceversa aspirare alla scienza di Dio per qualche scopo, perché questo mi avvenga e quest’altro no, non è proprio dello “gnostico”: a lui basta come motivo della contemplazione la “gnosi” in se stessa. Oserei anzi dire che colui che per la sola scienza divina persegue “gnosi”, non sceglierà la “gnosi” per volontà di salvarsi. Infatti l’atto d’intellezione si intensifica per esercizio fino all’attività d’intellezione perseverante; e questa intellezione perseverante, fattasi sostanza del conoscere per contemperamento ininterrotto e contemplazione perenne, permane come sostrato vivente. Se pertanto, per ipotesi, si proponesse allo “gnostico” di scegliere o la “gnosi” di Dio o la salvezza eterna, come possibilità distinte (in realtà formano identità assoluta), egli sceglierebbe senza esitare un attimo la “gnosi” di Dio: giudicherebbe infatti che la sola cosa che deve essere scelta per sé è la natura propria della fede di trascendere per amore nella “gnosi”.

10. Str. VII, 101,7 – 102,2

Oὔτε γὰρ ἀπατηθείς τις τὴν γνώμην δύναιτ’ ἂν εὖ πράττειν. Κἂν πάνυ δυνατὸς ᾖ τὰ γνωσθέντα ποιεῖν, οὔτε καὶ κρίνειν τὸ δέον ἰσχύων ἄμεμπτον ἑαυτὸν παράσχοιτ’ ἂν ἐν τοῖς ἔργοις ἐξασθενῶν. ἀκολούθως τοίνυν δύο τῷ γένει καὶ παιδεῖαι παραδίδονται πρόσφοροι ἑκατέρᾳ τῶν ἁμαρτιῶν, τῇ μὲν ἡ γνῶσίς τε καὶ ἡ τῆς ἐκ τῶν γραφῶν μαρτυρίας ἐναργὴς ἀπόδειξις, τῇ δὲ ἡ κατὰ λόγον ἄσκησις ἐκ πίστεώς τε καὶ φόβου παιδαγωγουμένη· ἄμφω δ’ εἰς τὴν τελείαν ἀγάπην συναύξουσιν. τέλος γὰρ οἶμαι τοῦ γνωστικοῦ τό γε ἐνταῦθα διττόν, ἐφ’ ὧν μὲν ἡ θεωρία ἡ ἐπιστημονική, ἐφ’ ὧν δὲ ἡ πρᾶξις.

Chiunque sia ingannato nel giudizio non potrà mai agire bene, per quanto sia perfettamente in grado di mettere in pratica i suoi propositi, né potrà mostrarsi irreprensibile, per quanto capace di giudicare qual è il suo dovere, se cade nella pratica. Rispettivamente ci sono fornite anche due discipline di diverso genere, valide contro l’uno e contro l’altro peccato: per l’uno la “gnosi” è l’evidente dimostrazione della testimonianza che si fonda sulle Scritture, per l’altro l’esercizio secondo ragione, inculcatoci su base di fede e timore [di Dio]. È l’uno e l’altro si sviluppano fino al perfetto amore. Poiché sì, certo, dello “gnostico” duplice è il fine, almeno su questa terra, da un lato la contemplazione che fa scienza, dall’altro l’azione.

11. Citazione dal VIIIo libro degli Stromati

 

12. Citazione dal VIIIo libro degli Stromati

 

13. Str. VI, 155,3 – 4

Πολυμερὴς δὲ οὖσα ἡ φρόνησις, δι’ ὅλου τεταμένη τοῦ κόσμου διά τε τῶν ἀνθρωπίνων ἁπάντων, καθ’ ἕκαστον αὐτῶν μεταβάλλει τὴν προσηγορίαν, καὶ ἐπειδὰν μὲν ἐπιβάλλῃ τοῖς πρώτοις αἰτίοις, νόησις καλεῖται, ὅταν δὲ ταύτην ἀποδεικτικῷ λόγῳ βεβαιώσηται, γνῶσίς τε καὶ σοφία καὶ ἐπιστήμη ὀνομάζεται, ἐν δὲ τοῖς εἰς εὐλάβειαν συντείνουσι γινομένη καὶ ἄνευ θεωρίας παραδεξαμένη τὸν ἀρχικὸν λόγον κατὰ τὴν ἐν αὐτῇ ἐξεργασίας τήρησιν πίστις λέγεται, κἀν τοῖς αἰσθητοῖς πιστωσαμένη τό γε δοκοῦν, ὡς ἐν τούτοις, ἀληθέστατον, δόξα ὀρθή, ἔν τε αὖ ταῖς μετὰ χειρουργίας πράξεσι τέχνη, ὅπου δ’ ἄνευ θεωρίας τῶν πρώτων αἰτίων τηρήσει τῶν ὁμοίων καὶ μεταβάσει ποιήσει τινὰ ὁρμὴν καὶ σύστασιν, ἐμπειρία προσαγορεύεται. ἴδιον <δέ> ἐστιν ἐκεῖνο καὶ τῷ ὄντι κύριον καὶ ἡγεμονικόν, ὃ ἐπὶ πᾶσι προσλαμβάνει μετὰ τὴν βεβαίαν πίστιν ἅγιον κατ’ ἐπισκοπὴν ὁ πιστεύσας πνεῦμα.

Polivalente, l’intelligenza è diffusa per tutto il mondo e per tutte le azioni umane e cambia appellativo per ognuna di esse. Quando cioè si applica allo studio delle cause prime si chiama intellezione; quando conferma questi [processi dell’intellezione] con dimostrazione razionale prende il nome di ”gnosi”, sapienza e scienza. Quando si occupa di ciò che ha rapporto con la pietà ed accoglie senza indagine teorica la dottrina delle cause prime nell’osservanza d’una funzione attiva che è in essa, si dice fede. Se poi nelle cose sensibili dà una conferma all’apparenza più vera, s’intende come può esserlo in rapporto ad esse, allora si chiama retta opinione; arte invece se s’impegna nelle azioni manuali. Quando infine senza indagine scientifica delle cause prime, ma osservando i fatti simili e trasferendoli [in altre situazioni], avrà creato incentivi e strutture [determinate per l’azione], viene chiamata esperienza. Le è proprio e realmente Signore e guida, quello Spirito Santo che il credente si conquista dopo aver consolidato la fede, per divina provvidenza, alla fine di tutta [la ricerca].

14. Str. II, 5,1 – 3

Ἡ μὲν οὖν βάρβαρος φιλοσοφία, ἣν μεθέπομεν ἡμεῖς, τελεία τῷ ὄντι καὶ ἀληθής. φησὶ γοῦν ἐν τῇ Σοφίᾳ· «αὐτὸς γάρ μοι δέδωκεν τῶν ὄντων γνῶσιν ἀψευδῆ, εἰδέναι σύστασιν κόσμου« καὶ τὰ ἑξῆς ἕως «καὶ δυνάμεις ῥιζῶν.« ἐν τούτοις ἅπασι τὴν φυσικὴν ἐμπεριείληφε θεωρίαν τὴν κατὰ τὸν αἰσθητὸν κόσμον ἁπάντων τῶν γεγονότων. ἑξῆς δὲ καὶ κατὰ τὸν αἰσθητὸν κόσμον ἁπάντων τῶν γεγονότων. ἑξῆς δὲ καὶ περὶ τῶν νοητῶν αἰνίττεται δι’ ὧν ἐπάγει· «ὅσα τέ ἐστι κρυπτὰ καὶ ἐμφανῆ ἔγνων· ἡ γὰρ πάντων τεχνῖτις ἐδίδαξέ με σοφία.« ἔχεις ἐν βραχεῖ τὸ ἐπάγγελμα τῆς καθ’ ἡμᾶς φιλοσοφίας. ἀνάγει δὲ ἡ τούτων μάθησις, μετὰ ὀρθῆς πολιτείας ἀσκηθεῖσα, διὰ τῆς πάντων τεχνίτιδος σοφίας ἐπὶ τὸν ἡγεμόνα τοῦ παντός, δυσάλωτόν τι χρῆμα καὶ δυσθήρατον, ἐξαναχωροῦν ἀεὶ καὶ πόρρω ἀφιστάμενον τοῦ διώκοντος.

Dunque la filosofia “barbara” che noi seguiamo è realmente perfetta e vera, tanto che nella Sapienza è scritto: “Egli stesso mi ha dato conoscenza non fallace delle cose che sono, perché io sappia della costituzione del mondo etc.”. fino a “ le proprietà delle radici”.[57] In queste parole si compendia la contemplazione della natura, cioè di tutte le cose che si sono formate nel mondo sensibile. In seguito si trova pure un’allusione al mondo intelligibile, in quanto aggiunge: “Conobbi tutto ciò che è nascosto e tutto ciò che ci è manifesto: la Sapienza, artefice di ogni cosa, me lo ha insegnato”. Eccoti, in breve, ciò che promette la nostra filosofia. Lo studio di essa, esercitato con retta condotta morale, attraverso “la sapienza artefice di ogni cosa”, ci riconduce a Colui che è guida dell’universo, difficilmente afferabile e catturabile, poiché sempre si allontana e si ritrae davanti a chi lo insegue.

15. Citazione dal VIIIo libro dei Stromati

 

16. Str. VII, 59,7

Τὸν βίον γὰρ τοῦ γνωστικοῦ διαγράφειν ἡμῖν πρόκειται τὰ νῦν, οὐχὶ τὴν τῶν δογμάτων θεωρίαν παρατίθεσθαι, ἣν ὕστερον κατὰ τὸν ἐπιβάλλοντα καιρὸν ἐκθησόμεθα, σῴζοντες ἅμα καὶ τὴν ἀκολουθίαν.

In effetti nostro proposito è ora tracciare un quadro della vita dello “gnostico”, non esporre sistematicamente i principi della sua dottrina: esposizione che faremmo poi all’occasione opportuna, e così salveremo insieme il corrispondente ordine della trattazione.

17. Citazione dal VIIIo libro dei Stromati

 

18. Citazione non dagli Stromati

 

19. Str. II, 77,3 – 5

Οὐκ ἐσμὲν δὲ ὡς ὁ κύριος, ἐπειδὴ βουλόμεθα μέν, οὐ δυνάμεθα δέ. «οὐδεὶς γὰρ μαθητὴς ὑπὲρ τὸν διδάσκαλον, ἀρκετὸν δὲ ἐὰν γενώμεθα ὡς ὁ διδάσκαλος,«[58] οὐ κατ’οὐσίαν, ἀδύνατον γὰρ ἴσον εἶναι πρὸς τὴν ὕπαρξιν τὸ θέσει τῷ φύσει, τῷ δὲ ἀιδίους γεγονέναι καὶ τὴν τῶν ὄντων θεωρίαν ἐγνωκέναι καὶ υἱοὺς προσηγορεῦσθαι καὶ τὸν πατέρα ἀπὸ τῶν οἰκείων καθορᾶν μόνον.

Non siamo come il Signore, poiché vogliamo bensì, ma non possiamo. “Infatti no c’è discepolo che superi il maestro, è sufficiente che diventiamo come il maestro”, non per essenza, essendo impossibile che in rapporto all’esistenza ciò che è per convenzione sia uguale a ciò che è per natura, ma perché siamo divenuti eterni e abbiamo conosciuto la contemplazione dell’essere e siamo stati chiamati figli e solo con l’aiuto del Figlio che gli è congiunto possiamo vedere il Padre.[59]

20. Str. V, 58,4 – 5

Ἀλλὰ καὶ οἱ τὰ μυστήρια θέμενοι, φιλόσοφοι ὄντες, τὰ αὑτῶν δόγματα τοῖς μύθοις κατέχωσαν, ὥστε μὴ εἶναι ἅπασι δῆλα· εἶθ’ οἳ μέν, ἀνθρωπίνας κατακρύψαντες δόξας, τοὺς ἀμαθεῖς ἐκώλυσαν ἐντυγχάνειν, τὴν δὲ τῶν ὄντων ὄντως ἁγίαν καὶ μακαρίαν θεωρίαν οὐ παντὸς μᾶλλον ἐπικεκρύφθαι συνέφερεν;

E i fondatori dei culti misterici, filosofi nascosero le loro dottrine sotto i miti, sì che non a tutti fossero manifeste. Ebbene, se quelli celarono umano sapere e impedirono ai profani di accedervi, non era forse oltremodo opportuno che la contemplazione veramente santa e beata della realtà restasse occulta?[60]

21. Str. VII, 72,5 – 6

Αὗται δέ εἰσιν αἱ γνωστικαὶ ψυχαί, ἃς ἀπείκασεν τὸ εὐαγγέλιον ταῖς ἡγιασμέναις παρθένοις ταῖς προσδεχομέναις τὸν κύριον. παρθένοι μὲν γὰρ ὡς κακῶν ἀπεσχημέναι, προσδεχόμεναι δὲ διὰ τὴν ἀγάπην τὸν κύριον, καὶ τὸ οἰκεῖον ἀνάπτουσαι φῶς εἰς τὴν τῶν πραγμάτων θεωρίαν, φρόνιμοι ψυχαὶ ποθοῦμέν σε, ὦ κύριε, λέγουσαι, ἤδη ποτὲ ἀπολαβεῖν, ἀκολούθως οἷς ἐνετείλω ἐζήσαμεν, μηδὲν τῶν παρηγγελμένων παραβεβηκυῖαι·

Le anime “gnostiche” sono quelle che il Vangelo raffigurò nelle vergini sante che attendono il Signore: sono infatti come vergini, in quanto si sono tenute lontano dal male e attendono per amore il Signore e accendono il proprio lume per la contemplazione della realtà; anime sagge, che dicono: “O, Signore, bramiamo di riceverti finalmente, siamo vissute in conformità ai comandamenti che ci hai dato senza violare alcuno dei tuoi precetti.[61]

22. Citazione non dagli Stromati.

 

23. Str. I, 26,4 – 27,1

Οἱ δὲ ἀμφὶ τὴν παιδείαν διατρίβοντες τὴν συναίσθησιν χορηγοῦνται, kaq’ ἣν τῶν μέτρων οἱ ποιηταὶ καὶ τῆς λέξεως οἱ σοφισταὶ καὶ τῶν συλλογισμῶν οἱ διαλεκτικοὶ καὶ οἱ φιλόσοφοι τῆς κατ’ αὐτοὺς θεωρίας ἀντιλαμβάνονται. εὑρετικὸν γὰρ καὶ ἐπινοητικὸν ἡ συναίσθησις ἐπιβάλλειν πιθανῶς ἀναπείθουσα, συναύξει δὲ τὴν ἐπιβολὴν ἡ εἰς ἐπιστήμην συνάσκησις.

Coloro invece che si occupano della cultura sono provvisti del “senso superiore”, grazie al quale i poeti percepiscono i metri i sofisti la dizione, i dialettici i sillogismi, i filosofi le rispettive dottrine. Il senso superiore è in effetti un mezzo atto alla scoperta e alla ideazione, poiché ci induce a por mano ad esperienze razionalmente accettabili, e d’altronde l’esperienza stessa è corroborata dall’esercizio [compiuto] ai fini di raggiungere la scienza.[62]

24. vedi n. 20: ἁγίαν καὶ μακαρίαν θεωρίαν

 

25. Str. V, 78,1 – 4

«Τὸν γὰρ πατέρα καὶ ποιητὴν τοῦδε τοῦ παντὸς εὑρεῖν τε ἔργον καὶ εὑρόντα εἰς πάντας ἐξειπεῖν ἀδύνατον. ῥητὸν γὰρ οὐδαμῶς ἐστιν ὡς τἄλλα μαθήματα«, ὁ φιλαλήθης λέγει Πλάτων. ἀκήκοεν γὰρ εὖ μάλα ὡς ὁ πάνσοφος Μωυσῆς εἰς τὸ ὄρος ἀνιὼν[63] (διὰ τὴν ἁγίαν θεωρίαν ἐπὶ τὴν κορυφὴν τῶν νοητῶν) ἀναγκαίως διαστέλλεται μὴ τὸν πάντα λαὸν συναναβαίνειν ἑαυτῷ· καὶ ὅταν λέγῃ ἡ γραφὴ «εἰσῆλθεν δὲ Μωυσῆς εἰς τὸν γνόφον οὗ ἦν ὁ θεόσ«, τοῦτο δηλοῖ τοῖς συνιέναι δυναμένοις, ὡς ὁ θεὸς ἀόρατός ἐστι καὶ ἄρρητος, γνόφος δὲ ὡς ἀληθῶς ἡ τῶν πολλῶν ἀπιστία τε καὶ ἄγνοια τῇ αὐγῇ τῆς ἀληθείας ἐπίπροσθε φέρεται.

“Scoprire il padre e creatore di questo universo è difficile impresa; se poi lo si scopre, impossibile divulgarlo a tutti”, “poiché non si può affatto spiegare come le altre conoscenze”: sono parole di Platone[64], amico della verità. Egli doveva bene aver saputo per tradizione che il sapientissimo Mosè, quando saliva al monte (attraverso la sacra contemplazione [egli saliva] al vertice dell’intelligibile), rigorosamente vietava che tutto il popolo salisse con lui. E quando la Scrittura dice: “Mosè entrò nella tenebra dove era Dio”, vuol significare, a chi sa intendere, che Dio è invisibile e ineffabile e che la tenebra (tale è in realtà l’ignoranza dei più) si pone di fronte ai raggi della verità.[65]

26. Str. VI, 98,3

Ἔμπαλιν δὲ ὁ σπουδαῖος κατορθοῖ. διὸ οὐ μόνον τὰς ἀρετάς, ἀλλὰ καὶ τὰς πράξεις τὰς καλὰς ἀγαθὰ καλοῦμεν· τῶν δὲ ἀγαθῶν ἴσμεν τὰ μὲν αὐτὰ δι’ αὑτὰ αἱρετά, ὡς τὴν γνῶσιν (οὐ γὰρ ἄλλο τι ἐξ αὐτῆς θηρῶμεν, ἐπειδὰν παρῇ, ἢ μόνον τὸ παρεῖναι αὐτὴν καὶ ἐν ἀδιαλείπτῳ θεωρίᾳ ἡμᾶς εἶναι καὶ εἰς αὐτὴν καὶ δι’ αὐτὴν ἀγωνίζεσθαι), τὰ δὲ δι’ ἕτερα, <ὡσ> τὴν πίστιν διὰ τὴν ἐξ αὐτῆς περιγενομένην φυγήν τε τῆς κολάσεως καὶ ὠφέλειαν τὴν ἐκ τῆς ἀνταποδόσεως. φόβος μὲν γὰρ αἴτιος τοῦ μὴ ἁμαρτάνειν τοῖς πολλοῖς, ἐπαγγελία δὲ ἀφορμὴ τοῦ διώκειν ὑπακοήν[66], di’ ἧς ἡ σωτηρία.

Perciò noi chiamiamo beni non solo le virtù, ma anche le azioni buone; e dei beni sappiamo che alcuni sono da perseguire per se stessi, come la “gnosi” (infatti da essa non cerchiamo altro, quando l’abbiamo, se non unicamente il suo possesso, e di poter essere in ininterrotta contemplazione e di sforzarci per essa e a causa di essa); altri beni sono invece da perseguire in funzione di altro, come la fede, perché per essa evitiamo la punizione e otteniamo quel bene che deriva dalla rimunerazione [di Dio]. Invero per i più motivo a non peccare è il timore, e la promessa è incentivo ad osservare l’ubbidienza, attraverso la quale si ottiene la salvezza.

27. Str. VII, 49,3 – 4

Περὶ τούτων ἄρα ὁ γνωστικὸς καὶ συνεύξεται τοῖς κοινότερον πεπιστευκόσι, περὶ ὧν καὶ συμπράττειν καθήκει. ἅπας δὲ ὁ βίος αὐτοῦ πανήγυρις ἁγία. αὐτίκα θυσίαι μὲν αὐτῷ εὐχαί τε καὶ αἶνοι καὶ αἱ πρὸ τῆς ἑστιάσεως ἐντεύξεις τῶν γραφῶν, ψαλμοὶ δὲ καὶ ὕμνοι παρὰ τὴν ἑστίασιν πρό τε τῆς κοίτης, ἀλλὰ καὶ νύκτωρ εὐχαὶ πάλιν. διὰ τούτων ἑαυτὸν ἑνοποιεῖ τῷ «θείῳ χορῷ«, ἐκ τῆς συνεχοῦς μνήμης εἰς ἀείμνηστον θεωρίαν ἐντεταγμένος.

Lo “gnostico” pregherà anche con i più semplici fedeli[67], nei casi in cui debba altresì condividere il loro operare: e tutta la sua vita è un santo festino. Così anzitutto le sue offerte consistono in preghiere e insieme lodi e lettura delle Scritture prima del pranzo, salmi e inni durante il pranzo e prima del riposo, e di nuovo preghiere anche nottetempo. Con ciò egli si fa tutt’uno con il “divino coro”[68], iscritto ad una contemplazione eterna, per il suo continuo ricordo [del cielo].

28. vedi n. 9: ἀίδιος θεωρία

 

29. vedi n. 6: τῇ θεωρίᾳ τῇ ἂιδίῳ

 

30. Str. V, 36,3 – 4[69]

Ἄμεινον δ’ ἡγοῦμαι τὴν κιβωτὸν ἐκ τοῦ ῾Εβραϊκοῦ ὀνόματος θηβωθὰ καλουμένην ἄλλο τι σημαίνειν. ἑρμηνεύεται μὲν ἓν ἀνθ’ ἑνὸς πάντων τόπων. εἴτ’ οὖν ὀγδοὰς καὶ ὁ νοητὸς κόσμος εἴτε καὶ ὁ [περὶ] πάντων περιεκτικὸς ἀσχημάτιστός τε καὶ ἀόρατος δηλοῦται θεός, τὰ νῦν ὑπερκείσθω λέγειν· πλὴν ἀνάπαυσιν μηνύει τὴν μετὰ τῶν δοξολόγων πνευμάτων, ἃ αἰνίσσεται Χερουβίμ· οὐ γὰρ ἄν ποτε ὁ μηδὲ γλυπτὸν εἴδωλον δημιουργεῖν παραινέσας αὐτὸς ἀπεικόνιζεν τῶν ἁγίων ἄγαλμα, οὐδ’ ἔστι τὴν ἀρχὴν ἐπισύνθετόν τι καὶ αἰσθητὸν ζῷον ἐν οὐρανῷ ὧδέ πως ἔχον, σύμβολον δ’ ἐστὶ λογικῆς μὲν τὸ πρόσωπον ψυχῆς, πτέρυγες δὲ λειτουργίαι τε καὶ ἐνέργειαι αἱ μετάρσιοι δεξιῶν τε ἅμα καὶ λαιῶν δυνάμεων, ἡ φωνὴ δὲ δόξα εὐχάριστος ἐν ἀκαταπαύστῳ θεωρίᾳ.

Io stimo piuttosto che l’arca, derivato dal nome ebraico “thebotà”, significhi altra cosa, poiché lo si interpreta “uno invece di un altro tra tutti i luoghi”. Se debba significare la ogdoade e il mondo intelligibile o anche il Dio senza forma e invisibile che abbraccia intorno tutte le cose, rimandiamone per ora la discussione. Essa comunque indica il riposo insieme con gli spiriti glorificanti simboleggiati dai cherubim. Mai infatti Colui che dissuase dal fabbricare un idolo, anche in scultura, avrebbe poi proprio Lui modellato una statua di quegli esseri, oggetto di culto. Né vi è assolutamente in cielo alcun ibrido o animale visibile così fatto; ma il volto è simbolo di anima razionale; le ali, di strumenti e insieme attività celesti di potenze tanto di destra quanto di sinistra; la voce significa lodi di gratitudine in una contemplazione senza fine.

31. Str. V, 40,1 – 2[70]

Ἐμοὶ δοκεῖν ἐμφαίνων τὸν Λευίτην καὶ γνωστικὸν ὡς ἂν τῶν ἄλλων ἱερέων ἄρχοντα, ὕδατι ἀπολελουμένων ἐκείνων καὶ πίστιν ἐνδεδυμένων μόνην καὶ τὴν ἰδίαν ἐκδεχομένων μονήν, αὐτὸν διακρίναντα τὰ νοητὰ τῶν αἰσθητῶν, kat’ ἐπανάβασιν τῶν ἄλλων ἱερέων σπεύδοντα ἐπὶ τὴν τοῦ νοητοῦ δίοδον, τῶν τῇδε ἀπολουόμενον οὐκέτι ὕδατι, ὡς πρότερον ἐκαθαίρετο εἰς Λευιτικὴν[71] ἐντασσόμενος φυλήν, ἀλλ’ ἤδη τῷ γνωστικῷ λόγῳ. Καθαρὸς μὲν <οὖν> τὴν καρδίαν πᾶσαν, κατορθώσας δ’ εὖ μάλα καὶ τὴν πολιτείαν ἐπ’ ἄκρον, πέρα τοῦ ἱερέως ἐπὶ μεῖζον αὐξήσας, [ἰερέως] ἀτεχνῶς ἡγνισμένος καὶ λόγῳ καὶ βίῳ, ἐπενδυσάμενος τὸ γάνωμα τῆς δόξης, τοῦ πνευματικοῦ ἐκείνου καὶ τελείου ἀνδρὸς τὴν ἀπόρρητον κληρονομίαν ἀπολαβών, «ἣν ὀφθαλμὸς οὐκ εἶδεν καὶ οὖς οὐκ ἤκουσεν καὶ ἐπὶ καρδίαν ἀνθρώπου οὐκ ἀνέβη,« υἱὸς καὶ φίλος γενόμενος, «πρόσωπον« ἤδη «πρὸς πρόσωπον« ἐμπίπλαται τῆς ἀκορέστου θεωρίας. οὐδὲν δὲ οἷον αὐτοῦ ἐπακοῦσαι τοῦ λόγου, πλείονα τὸν νοῦν διὰ τῆς γραφῆς ἐνδιδόντος.

Rivela così, a mio vedere, che il levita è anche “gnostico”, in quanto potrebbe essere capo degli altri sacerdoti: mentre questi sono lavati con acqua e rivestiti di sola fede e accettano la posizione loro propria, egli invece ha distinto le cose intelligibili dalle sensibili, e superando gli altri sacerdoti s’affretta a passare nell’intelligibile, né più si fa mondo delle cose di quaggiù con acqua, come prima si purificava quando era iscritto nella tribù di Levi, ma ormai con il Logos “gnostico”. Egli è ora tutto puro di cuore, si è comportato in modo perfetto, e la bontà del suo tenore di vita ha esaltato fino al limite, oltre [la dignità] del sacerdote, e più ancora. Egli è insomma santificato nella parola e nella vita, e in più ha rivestito lo splendore della gloria, ha ricevuto l’ineffabile eredità di questo uomo spirituale e perfetto, quella “che né occhio vide né orecchio udì e non entrò in cuore d’uomo”. È diventato figlio e amico [di Dio], e ormai “faccia a faccia” si riempie della contemplazione che no si può saziare. Ma niente vale quanto ascoltare il Logos stesso, che ci rende più chiara l’intelligenza attraverso la Scrittura.

32. Str. VI, 108,1 – 3

Οἱ[72] τοιοῦτοι κατὰ τὸν Δαβὶδ «καταπαύσουσιν ἐν ὄρει ἁγίῳ θεοῦ«, τῇ ἀνωτάτω ἐκκλησίᾳ, kaq’ ἣν οἱ φιλόσοφοι συνάγονται τοῦ θεοῦ, οἱ τῷ ὄντι ᾿Ισραηλῖται οἱ καθαροὶ τὴν καρδίαν, ἐν οἷς δόλος οὐδείς, οἱ μὴ καταμείναντες ἐν ἑβδομάδι ἀναπαύσεως, ἀγαθοεργίᾳ δὲ θείας ἐξομοιώσεως εἰς ὀγδοαδικῆς εὐεργεσίας κληρονομίαν ὑπερκύψαντες, ἀκορέστου θεωρίας εἰλικρινεῖ ἐποπτείᾳ προσανέχοντες. «ἔστιν δὲ καὶ ἄλλα«, φησὶν ὁ κύριος, «πρόβατα, ἃ οὐκ ἔστιν ἐκ τῆς αὐλῆς ταύτησ«, ἄλλης αὐλῆς καὶ μονῆς ἀναλόγως τῆς πίστεως κατηξιωμένα. «τὰ δὲ ἐμὰ πρόβατα τῆς ἐμῆς ἀκούει φωνῆσ«, συνιέντα γνωστικῶς τὰς ἐντολάς· τὸ δ’ ἔστιν μεγαλοφρόνως καὶ ἀξιολόγως ἐκδέχεσθαι σὺν καὶ τῇ τῶν ἔργων ἀνταποδόσει τε καὶ ἀντακολουθίᾳ.

Essi, dice David, “riposeranno sulla montagna santa di Dio”, nella chiesa del cielo, dove si radunano i filosofi di Dio, i veri Israeliti, i puri di cuore, nei quali non c’è inganno.. Essi no sono rimasti nella quiete della “ebdomade”, ma si sono assimilati a Dio con la bontà dell’opera a si sono innalzati all’eredità di bene che è della “ogdoade”, attendendo alla pura “visione” di una contemplazione insaziabile. “Ci sono anche altre pecore”, dice il Signore, “che non sono di questo ovile”, ritenute degne d’altro ovile e d’altra dimora in proporzione alla fede; “ma le mie pecore conoscono la mia voce”: cioè comprendono i comandamenti in modo “gnostico”, vale a dire che li accettano in senso elevato e degno del loro valore, anche con la reciproca corrispondenza delle opere.

33. Str. VII, 3,1 – 4[73]

Θεραπεία τοίνυν τοῦ θεοῦ ἡ συνεχὴς ἐπιμέλεια τῆς ψυχῆς τῷ γνωστικῷ καὶ ἡ περὶ τὸ θεῖον αὐτοῦ κατὰ τὴν ἀδιάλειπτον ἀγάπην ἀσχολία. τῆς γὰρ περὶ τοὺς ἀνθρώπους θεραπείας ἣ μὲν βελτιωτική, ἣ δὲ ὑπηρετική. ἰατρικὴ μὲν σώματος, φιλοσοφία δὲ ψυχῆς βελτιωτική. γονεῦσι μὲν ἐκ παίδων καὶ ἡγεμόσιν ἐκ τῶν ὑποτεταγμένων ὑπηρετικὴ ὠφέλεια προσγίνεται· ὁμοίως δὲ καὶ κατὰ τὴν ἐκκλησίαν τὴν μὲν βελτιωτικὴν οἱ πρεσβύτεροι σῴζουσιν εἰκόνα, τὴν ὑπηρετικὴν δὲ οἱ διάκονοι. ταύτας ἄμφω τὰς διακονίας ἄγγελοί τε ὑπηρετοῦνται τῷ θεῷ κατὰ τὴν τῶν περιγείων οἰκονομίαν καὶ αὐτὸς ὁ γνωστικός, θεῷ μὲν διακονούμενος, ἀνθρώποις δὲ τὴν βελτιωτικὴν ἐνδεικνύμενος θεωρίαν, ὅπως ἂν καὶ παιδεύειν ᾖ τεταγμένος εἰς τὴν τῶν ἀνθρώπων ἐπανόρθωσιν. θεοσεβὴς γὰρ μόνος ὁ καλῶς καὶ ἀνεπιλήπτως περὶ τὰ ἀνθρώπεια ἐξυπηρετῶν τῷ θεῷ.

Culto di Dio è pertanto, per lo “gnostico”, la continua cura dell’anima, la continua occupazione intorno a ciò che è divino in lui secondo l’amore che non viene mai meno.[74] La cura che si ha degli uomini può essere o diretta a renderli migliori o diretta a servirli. [Ad es.,] la medicina è diretta a risanare il corpo, la filosofia l’anima. Ai genitori da parte dei figli e ai capi da parte dei sudditi si offre un aiuto che è diretto a servirli. Così pure nella chiesa gli “anziani” assolvono alla funzione diretta a rendere migliori, i diaconi a quella di servigio. Ad entrambe queste funzioni assolvono presso Dio, secondo l’economia delle cose terrene, sia angeli, sia lo stesso “gnostico”: a Dio egli serve e agli uomini mostra la contemplazione atta a renderli migliori, in qualunque modo sia incaricato di fare opera di educazione per la correzione dell’umanità. Poiché religioso è solo colui che nelle cose umane presta in maniera onesta e irreprensibile la sua opera a Dio.

34. Str. VII, 60,1 – 61,1[75]

Περὶ μὲν οὖν τῶν ὅλων ἀληθῶς καὶ μεγαλοπρεπῶς διείληφεν, ὡς ἂν θείαν χωρήσας διδασκαλίαν. ἀρξάμενος γοῦν ἐκ τοῦ θαυμάζειν τὴν κτίσιν, δεῖγμα τοῦ δύνασθαι λαβεῖν τὴν γνῶσιν κομίζων οἴκοθεν, πρόθυμος μαθητὴς τοῦ κυρίου γίνεται, εὐθέως δὲ ἀκούσας θεόν τε καὶ πρόνοιαν ἐπίστευσεν ἐξ ὧν ἐθαύμασεν. ἐνθένδε οὖν ὁρμώμενος ἐκ παντὸς τρόπου συνεργεῖ πρὸς τὴν μάθησιν, πάντ’ ἐκεῖνα ποιῶν δι’ ὧν λαβεῖν δυνήσεται τὴν γνῶσιν ὧν ποθεῖ (πόθος δὲ κατὰ προκοπὴν πίστεως ἅμα ζητήσει κραθεὶς συνίσταται), τὸ δ’ ἐστὶν ἄξιον γενέσθαι τῆς τοσαύτης καὶ τηλικαύτης θεωρίας. οὕτως γεύσεται τοῦ θελήματος τοῦ θεοῦ ὁ γνωστικός· οὐ γὰρ τὰς ἀκοάς, ἀλλὰ τὴν ψυχὴν παρίστησι τοῖς ὑπὸ τῶν λεγομένων δηλουμένοις πράγμασιν. οὐσίας τοίνυν καὶ τὰ πράγματα αὐτὰ παραλαβὼν διὰ τῶν λόγων εἰκότως καὶ τὴν ψυχὴν ἐπὶ τὰ δέοντα ἄγει, τὸ «μὴ μοιχεύσῃς, μὴ φονεύσῃσ« ἰδίως ἐκλαμβάνων ὡς εἴρηται τῷ γνωστικῷ, οὐχ ὡς παρὰ τοῖς ἄλλοις ὑπείληπται. Πρόεισιν οὖν ἐγγυμναζόμενος τῇ ἐπιστημονικῇ θεωρίᾳ εἰς τὸ ἐναγωνίσασθαι τοῖς καθολικώτερον καὶ μεγαλοπρεπέστερον εἰρημένοις. εἰδὼς εὖ μάλα ὅτι «ὁ διδάσκων ἄνθρωπον γνῶσιν« κατὰ τὸν προφήτην «κύριόσ« ἐστιν, διὰ στόματος ἀνθρωπίνου κύριος ἐνεργῶν· ταύτῃ καὶ σάρκα ἀνείληφεν.

Lo “gnostico” dunque possiede una vera e nobile concezione dell’universo, come uno che ha accolto il divino insegnamento. In ogni caso ha iniziato dalla contemplazione[76] della creazione e, portando già di qui una prova che può ricevere la “gnosi”, diviene volonteroso discepolo del Signore. E non appena Lo ha ascoltato, ha creduto in Dio e nella sua Providenza in base alle cose che hanno suscitato la sua ammirazione. Da qui dunque prende le mosse e in ogni modo si adopera all’apprendimento, e ogni cosa fa per cui potrà conquistare la “gnosi” che desidera (e desiderio nasce in conformità del progredire della fede, in unione con la ricerca): ciò significa diventare degno di così grande e alta contemplazione.[77] Così lo “gnostico”assaporerà la volontà di Dio, perché non l’orecchio, ma l’anima egli porge ai fatti indicati dalla lettera [delle Scritture]. Per logica conseguenza egli, che coglie le essenze, i fati stessi attraverso le parole, guida anche la propria anima al compimento dei suoi doveri: intende i precetti “non commettere adulterio, non uccidere” in senso proprio, come sono dettati per lui “gnostico”, non come sono interpretati dagli altri.[78] Con l’addestrarsi nella contemplazione che dà scienza, egli procede dunque come in gara ad [attuare] le cose che sono state dette in modo più universale e sublime, sapendo con certezza che, per dirla con il profeta, “Colui che insegna all’uomo la “gnosi” è il Signore”[79]: il Signore che si fa sentire attraverso bocca umana; e per questo ha anche assunto la carne.

35. vedi n. 10: ἡ θεωρία ἡ ἐπιστημονική

 

36. citazione dal VIIIo libro degli Stromati

 

37. Str. I, 15,1 – 2

Ἔστι δὲ ἃ καὶ αἰνίξεταί μοι γραφή, καὶ τοῖς μὲν παραστήσεται, τὰ δὲ μόνον ἐρεῖ, πειράσεται δὲ καὶ λανθάνουσα εἰπεῖν καὶ ἐπικρυπτομένη ἐκφῆναι καὶ δεῖξαι σιωπῶσα. τά τε παρὰ τῶν ἐπισήμων δογματιζόμενα αἱρέσεων παραθήσεται, καὶ τούτοις ἀντερεῖ πάνθ’ ὅσα προοικονομηθῆναι καθήκει τῆς κατὰ τὴν ἐποπτικὴν θεωρίαν γνώσεως, ἣ προβήσεται ἡμῖν κατὰ «τὸν εὐκλεῆ καὶ σεμνὸν τῆς παραδόσεως κανόνα« ἀπὸ τῆς τοῦ κόσμου γενέσεως προϊοῦσιν, <τὰ> ἀναγκαίως ἔχοντα προδιαληφθῆναι τῆς φυσικῆς θεωρίας προπαρατιθεμένη καὶ τὰ ἐμποδὼν ἱστάμενα τῇ ἀκολουθίᾳ προαπολυομένη, ὡς ἑτοίμους ἔχειν τὰς ἀκοὰς πρὸς τὴν παραδοχὴν τῆς γνωστικῆς παραδόσεως προκεκαθαρμένης τῆς γῆς ἀπό τε τῶν ἀκανθῶν καὶ τῆς πόας ἁπάσης γεωργικῶς εἰς καταφύτευσιν ἀμπελῶνος.

Ci sono poi anche idee che la mia scrittura indicherà allusivamente: su alcune insisterà, altre le dirà soltanto, e tenterà anzi di dirle senza lasciarsi scorgere, di mostrarle copertamente, di indicarle tacendo. Esporrà anche i dogmi delle principali sette ed opporrà a questi tutte le argomentazioni che conviene mettere in opera prima di [accadere alla] “gnosi”, rivelantesi nella contemplazione suprema[80]: “gnosi” che progredirà “secondo la gloriosa e venerata norma della tradizione”, nel nostro cammino iniziante dall’origine del mondo; esporrà prima ciò che di necessità dev’essere trattato prima della teoria fisica[81], ed eliminerà quegli ostacoli che si frappongono alla concatenazione[82] dei pensieri. Così avremo l’orecchio pronto ad accogliere la tradizione “gnostica”: il terreno sarà già stato sgombrato delle spine e di tute le erbacce, secondo le buone norme dell’agricoltura, per la piantagione del vigneto.

38. vedi n. 7: θεωρία μεγίστη, ἡ ἐποπτική

 

39. Str. V, 66,1 – 3

Ἔπειτα ὑποβὰς τὸ εὐλαβὲς τῆς εἰς τοὺς πολλοὺς τῶν λόγων ἐκφοιτήσεως ὧδέ πως διδάσκει· «κἀγώ, ἀδελφοί, οὐκ ἠδυνήθην ὑμῖν λαλῆσαι ὡς πνευματικοῖς, ἀλλ’ ὡς σαρκίνοις, ὡς νηπίοις ἐν Χριστῷ, γάλα ὑμᾶς ἐπότισα, οὐ βρῶμα· οὔπω γὰρ ἐδύνασθε· ἀλλ’ οὐδὲ ἔτι νῦν δύνασθε· ἔτι γάρ ἐστε σαρκικοί.« εἰ τοίνυν τὸ μὲν γάλα τῶν νηπίων, τὸ βρῶμα δὲ τῶν τελείων τροφὴ πρὸς τοῦ ἀποστόλου εἴρηται, γάλα μὲν ἡ κατήχησις οἱονεὶ πρώτη ψυχῆς τροφὴ νοηθήσεται, βρῶμα δὲ ἡ ἐποπτικὴ θεωρία· σάρκες αὗται καὶ αἷμα τοῦ λόγου, τουτέστι κατάληψις τῆς θείας δυνάμεως καὶ οὐσίας. «γεύσασθε καὶ ἴδετε ὅτι χρηστὸς ὁ κύριος», φησίν· οὕτως γὰρ ἑαυτοῦ μεταδίδωσι τοῖς πνευματικώτερον τῆς τοιαύτης μεταλαμβάνουσι βρώσεως, ὅτε δὴ ἡ ψυχὴ

αὐτὴ ἑαυτὴν ἤδη τρέφει κατὰ τὸν ιλαλήθη Πλάτωνα· βρῶσις γὰρ καὶ πόσις τοῦ θείου λόγου ἡ γνῶσίς ἐστι τῆς θείας οὐσίας.

E più oltre insegna a stare in guardia che le dottrine non escano fra la folla: ecco: “Io, o fratelli, non potei paralare a voi come a persone spirituali, ma come a persone carnali, bambini in Cristo. Vi diedi latte da bere, non cibo solido, perché non lo tolleravate ancor. Anzi, non tollerate nemmeno adesso, siete ancora carnali”. Se dunque il latte è detto dall’apostolo nutrimento dei piccoli e il cibo solido degli adulti, “latte” dovrà intendersi la catechesi, quale primo nutrimento dell’anima, e “cibo solido” la visione contemplativa. Queste due cose sono “carne” e sangue” del Logos, cioè comprensione della divina potenza ed essenza. “Gustate e rendetevi conto come è buono il Signore”, dice [la Scrittura]: Egli fa partecipi di se stesso quanti, spiritualmente, prendono in comune questo cibo, quando cioè l’anima da sola ormai nutre se stessa, come dice Platone[83], amico della verità: “mangiare” e “bere”[84] dal divino Logos è la “gnosi” della divina essenza.

40. vedi n. 5

 

41. vedi n. 5

 

42. Str., VII, 91, 2-5

Δῆλον γὰρ ὅτι δυσκόλου καὶ δυσεργοῦ τῆς ἀληθείας τυγχανούσης διὰ τοῦτο γεγόνασιν αἱ ζητήσεις· ἀφ’ ὧν αἱ φίλαυτοι καὶ φιλόδοξοι αἱρέσεις, μὴ μαθόντων μὲν μηδὲ παρειληφότων ἀληθῶς, οἴησιν δὲ γνώσεως εἰληφότων. διὰ πλείονος τοίνυν φροντίδος ἐρευνητέον τὴν τῷ ὄντι ἀλήθειαν, ἣ μόνη περὶ τὸν ὄντως ὄντα θεὸν καταγίνεται. πόνῳ δὲ ἕπεται γλυκεῖα εὕρεσίς τε καὶ μνήμη. ἐπαποδυτέον ἄρα τῷ πόνῳ τῆς εὑρέσεως διὰ τὰς αἱρέσεις, ἀλλ’ οὐ τέλεον ἀποστατέον. οὐδὲ γὰρ ὀπώρας παρακειμένης, τῆς μὲν ἀληθοῦς καὶ ὡρίμου, τῆς δὲ ἐκ κηροῦ ὡς ὅτι μάλιστα ἐμφεροῦς πεποιημένης, διὰ τὴν ὁμοιότητα ἀμφοῖν ἀφεκτέον, διακριτέον δὲ ὁμοῦ τε τῇ καταληπτικῇ θεωρίᾳ[85] καὶ τῷ κυριωτάτῳ λογισμῷ τὸ ἀληθὲς ἀπὸ τοῦ φαινομένου. καὶ ὥσπερ ὁδοῦ μιᾶς μὲν τῆς βασιλικῆς τυγχανούσης, πολλῶν δὲ καὶ ἄλλων τῶν μὲν ἐπί τινα κρημνόν, τῶν δὲ ἐπὶ ποταμὸν ῥοώδη ἢ θάλασσαν ἀγχιβαθῆ φερουσῶν, οὐκ ἄν τις ὀκνήσαι διὰ τὴν διαφωνίαν ὁδεῦσαι, χρήσαιτο δ’ ἂν τῇ ἀκινδύνῳ καὶ βασιλικῇ καὶ λεωφόρῳ, οὕτως ἄλλα ἄλλων περὶ ἀληθείας λεγόντων οὐκ ἀποστατέον, ἐπιμελέστερον δὲ θηρατέον τὴν ἀκριβεστάτην περὶ αὐτῆς γνῶσιν·

È infatti evidente che le indagini si compiono perchè la verità è aspra e difficile a conquistarsi: donde le eresie, orgogliose e ambiziose, di gente che non ha appreso nèricevuto secondo verità [la “gnosi”], ma ha assunto una parvenza di “gnosi”. Bisogna quindi indagare con maggior cura la verità autentica, che sola ha per oggetto il vero Dio. Alla fatica seguirà poi la soddisfazione del trovamento e del ricordo; e alla fatica bisogna accingersi a causa delle eresie; non ci si deve assolutamente ritirare. Quando abbiamo davanti dei frutti, uno vero e maturo, l’altro fatto di cera e somigliante al massimo, non bisogna astenersi da tutt’e due perché si somigliano, ma si deve saper distinguere con una visione comprensiva e insieme con il ragionamento più perentorio il vero dall’apparente. Ancora, se c’è una sola strada maestra e molte altre portano, quali a un dirupo, quali a un fiume impetuoso o al mare profondo, uno no dovrà esitare sulla scelta del cammino per il dissenso [che sorga su queste], ma dovrà avviarsi per quella sicura, maestra, frequentata. Allo steso modo non ci si deve ritirare solo perché sulla verità c’è chi dice una cosa e chi un’altra, ma anzi con più impegno rintracciare la più esatta conoscenza di essa.

43. Str., VII, 16,5-6

Μάλιστα γὰρ ἄγαλμα θεῖον καὶ θεῷ προσεμφερὲς[86]ἀνθρώπου δικαίου ψυχή, ἐν ᾗ διὰ τῆς τῶν παραγγελμάτων ὑπακοῆς τεμενίζεται καὶ ἐνιδρύεται ὁ πάντων ἡγεμὼν θνητῶν τε καὶ ἀθανάτων, βασιλεύς τε καὶ γεννήτωρ τῶν καλῶν, νόμος ὢν ὄντως καὶ θεσμὸς καὶ λόγος αἰώνιος, ἰδίᾳ τε ἑκάστοις καὶ κοινῇ πᾶσιν εἷς ὢν σωτήρ. οὗτος ὁ τῷ ὄντι μονογενής, ὁ τῆς τοῦ παμβασιλέως καὶ παντοκράτορος πατρὸς δόξης χαρακτήρ, ἐναποσφραγιζόμενος τῷ γνωστικῷ τὴν τελείαν θεωρίαν κατ’ εἰκόνα τὴν ἑαυτοῦ, ὡς εἶναι τρίτην ἤδη τὴν θείαν εἰκόνα τὴν ὅση δύναμις ἐξομοιουμένην πρὸς τὸ δεύτερον αἴτιον, πρὸς τὴν ὄντως ζωήν, di’ ἣν ζῶμεν τὴν ἀληθῆ ζωήν, οἷον ἀπογράφοντες τὸν γνωστικὸν <τύπον> γινόμενον ἡμῖν, περὶ τὰ βέβαια καὶ παντελῶς ἀναλλοίωτα ἀναστρεφόμενον.

Invero, precisamnete “immagine divina e simile a Dio” è l’anima del giusto: in essa, per l’ubbidienza ai precetti, si costituisce e si erge in tempio la guida “di tutti, moratli ed immortali, sovrana” e generatrice del bene, veramente “legge” e divino ordinamento e Logos eterno, unico Salvatore per ciascuno singolarmente e per tutti in comune. Questi è il vero unigenito, “impronta della gloria” del Padre, sovrano universale e onnipotente, che imprime nello “gnostico” la perfetta attività contemplativa ad immagine sua. Così questa divina immagine è al terzo posto, poiché si assimila per quanto può alla seconda causa, che è in realtà la vita per cui noi viviamo la vera vita: noi per così dire trascriviamo lo “gnostico” in noi, lui che vive in ciò che è stabile e assolutamente inalterabile.

44. Str. I, 51,4[87]

᾿Ακίνητον μὲν οὖν πρὸς ἀλήθειαν καὶ τῷ ὄντι ἀργὸν οὐ βούλεται εἶναι τὸν πιστεύσαντα ὁ λόγος· «ζητεῖτε« γὰρ «καὶ εὑρήσετε« λέγει, ἀλλὰ τὴν ζήτησιν εἰς εὕρεσιν περαιοῖ, τὴν κενὴν ἐξελάσας φλυαρίαν, ἐγκρίνων δὲ τὴν ὀχυροῦσαν τὴν πίστιν ἡμῖν θεωρίαν.

Il Logos non vuole che sia inerte di fronte alla verità e di fatto ozioso colui che ha abbraciato la fede. Dice: “Cercate e troverete”: però limita la ricerca al trovamento e bandisce la vacue ciarle, accordando un posto alla contemplazione che ci rafforza la fede.

45. Str. II, 8,2-4

«Ὁ δὲ δίκαιός μου ἐκ πίστεως ζήσεται,«[88] ὁ προφήτης εἴρηκεν. λέγει δὲ καὶ ἄλλος προφήτης· «ἐὰν μὴ πιστεύσητε, οὐδὲ μὴ συνῆτε.«[89] πῶς γὰρ τούτων ὑπερφυᾶ θεωρίαν χωρήσαι ποτ’ ἂν ψυχὴ διαμαχομένης ἔνδον τῆς περὶ τὴν μάθησιν ἀπιστίας; πίστις δέ, ἣν διαβάλλουσι κενὴν καὶ βάρβαρον νομίζοντες ῞Ελληνες, πρόληψις ἑκούσιός ἐστι, θεοσεβείας συγκατάθεσις, «ἐλπιζομένων ὑπόστασις, πραγμάτων ἔλεγχος οὐ βλεπομένων,« κατὰ τὸν θεῖον ἀπόστολον· «ταύτῃ γὰρ« μάλιστα «ἐμαρτυρήθησαν οἱ πρεσβύτεροι· χωρὶς δὲ πίστεως ἀδύνατόν ἐστιν εὐαρεστῆσαι θεῷ.«

“Il mio giusto vivrà di fede”, ha scritto il profeta. E un altro profeta: “Se non crederete, nemmeno capirete”. Come potrà infatti una anima far luogo alla soprannaturale contemplazione di queste cose, quando ancora le imperversa dentro l’incredulità verso quando apprende? Invece la fede, che certi Greci calunniano giudicandola vuota e barbara, è una volontaria “prolessi”, un assenso religioso, “sostanza di cose sperate, argomento di cose che no si vedono”, secondo il divino apostolo. Poiché sopratutto per essa “gli antichi ricevettero una testimonianza. E senza fede è impossibile piacere a Dio.”

46. vedi n. 37: τῆς φυσικῆς θεωρίας

 

47. Str. I, 43, 1-2.[90]

῎Ενιοι δὲ εὐφυεῖς οἰόμενοι εἶναι ἀξιοῦσι μήτε φιλοσοφίας ἅπτεσθαι μήτε διαλεκτικῆς, ἀλλὰ μηδὲ τὴν φυσικὴν θεωρίαν ἐκμανθάνειν, μόνην δὲ καὶ ψιλὴν τὴν πίστιν ἀπαιτοῦσιν, ὥσπερ εἰ μηδεμίαν ἠξίουν ἐπιμέλειαν ποιησάμενοι τῆς ἀμπέλου εὐθὺς ἐξ ἀρχῆς τοὺς βότρυας λαμβάνειν. «ἄμπελοσ« δὲ ὁ κύριος ἀλληγορεῖται, par’ οὗ μετ’ἐπιμελείας καὶ τέχνης γεωργικῆς τῆς κατὰ τὸν λόγον τὸν καρπὸν τρυγητέον.

Senoché alcuni ritenendosi già ben dotati da natura non vogliono accostarsi né alla filosofia nè alla dialettica, e nemmenno apprendere la scienza naturale: essi rivendicano la sola e semplice, e come se, senza essersi presa nessuna cura delle vite, volessero coglierne subito da principio i grappoli. “Vite” è detto per allegoria il Signore, dal quale bisognavendemmiare il frutto, per mezzo di cura e arte della coltivazione [condotta] secondo le norme razionali.

48. Str. I, 73,4-74,1

Παρὰ τούτῳ ᾿Αχιλλεὺς παιδεύεται ὁ ἐπ’ ῎Ιλιον στρατεύσας, ῾Ιππὼ δὲ ἡ θυγάτηρ τοῦ Κενταύρου συνοικήσασα Αἰόλῳ ἐδιδάξατο αὐτὸν τὴν φυσικὴν θεωρίαν, τὴν πάτριον ἐπιστήμην. μαρτυρεῖ καὶ Εὐριπίδης περὶ τῆς ῾Ιπποῦς ὧδέ πως· ἣ πρῶτα μὲν τὰ θεῖα προὐμαντεύσατο χρησμοῖσι <σαφέσιν> ἀστέρων ἐπ’ ἀντολαῖς. [91] παρὰ τῷ Αἰόλῳ τούτῳ ᾿Οδυσσεὺς μετὰ τὴν ᾿Ιλίου ἅλωσιν ξενίζεται. παρατήρει μοι τοὺς χρόνους εἰς σύγκρισιν τῆς Μωυσέως ἡλικίας καὶ τῆς κατ’ αὐτὸν ἀρχαιοτάτης φιλοσοφίας. Οὐ μόνης δὲ φιλοσοφίας, ἀλλὰ καὶ πάσης σχεδὸν τέχνης εὑρεταὶ βάρβαροι.[92]

Presso questo centauro riceve la sua educazione Achille, che combatté contro Toia. E la figlia del centauro, Ippò, andata sposa ad Eolo, lo ammaestrò nella contemplazione della natura, la conoscenza ereditaria dal padre. Anche Euripide ci dà una testimonianza su Ippò, così press’a pocco: “Ella per prima vaticinò le cose divine con trasparenti oracoli, al sorgere delle stelle”. (È questo l’Eolo di cui è ospite Ulisse dopo la presa di Troia). Ed ora notate bene i tempi, al fine di una comparazione fre l’età di Mosè e quella più antica filosofia che gli fu coeva. Non della sola filosofia, ma di quasi ogni arte sono stati scopritotri dei “barbari”.

49. Str. I, 176,1 -177,1[93]

῾Η μὲν οὖν κατὰ Μωυσέα φιλοσοφία τετραχῇ τέμνεται, εἴς τε τὸ ἱστορικὸν καὶ τὸ κυρίως λεγόμενον νομοθετικόν, ἅπερ ἂν εἴη τῆς ἠθικῆς πραγματείας ἴδια, τὸ τρίτον δὲ εἰς τὸ ἱερουργικόν, ὅ ἐστιν ἤδη τῆς φυσικῆς θεωρίας· καὶ τέταρτον ἐπὶ πᾶσι τὸ θεολογικὸν εἶδος, ἡ ἐποπτεία[94], ἥν φησιν ὁ Πλάτων τῶν μεγάλων ὄντως εἶναι μυστηρίων, ᾿Αριστοτέλης δὲ τὸ εἶδος τοῦτο μετὰ τὰ φυσικὰ καλεῖ. καὶ ἥ γε κατὰ Πλάτωνα διαλεκτική, ὥς φησιν ἐν τῷ Πολιτικῷ, τῆς τῶν ὄντων δηλώσεως εὑρετική τίς ἐστιν ἐπιστήμη, κτητὴ δὲ αὕτη τῷ σώφρονι οὐχ ἕνεκα τοῦ λέγειν τε καὶ πράττειν τι τῶν πρὸς τοὺς ἀνθρώπους, ὥσπερ οἱ νῦν διαλεκτικοὶ περὶ τὰ σοφιστικὰ ἀσχολούμενοι ποιοῦσιν, ἀλλὰ <τοῦ> τῷ θεῷ κεχαρισμένα μὲν λέγειν δύνασθαι, κεχαρισμένα δὲ πράττειν, τὸ πᾶν εἰς δύναμιν. μικτὴ δὲ φιλοσοφίᾳ οὖσα τῇ ἀληθεῖ ἡ ἀληθὴς διαλεκτικὴ ἐπισκοποῦσα τὰ πράγματα καὶ τὰς δυνάμεις καὶ τὰς ἐξουσίας δοκιμάζουσα ὑπεξαναβαίνει ἐπὶ τὴν πάντων κρατίστην οὐσίαν τολμᾷ τε ἐπέκεινα ἐπὶ τὸν τῶν ὅλων θεόν, οὐκ ἐμπειρίαν τῶν θνητῶν, ἀλλ’ ἐπιστήμην τῶν θείων καὶ οὐρανίων ἐπαγγελλομένη, ᾗ συνέπεται καὶ ἡ [περὶ] τῶν ἀνθρωπείων περί τε τοὺς λόγους καὶ τὰς πράξεις οἰκεία χρῆσις.

Orbene, la filosofia di Mosè si divide in quattro aspetti: quello storico, quello legislativo propriamente detto, specifici entrambi del campo etico; terzo, quello “liturgico”, appartenente già alla teoria della natura. Quarto, superiore a tutti, è l’aspetto teologico, al contemplzione, come dice Platone, dei misteri veramente augusti; mentre Aristotele chiama questa parte metafisica. Così la dialettica, secondo Platone del Politico, è una scienza atta a scoprire la rivelazione dell’essere. Se il saggio la può acquisire, “non è per intervenire con la parola o con l’azione in qualche rapporto umano”, come fanno i dialettici moderni che perdono il loro tempo in questioni sofistiche, “ ma per poter dire ciò che è grato a Dio, fare ciò che è grato a Dio, tuto secondo le loro forze”. Impegno filosofico congiunto alla verità, la vera dialettica esamina la realtà e sa ditinguere le Dominazioni e le Potestà; poi trascende via via all’Esenza sovrana e osa spingersi oltre, verso l’Iddio dell’universo. Né promette esperienze profane, ma scienza di realtà divine e celesti, cui tiene dietro un’adeguata pratica delle cose umane, nelle parole e nelle azioni.

50. vedi n. 14.: τὴν φυσικὴν ἐμπεριείληφε θεωρίαν τὴν

 

51. vedi n. 9.: ἀπόχρη δ’ αὐτῷ αἰτία τῆς θεωρίας ἡ γνῶσις αὐτή.

 

52. Str. VII, 10, 2 -11,2[95]

Αὗται αἱ σωτήριοι περιτροπαὶ κατὰ τὴν τῆς μεταβολῆς τάξιν ἀπομερίζονται καὶ χρόνοις καὶ τόποις καὶ τιμαῖς καὶ γνώσεσι καὶ κληρονομίαις καὶ λειτουργίαις, καθ’ ἑκάστην ἑκάστη ἕως τῆς ἐπαναβεβηκυίας καὶ προσεχοῦς τοῦ κυρίου ἐν ἀιδιότητι θεωρίας. ἀγωγὸν δὲ τὸ ἐραστὸν πρὸς τὴν ἑαυτοῦ θεωρίαν παντὸς τοῦ ὅλον ἑαυτὸν τῇ τῆς γνώσεως ἀγάπῃ ἐπιβεβληκότος τῇ θεωρίᾳ. διὸ καὶ τὰς ἐντολὰς [ἃσ] ἔδωκεν τάς τε προτέρας τάς τε δευτέρας ἐκ μιᾶς ἀρυτόμενος πηγῆς ὁ κύριος, οὔτε τοὺς πρὸ νόμου ἀνόμους εἶναι ὑπεριδὼν οὔτ’ αὖ τοὺς μὴ ἐπαΐοντας τῆς βαρβάρου φιλοσοφίας ἀφηνιάσαι συγχωρήσας. τοῖς μὲν γὰρ ἐντολάς, τοῖς δὲ φιλοσοφίαν παρασχὼν «συνέκλεισεν« τὴν ἀπιστίαν εἰς τὴν παρουσίαν, ὅθεν ἀναπολόγητός ἐστι πᾶς ὁ μὴ πιστεύσας. ἄγει γὰρ ἐξ ἑκατέρας προκοπῆς ῾Ελληνικῆς τε καὶ βαρβάρου ἐπὶ τὴν διὰ πίστεως τελείωσιν.

Queste progressive conversioni verso la salvezza, secondo l’ordine della loro trasformazione, sono ripartite per tempo, luogo, onori, conoscenze, eredità, ministeri, ciascuna secondo il suo grado, fino alla contemplazione trascendente e immediata del Signore nell’eternità. L’Essere degno d’amore trae così alla contemplazione di se stesso ognuno che si sia votato alla contemplazione per amore della “gnosi”. Perciò il Signore ci diede i comandamenti, i primi e i secondi, attingendo da una sola fonte: Egli non permise che fossero senza legge quelli che vissero prima della legge, come non consentì che fossero senza freno quelli che non ascoltavano la lezione della filosofia “barbara”. Con l’offrire agli uni i comandamenti, agli altri la filosofia, “rinchiuse” l’incredulità fino alla venuta, sicché chiunque non ha creduto non ha scuse: infatti, Egli conduce alla perfezione della fede mediante tutt’e due i modi d’avanzamento, greco e “barbaro”.

53. Str. I, 16,1

Ἁρμόζει δὲ καὶ ἄλλως τῇ τῶν ὑπομνημάτων ὑποτυπώσει τὸ γλαφυρὸν τῆς θεωρίας. αὐτίκα καὶ ἡ τῆς χρηστομαθίας περιουσία οἷον ἥδυσμά τί ἐστιν παραπεπλεγμένον ἀθλητοῦ βρώματι, οὐ τρυφητιῶντος, ὄρεξιν δὲ ἀγαθὴν <διὰ> φιλοτιμίαν λαμβάνοντος.

E d’altra parte la compita eleganza della cultura si accorda bene con la forma delle nostre note. Già la richezzadi bei pezzi antologici è come una salsa frammischiata al apsto di un atleta, che non è un ghiotone, ma vuole avere un buon appetito per la sua nobile ambizione. Comunque col canto distenderemo in armonia l’eccesiva tensione del nostro grave parlare.

54. Str. IV, 8, 7-8

Τούτου[96] τε αὖ οἱ τοῦ θεοῦ ἄγγελοι σοφώτεροι· «ἠλάττωσας αὐτόν«, φησί, «βραχύ τι παρ’ ἀγγέλους·« οὐ γὰρ ἐπὶ τοῦ κυρίου ἐκδέχονται τὴν γραφήν (καίτοι κἀκεῖνος σάρκα ἔφερεν), ἐπὶ δὲ τοῦ τελείου καὶ γνωστικοῦ τῷ χρόνῳ καὶ τῷ ἐνδύματι ἐλαττουμένου παρὰ τοὺς ἀγγέλους. οὔκουν ἄλλο τι σοφίαν παρὰ τὴν ἐπιστήμην λέγω, ἐπεὶ μὴ διαφέρει ζωή· κοινὸν γὰρ τῇ φύσει τῇ θνητῇ, τουτέστι τῷ ἀνθρώπῳ, πρὸς τὸ ἀθανασίας κατηξιωμένον τὸ ζῆν, ἕξιν θεωρίας τε καὶ ἐγκρατείας θατέρου διαφέροντος.

Più saggi dell’uomo poi sono gli angeli di Dio. Sta scritto: “Lo hai reso inferiore di poco rispetto agli angeli”. Invero non si suole intendere questo testo riletivamente al Signore, benchè anch’Egli avesse un corpo di carne, ma al perfetto “gnostico”, inferiore rispetto agli angeli solo per la durata [della vita mortale] e per il corpo che riveste. Ma la sapienza [umana] non la posso definire altra cosa dalla scienza [angelica], perché la vita è identica; è comune alla natura mortale, cioè all’uomo, vivere guardando all’elemento degno d’immortalità; quest’ultimo eccelle per l’abito alla contemplazione e alla continenza.

55. vedi n. 3: εἰς ἕξιν θεωρίας ἀίδιον καὶ ἀναλλοίωτον

 

56. vedi n. 32: ἀκορέστου θεωρίας εἰλικρινεῖ ἐποπτείᾳ

 

57. Str. VI, 74,1 -75,1

Ἡ μὲν γὰρ γνῶσις συνάσκησιν, ἡ συνάσκησις δὲ ἕξιν ἢ διάθεσιν, ἡ κατάστασις δὲ ἡ τοιάδε ἀπάθειαν ἐργάζεται, οὐ μετριοπάθειαν· ἀπάθειαν γὰρ καρποῦται παντελὴς τῆς ἐπιθυμίας ἐκκοπή. ἀλλ’ οὐδὲ ἐκείνων τῶν θρυλουμένων ἀγαθῶν, τουτέστι τῶν παρακειμένων τοῖς πάθεσιν παθητικῶν ἀγαθῶν, μεταλαμβάνει ὁ γνωστικός, οἷον εὐφροσύνης λέγω (ἥτις παράκειται τῇ ἡδονῇ) καὶ κατηφείας (αὕτη γὰρ τῇ λύπῃ παρέζευκται) καὶ εὐλαβείας (ὑπέσταλκεν γὰρ τῷ φόβῳ), ἀλλ’ οὐδὲ θυμοῦ (παρὰ τὴν ὀργὴν οὗτος τέτακται), κἂν λέγωσί τινες μηκέτ’ εἶναι ταῦτα κακά, ἀλλ’ ἤδη ἀγαθά. ἀδύνατον γὰρ τὸν ἅπαξ τελειωθέντα δι’ ἀγάπης καὶ τὴν ἀπλήρωτον τῆς θεωρίας εὐφροσύνην ἀιδίως καὶ ἀκορέστως ἑστιώμενον ἐπὶ τοῖς μικροῖς καὶ χαμαιζήλοις ἔτι τέρπεσθαι·

La “gnosi” produce infatti esercizio continuato, l’esercizio produce abito o disposizione; e una simili condizione stabile produce assenza di passioni, non moderazione di passioni. Insomma, la recisa, assoluta estirpazione del desiderio ha come fruto l’assenza di passioni. Ma lo “gnostico” non ha a che fare nemmeno con i tanto celebrati beni che sarebbero gli apsetti buoni delle passioni affiancatisi alle passioni stesse: intendo dire, ad esempio, la letizia, che si affianca al piacere, la mestizia (e questa è congiunta al dolore), la cautela, subordinata al timore, e nemmeno quell’emozione appassionata che è coordinata all’ira: tutti aspetti che pure, si vien dicendo, sarebbero non più cattivi, ma buoni. In effetti è impossibile che chi è stato una volta reso perfetto dall’amore e si pasce eternamente, insaziabilmente della incolmabile letizia della contemplazione, anora si diletti delle cose meschine e terenne.[97]

58. Str. VII, 83, 3-4

Διὸ καὶ κατὰ τὴν τῶν κοσμικῶν χρῆσιν οὐ μόνον εὐχαριστεῖ[98] καὶ θαυμάζει τὴν κτίσιν, ἀλλὰ καὶ χρώμενος ὡς προσῆκεν ἐπαινεῖται, ἐπεὶ τὸ τέλος αὐτῷ δι’ ἐνεργείας γνωστικῆς τῆς κατὰ τὰς ἐντολὰς εἰς θεωρίαν περαιοῦται. ἐνθένδε ἤδη, δι’ ἐπιστήμης τὰ ἐφόδια τῆς θεωρίας καρπούμενος μεγαλοφρόνως τε τὸ τῆς γνώσεως ἀναδεξάμενος μέγεθος, πρόεισιν ἐπὶ τὴν ἁγίαν τῆς μεταθέσεως ἀμοιβήν.

Per questo anche nell’uso dei beni mondani [lo gnostico] non solo mostra riconoscenza e ammira la creazione, ma riceve altresì lode perché li usa come conviene, perché attraverso l’attività “gnostica” in conformità dei comandamenti egli tocca la sua meta, la contemplazione. Quindi egli raccoglie ormai mediante la scienza il viatico della contemplazione e abbraccinado nell’esaltazione dell’animo il grande premio della “gnosi”, s’avanza verso la santa remunerazione del trapasso.

59. vedi n. 5: τῇ μεγαλοπρεπείᾳ τῆς θεωρίας

 

60. Str. VII, 44,3-7

Τὰ δὲ ὄντως ἀγαθὰ τὰ περὶ ψυχὴν εὔχεται[99] εἶναί τε αὐτῷ καὶ παραμεῖναι. ταύτῃ οὐδὲ ὀρέγεταί τινος τῶν ἀπόντων, ἀρκούμενος τοῖς παροῦσιν. οὐ γὰρ ἐλλιπὴς τῶν οἰκείων ἀγαθῶν, ἱκανὸς ὢν ἤδη ἑαυτῷ ἐκ τῆς θείας χάριτός τε καὶ γνώσεως· ἀλλὰ αὐτάρκης μὲν γενόμενος ἀνενδεής τε τῶν ἄλλων, τὸ παντοκρατορικὸν δὲ βούλημα ἐγνωκώς, καὶ ἔχων ἅμα καὶ εὐχόμενος, προσεχὴς τῇ πανσθενεῖ δυνάμει γενόμενος, πνευματικὸς εἶναι σπουδάσας διὰ τῆς ἀορίστου ἀγάπης ἥνωται τῷ πνεύματι. οὗτος ὁ μεγαλόφρων, ὁ τὸ πάντων τιμιώτατον, ὁ τὸ πάντων ἀγαθώτατον κατὰ τὴν ἐπιστήμην κεκτημένος, εὔθικτος μὲν κατὰ τὴν προσβολὴν τῆς θεωρίας, ἔμμονον δὲ τὴν τῶν θεωρητῶν δύναμιν ἐν τῇ ψυχῇ κεκτημένος, τουτέστι τὴν διορατικὴν τῆς ἐπιστήμης δριμύτητα. ταύτην δὲ ὡς ἔνι μάλιστα βιάζεται κτήσασθαι τὴν δύναμιν, ἐγκρατὴς γενόμενος «τῶν ἀντιστρατευομένων τῷ νῷ« καὶ τῇ μὲν θεωρίᾳ ἀδιαλείπτως προσεδρεύων, τῇ ἐφεκτικῇ δὲ τῶν ἡδέων καὶ τῇ κατορθωτικῇ τῶν πρακτέων ἐγγυμνασάμενος ἀσκήσει·

Egli chiede comunque di avere e di continuare a possedere i veri beni dell’anima. In tal modo nemmeno aspira a cosa che non ha, contento di ciò che ha al presente; poichè dei beni che gli sono propri non manca, già pago di se stesso in virtù della divina grazia e della divina “gnosi”. È autosufficiente e non bisognoso degli altri: ha conosciuto il volere dell’Onnipotente; egli prega e già insieme possiede, prossimocome è alla Potenza che tutto può. Si adopera pèer raggiungere uno stato spirituale, anzi attraverso l’amore che non conosce limiti è tutt’uno con lo spirito. Egli è l’uomo magnanimo, egli possiede il bene più prezioso di tutti, il massimo di tutti i beni in virtù della scienza. Gli è facile applicarsi alla contemplazione e d’altro lato ha costante, nell’anima, la facoltà di dominare gli oggetti della sua contemplazione, cioè l’acutezza perspicace della scienza. E si sforza al massimo di acquistare questa capacità, una volta che ha vinto con la continenza “l’esercito nemico del suo spirito”: assiduo da un lato nel contemplare senza interruzione, versato dall’altro nell’esercizio che lo conduce a tenere a freno i piaceri e a fare rettamente ciò che si deve fare.

61. vedi n. 34: τῆς τοσαύτης καὶ τηλικαύτης θεωρίας

 

62. Str. II, 46,1 -47,4

Τριῶν τοίνυν τούτων ἀντέχεται ὁ ἡμεδαπὸς φιλόσοφος, πρῶτον μὲν τῆς θεωρίας, δεύτερον δὲ τῆς τῶν ἐντολῶν ἐπιτελέσεως, τρίτον ἀνδρῶν ἀγαθῶν κατασκευῆς·[100] ἃ δὴ συνελθόντα τὸν γνωστικὸν ἐπιτελεῖ. ὅ τι δ’ ἂν ἐνδέῃ τούτων, χωλεύει τὰ τῆς γνώσεως. ὅθεν θείως ἡ γραφή φησι· «καὶ εἶπεν κύριος πρὸς Μωυσῆν λέγων· λάλησον τοῖς υἱοῖς ᾿Ισραὴλ καὶ ἐρεῖς πρὸς αὐτούς· ἐγὼ κύριος ὁ θεὸς ὑμῶν· κατὰ <τὰ> ἐπιτηδεύματα γῆς Αἰγύπτου, ἐν ᾗ κατῳκήσατε ἐν αὐτῇ, οὐ ποιήσετε· καὶ κατὰ τὰ ἐπιτηδεύματα γῆς Χαναάν, εἰς ἣν ἐγὼ εἰσάγω ὑμᾶς ἐκεῖ, οὐ ποιήσετε· καὶ τοῖς νομίμοις αὐτῶν οὐ πορεύσεσθε· τὰ κρίματά μου ποιήσετε καὶ τὰ προστάγματά μου φυλάξεσθε, πορεύεσθαι ἐν αὐτοῖς· ἐγὼ κύριος ὁ θεὸς ὑμῶν. καὶ φυλάξεσθε πάντα τὰ προστάγματά μου, καὶ ποιήσετε αὐτά. ὁ ποιήσας αὐτὰ ἄνθρωπος ζήσεται ἐν αὐτοῖς· ἐγὼ κύριος ὁ θεὸς ὑμῶν.«[101] εἴτ’ οὖν κόσμου καὶ ἀπάτης εἴτε παθῶν καὶ κακιῶν σύμβολον Αἴγυπτος καὶ ἡ Χανανῖτις γῆ, ὧν μὲν ἀφεκτέον, ὁποῖα δὲ ἐπιτηδευτέον ὡς θεῖα καὶ οὐ κοσμικά, ἐπιδείκνυσιν ἡμῖν τὸ λόγιον. ὅταν δὲ εἴπῃ «ὁ ποιήσας ἄνθρωπος ζήσεται ἐν αὐτοῖσ«, τήν τε ῾Εβραίων αὐτῶν ἐπανόρθωσιν τήν τε τῶν πέλας, ἡμῶν αὐτῶν, συνάσκησίν τε καὶ προκοπὴν ζωὴν λέγει αὐτῶν τε καὶ ἡμῶν. «οἱ γὰρ νεκροὶ τοῖς παραπτώμασι συζωοποιοῦνται Χριστῷ« διὰ τῆς ἡμετέρας διαθήκης. πολλάκις δὲ ἐπαναλαμβάνουσα ἡ γραφὴ τὸ «ἐγὼ κύριος ὁ θεὸς ὑμῶν« δυσωπεῖ μὲν διατρεπτικώτατα, ἕπεσθαι διδάσκουσα τῷ τὰς ἐντολὰς δεδωκότι θεῷ, ὑπομιμνῄσκει δὲ ἠρέμα ζητεῖν τὸν θεὸν καὶ ὡς οἷόν τε γινώσκειν ἐπιχειρεῖν, ἥτις ἂν εἴη θεωρία μεγίστη, ἡ ἐποπτική, ἡ τῷ ὄντι ἐπιστήμη, ἡ ἀμετάπτωτος λόγῳ γινομένη. αὕτη ἂν εἴη μόνη ἡ τῆς σοφίας γνῶσις, ἧς οὐδέποτε χωρίζεται ἡ δικαιοπραγία.

Il nostro filosofo si tiene ancorato a questi tre punti: primo, alla contemplazione; secondo, all’attuazione dei comandamaneti; terzo, alla formazione di uomini onesti. Questi elementi, appunto, congiunto insieme, formano lo “gnostico”; e qualunque fra esse manchi, resta monca la “gnosi”. Onde divinamente la Scrittura: “Il Signore parlò a Mosè dicendo: “Parla ai figli di Israel; dì loro: – Io sono il Signore vostro Dio. Secondo le abitudini della terra d’Egitto, dove abitaste, voi non agirete; e secondo le abitudini della terra di Canaan, dove io vi conduco, voi non agirete. Secondo le loro costumanze voi non camminerete. Voi prasticherete i miei decreti e osserverete le mie prescrizioni, per camminare secondo questi. Io sono il Signore vostro Dio. Voi osserverete tutte le mie prescrizioni e le compirete. L’uomo che el compirà vivrà in esse. Io sono il Signore vostro Dio”. Che la terra d’Egitto e di Canaan siano simbolo degli inganni del mondo o simbolo delle passioni e delle malvagità, il passo ci mostra quali siano le cose da cui ci si deve tener lontani e quali viceversa si debbano praticare, in quanto divine e non mondane. E quando dice: “l’uomo che le compirà, vivrà in esse”, vuol significare che la correzione degli Ebrei stessi e il progresso nell’esercizio continuo dei loro vicini, cioè di noi stessi, sono “vita” per loro e per noi. Poiché “i morti per i peccati sono rifatti vivi in Cristo”, attraverso il nostro patto. E con la frequente ripetizione delle parole: “Io sono il Signore vostro Dio”, la Scrittura vuole sgomentarci nel modo più drastico, insegnandoci a seguire Dio che ci ha dato i comandamenti; ma pure delicatamente ci esorta a cercare Dio, a sforzarci di conoscerlo come più si può: ed è senz’altro la più grande contemplazione, quella mistica[102], la verace scienza, non mutabile mediante il ragionamento. Questa sola sarà la “gnosi” della sapienza, da cui mai andrà disgiunta la pratica della giustizia.

63. Str. IV, 21,1 – 22,2[103]

Ὁ δὲ αὐτὸς λόγος καὶ περὶ πενίας, ἐπεὶ καὶ αὕτη τῶν ἀναγκαίων, τῆς θεωρίας λέγω καὶ τῆς καθαρᾶς ἀναμαρτησίας, ἀπασχολεῖν βιάζεται τὴν ψυχήν, περὶ τοὺς πορισμοὺς διατρίβειν ἀναγκάζουσα τὸν μὴ ὅλον ἑαυτὸν δι’ ἀγάπης ἀνατεθεικότα τῷ θεῷ, ὥσπερ ἔμπαλιν ἥ τε ὑγίεια καὶ ἡ τῶν ἐπιτηδείων ἀφθονία ἐλευθέραν καὶ ἀνεμπόδιστον φυλάσσει τὴν ψυχὴν τὴν εὖ χρῆσθαι τοῖς παροῦσι γινώσκουσαν· «θλῖψιν«, γάρ φησιν ὁ ἀπόστολος, «τῇ σαρκὶ ἕξουσιν οἱ τοιοῦτοι, ἐγὼ δὲ ὑμῶν φείδομαι. θέλω γὰρ ὑμᾶς ἀμερίμνους εἶναι πρὸς τὸ εὔσχημον καὶ εὐπάρεδρον τῷ κυρίῳ ἀπερισπάστως.« τούτων οὖν ἀνθεκτέον οὐ δι’ αὐτά, ἀλλὰ διὰ τὸ σῶμα, ἡ δὲ τοῦ σώματος ἐπιμέλεια διὰ τὴν ψυχὴν γίνεται, ἐφ’ ἣν ἡ ἀναφορά. ἐν ταύτῃ γὰρ μαθεῖν ἀνάγκη τὸν γνωστικῶς πολιτευόμενον τὰ προσήκοντα, …

Lo stesso discorso vale anche per la povertà. Anche la povertà costringe l’anima a rinunciare a ciò che è necessario, alludo alla contemplazione e alla condizione di purità e assenza di peccato: costringe colui che non ha ancora dedicato tutto se stesso a Dio per amore, a perder tempo per procurarsi di che vivere. Così, viceversa, la salute e l’abbondanza dei mezzi conserva libera e senza impedimenti l’anima, pur che sappia bene usare di quel che ha.. “Questi avranno tribolazione”, dice l’apostolo, “per la carne; ma io ve la vorrei risparmiare, perché desidero che voi siate senza affanno, al fine di ottenere ciò che è decoroso e sedere accanto al Signore senza esserne distolti”. A questi beni bisogna stare attaccati non per essi in sé, ma per il corpo; e la cura del corpo la si ha in vista dell’anima, cui tutto si riferisce. Proprio in base a questa relazione chi conduce una vita “gnostica” deve apprendere ciò che conviene fare.

64. Str. V, 140,1-3

Δεδειγμένου τοίνυν σαφῶς, ὡς οἶμαι, ὅπως κλέπτας εἰρῆσθαι[104] πρὸς τοῦ κυρίου τοὺς ῞Ελληνας ἐξακουστέον, ἑκὼν παραλείπω τὰ τῶν φιλοσόφων δόγματα. εἰ γὰρ καὶ τὰς λέξεις ἐπίοιμεν αὐτῶν, οὐκ ἂν φθάνοιμεν, πλῆθος ὅσον ὑπομνημάτων συνερανίζοντες, ἐκ τῆς βαρβάρου φιλοσοφίας πᾶσαν φερομένην τὴν παρ’ ῞Ελλησιν ἐνδεικνύμενοι σοφίαν. ἧς θεωρίας οὐδὲν ἧττον αὖθις ἐφαψόμεθα κατὰ τὸ ἀναγκαῖον, ὁπηνίκα ἂν τὰς περὶ ἀρχῶν δόξας τὰς παρ’ ῞Ελλησι φερομένας ἀναλεγώμεθα.

Ma giacché si è dimostrato chiaramente, mi pare, come si debba intendere il concetto che i Greci furono detti “ladri” dal Signore, tralascio deliberatamente le opinioni dei filosofi. Se infatti citassimo le loro parole, non avremmo il tempo di mostrare che la sapienza dei Greci deriva tutta dalla filosofia “barbara” – a meno di accumulare una congerie altrettanto grande di note. Tuttavia toccheremo poi l’argomento secondo che bisognerà, quando passeremo in rassegna le teorie avanzate dai Greci sui principi.

65. Str. VI, 4,2[105]

᾿Επεὶ γὰρ παρεστήσαμεν τὸ συμβολικὸν εἶδος ἀρχαῖον εἶναι, κεχρῆσθαι δὲ αὐτῷ οὐ μόνον τοὺς προφήτας τοὺς παρ’ ἡμῖν, ἀλλὰ καὶ τῶν ῾Ελλήνων τῶν παλαιῶν τοὺς πλείονας καὶ τῶν ἄλλων τῶν κατὰ τὰ ἔθνη βαρβάρων οὐκ ὀλίγους, ἐχρῆν δὲ καὶ τὰ μυστήρια ἐπελθεῖν τῶν τελουμένων· ταῦτα μὲν ὑπερτίθεμαι διασαφήσων, ὁπηνίκα ἂν τὰ περὶ ἀρχῶν τοῖς ῞Ελλησιν[106] εἰρημένα ἐπιόντες διελέγχωμεν· τῆσδε γὰρ ἔχεσθαι τῆς θεωρίας ἐπιδείξομεν καὶ τὰ μυστήρια·

Dimostrata l’antichità del simbolismo e il suo uso non solo da parte dei nostri profeti, ma anche dei più fra i Greci antichi e di non poche fra le altre stirpi di “barbari”, bisognerebbe anche trattare dei misteri degli iniziati. Io però ne rinvio l’indagine a quando farò una rassegna critica delle opinioni espresse dai Greci sui principi, perché come dimostreremo, da queste teorie dipendono anche [le ideologie dei] misteri.

66. Str. V, 1,4-5[107]

Καὶ ἵνα τις πιστεύσῃ τῷ υἱῷ, γνῶναι δεῖ τὸν πατέρα πρὸς ὃν καὶ ὁ υἱός. αὖθίς τε ἵνα τὸν πατέρα ἐπιγνῶμεν, πιστεῦσαι δεῖ τῷ υἱῷ, ὅτι ὁ τοῦ θεοῦ υἱὸς διδάσκει· ἐκ πίστεως γὰρ εἰς γνῶσιν, διὰ υἱοῦ πατήρ· γνῶσις δὲ υἱοῦ καὶ πατρὸς ἡ κατὰ τὸν κανόνα τὸν γνωστικὸν τὸν τῷ ὄντι γνωστικὸν ἐπιβολὴ καὶ διάληψίς ἐστιν ἀληθείας διὰ τῆς ἀληθείας. ἡμεῖς ἄρα ἐσμὲν οἱ ἐν τῷ ἀπιστουμένῳ πιστοὶ καὶ οἱ ἐν τῷ ἀγνώστῳ γνωστικοί, τουτέστιν ἐν τῷ πᾶσιν ἀγνοουμένῳ καὶ ἀπιστουμένῳ, ὀλίγοις δὲ πιστευομένῳ τε καὶ γινωσκομένῳ γνωστικοί· γνωστικοὶ δὲ οὐ λόγῳ, ἔργα ἀπογραφόμενοι, ἀλλ’ αὐτῇ τῇ θεωρίᾳ.

Quindi perché uno creda nel Figlio, bisogna conoscere il Padre, cui il Figlio stesso si riconduce; e viceversa per conoscere il Padre dobbiamo credere nel Figlio, perché il Figlio di Dio ce lo insegna. Dalla fede alla “gnosi”, attraverso il Figlio il Padre: e “gnosi” del Figlio e del Padre è il conseguimento e il discernimento della verità attraverso la verità, secondo il canone “gnostico” – quello che è veramente “gnostico”. Noi siamo così i fedeli in ciò che non è creduto e gli “gnostici” in ciò che non è conosciuto: vale a dire “gnostici” in ciò che da tutti è misconosciuto e non creduto, e solo da pochi creduto e conosciuto. “Gnostici” non a parole, cioè con la promessa di operare, ma nella contemplazione stessa.

67. Str. IV, 39,1 – 40,1

᾿Επεὶ δὲ τῶν ἀπαγόντων εἰς τὴν τελείωσιν τῆς σωτηρίας ὁδοὶ εὑρίσκονται δύο, ἔργα καὶ γνῶσις, μακαρίους εἶπεν τοὺς καθαροὺς τὴν καρδίαν, ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται. κἂν τῷ ὄντι τὸ ἀληθὲς σκοπῶμεν, ἡ γνῶσις, <ᾗ> τοῦ ἡγεμονικοῦ τῆς ψυχῆς κάθαρσίς ἐστι, καὶ ἐνέργειά ἐστιν ἀγαθή. ἀγαθὰ γοῦν τὰ μὲν αὐτὰ καθ’ ἑαυτά, τὰ δὲ μετέχοντα τῶν ἀγαθῶν, ὡς τὰς καλὰς πράξεις φαμέν· ἄνευ δὲ τῶν μεταξύ, ἃ δὴ ὕλης ἐπέχει τάξιν, οὔθ’ αἱ ἀγαθαὶ οὔθ’ αἱ κακαὶ συνίστανται πράξεις, οἷον ζωῆς λέγω καὶ ὑγιείας τῶν τε ἄλλων τῶν ἀναγκαίων ἢ περιστατικῶν. καθαροὺς οὖν κατὰ τὰς σωματικὰς ἐπιθυμίας καὶ ἁγίους τοὺς διαλογισμοὺς τοὺς εἰς ἐπίγνωσιν τοῦ θεοῦ ἀφικνουμένους εἶναι βούλεται, ἵνα μηδὲν ἔχῃ νόθον ἐπιπροσθοῦν τῇ δυνάμει ἑαυτοῦ τὸ ἡγεμονικόν. ὅταν τοίνυν ἐνδιατρίψῃ τῇ θεωρίᾳ, τῷ θείῳ καθαρῶς ὁμιλῶν, ὁ γνωστικῶς μετέχων τῆς ἁγίας ποιότητος, προσεχέστερον ἐν ἕξει γίνεται ταὐτότητος ἀπαθοῦς, ὡς μηκέτι ἐπιστήμην ἔχειν καὶ γνῶσιν κεκτῆσθαι, ἐπιστήμην δὲ εἶναι καὶ γνῶσιν.

Siccome poi due si rivelano le vie per coloro che si dirigono alla perfezione della salvezza, e cioè opere e “gnosi”, [il Signore] proclamò “beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio”. E se davvero osserviamo la verità, la “gnosi” per cui si ottiene la purificazione della parte – giuda dell’anima, è anche attività di bene. Buone, comunque, noi diciamo alcune cose in sé e per sé, altre in quanto partecipano del bene, come ad es. “le buone azioni”. Ma senza ciò che è intermedio, che tiene luogo di materia, non si hanno azioni né buone né cattive: alludo alla vita, alla salute e alle altre circostanze necessarie o accidentali. Ora, [il Signore] vuole che siano puri quanto ai desideri corporei e santi nei pensieri coloro che giungono alla “gnosi” di Dio, perché la parte-giuda [della loro anima] nulla abbia di guasto che faccia da schermo alla sua potenza. Quando dunque vive nella contemplazione, nella pura consuetudine con il divino, colui che partecipa in modo “gnostico” alla santa qualità [di tale vita] si avvicina vieppiù in abitudine alla Identità senza passioni, tanto che non più ha scienza, non più possiede “gnosi”, ma è scienza e “gnosi”.

68. vedi n. 52: τῇ τῆς γνώσεως ἀγάπῃ ἐπιβεβληκότος τῇ θεωρίᾳ

 

69. vedi n. 60: τῇ μὲν θεωρίᾳ ἀδιαλείπτως προσεδρεύων

 

70. Str. IV 99,1 – 100,3[108]

«Καρδίᾳ μὲν πιστεύεται εἰς δικαιοσύνην, στόματι δὲ ὁμολογεῖται εἰς σωτηρίαν. λέγει γοῦν ἡ γραφή· πᾶς ὁ πιστεύων ἐπ’ αὐτῷ οὐ καταισχυνθήσεται.« «τοῦτ’ ἔστι τὸ ῥῆμα τῆς πίστεως ὃ κηρύσσομεν, ὅτι ἐὰν ὁμολογήσῃς τὸ ῥῆμα τῷ στόματί σου ὅτι κύριος ᾿Ιησοῦς καὶ πιστεύσῃς ἐν τῇ καρδίᾳ σου ὅτι ὁ θεὸς ἤγειρεν αὐτὸν ἐκ νεκρῶν, σωθήσῃ.« ἄντικρυς τελείαν δικαιοσύνην ὑπογράφει ἔργῳ τε καὶ θεωρίᾳ πεπληρωμένην. «εὐλογητέον οὖν τοὺς διώκοντας· εὐλογεῖτε καὶ μὴ καταρᾶσθε.« «ἡ γὰρ καύχησις ἡμῶν αὕτη ἐστί, τὸ μαρτύριον τῆς συνειδήσεως ἡμῶν, ὅτι ἐν ἁγιότητι καὶ εἰλικρινείᾳ« θεὸν ἔγνωμεν, di’ ὀλίγης ταύτης προφάσεως τὸ τῆς ἀγάπης ἔργον ἐνδεικνύμενοι, ὅτι «οὐκ ἐν σοφίᾳ σαρκικῇ, ἀλλ’ ἐν χάριτι θεοῦ ἀνεστράφημεν ἐν τῷ κόσμῳ«. ταῦτα μὲν περὶ τῆς γνώσεως ὁ ἀπόστολος· τὴν δὲ κοινὴν διδασκαλίαν τῆς πίστεως «ὀσμὴν γνώσεωσ« εἴρηκεν ἐν τῇ δευτέρᾳ πρὸς Κορινθίους. «ἄχρι γὰρ τῆς σήμερον ἡμέρας τὸ αὐτὸ κάλυμμα τοῖς πολλοῖς ἐπὶ τῇ ἀναγνώσει τῆς παλαιᾶς διαθήκης μένει, μὴ ἀνακαλυπτόμενον« κατὰ τὴν πρὸς τὸν κύριον ἐπιστροφήν. διὰ τοῦτο καὶ ἀνάστασιν ἔδειξε τοῖς διορᾶν δυναμένοις τὴν ἔτι ἐν σαρκὶ τοῦ βίου <τοῦ> ἕρποντος ἐπὶ κοιλίαν.

“Con il cuore si crede per avere giustizia, con la bocca si confessa la fede per avere salvezza. In ogni caso la Scrittura dice: “Chiunque crede in Lui non avrà ignominia”.[109] “Questa è la parola della fede che noi predichiamo: se confesserai con la tua bocca la parola che Gesù è Signore, e crederai nel tuo cuore che Dio lo risuscitò dai morti, sarai salvo”.[110] [L’apostolo] tratteggia qui una giustizia assolutamente perfetta, come completa di azione e di contemplazione. “Bisogna benedire chi ci perseguita; benedite e non imprecate”.[111] “poiché questo è il nostro vanto: la testimonianza della nostra coscienza, che in santità e sincerità” riconoscemmo Dio, dimostrando in noi l’opera dell’amore attraverso questa piccola occasione, ché “non in sapienza carnale, ma in grazia di Dio ci siamo diportati nel mondo”.[112] Questo dice l’apostolo della “gnosi”, definendo poi “profumo di gnosi”[113] l’insegnamento comune della fede, nella 2a Lettera ai Corinzi. “infatti fino ad oggi rimane lo stesso velo” per i più “nella lettura dell’Antico Testamento, non essendo aperto” per la conversione al Signore. Per questo [il Signore] mostrò, a coloro che sanno distinguere, [la possibilità di] una resurrezione, quella che avviene, ancora nella carne, dalla vita che striscia sul ventre.

71. vedi n. 13: καὶ ἄνευ θεωρίας παραδεξαμένη τὸν ἀρχικὸν λόγον

 

72. vedi n. 13: ἄνευ θεωρίας τῶν πρώτων αἰτίων

 

73. Str. VII, 77,6 – 78,2

αὐτὸς[114] ἑαυτὸν μειονεκτεῖ πρὸς τὸ μὴ ὑπεριδεῖν ποτε ἐν θλίψει γενόμενον ἀδελφὸν διὰ τὴν ἐν τῇ ἀγάπῃ τελείωσιν, ἐὰν ἐπίστηται μάλιστα ῥᾷον ἑαυτὸν τοῦ ἀδελφοῦ τὴν ἔνδειαν οἴσοντα. ῾Ηγεῖται γοῦν τὴν ἀλγηδόνα ἐκείνου ἴδιον ἄλγημα· κἂν ἐκ τῆς ἑαυτοῦ ἐνδείας παρεχόμενος δι’ εὐποιίαν πάθῃ τι δύσκολον, οὐ δυσχεραίνει ἐπὶ τούτῳ, προσαύξει δὲ ἔτι μᾶλλον τὴν εὐεργεσίαν. ἔχει γὰρ ἄκρατον πίστιν τὴν περὶ τῶν πραγμάτων, τὸ εὐαγγέλιον δι’ ἔργων καὶ θεωρίας ἐπαινῶν. καὶ δὴ «οὐ τὸν ἔπαινον παρὰ ἀνθρώπων, ἀλλὰ παρὰ τοῦ θεοῦ« καρποῦται, ἃ ἐδίδαξεν ὁ κύριος, ταῦτα ἐπιτελῶν.

Per il suo amore intimamente perfetto egli rimpicciolisce se stesso, per non porsi mai nella condizione di non vedere un fratello caduto in afflizione, specialmente se si rende conto di saper tollerare le angustie meglio del fratello. Comunque ritiene sua propria pena la sofferenza di lui. E anche se, per la sua bontà nel donare dalla propria ristrettezza, patisce qualche incresciosa conseguenza, non perciò si rammarica, anzi accresce vieppiù la generosità. Scevra di dubbi infatti è la fede che egli ha circa la sua condotta di vita, perché approva il Vangelo attraverso azioni pratiche e contemplazione. Così non guadagna “lode dagli uomini, ma da Dio”, poiché mette in pratica gli insegnamenti del Signore.

74. vedi n. 58: τὸ τέλος αὐτῷ δι’ ἐνεργείας γνωστικῆς τῆς κατὰ τὰς ἐντολὰς εἰς θεωρίαν περαιοῦται.

 

75. Citazione non dagli Stromati.

 

76. Str. V, 53,5 – 54,4:

«Ἐὰν δέ τις ἀνοίξῃ λάκκον ἢ λατομήσῃ«, φησί, «καὶ μὴ καλύψῃ αὐτόν, ἐμπέσῃ δ’ ἐκεῖ μόσχος ἢ ὄνος, ὁ κύριος τοῦ λάκκου ἀποτίσει ἀργύριον καὶ δώσει τῷ πλησίον, τὸ δὲ τεθνηκὸς αὐτῷ ἔσται.« ἐνταῦθά μοι τὴν προφητείαν ἐκείνην ἔπαγε· «ἔγνω βοῦς τὸν κτησάμενον καὶ ὄνος τὴν φάτνην τοῦ κυρίου αὐτοῦ, ᾿Ισραὴλ δέ με οὐ συνῆκεν.« ἵνα οὖν μή τις τούτων, ἐμπεσὼν εἰς τὴν ὑπὸ σοῦ διδασκομένην γνῶσιν, ἀκρατὴς γενόμενος τῆς ἀληθείας, παρακούσῃ τε καὶ παραπέσῃ, ἀσφαλής, φησί, περὶ τὴν χρῆσιν τοῦ λόγου γίνου, καὶ πρὸς μὲν τοὺς ἀλόγως προσιόντας ἀπόκλειε τὴν ζῶσαν ἐν βάθει πηγήν, ποτὸν δὲ ὄρεγε τοῖς τῆς ἀληθείας δεδιψηκόσιν. ἐπικρυπτόμενος δ’ οὖν πρὸς τοὺς οὐχ οἵους τε ὄντας παραδέξασθαι τὸ «βάθος τῆς γνώσεωσ« κατακάλυπτε τὸν λάκκον. ὁ κύριος οὖν τοῦ λάκκου, ὁ γνωστικὸς αὐτός, ζημιωθήσεται, φησί, τὴν αἰτίαν ὑπέχων τοῦ σκανδαλισθέντος ἤτοι καταποθέντος τῷ μεγέθει τοῦ λόγου, μικρολόγου ἔτι ὄντος, ἢ μετακινήσας τὸν ἐργάτην ἐπὶ τὴν θεωρίαν καὶ ἀποστήσας διὰ προφάσεως τῆς αὐτοσχεδίου πίστεως. «ἀργύριον δὲ δώσει«, τῷ παντοκρατορικῷ βουλήματι ὑπέχων λόγον καὶ εὐθύνας.

Del resto dice [la Scrittura]: “Se uno lascia aperta una cisterna o la scava e non la copre, e ci cada dentro un vitello o un asino, il padrone della cisterna pagherà denaro e risarcirà il vicino, ma la bestia morta sarà sua”.[115] A questo punto aggiungi il celebre versetto del profeta: “Il bue conosce il suo possessore e l’asino la greppia del suo padrone: ma Israele non conosce me”.[116] E vuol dire: perché nessuno di quelli, imbattutosi nella “gnosi” da te insegnata, ma incapace di contenere la verità, fraintenda e cada, sii cauto nell’uso della parola: di fronte a quelli che si accostano in modo irrazionale, chiudi la fonte che vive nel profondo, e dà invece da bere a quelli che sono assetati della verità. Insomma, nascondendola a quanti non sono in grado di accogliere “la profondità della gnosi”[117], copri la cisterna. Pertanto “il padrone della cisterna”, lo stesso “gnostico”, dice [la Scrittura], sarà soggetto a multa, perché responsabile del fatto che uno, troppo gretto ancora, sia rimasto offeso o sommerso dalla grandiosità del Logos, o dell’aver fatto accostare l’operaio manuale alla contemplazione, distolto con questo pretesto dalla sua fede improvvisa e rozza. Egli quindi “pagherà denaro” alla volontà onnipotente rendendo debitamente conto.

77. Str. VI, 167,2 – 168,4

Καθάπερ οὖν ἀνδριάντα[118] ἀποπλασάμενοι τοῦ γνωστικοῦ, ἤδη μὲν ἐπεδείξαμεν, οἷός ἐστι, μέγεθός τε καὶ κάλλος ἤθους αὐτοῦ ὡς ἐν ὑπογραφῇ δηλώσαντες· ὁποῖος γὰρ κατὰ τὴν θεωρίαν ἐν τοῖς φυσικοῖς, μετὰ ταῦτα δηλωθήσεται, ἐπὰν περὶ γενέσεως κόσμου[119] διαλαμβάνειν ἀρξώμεθα.[120]

Per concludere, abbiamo per così dire modellato “la statua” dello “gnostico”; abbiamo mostrato quale egli è, delineato come in un abbozzo la magnanimità e la bellezza dei suoi costumi. Il suo effettivo atteggiamento nella speculazione contemplativa lo si vedrà poi, nei discorsi sulla fisica, quando cominceremo a trattare dell’origine del mondo.

78. vedi n. 52: ἀγωγὸν δὲ τὸ ἐραστὸν πρὸς τὴν ἑαυτοῦ θεωρίαν παντὸς τοῦ ὅλον ἑαυτὸν τῇ τῆς γνώσεως ἀγάπῃ ἐπιβεβληκότος τῇ θεωρίᾳ.

 

79. Str. VI, 91,1 – 5

Συνεργὰ τοίνυν φιλοσοφίας τὰ μαθήματα καὶ αὐτὴ ἡ φιλοσοφία εἰς τὸ περὶ ἀληθείας διαλαβεῖν. αὐτίκα ἡ χλαμὺς πόκος ἦν τὸ πρῶτον, εἶτα ἐξάνθη κρόκη τε ἐγένετο καὶ στήμων, καὶ τότε ὑφάνθη. προπαρασκευασθῆναι τοίνυν τὴν ψυχὴν καὶ ποικίλως ἐργασθῆναι χρή, εἰ μέλλοι ἀρίστη κατασκευάζεσθαι, ἐπεὶ τῆς ἀληθείας τὸ μέν ἐστι γνωστικόν, τὸ δὲ ποιητικόν, ἐρρύηκεν δὲ ἀπὸ τοῦ θεωρητικοῦ, δεῖται δὲ ἀσκήσεως καὶ συγγυμνασίας πολλῆς καὶ ἐμπειρίας. ἀλλὰ καὶ τοῦ θεωρητικοῦ τὸ μέν τί ἐστι πρὸς τοὺς πέλας, τὸ δὲ ὡς πρὸς αὐτόν. διόπερ καὶ τὴν παιδείαν οὕτως χρὴ συνεσκευάσθαι, ὥστε ἀμφοτέροις ἐνηρμόσθαι. ἔνεστι μὲν οὖν αὐτάρκως τὰ συνεκτικὰ τῶν πρὸς γνῶσιν φερόντων ἐκμαθόντα ἐφ’ ἡσυχίας τοῦ λοιποῦ μένειν ἀναπεπαυμένον, κατευθύνοντα τὰς πράξεις πρὸς τὴν θεωρίαν· διὰ δὲ τὴν τῶν πέλας ὠφέλειαν τῶν μὲν ἐπὶ τὸ γράφειν ἱεμένων, τῶν δὲ ἐπὶ τὸ παραδιδόναι στελλομένων τὸν λόγον ἥ τε ἄλλη παιδεία χρήσιμος ἥ τε τῶν γραφῶν τῶν κυριακῶν ἀνάγνωσις εἰς ἀπόδειξιν τῶν λεγομένων ἀναγκαία, καὶ μάλιστα, ἐὰν ἀπὸ τῆς ῾Ελληνικῆς ἀνάγωνται παιδείας οἱ ἐπαΐοντες.

Tute le discipline sono dunque un aiuto della filosofia; la filosofia stessa è un aiuto a comprendere[121] la verità. Ecco una veste: prima era lana greggia; fu poi cardata e divenne filo per il tessuto, e ordito; poi fu tessuta. Così l’anima va preparata prima e variamente lavorata, se deve essere condotta alla perfezione. Poiché della verità una parte è “gnostica”, un’altra volta al fare, però deriva dall’aspetto teoretico ed ha bisogno di esercizio, addestramento molto e pratica.[122] A sua volta anche della contemplazione un aspetto è rivolto verso il prossimo, un altro verso se stesso, onde anche l’educazione deve essere impostata in modo che sia adeguata ad entrambi. Ora chi ha appreso sufficientemente le linee comprensive delle nozioni conducenti alla “gnosi” può restarsene in tranquilla pace per il futuro, dirigendo le azioni secondo la contemplazione; per quanto poi riguarda il profitto del prossimo, poiché alcuni si dedicano allo scrivere, altri si preparano a tramandare oralmente il Logos, riesce utile la cultura in genere e in particolare è necessaria la lettura delle Scritture del Signore per la dimostrazione di quanto si viene dicendo, soprattutto se gli ascoltatori provengono dalla cultura greca.

80. Str. I, 10, 1-5[123]

Ὅτῳ δὲ ἀπήμβλυται κακῇ τροφῇ τε καὶ διδασκαλίᾳ «τὸ τῆς ψυχῆς ὄμμα«[124] πρὸς τὸ οἰκεῖον φῶς, βαδιζέτω ἐπὶ τὴν ἀλήθειαν τὴν ἐγγράφως τὰ ἄγραφα δηλοῦσαν· «οἱ διψῶντες, πορεύεσθε ἐφ’ ὕδωρ«[125], ῾Ησαΐας λέγει, καὶ «πῖνε τὸ ὕδωρ ἀπὸ σῶν ἀγγείων«[126], ὁ Σολομὼν παραινεῖ. ἐν γοῦν τοῖς Νόμοις ὁ ἐξ ῾Εβραίων φιλόσοφος Πλάτων κελεύει τοὺς γεωργοὺς μὴ ἐπαρδεῦσαι μηδὲ λαμβάνειν ὕδωρ παρ’ ἑτέρων. ἐὰν μὴ πρότερον ὀρύξαντες παρ’ αὑτοῖς ἄχρι τῆς παρθενίου καλουμένης ἄνυδρον εὕρωσι τὴν γῆν.[127] ἀπορίᾳ γὰρ ἐπαρκεῖν [οὐ] δίκαιον, ἀργίαν δὲ ἐφοδιάζειν οὐ καλόν·[128] ᾗ καὶ φορτίον συνεπιτιθέναι μὲν εὔλογον, συγκαθαιρεῖν δὲ οὐ προσήκειν ὁ Πυθαγόρας ἔλεγεν. συνεξάπτει δὲ ἡ γραφὴ τὸ ζώπυρον τῆς ψυχῆς καὶ συντείνει τὸ οἰκεῖον ὄμμα πρὸς θεωρίαν, τάχα μέν τι καὶ ἐντιθεῖσα, οἷον ὁ ἐγκεντρίζων γεωργός, τὸ δὲ ἐνυπάρχον ἀνακινοῦσα. «πολλοὶ γὰρ ἐν ἡμῖν« κατὰ τὸν θεῖον ἀπόστολον «ἀσθενεῖς καὶ ἄρρωστοι, καὶ κοιμῶνται ἱκανοί. εἰ δὲ ἑαυτοὺς διεκρίνομεν, οὐκ ἂν ἐκρινόμεθα.«[129]

Chi ha “l’occhio dell’anima” offuscato, per nutrimento ed educazione cattivi, rispetto alla luce che gli è propria, s’incammini verso la verità che rivela nelle Scritture ciò che non può essere scritto. Dice Isaia: “Andate verso l’acqua, voi che avete sete”; e Salomone consiglia: “Bevi l’acqua attinta alle tue cisterne”. E Platone, il filosofo ammaestrato dagli Ebrei, comanda nelle Leggi che gli agricoltori non derivino l’acqua da altri per irrigazione, se prima non abbaino fatto scavi nel loro terreno fino allo strato detto “vergine” e non l’abbaino riscontrato privo di vene d’acqua: “infatti è giusto soccorrere il bisogno, ma favorire la pigrizia non è bene”; se è vero che anche Pitagora diceva cosa ragionevole aiutare uno a caricarsi un fardello, ma non conveniente aiutarlo a deporlo. La Scrittura poi aiuta ad accenderla scintilla dell’anima e indirizza il suo occhio verso la contemplazione, forse anche inoculando qualche [nuovo] germe, come l’agricoltore che innesta, ma certo ravvivando la sua già presente potenza. Come dice il divino apostolo, “molti fra voi sono deboli e malati, e in buon numero sono morti. Ma se ci giudicassimo da noi, non saremmo sottoposti al giudizio”.

81. Str. I, 165,3 – 166,4

Τοῦ δὲ πολιτικοῦ δύο εἴδη λέγει[130], τὸ μὲν νομικόν, τὸ δὲ πολιτικὸν ὁμωνύμως ὠνομασμένον, καὶ πολιτικὸν μὲν κυρίως αἰνίττεται τὸν δημιουργὸν ἐν τῷ ὁμωνύμῳ βιβλίῳ τούς τε εἰς αὐτὸν ἀφορῶντας καὶ βιοῦντας ἐνεργῶς καὶ δικαίως σὺν καὶ τῇ θεωρίᾳ καὶ αὐτοὺς πολιτικοὺς ὀνομάζει, τὸ δὲ ἐπ’ ἴσης τῷ νομικῷ κεκλημένον πολιτικὸν εἴς τε κοσμικὴν μεγαλόνοιαν διαιρεῖ εἴς τε ἰδιωτικὴν σύνταξιν, ἣν κοσμιότητα καὶ ἁρμονίαν καὶ σωφροσύνην ὠνόμασεν, ὅταν ἄρχοντες μὲν πρέπωσι τοῖς ἀρχομένοις, πειθήνιοι δὲ οἱ ἀρχόμενοι τοῖς ἄρχουσι γίγνωνται, ὅπερ ἡ κατὰ Μωυσέα πραγματεία διὰ σπουδῆς ἔχει γενέσθαι. ἔτι τὸ μὲν νομικὸν πρὸς γενέσεως εἶναι, τὸ πολιτικὸν δὲ πρὸς φιλίας καὶ ὁμονοίας ὁ Πλάτων ὠφεληθείς, τοῖς μὲν Νόμοις τὸν φιλόσοφον τὸν ἐν τῇ ᾿Επινομίδι[131] συνέταξεν, τὸν τὴν διέξοδον πάσης γενέσεως [τῆσ] διὰ τῶν πλανωμένων εἰδότα. φιλόσοφον δὲ ἄλλον τὸν Τίμαιον, ὄντα ἀστρονομικὸν καὶ θεωρητικὸν τῆς ἐκείνων φορᾶς συμπαθείας τε καὶ κοινωνίας τῆς πρὸς ἄλληλα, ἑπομένως τῇ Πολιτείᾳ συνάπτει. ἔπειτα **[132]. τέλος γὰρ οἶμαι τοῦ τε πολιτικοῦ τοῦ τε κατὰ νόμον βιοῦντος ἡ θεωρία· ἀναγκαῖον γοῦν τὸ πολιτεύεσθαι ὀρθῶς, ἄριστον δὲ τὸ φιλοσοφεῖν. ὁ γὰρ νοῦν ἔχων πάντα τὰ αὑτοῦ εἰς γνῶσιν συντείνας βιώσειεν, κατευθύνας μὲν τὸν βίον ἔργοις ἀγαθοῖς, ἀτιμάσας δὲ τὰ ἐναντία τά τε πρὸς ἀλήθειαν συλλαμβανόμενα μεθέπων μαθήματα. νόμος δέ ἐστιν οὐ τὰ νομιζόμενα (οὐδὲ γὰρ τὰ ὁρώμενα ὅρασισ) οὐδὲ δόξα πᾶσα (οὐ γὰρ καὶ ἡ πονηρά), ἀλλὰ νόμος ἐστὶ χρηστὴ δόξα, χρηστὴ δὲ ἡ ἀληθής, ἀληθὴς δὲ ἡ τὸ ὂν εὑρίσκουσα καὶ τούτου τυγχάνουσα· «ὁ ὢν δὲ ἐξαπέσταλκέν με,«[133] φησὶν ὁ Μωυσῆς.

Della scienza politica poi [Platone] sostiene che ci sono due aspetti, l’uno che riguarda la legislazione, l’altro denominato con lo stesso nome, politico[134], e con questo nome “politico” in senso proprio designa nel dialogo dello stesso titolo il demiurgo; e quelli che tengono l’occhio rivolto a lui e vivono una vita operosa e giusta, congiunta alla contemplazione, anche questi li chiama “politici”. La politica poi nel senso della legislazione è da lui suddivisa in “ampiezza di provvidenza cosmica” e “capacità d’ordinamento privato”, che denomina ordine, armonia, saggezza. Ciò si ha quando i capi adeguano ai sudditi e i sudditi sono portati alla obbedienza verso i capi: appunto quello della cui attuazione tutta l’attività di Mosè si preoccupò. Inoltre Platone aveva appreso che la scienza della legislazione è legata alle origini [dei gruppi umani], la politica invece al mantenimento dell’amicizia e della concordia. E così fece seguire alle Leggi il filosofo dell’Epinomide, che conosce lo sviluppo di ogni generazione attraverso il moto dei pianeti, e introduce subito di seguito alla Repubblica un altro filosofo, Timeo, che era anche astronomo e speculava le loro orbite e le loro armonie e congiungimenti reciproci. Scopo infatti, così io penso, dell’uomo politico come di colui che vive secondo la legge è la contemplazione; sicché se fare politica rettamente è necessario, il meglio però è filosofare. Così chi ha senno vivrà protendendo tutte le sue energie verso la “gnosi”: renderà retta tutta la sua vita con opere buone, disprezzerà le contrarie e perseguirà le discipline che aiutano alla [scoperta della] verità. Legge non è ogni usanza (come non ciò che si vede costituisce la visione), né qualunque opinione (perché non è legge anche l’opinione cattiva). Legge è la buona opinione, e buona opinione è la vera opinione; e la vera è quella che scopre l’essere e lo raggiunge. “Mi ha inviato Colui che è”, dice Mosè.

82. Str. VII, 74,6 – 9

Τὴν γὰρ τῶν κακούργων ἐν τοῖς σταδίοις ἐπιτελουμένην τιμωρίαν καὶ παίδων ἐστὶ μὴ θεάσασθαι. οὐ γὰρ ἔστιν ὅπως ὑπὸ τοιούτων παιδευθείη ποτ’ ἂν ὁ γνωστικὸς ἢ τερφθείη, ἐκ προαιρέσεως καλὸς καὶ ἀγαθὸς εἶναι συνασκήσας καὶ ταύτῃ ἄτεγκτος ἡδοναῖς γενόμενος· οὔποτε ὑποπίπτων ἁμαρτήμασιν, ἀλλοτρίων κακῶν ὑποδείγμασιν οὐ παιδεύεται· πολλοῦ γε δεῖ ταῖς ἐπιγείοις ἡδοναῖς τε καὶ θεωρίαις εὐαρεστεῖσθαι τοῦτον, ὃς καὶ τῶν κοσμικῶν καίτοι θείων ὄντων ἐπαγγελιῶν κατεμεγαλοφρόνησεν. «οὐ πᾶς ἄρα ὁ λέγων κύριε κύριε εἰσελεύσεται εἰς τὴν βασιλείαν τοῦ θεοῦ, ἀλλ’ ὁ ποιῶν τὸ θέλημα τοῦ θεοῦ.«[135] οὗτος δ’ ἂν εἴη ὁ γνωστικὸς ἐργάτης, ὁ κρατῶν μὲν «τῶν κοσμικῶν ἐπιθυμιῶν«[136] ἐν αὐτῇ ἔτι τῇ σαρκὶ ὤν, περὶ δὲ ὧν ἔγνω, τῶν μελλόντων καὶ ἔτι ἀοράτων, πεπεισμένος ἀκριβῶς ὡς μᾶλλον ἡγεῖσθαι τῶν ἐν ποσὶ παρεῖναι ταῦτα.

Infatti anche i bambini è bene che non assistano alle punizioni dei malfattori eseguite negli stadi: e non è certo possibile che da simili spettacoli sia mai edificato lo “gnostico” o ne tragga diletto, che si è per la sua libera scelta esercitato ad essere onesto e buono ed è così divenuto insensibile ad ogni piacere. Mai esposto a cadere in peccato, non si educa con l’esempio di altrui guai: è quindi ben lontano dal trovare soddisfazione nei piaceri e negli spettacoli tereni, se ha disprezzato le promesse, sia pure fatte da Dio, delle gioie mondane. “Non chiunque che dice «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa volontà di Dio”: e questi sarà l’operaio “gnostico”, colui che soggioga “i desideri mondani” fin quando è ancora nella carne, e delle cose future e tuttora impossibili a vedersi, di cui ha raggiunto la “gnosi”, è perfettamente persuaso, tanto da ritenerle presenti più di quelle che ha attualmente davanti a sé.

1.2 Commento all’analisi testuale

1.2.1 Il vocabolario relativo alla θεωρία

Lo studio del vocabolario nei Padri greci: essi usano una gran quantità di parole utilizzate nel contesto della contemplazione, ossia visione.

Con la stessa radice di θεωρία:

  1. θέαμα = spettacolo
  2. θεώρημα = un “teorema”, elemento di scienza
  3. θεατής, θεωρητής, θεωρός = colui che è contemplatore del Logos
  4. ὁ θεωρητικός, τὸ θεωρητικόν, ἡ θεωρητικὴ = che contempla.

Dal verbo ὁρᾶν:

  1. ὅρασις = sia la facoltà della visione spirituale che l’oggetto di questa visione
  2. τὸ διορατικόν = la perspicacia, la visione interiore delle cose

Da altre radici:

  1. ἐποπτεία = osservazione dei misteri
  2. διάνοια = la facoltà dell’intelligenza spirituale
  3. ἐπίνοια = la capacità di rappresentarsi la realtà incorporea
  4. βλέπειν non si usa tanto nel senso della contemplazione[137]

1.2.2 La parola θεωρία nella Sacra Scrittura

Clemente aveva una conoscenza completa della prima letteratura cristiana, come afferma J. Quasten.[138] Le tradizioni, trasmesse solo oralmente, dopo la prima distruzione di Gerusalemme cominciano ad essere consegnate alla scrittura per opera dei “tannaiti” della scuola rabbinica di Jamnia e delle altre località palestinesi. Soltanto dopo il 200 dopo Cristo, sotto la direzione di rabbi Jehūdāh ha-Nāśī si arriva alla stesura della Mišnāh, che sta alla base del Talmūd.[139]

Un analogo processo di codificazione del canone del Nuovo Testamento si è verificato nella seconda metà del 2° secolo[140], causato dall’emergere di numerosi apocrifi di provenienza spesso gnostica.

Molto probabilmente Clemente dunque già usava qualche testo biblico codificato dalla chiesa alessandrina. Questo lo distingueva dagli gnostici eretici, che non volevano mettere i loro insegnamenti in un libro scritto per non rivelarli ai non eletti ed evitare la loro profanazione.[141]

La tradizione scritta per lui era uno strumento che trasmetteva “le parole luminose e piene di vita”[142] dell’insegnamento degli “anziani” per le generazioni posteriori: “Gli ‘anziani’[143] non scrivevano, perché non volevano occupare il tempo destinato al compito di insegnare la tradizione con la cura dello scrivere, di per sé diversa, né, d’altra parte, volevano impiegare nella scrittura il tempo per riflettere su quanto c’era da dire. Forse, persuasi che una stessa indole non può avere una buona riuscita nell’ambito della composizione e dell’insegnamento, lasciavano fare coloro che ne avevano le disposizioni naturali. L’impeto di chi parla procede liberamente e con slancio, capace forse anche di trascinare; invece quel che, di volta in volta, è oggetto dell’esame dei lettori, in quanto è sottoposto a un’indagine accurata, esige anche un’attenzione estrema ed è in certo senso una conferma scritta di un insegnamento, perché in tal modo la voce viene inviata mediante alla composizione scritta anche ai posteri. Il deposito affidato ai ‘presbiteri’, parlando per mezzo della scrittura, si avvale di chi scrive come di un aiuto, perché a loro volta i futuri lettori lo trasmettano.”[144]

La devozione che Clemente nutriva per la Sacra Scrittura il cui canone era stato codificato da poco si vede anche dal numero delle sue citazioni nella sua opera. Rispetto ad Origene, che è uno dei più grandi esegeti della Sacra Scrittura ma che usa nella sua opera solo 552 citazioni dirette del testo biblico dei LXX, Clemente risulta superiore con le sue 1002 citazioni dello stesso testo biblico. Egli cita il Nuovo Testamento ben 1608 volte, mentre Origene lo cita solo 934 volte. [145]

Questi sono tutti i passi dei LXX, nei quali appare il termine θεωρία:

2 Mac 15,12a: ”ἦν δὲ ἡ τούτου θεωρία τοιάδε” (“La sua visione era questa”)

2 Mac 5,26: ” πάντας ἐπὶ τὴν θεωρίαν συνεξεκέντησεν” (“spingeva tutti allo spettacolo”)

3 Mac 5,24 (apocrifo): “πρὸς τὴν οἰκτροτάτην θεωρίαν” (“nel più miserabile spettacolo”)

Dn 5,7 (secondo numerazione dei LXX): “ἐπὶ θεωρίαν ἰδεῖν” (“dopo aver visto lo spettacolo”)

Dunque nei LXX la θεωρία appare solo 4 volte ed ha solo senso tecnico della visione delle cose, cioè spettacolo oppure visione profetica.

Il termine θεωρία appare nel Nuovo Testamento solo unica volta:

Lc 23,48: “καὶ πάντες οἱ συμπαραγενόμενοι ὄχλοι ἐπὶ τὴν θεωρίαν ταύτην” (“Anche tutta la folla che era convenuta per questo spettacolo”)

1.2.3 La parola θεωρία nei principali filosofi precedenti

In Platone[146]:

Republica 486a, 556c, 517d

Leggi 946e, 951c, 720b, 649e,

Philebo 38b

Critone 52b

Fedro 58b,

Per Platone la parola θεωρία ha piuttosto il senso tecnico della visione. Si tratta allora della contemplazione il cui oggetto è l’essere primo, Dio. Tale θεωρία richiede una preparazione, implica un metodo dello spirito, una concetrazione dell’intelligenza da cui l’affanno della città e la vita publica non possono che allontanare.[147] Secondo Platone, la θεωρία è la visione di ciò che vi è di più eccellente negli esseri, il bello in se stesso, il bello divino, Dio stesso.[148]

Platone è l’autore antico più citato nella opera di Clemente Alessandrino (secondo il Registro di Stählin 618 volte), anche se non è sempre esplicitamente nominato (solo 139 volte).[149]

In Aristotele:

Fisica 200b, 203a, 203b

Metafisica 989b, 993a, 995b, 997a, 1005a, 1026b, 1037a, 1050a, 1061b(2), 1069a, 1072b, 1073b

Eticha Eudemiana 1215b(2), 1216b, 1219a, 1231a, 1233b, 1237a, 1245a, 1249b

Etica Nicomachea 1103b, 1122b, 1146b, 1174b, 1178b (4)

Politica 1258b, 1310b, 1322b, 1324a, 1340a(2), 1341a, 1342a

Poetica 1325b, 1450b, 1451a(2), 1456b

In Aristotele la θεωρία ha il significato di guardare verso l’alto, osservare, vedere[150], egli era dunque rimasto nella linea platonica riguardo alla θεωρία. D’altra parte Aristotele metteva la ἐπιστήμη θεωρητική sul supremo grado della conoscenza umana. Essa si occupa dell’esistenza reale dell’essere, al contrario delle altre scienze.[151]

Aristotele divideva le scienze così:

  1. scienze pratiche (ἐπιστήμη πρακτική)
  2. scienze poietiche (ἐπιστήμη ποιητική)
  3. scienze teoretiche (ἐπιστήμη θεωρητική):

a) matematica (μαθηματική)

b) fisica (φυσική)

c) teologia/filosofia prima (θεολογική/ πρώτη φιλοσοφία)[152]

Egli distingueva tre tipi della vita umana: βίος ἀπολαυστικός, βίος πολιτικός e βίος θεωρητικός (la vita utilitaria, politica e contemplativa).[153] Clemente però nel nostro passaggio n. 1 dice che θεωρία è lo scopo di vita anche per quelli che fanno la vita politica.

Filone:

Filone anche se aveva scritto prorio un’opera Sulla vita contemplativa, conduceva la vita attiva, sia nella propria Alessandria, sia durante la sua famosa ambasciata a Roma.[154] Per lui la vita della contemplazione era quella interiore e profonda. Nella Migrazione di Abramo commentando Gn 14, 24 dice: “Qui si parla di nobili attegiamenti e delle nature amanti dela contemplazione… L’eredità di questi due sarà la vita contemplativa chiamata Mamrè, che tradotto significa “dalla vista”.[155] Per Filone la via della contemplazione è impreticabile se non si ha Dio come guida.[156]

Riguardo il rapporto fra Filone e Clemente, anche se le loro opere sembrano molto simili e legate dal comune desiderio di basare il loro pensiero sulla Scrittura e sul positivo atteggiamento nei confonti della filosofia greca,[157] di fatto differiscono molto. Infatti per Filone la base della conoscenza é il Logos impesonale mentre per Clemente é all’inizio e alla fine il Logos personale: Cristo.

Rimarrebbe da verificare il riferimento a fonti gnostiche o a fonti egiziane copte dal momento che Clemente non fa riferimento diretto a nessuna di queste fonti.

1.2.4 La θεωρία negli Stromati

Con l’aiuto di Stälin e G. Pini abbiamo potuto vedere che alcune volte la parola θεωρία può essere associata per il suo significato ad alcuni scritti di filosofi greci come Platone, Aristotele, Euripide, Apollonio e stoici. Altre volte abbiamo ritenuto di specificare il brano biblico corrispondente che non é esplicitamente indicato nel testo degli Stromati. Clemente ha usato abbondantemente i testi biblici: il che dimostra quale grande autorità essi avevano per lui. Infatti quando Clemente vuole affermare una tesi prima di tutto cita un testo biblico e in seguito attinge ad altri autori e anche ai testi non cristiani.

Da parte nostra abbiamo cercato d’inserire alcune osservazioni per quanto riguarda la relazione tra la Bibbia e il testo degli Stromati nelle note 3, 26, 44, 58 e 71.

Inoltre abbiamo aggiunto anche alcune note critiche personali di carattere più teologico nella nota 12, nelle note 18, 30, 32, 48 e 57.

Con Clemente la parola greca θεωρία entra abbondantemente nel vocabolario cristiano[158] con il significato di contemplazione, come punto culminante delle possibilità conoscitive dell’uomo: “Bisogna esercitare la conoscenza e la sapienza – scrive Clemente – per giungere all’abitudine permanente e inalienabile della θεωρία“. Essa è il punto culminante della conoscenza, della gnosi, ma della gnosi cristiana, che coincide con il progresso della vita spirituale; è fondata sulla fede, la speranza, la carità; è frutto della purezza di cuore…. È questo un processo altamente religioso, ma non del tutto alieno dal procedimento che il platonismo dell’epoca stava maturando e che trovò la sua forma più ricca in Plotino: è la contemplazione a cui l’uomo giunge al culmine dell’esercizio della sue facoltà spirituali e intellettive. È in questo contesto, comunque, che nel pensiero cristiano esperienza e conoscenza di Dio cominciano a coincidere.[159]

L’uso del termine θεωρία non è molto abbondante negli Stromati (73 volte in 60 passi), ma ad es. Plotino lo usa 80 volte in tutte le Enneadi, Plutarco solo 27 volte in tutta la sua opera tramandataci. Ma l’uso del termine dopo Clemente nei ambienti cristiani si è allargato così che ad es. Gregorio di Nissa lo usa 241 volte e Massiomo Confessore più di 800 volte.

 

2 La πρᾶξις negli Stromati

Lo scopo di questo capitolo é di presentare in maniera chiara, sulla base del Registro dello Stählin tutti i passaggi degli Stromati di Clemente in cui si presenta parola πρᾶξις in una maniera chiara. Come abbiamo visto, la parola πρᾶξις negli Stromati appare 44 volte. La stessa parola é usata in contesti diversi come ad esempio l’azione involontaria, i semplici atti umani senza riferimento specifico al suo valore morale, il mettere in pratica e attuare i precetti di Dio, l’azione ceatrice di Dio, l’azione perfetta del vero gnostico, l’azione del semplice fedele che è fatta in modo imperfetto.

Ma sarà nel terzo capitolo che valuteremo per classi questi diversi significati della parola πρᾶξις in rapporto con la parola θεωρία negli Stromati di Clemente Alessandrino. Nel frattempo, nel secondo capitolo, come abbiamo fatto nel primo, cercheremo di aggiungere al testo di Stählin e alla traduzione italiana di G. Pini anche un nostro personale apparato critico nelle note a piè di pagina. Alla fine del capitolo faremo una breve sintesi delle osservazioni critiche fatte durante la lettura del testo.

2.1 Analisi testuale

  1. Str. II, 64,3 – 5

᾿Ατύχημα μὲν οὖν παράλογός ἐστιν ἁμαρτία, ἡ δὲ ἁμαρτία ἀκούσιος ἀδικία, ἀδικία δὲ ἑκούσιος κακία. ἔστιν οὖν ἡ μὲν ἁμαρτία ἐμὸν ἀκούσιον. διὸ καί φησιν· «ἁμαρτία γὰρ ὑμῶν οὐ κυριεύσει· οὐ γάρ ἐστε ὑπὸ νόμον, ἀλλ’ ὑπὸ χάριν,« τοῖς ἤδη πεπιστευκόσι λέγων, «ὅτι τῷ μώλωπι αὐτοῦ ἡμεῖς ἰάθημεν.« ἀτυχία δέ ἐστιν ἄλλου εἰς ἐμὲ πρᾶξις ἀκούσιος, ἡ δὲ ἀδικία μόνη εὑρίσκεται ἑκούσιος εἴτε ἐμὴ εἴτε ἄλλου.

Infortunio è dunque un errore morale commesso senza concorso di ragione, l’errore morale è offesa involontaria; solo l’offesa volontaria è malvagità. L’errore morale è dunque un atto mio involontario. Perciò è detto: “Il peccato non dominerà su di voi, perché non siete in potere della legge, ma della grazia”: parole rivolte a chi ha già creduto, “poiché per mezzo delle sue piaghe siamo stati risanati”. Un infortunio è un’azione involontaria di altri a mio danno; solo l’ingiustizia, mia o di altri, si rivela volontaria.

  1. Str. I, 17,2 – 3

Οὐκ οἶμαι γάρ τινα οὕτως εὐτυχῆ γραφὴν ἡγεῖσθαι ᾗ μηδεὶς ἀντερεῖ, ἀλλ’ ἐκείνην εὔλογον νομιστέον ᾗ μηδεὶς εὐλόγως ἀντερεῖ. καὶ πρᾶξιν ἄρα καὶ αἵρεσιν ἀποδεκτέον οὐ τὴν ἀμεμφῆ, ἀλλ’ ἣν οὐδεὶς εὐλόγως καταμέμψεται. οὐκ εὐθὺς δ’ εἴ τις μὴ προηγουμένως ἐπιτελεῖ, κατὰ περίστασιν αὐτὸ ποιεῖ, ἀλλὰ οἰκονομούμενός τι θεοσόφως καὶ συμπεριφερόμενος ἐνεργήσει.

Io non credo che alcuno giudicherà fortunato uno scritto cui nessuno muoverà obiezioni, ma si deve ritenere ragionevole e plausibile quello scritto cui nessuno può muovere obiezioni ragionevoli e plausibili. In sostanza, bisogna accettare non l’azione e il proposito che non ricevono biasimi, ma quelli che nessuno potrà criticare con ragione. Se uno poi non raggiunge uno scopo per via assolutamente diretta, non è detto con ciò che agisca secondo il mutare del caso: egli esplicherà la sua attività ispirandosi nell’economia del lavoro alla saggezza di Dio o adattandosi [agli altri].

  1. Str. V, 37,2[160]

Συνεργοῦντας δὲ εἰς γένεσιν τῶν τῇδε τοὺς ἐφεστῶτας τοῖς πλανήταις κατὰ τὴν θείαν πρόνοιαν ἐπί τε τοῦ στήθους καὶ τῶν ὤμων εἰκότως ἱδρῦσθαι διαγράφει, δι’ὧν ἡ πρᾶξις ἡ ἐπιγενεσιουργός, ἡ ἑβδομὰς ἡ πρώτη· στῆθος δ’ οἰκητήριον καρδίας τε καὶ ψυχῆς.

Proseguendo nella descrizione [la Scrittura] dice poi che a buon diritto le raffigurazioni dei sovrintendenti ai pianeti, che secondo la divina Provvidenza cooperano alla formazione delle cose di questo mondo, furono poste sul petto e sulle spalle: tramite queste si ebbe l’azione creatrice, la prima settimana; e il petto è la sede del cuore e dell’anima.

  1. Str. II, 45,4 – 7

Ταύτης[161] δὲ ἀρξὴ τὸ θυαμάσαι τὰ πράγματα· ὡς Πλάτων ἐν Θεαιτήτῳ.[162] λέγει· καὶ Ματθίας ἐν ταῖς Παραδόσεσι[163] παραινῶν «θαύμασον τὰ παρόντα«, βαθμὸν τοῦτον πρῶτον τῆς ἐπέκεινα γνώσεως ὑποτιθέμενος· ᾗ κἀν τῷ καθ’ ῾Εβραίους εὐαγγελίῳ «ὁ θαυμάσας βασιλεύσει« γέγραπται «καὶ ὁ βασιλεύσας ἀναπαήσεται«. ἀδύνατον οὖν τὸν ἀμαθῆ, ἔστ’ ἂν μένῃ ἀμαθής, φιλοσοφεῖν [δέ], τόν γε μὴ ἔννοιαν σοφίας εἰληφότα, φιλοσοφίας οὔσης ὀρέξεως τοῦ ὄντως ὄντος καὶ τῶν εἰς τοῦτο συντεινόντων μαθημάτων. κἂν τὸ ποιεῖν καλῶς ᾖ τισιν ἐξησκημένον, ἀλλὰ τὸ ἐπίστασθαι, ὡς χρηστέον καὶ ποιητέον, [καὶ] συνεκπονητέον, καθὸ καὶ ὁμοιοῦταί τις θεῷ, θεῷ λέγω τῷ σωτῆρι, θεραπεύων τὸν τῶν ὅλων θεὸν διὰ τοῦ ἀρχιερέως λόγου, di’ οὗ καθορᾶται τὰ κατ’ ἀλήθειαν καλὰ καὶ δίκαια. εὐσέβεια[164] ἔστι πρᾶξις ἑπομένη καὶ ἀκόλουθος θεῷ.

Principio della filosofia è „ammirare“ le cose, come dice Platone del Teeteto e Mattia nelle Tradizioni, dove esorta: „Ammira ciò che è presente“, e pone questo come fondamento primo della „gnosi“ futura. Così nel Vangelo secondo gli Ebrei è scritto: „Colui che avrà ammirato regnerà, e colui che avrà regnato si riposerà“. È pertanto impossibile che l’ignaro, finché resta ignaro, sia filosofo, lui che non possiede ancora il concetto di sapienza, mentre la filosofia è l’aspirazione a ciò che è in realtà e agli apprendimenti che ad esso tendono. E quantunque ci si sia già esercitati, da parte di alcuni, ad agire bene, bisogna però nel contempo sforzarsi di conoscere come comportarsi e agire, allo stesso modo che uno diviene simile a Dio, intendo al Dio Salvatore, rendendo culto al Dio dell’universo mediante il Logos sommo sacerdote, per cui si possono vedere le cose belle e giuste secondo verità … La pietà è un agire che segue e si accompagna a Dio.

  1. Str. II, 80,5 – 81,1

Σωφροσύνη δὲ αὕτη[165] οὐκ ἄνευ ἀνδρείας, ἐπειδὴ ἐξ ἐντολῶν γίνεται ἑπομένη τῷ διατεταγμένῳ[166] θεῷ φρόνησις τε καὶ ἡ μιμητικὴ τῆς θείας διαθέσεως δικαιοσύνη, καθ’ ἣν ἐγκρατευόμενοι καθαροὶ πρὸς εὐσέβειαν καὶ τὴν ἑπομένην ἀκολούθως τῷ θεῷ πρᾶξιν[167] στελλόμεθα, ἐξομοιούμενοι τῷ κυρίῳ κατὰ τὸ δυνατὸν ἡμῖν, ἐπικήροις τὴν φύσιν ὑπάρχουσιν. τοῦτο δέ ἐστι « δίκαιον καὶ ὅσιον μετὰ φρονήσεως γενέσθαι«. ἀνενδεὲς μὲν γὰρ τὸ θεῖον καὶ ἀπαθές, ὅθεν οὐδὲ ἐγκρατὲς κυρίως· οὐ γὰρ ὑποπίπτει πάθει ποτέ, ἵνα καὶ κρατήσῃ τοῦδε· ἡ δὲ ἡμετέρα φύσις ἐμπαθὴς οὖσα ἐγκρατείας δεῖται, di’ ἧς πρὸς τὸ ὀλιγοδεὲς συνασκουμένη συνεγγίζειν πειρᾶται κατὰ διάθεσιν τῇ θείᾳ φύσει.

La temperanza poi è di per sé non scevra del coraggio, poiché la si conquista in base ai comandamenti, facendosi cioè seguace del Dio che ha ordinato [l’universo]; e d’altronde è prudenza anche la giustizia, imitatrice del divino ordine, in conformità della quale poi esercitiamo la continenza; e così tendiamo, in purità, verso la pietà religiosa, verso il comportamento di piena adesione a Dio: „ci assimiliamo al Signore per quanto ci è possibile“, pur restando soggetti alla morte per natura. Questo significa „diventare giusto e santo con prudenza“. La divinità non ha bisogno di nulla, non ha passioni: onde, propriamente, non è nemmeno continente, non soggiacendo mai a una passione, per poi dominarla. Ma la nostra natura, soggetta a passione, ha bisogno di continenza, attraverso la quale si esercita ad avere bisogno di poco e si sforza di avvicinarsi, creandosi un abito, alla natura divina.

  1. Str. VII, 66,2[168]

Οὐ γὰρ εἰ δι’ ἀφροσύνην τι συνίσταται καὶ διαβόλου ἐνέργειαν, μᾶλλον δὲ συνέργειαν, τοῦτ’ εὐθέως διάβολος ἢ ἀφροσύνη (ὅτι μηδεμία ἐνέργεια φρόνησις· ἕξις γὰρ ἡ φρόνησις, οὐδεμία δὲ ἐνέργεια ἕξισ)· οὐ τοίνυν οὐδὲ ἡ δι’ ἄγνοιαν συνισταμένη πρᾶξις ἤδη ἄγνοια, ἀλλὰ κακία μὲν δι’ ἄγνοιαν, οὐ μὴν ἄγνοια· οὐδὲ γὰρ τὰ πάθη, οὐδὲ τὰ ἁμαρτήματα κακίαι, καίτοι ἀπὸ κακίας φερόμενα.

E non è a dire che, se qualcosa si fa per imprudenza e per opera o, meglio, cooperazione del diavolo, questo sia direttamente imprudenza e diavolo (poiché nessuna attività è prudenza. La prudenza è un abito, e nessuna attività è un abito). E allora nemmeno l’azione che nasce da ignoranza è già senz’altro ignoranza; sarà tutto al più vizio derivato dall’ignoranza, non però ignoranza; nemmeno le passioni, nemmeno i peccati sono vizi, sebbene procedano dal vizio.

7. Citazione non dagli Stromati

 
  1. Str. VI, 111,1 – 112,4

Ὁδὸς γὰρ ἦν αὕτη δοθεῖσα τοῖς ἔθνεσιν ἀνακῦψαι πρὸς θεὸν διὰ τῆς τῶν ἄστρων θρῃσκείας. οἱ δὲ μὴ ἐπὶ τούτοις θελήσαντες ἐπιμεῖναι τοῖς δοθεῖσιν αὐτοῖς ἀστράσιν, ἀλλὰ καὶ τούτων ἀποπεσόντες εἰς λίθους καὶ ξύλα, «ὡς χνοῦσ«, φησίν, «ἐλογίσθησαν καὶ ὡς σταγὼν ἀπὸ κάδου«, περισσοὶ εἰς σωτηρίαν, οἱ ἀπορριπτόμενοι τοῦ σώματος. ὥσπερ οὖν τὸ μὲν ἁπλῶς σῴζειν τῶν μέσων ἐστίν, τὸ δ’ ὀρθῶς καὶ δεόντως κατόρθωμα, οὕτως καὶ πᾶσα πρᾶξις γνωστικοῦ μὲν κατόρθωμα, τοῦ δὲ ἁπλῶς πιστοῦ μέση πρᾶξις λέγοιτ’ ἄν, μηδέπω κατὰ λόγον ἐπιτελουμένη μηδὲ μὴν κατ’ ἐπίστασιν κατορθουμένη.[169] πᾶσα δὲ ἔμπαλιν τοῦ ἐθνικοῦ ἁμαρτητική· οὐ γὰρ τὸ ἁπλῶς εὖ πράττειν, ἀλλὰ τὸ πρός τινα σκοπὸν τὰς πράξεις ποιεῖσθαι καὶ <κατὰ> λόγον ἐνεργεῖν καθῆκον αἱ γραφαὶ παριστᾶσιν. καθάπερ οὖν τοῖς ἀπείροις τοῦ λυρίζειν λύρας οὐχ ἁπτέον οὐδὲ μὴν τοῖς ἀπείροις τοῦ αὐλεῖν αὐλῶν, οὕτως οὐδὲ πραγμάτων ἁπτέον τοῖς μὴ τὴν γνῶσιν εἰληφόσι καὶ εἰδόσιν ὅπως αὐτοῖς παρ’ ὅλον τὸν βίον χρηστέον. τὸν γοῦν τῆς ἐλευθερίας ἀγῶνα οὐ μόνον ἐν πολέμοις ἀγωνίζονται οἱ πολέμων ἀθληταί, ἀλλὰ καὶ ἐν συμποσίοις καὶ ἐπὶ κοίτης κἀν τοῖς δικαστηρίοις οἱ ἀλειψάμενοι τῷ λόγῳ, αἰχμάλωτοι γενέσθαι ἡδονῆς αἰσχυνόμενοι· οὐ μήποτε τὰν ἀρετὰν ἀλλάξομαι ἀντ’ ἀδίκου κέρδους. ἄδικον δὲ ἄντικρυς κέρδος ἡδονὴ καὶ λύπη πόθος τε καὶ φόβος καὶ συνελόντι εἰπεῖν τὰ πάθη τῆς ψυχῆς, ὧν τὸ παραυτίκα τερπνὸν ἀνιαρὸν εἰς τοὐπιόν. «τί γὰρ ὄφελος, ἐὰν τὸν κόσμον κερδήσῃς,« φησί, «τὴν δὲ ψυχὴν ἀπολέσῃς;«[170] δῆλον οὖν τοὺς μὴ ἐπιτελοῦντας τὰς καλὰς πράξεις οὐδὲ γιγνώσκειν τὰ ὠφέλιμα ἑαυτοῖς. εἰ δὲ τοῦτο, οὐδὲ εὔξασθαι ὀρθῶς οἷοί τε οὗτοι παρὰ τοῦ θεοῦ λαβεῖν τὰ ἀγαθά, ἀγνοοῦντες τὰ ὄντως ἀγαθά[171], οὐδ’ ἂν λαβόντες αἴσθοιντο τῆς δωρεᾶς οὐδ’ ἄν τι ἀπολαύσειαν κατ’ ἀξίαν οὗ μὴ ἔγνωσαν, ὑπό τε τῆς ἀπειρίας τοῦ χρήσασθαι τοῖς δοθεῖσι καλῶς ὑπό τε τῆς ἄγαν ἀμαθίας, μηδέπω <πῶσ> χρηστέον ταῖς θείαις δωρεαῖς ἐγνωκότες. ἀμαθία δὲ ἀγνοίας αἰτία.

Questa infatti era la via concessa ai popoli per sollevarsi a Dio: attraverso il culto degli astri. Ma essi, non volendo attenersi a questo culto degli astri loro dati, ne decaddero per volgersi a pietre e legni e “furono valutati come pula” e “come goccia che cade dal secchio”: inutili ai fini della salvezza, questi respinti dal corpo [della chiesa]. Come il salvare in sé appartiene alle cose intermedie, ma il salvare con rettitudine e come si conviene è un adempimento perfetto, così deve definirsi adempimento perfetto ogni azione dello “gnostico”, quella invece del semplice fedele un’azione intermedia, perché non è ancora perfetta secondo ragione e nemmeno condotta rettamente con piena coscienza. Al contrario ogni azione del pagano è soggetta al peccato: le Scritture infatti presentano come dovere non il semplice agire bene, ma rivolgere le azioni ad uno scopo ed esplicare un’attività secondo ragione. Come dunque chi non sa suonare la lira non deve toccare lira e rispettivamente flauto chi non sa suonare flauto, così non deve accingersi ad attività chi non ne possiede la conoscenza e non sa come condurle, per tutta la vita. In ogni caso la lotta per la libertà non è solo intrapresa sul campo di battaglia dai campioni della guerra, ma anche nei ritrovi, nella stanza da letto, nei tribunali, da parte di coloro che si sono agguerriti con l’aiuto del Logos, e si vergognano di cadere prigionieri del piacere: “mai permuterò la virtù con un guadagno iniquo”; “guadagno iniquo” sono naturalmente piacere, dolore, brama, paura e, in breve, le passioni dell’anima, per la quale il diletto immediato diventa un tormento per il futuro. “Qual vantaggio”, dice [il Signore], “se guadagni tutto il mondo, ma perdi l’anima?”. Chi non pratica il bene evidentemente nemmeno conosce ciò che gli giova. Se ciò è vero, questa gente non sa neppure pregare per ottenere da Dio il bene, perché ignora qual è il vero bene; e non si accorgerà nemmeno di averlo ricevuto, né ne godrà quanto esso meriterebbe, se non l’ha conosciuto: sia per inesperienza del buon uso di ciò che viene loro dato, sia per la troppa ignoranza, costoro non hanno mai imparato quale uso si debba fare dei doni divini. L’ignoranza è causa d’insipienza.

  1. Str. VII, 59,2-6

Kαίτοι πράσσεταί τινα καὶ πρὸς τῶν μὴ γνωστικῶν ὀρθῶς, ἀλλ’ οὐ κατὰ λόγον, οἷον ἐπὶ ἀνδρείας. ἔνιοι γὰρ ἐκ φύσεως θυμοειδεῖς γενόμενοι, εἶτα ἄνευ τοῦ λόγου τοῦτο θρέψαντες, ἀλόγως ἐπὶ τὰ πολλὰ ὁρμῶσι καὶ ὅμοια τοῖς ἀνδρείοις δρῶσιν, ὥστε ἐνίοτε τὰ αὐτὰ κατορθοῦν οἷον βασάνους ὑπομένειν εὐκόλως, ἀλλ’ οὔτε ἀπὸ τῆς αὐτῆς αἰτίας τῷ γνωστικῷ οὔτε καὶ τὸ αὐτὸ προθέμενοι, οὐδ’ «ἂν τὸ σῶμα ἅπαν ἐπιδιδῶσιν«· «ἀγάπην γὰρ οὐκ ἔχουσι« κατὰ τὸν ἀπόστολον τὴν διὰ τῆς γνώσεως γεννωμένην. πᾶσα οὖν ἡ διὰ τοῦ ἐπιστήμονος πρᾶξις εὐπραγία, ἡ δὲ διὰ τοῦ ἀνεπιστήμονος κακοπραγία, κἂν ἔνστασιν σῴζῃ, ἐπεὶ μὴ ἐκ λογισμοῦ ἀνδρίζεται μηδὲ ἐπί τι χρήσιμον τῶν ἐπὶ ἀρετὴν καὶ ἀπὸ ἀρετῆς καταστρεφόντων τὴν πρᾶξιν κατευθύνει. ὁ δὲ αὐτὸς λόγος καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων ἀρετῶν, ὥστε καὶ ἐπὶ θεοσεβείας ἀνὰ λόγον.

A dire il vero qualche retta azione la compiono anche quelli che non sono „gnostici“, non però secondo ragione, come avviene a proposito del coraggio. Infatti alcuni, animosi per natura, coltivano poi questo [aspetto del carattere] irrazionalmente, e così si gettano nell‘azione per lo più in modo irrazionale. Agiscono sì in modo simile ai valorosi, tanto che portano egregiamente a termine gli stessi atti (ad esempio, resistono agevolmente alla tortura), ma non per gli stessi motivi dello „gnostico“ e nemmeno proponendosi lo stesso fine, né „danno completamente la loro persona“, „perché non hanno amore“, come dice l’apostolo, quell’amore che si genera mediante la „gnosi“. Qualunque azione è attuata da chi ha scienza è buona azione, mentre quella di chi non l’ha è cattiva azione, anche se mantiene una certa coerenza, perché non si tratta più di un’azione virile fatta in base a ragionamento né che si indirizza ad uno scopo utile, uno di quelli che giovano a convertire alla virtù o da virtù sono ispirati. E lo stesso discorso vale anche per le altre virtù, sicché, analogamente, anche per la pietà religiosa.

  1. Str. II, 9,1-3

Ἄλλοι δ’ ἀφανοῦς πράγματος ἐννοητικὴν συγκατάθεσιν ἀπέδωκαν εἶναι τὴν πίστιν, ὥσπερ ἀμέλει τὴν ἀπόδειξιν ἀγνοουμένου πράγματος φανερὰν συγκατάθεσιν. εἰ μὲν οὖν προαίρεσίς ἐστιν, ὀρεκτική τινος οὖσα, ἡ ὄρεξις νῦν διανοητική, ἐπεὶ δὲ πράξεως ἀρχὴ ἡ προαίρεσις[172], πίστις εὑρίσκεται ἀρχὴ [γὰρ] πράξεως, θεμέλιος ἔμφρονος προαιρέσεως, προαποδεικνύντος τινὸς αὐτῷ διὰ τῆς πίστεως τὴν ἀπόδειξιν. ἐθελοντὴν δὲ συνέπεσθαι τῷ συμφέροντι συνέσεως ἀρχή. μεγάλην γοῦν εἰς γνῶσιν ῥοπὴν ἀπερίσπαστος παρέχει προαίρεσις. αὐτίκα ἡ μελέτη τῆς πίστεως ἐπιστήμη γίνεται θεμελίῳ βεβαίῳ ἐπερηρεισμένη.

Altri definirono la fede un assenso che ci unisce a una realtà invisibile, proprio come la dimostrazione vale l’assenso dato con chiarezza razionale a una realtà che si ignorava. Ora se la fede è una scelta, in quanto tende verso qualcosa (e la tensione è di natura intellettiva), e se d’altra parte la scelta è principio dell’azione, se ne trae che la fede è principio a sua volta dell’azione, fondamento di una scelta cosciente: come se uno anticipatamente procurasse ad esso la dimostrazione mediante la fede. Seguire poi ciò che è utile è principio d’intelligenza. Comunque una scelta ferma procura un grande contributo all’[acquisto della] “gnosi”. E così l’esercizio della fede diventa scienza, basata su fondamento sicuro.

11. vedi n. 10: πίστις εὑρίσκεται ἀρχὴ [γὰρ] πράξεως

 

12. vedi n. 9: μὴ ἐκ λογισμοῦ ἀνδρίζεται μηδὲ ἐπί τι χρήσιμον τῶν ἐπὶ ἀρετὴν καὶ ἀπὸ ἀρετῆς καταστρεφόντων τὴν πρᾶξιν

 

13. Citazione non dagli Stromati

 

14. Citazione non dagli Stromati

 

15. Citazione non dagli Stromati

 

16. Str. VI, 136,1 – 137,1[173]:

Διὰ τοῦ σωματικοῦ ἄρα πνεύματος αἰσθάνεται ὁ ἄνθρωπος, ἐπιθυμεῖ, ἥδεται, ὀργίζεται, τρέφεται, αὔξεται· καὶ δὴ καὶ πρὸς τὰς πράξεις διὰ τούτου πορεύεται τὰς κατ’ ἔννοιάν τε καὶ διάνοιαν, καὶ ἐπειδὰν κρατῇ τῶν ἐπιθυμιῶν, βασιλεύει τὸ ἡγεμονικόν. τὸ οὖν «οὐκ ἐπιθυμήσεισ«[174] οὐ δουλεύσεις φησὶ τῷ σαρκικῷ πνεύματι, ἀλλὰ ἄρξεις αὐτοῦ, ἐπεὶ «ἡ σὰρξ ἐπιθυμεῖ κατὰ τοῦ πνεύματοσ« καὶ εἰς τὸ παρὰ φύσιν ἀτακτεῖν ἐπανίσταται, «καὶ τὸ πνεῦμα κατὰ τῆς σαρκὸσ«[175] εἰς τὴν κατὰ φύσιν τοῦ ἀνθρώπου διεξαγωγὴν ἐπικρατεῖ· μή τι οὖν εἰκότως «κατ’ εἰκόνα θεοῦ«[176] γεγονέναι ὁ ἄνθρωπος εἴρηται, οὐ κατὰ τῆς κατασκευῆς τὸ σχῆμα, ἀλλ’ ἐπεὶ ὁ μὲν θεὸς λόγῳ τὰ πάντα δημιουργεῖ, ὁ δὲ ἄνθρωπος ὁ γνωστικὸς γενόμενος τῷ λογικῷ τὰς καλὰς πράξεις ἐπιτελεῖ. εἰκότως τοίνυν αἱ δύο πλάκες τοῖς δισσοῖς πνεύμασι τὰς δεδομένας ἐντολὰς τῷ τε πλασθέντι τῷ τε ἡγεμονικῷ τὰς πρὸ τοῦ νόμου παραδεδομένας ἀλλαχῇ εἴρηνται[177] μηνύειν· καὶ τὰ τῶν αἰσθήσεων κινήματα κατά τε τὴν διάνοιαν ἀποτυποῦνται κατά τε τὴν ἀπὸ τοῦ σώματος ἐνέργειαν φανεροῦνται· ἐξ ἀμφοῖν γὰρ ἡ κατάληψις. πάλιν τε αὖ ὡς αἴσθησις πρὸς τὸ αἰσθητόν, οὕτως νόησις πρὸς τὸ νοητόν. διτταὶ δὲ καὶ αἱ πράξεις, αἳ μὲν κατ’ ἔννοιαν, αἳ δὲ κατ’ ἐνέργειαν.

Per mezzo dello spirito corporeo l’uomo sente, desidera, gioisce, si adira, si nutre, cresce; in particolare è esso anche il mezzo per cui procede alle azioni relative al pensiero e all’intelligenza; quando poi ha dominato le passioni, allora la parte egemonica regna. Sicché il comandamento “non desiderare” significa: non essere schiavo dello spirito carnale, ma comandalo, poiché “la carne ha desideri contrari allo spirito” e insorge fino ad infrangere l’ordine della natura, e “lo spirito contro la carne” ottiene il sopravvento fino ad [instaurare] la condotta di vita naturale dell’uomo. Perciò è detto forse a buon diritto che l’uomo è nato “ad immagine di Dio”, non per la forma della sua struttura, ma perché, se Dio crea tutto con Logos, l’uomo che diventa “gnostico” compie il bene con quello che ha in lui la caratteristica del Logos. Quindi si è detto giustamente che le due tavole significano i comandamenti tramandati prima della legge e dati ai due spiriti, quello infuso nella creazione e quello con funzione di guida. E i moti sensibili sono modellati dal pensiero e insieme si manifestano nell’attività del corpo: la comprensione deriva da ambedue. E viceversa come la sensazione si dirige al sensibile, così l’intelletto all’intelligibile. Duplici sono quindi anche le azioni, le une secondo il pensiero, le altre secondo l’attuazione pratica.

17. Str. VI, 97,2

Ὅτι δ’ οὐ μόνον αἱ πράξεις καὶ αἱ ἔννοιαι, ἀλλὰ καὶ οἱ λόγοι καθαρεύουσι τῷ γνωστικῷ, «ἐδοκίμασας τὴν καρδίαν μου, ἐπεσκέψω νυκτὸς« φησίν· «ἐπύρωσάς με καὶ οὐχ εὑρέθη ἐν ἐμοὶ ἀδικία, ὅπως ἂν μὴ λαλήσῃ τὸ στόμα μου τὰ ἔργα τῶν ἀνθρώπων.«[178]

Quanto poi al fatto che lo „gnostico“ serba pure non solo le azioni e i pensieri, ma anche le parole, dice la Scrittura: „Hai esaminato il mio cuore, l’hai scrutato nella notte; mi hai saggiato al fuoco, a non fu trovata iniquità in me, perché la mia bocca non parli delle opere degli uomini“.

18. Str. IV, 164,3 – 165,2

Κρεῖττον μὲν τοῦ ἀνθρώπου ὡμολόγηται ἡ ψυχή, ἧττον δὲ τὸ σῶμα. ἀλλ’ οὔτε ἀγαθὸν ἡ ψυχὴ φύσει οὔτε αὖ κακὸν φύσει τὸ σῶμα, οὐδὲ μὴν ὃ μή ἐστιν ἀγαθόν, τοῦτο εὐθέως κακόν. εἰσὶ γὰρ οὖν καὶ μεσότητές τινες καὶ προηγμένα καὶ ἀποπροηγμένα ἐν τοῖς μέσοις. ἐχρῆν δὴ οὖν τὴν σύνθεσιν τοῦ ἀνθρώπου ἐν αἰσθητοῖς γενομένην ἐκ διαφόρων συνεστάναι, ἀλλ’ οὐκ ἐξ ἐναντίων, σώματός τε καὶ ψυχῆς.[179] ἀεὶ τοίνυν αἱ ἀγαθαὶ πράξεις ὡς ἀμείνους τῷ κρείττονι τῷ πνευματικῷ προσάπτονται, αἱ δὲ φιλήδονοι καὶ ἁμαρτητικαὶ τῷ ἥττονι τῷ ἁμαρτητικῷ περιτίθενται.

È da tutti ammesso che parte superiore dell’uomo è l’anima, inferiore il corpo. Ma né l’anima è buona per natura, né d’altronde è per natura cattivo il corpo; e nemmeno ciò che non è buono è senz’altro cattivo. C’è dunque qualche medietà e, nell’intermedio, cose che vanno scelte e cose che vanno respinte. Era dunque opportuno che il composto umano, fatto nell’ambito del sensibile, fosse costituito di elementi diversi sì, ma non avversi, corpo e anima. Pertanto le buone azioni, in quanto „migliori“, sono sempre attribuite alla parte superiore, la spirituale, invece quelle compiute per voluttà e peccaminose sono imputate alla parte inferiore, appunto peccaminosa.

19. Citazione non dagli Stromati

 

20. Citazione non dagli Stromati

 

21. Citazione non dagli Stromati

 

22. Citazione non dagli Stromati

 

23. vedi n. 8: πρός τινα σκοπὸν τὰς πρᾶξεις ποιεῖσθαι.

 

24. Str. VII, 76,1.4

Νηστεύει[180] τοίνυν καὶ κατὰ τὸν νόμον ἀπὸ τῶν πράξεων τῶν φαύλων καὶ κατὰ τὴν τοῦ εὐαγγελίου τελειότητα ἀπὸ τῶν ἐννοιῶν τῶν πονηρῶν. τούτῳ καὶ οἱ πειρασμοὶ προσάγονται οὐκ εἰς τὴν ἀποκάθαρσιν, ἀλλ’ εἰς τὴν τῶν πέλας, ὡς ἔφαμεν, ὠφέλειαν, εἰ πεῖραν λαβὼν πόνων καὶ ἀλγηδόνων κατεφρόνησεν καὶ παρεπέμψατο. ὁ δ’ αὐτὸς καὶ περὶ ἡδονῆς λόγος. μέγιστον γὰρ ἐν πείρᾳ γενόμενον εἶτα ἀποσχέσθαι.[181] τί γὰρ μέγα εἰ ἃ μὴ οἶδέν τις ἐγκρατεύοιτο; οὗτος ἐντολὴν τὴν κατὰ τὸ εὐαγγέλιον διαπραξάμενος κυριακὴν ἐκείνην τὴν ἡμέραν ποιεῖ, ὅταν ἀποβάλλῃ φαῦλον νόημα καὶ γνωστικὸν προσλάβῃ, τὴν ἐν αὑτῷ τοῦ κυρίου ἀνάστασιν δοξάζων.[182]

Così da un lato, secondo la legge, egli digiuna dalle azioni perverse, dall’altro, secondo il Vangelo che la perfeziona, dai pensieri cattivi. Gli si presentano anche le tentazioni, non però per purificazione sua, ma, come abbiamo detto, per il bene del suo prossimo: fatta esperienza di sofferenze e di dolori, li disprezza e li respinge. Lo stesso discorso vale anche per il piacere: grandissimo merito è astenersene dopo averlo provato. Poiché, cose c’è di speciale se uno è continente in ciò che non conosce? Il nostro poi, con il mettere in pratica il comandamento secondo il Vangelo, celebra come giorno del Signore quello in cui respinge un pensiero cattivo e accoglie un pensiero “gnostico”, glorificando la resurrezione del Signore in se stesso.

25. Citazione non dagli Stromati

 

26. Str. VII, 54,1 – 2

Πάντοθεν ἄρα μαρτυρεῖ τῇ ἀληθείᾳ[183] μόνος ὁ γνωστικὸς καὶ ἔργῳ καὶ λόγῳ· ἀεὶ γὰρ κατορθοῖ ἐν πᾶσι πάντως, καὶ ἐν λόγῳ καὶ ἐν πράξει καὶ ἐν αὐτῇ τῇ ἐννοίᾳ. Αὕτη μὲν οὖν, ὡς ἐν ἐπιδρομῇ φάναι, ἡ τοῦ Χριστιανοῦ θεοσέβεια. εἰ δὴ καθηκόντως ταῦτα ποιεῖ καὶ κατὰ λόγον τὸν ὀρθόν, εὐσεβῶς ποιεῖ καὶ δικαίως. εἰ δὲ ταῦτα οὕτως ἔχει, μόνος ἂν εἴη τῷ ὄντι εὐσεβής τε καὶ δίκαιος καὶ θεοσεβὴς ὁ γνωστικός.[184]

Dunque solo lo „gnostico“ porta testimonianza alla verità in ogni maniera, con la parola a con l’opera, perché sempre si comporta in modo retto in tutti i casi, nella parola, nell’azione, nel pensiero stesso. Questa dunque è succintamente esposta, la religione del Cristiano: se veramente agisce in questo modo secondo il dovere e secondo la retta ragione, agisce in modo pio e giusto. E se le cose stanno così, allora veramente solo lo „gnostico“ è pio e giusto e devoto a Dio.

27. Str. VI, 155,3[185]

Kἀν[186] τοῖς αἰσθητοῖς πιστωσαμένη τό γε δοκοῦν, ὡς ἐν τούτοις, ἀληθέστατον, δόξα ὀρθή, ἔν τε αὖ ταῖς μετὰ χειρουργίας πράξεσι τέχνη.

Se poi nelle cose sensibili dà una conferma all’apparenza più vera, s’intende come può esserlo in rapporto ad esse, allora si chiama retta opinione; arte invece se s’impegna nelle azioni manuali.

28. Str. VI, 99,3-100,1

Πρώτη γὰρ ὠφέλεια ἡ ἕξις ἡ γνωστική, ἡδονὰς ἀβλαβεῖς παρεχομένη καὶ ἀγαλλίασιν καὶ νῦν καὶ εἰς ὕστερον. τὴν δὲ ἀγαλλίασιν εὐφροσύνην εἶναί φασιν, ἐπιλογισμὸν οὖσαν τῆς κατὰ τὴν ἀλήθειαν ἀρετῆς διά τινος ἑστιάσεως καὶ διαχύσεως ψυχικῆς. τὰ δὲ μετέχοντα τῆς γνώσεως ἔργα αἱ ἀγαθαὶ καὶ καλαὶ πράξεις εἰσίν. πλοῦτος μὲν γὰρ ἀληθὴς ὁ ἐν ταῖς κατὰ τὴν ἀρετὴν πράξεσι πλεονασμός, πενία δὲ ἡ κατὰ τὰς κοσμικὰς ἐπιθυμίας ἀπορία. αἱ κτήσεις γὰρ καὶ χρήσεις τῶν ἀναγκαίων οὐ τὴν ποιότητα ἔχουσι βλαβεράν, ἀλλὰ τὴν παρὰ τὸ μέτρον ποσότητα. διόπερ τὰς ἐπιθυμίας ὁ γνωστικὸς περιγράφει κατά τε τὴν κτῆσιν κατά τε τὴν χρῆσιν[187], οὐχ ὑπερβαίνων τὸν τῶν ἀναγκαίων ὅρον.

Bene primo è l’abito „gnostico“, che ci procira gioie innocenti ed esultanza, nel presente e per l’avvenire. (L’esultanza è definita letizia, che è un prender coscienza della virtù vera attraverso un’effusione festosa dell’anima). Poi le opere che partecipano della „gnosi“ sono le azioni buone ed oneste. E richezza vera è la sovrabondanza delle azioni virtuose, come è vera povertà il non saper limitare i desideri mondani. Nel possesso e nell’uso dell necessario non è dannosa la qualità [del fato] in sé, ma la quantità oltre misura. Proprio perciò lo „gnostico“ circoscrive i desideri per quanto riguarda il possesso e l’uso delle cose, non oltrepassando il limite del necessario.

29. Citazione non dagli Stromati

 

30. vedi n. 16: καὶ πρὸς τὰς πράξεις διὰ τούτου πορεύεται τὰς κατ’ ἔννοιάν τε καὶ διάνοιαν,

 

31. Citazione non dagli Stromati

 

32. Str. I, 50,6[188]

…. φιλοσοφίαν μὲν οὐ πᾶσαν, ἀλλὰ τὴν ᾿Επικούρειον, ἧς καὶ μέμνηται ἐν ταῖς Πράξεσι τῶν ἀποστόλων[189] ὁ Παῦλος, διαβάλλων, πρόνοιαν ἀναιροῦσαν καὶ ἡδονὴν ἐκθειάζουσαν.

… s’intende, della filosofia non nel suo complesso, ma di quella di Epicuro, di cui pure fa menzione Paolo negli Atti degli Apostoli, rimproverandoli di soprimere la provvidenza e di divinizzazione del piacere.

33. Str. I, 89,4

Κἀν ταῖς Πράξεσι τῶν ἀποστόλων εὕροις ἂν κατὰ λέξιν· «οἱ μὲν οὖν ἀποδεξάμενοι τὸν λόγον αὐτοῦ ἐβαπτίσθησαν,«[190] οἱ δὲ μὴ θελήσαντες πείθεσθαι ἑαυτοὺς ἀπέστησαν δηλαδή.

E negli Atti degli Apostoli si trova scritto letteralmente: „Quelli che accolsero la sua pèarola furono battezzati“, mentre evidentemente quelli che non vollero lasciarsi persuadere, si staccarono.

34. Str. I, 91,1

῞Οτι οὖν μαρτυροῦνται ἀληθῆ τινα δογματίζειν καὶ ῞Ελληνες, ἔξεστι κἀντεῦθεν σκοπεῖν. ὁ Παῦλος ἐν ταῖς Πράξεσι τῶν ἀποστόλων ἀναγράφεται λέγων πρὸς τοὺς ᾿Αρεοπαγίτας·[191]

Una testimonianza che i Greci avevano alcune dottrine vere, si può rilevare per altro anche da quando segue. Negli Atti degli Apostoli è scritto che Paolo dice agli Areopagiti:

35. Str. I, 153,3

… προσεμάνθανε[192] δὲ τὰ ᾿Ασσυρίων γράμματα καὶ τὴν τῶν οὐρανίων ἐπιστήμην παρά τε Χαλδαίων παρά τε Αἰγυπτίων, ὅθεν ἐν ταῖς Πράξεσι[193] «πᾶσαν σοφίαν Αἰγυπτίων πεπαιδεῦσθαι« φέρεται.

…[Mosè] aggiunge poi alle sue conoscenze le scritture assire e la scienza degli astri, apprese da maestri caldei ed egiziani. Per questo negli Atti si riferisce che „fu istruito in tutta la sapienza degli Egiziani“.

36. Str. I, 154,1

… ὥσπερ ἀμέλει ὕστερον Πέτρος ἐν ταῖς Πράξεσι[194] φέρεται τοὺς νοσφισαμένους τῆς τιμῆς τοῦ χωρίου καὶ ψευσαμένους λόγῳ ἀποκτείνας.

… proprio come si racconta negli Atti che Pietro, tanto più tardi, uccise con la parola quelli che s’erano appropriati di una parte del prezzo del terreno e avevano mentito.

37. Str. IV, 97,3

… σὺν τῇ εὐδοκίᾳ τοῦ ἁγίου πνεύματος, τὴν γεγραμμένην μὲν ἐν ταῖς Πράξεσι τῶν ἀποστόλων[195], διακομισθεῖσαν δὲ εἰς τοὺς πιστοὺς δι’ αὐτοῦ διακονοῦντος τοῦ Παύλου·

… per consenso dello Spirito Santo trascritta negli Atti degli Apostoli e distribuita tra i fedeli ad opera dello stesso Paolo.

38. Str. V, 75, 4

Διδασκαλικώτατα ἄρα ὁ Παῦλος ἐν ταῖς Πράξεσι τῶν ἀποστόλων[196]·

Così in modo quantomai efficace ad istruirci dice Paolo negli Atti degli Apostoli:

39. Str. V, 82,4

… καθὸ καὶ ὁ Λουκᾶς ἐν ταῖς Πράξεσι τῶν ἀποστόλων[197] ἀπομνημονεύει τὸν Παῦλον λέγοντα·

… proprio come Luca dice negli Atti degli Apostoli ricordando le parole di Paolo:

40. Str. VI, 63,5

Ναὶ μὴν καὶ ὁ Πέτρος ἐν ταῖς Πράξεσιν φησίν·[198]

Di più, anche Pietro negli Atti dice:

41. Str. VI, 165,1

… φέρεται δὲ κἀν ταῖς Πράξεσι τῶν ἀποστόλων[199] καὶ ἐν ταῖς ᾿Αθήναις κηρύξας[200] τὸν λόγον) …

… e negli Atti degli Apostoli è detto che egli aveva predicato la parola persino in Atene.

42. Citazione dal VIIIo libro degli Stremati

 

43. Citazione dal VIIIo libro degli Stremati

 

44. Citazione dal VIIIo libro degli Stromati

 

2.1.1 Le pericopi contenenti parola πρᾶξις, non segnate dal Registro di Stählin

45. Str. II, 132,4[201]:

Εἶτα τούτοις τὰ ἀκόλουθα συνάψας καὶ τῷ φόβῳ νουθετήσας ἐπιφέρει[202]· «τίς οὖν δὴ πρᾶξις φίλη καὶ ἀκόλουθος θεῷ; μία καὶ ἕνα λόγον ἔχουσα ἀρχαῖον, ὅτι τῷ μὲν ὁμοίῳ τὸ ὅμοιον ὄντι μετρίῳ φίλον ἂν εἴη, τὰ δὲ ἄμετρα οὔτε ἀλλήλοις οὔτε τοῖς ἐμμέτροις. τὸν οὖν τῷ θεῷ προσφιλῆ γενησόμενον εἰς δύναμιν ὅτι μάλιστα καὶ αὐτὸν τοιοῦτον ἀναγκαῖον γίνεσθαι.»[203]

Unisce a queste parole le convenienti spiegazioni, ammonisce in nome del timore, poi prosegeue: “Quale è dunque l’agire conforme a Dio e che gli è gradito? Uno solo, e che s’attiene a un solo antico principio: il simileameràil suo simile se sta nei limiti di una giusta misura, ma le cose fuor di misura né sono amiche fra di loro né a quelle che stanno nei loro giusti limiti… Chi dunque corrà esere amato da Dio deve egli pure divenirgli simile al massimo grado possibile.

46. Str.VI, 69,1 – 2

Ἄμφω γὰρ δυνάμεις τῆς ψυχῆς, γνῶσίς τε καὶ ὁρμή. εὑρίσκεται δ’ ἡ ὁρμὴ μετά τινα συγκατάθεσιν κίνησις οὖσα· ὁ γὰρ ὁρμήσας εἴς τινα πρᾶξιν πρότερον τὴν γνῶσιν τῆς πράξεως λαμβάνει, δεύτερον δὲ τὴν ὁρμήν. ἔτι κἀπὶ τοῦδε κατανοήσωμεν· ἐπειδὴ γὰρ τὸ μαθεῖν τοῦ πρᾶξαι πρεσβύτερόν ἐστιν (φύσει γὰρ ὁ πράσσων τοῦτο, ὃ πρᾶξαι βούλεται, μανθάνει πρότερον) καὶ ἡ μὲν

γνῶσις ἐκ τοῦ μαθεῖν, τὸ πρᾶξαι δὲ ἐκ τοῦ ὁρμῆσαι [κἀκ τοῦ μανθάνειν ἡ γνῶσισ], ἕπεται δὲ τῇ ἐπιστήμῃ <ἡ> ὁρμὴ μεθ’ ἣν ἡ πρᾶξις, ἀρχὴ καὶ δημιουργὸς πάσης λογικῆς πράξεως ἡ γνῶσις εἴη ἄν, ὥστ’ ἂν εἰκότως ταύτῃ μόνῃ χαρακτηρίζοιτο ἡ τῆς λογικῆς ἰδιότης ψυχῆς·

Tanto la “gnosi” che l’impulso [al volere] sono entrambe facoltà dell’anima. L’impulso si definisce come un moto che viene dopo un assenso. Chi ha un impulso verso un’ azione qualsiasi prima acquista la conoscenza dell’azione, e in un secodno momento l’impulso. E riffletiamo ancora: L’apprendere viene prima dell’agire (naturalmente chi agisce prima ha cognizione di ciò che vuol fare); e poiché la conoscenza procede dall’apprendere e l’agire dell’avere l’impulso, come a sua volta l’impulso [a volere] tien dietro alla conoscenza e all’impulso l’azione, ne consegue che principio creatore d’ogni azione razionale è la “gnosi”. Perciò è logico che da questa sola sia caratterizzata la proprietà specifica dell’anima razionale.

47. Str. VII, 102,2 – questa citazione già utilizzata nel nostro passo n. 10 della θεωρία

 

2.2 Commento all’analisi testuale

Dato che il Registro di Stählin non conteneva tutte le citazioni della parola πρᾶξις negli Stromnati, controlando con l’aiuto del TLG ho trovato altre 3 occorrenze della parola πρᾶξις. Principale pensiero di Clemente sulla πρᾶξις è “che principio creatore d’ogni azione razionale è la “gnosi”[204] (Str. VI, 69,2).

2.2.1 La parola πρᾶξις nella Sacra Scrittura[205]

Il termine πρᾶξις si trova nell’Antico Testamento maggiormente nei libri originalmente scritti in greco. Generalmente ha il senso di gesto o impresa singola. In totale si trova 10 volte insieme nell’Antico e Nuovo Testamento.

Antico Testamento:

2 Ch 15,15: “καὶ λόγοι Ροβοαμ οἱ πρωτοι καὶ οἱ ἔσχατοι οὐκ ἰδοὺ γεγραμμένοι ἐν τοῖς λόγοις Σαμαια τοῦ προφήτου καὶ Αδδω τοῦ ὁρῶντος καὶ πράξεις αὐτοῦ.“ (Le gesta di Roboamo, le prime e le ultime, non sono forse descritte negli Atti del profeta Semaia e del veggente Iddo?)

1 Mac 16,23: “καὶ τῆς οἰκοδομῆς τῶν τειχῶν ὦν ᾠκοδόμησεν καὶ τῶν πράχεων αὐτοῦ” (la costruzione delle mura che egli costruì e le gesta di lui).

2 Mac 4,28: “…γὰρ ἦν ἡ τῶν διαφόρων πρᾶξις” ( …poiché spettava a lui la riscossione delle imposte)

Jud 8,34: “ὑμεῖς δὲ οὐκ ἐξερευνήσετε τὴν πραξίν μου” (Voi però non andate indagando sulla mia impresa).

Job 24,5: “ἀπέβησαν δὲ ὥσπερ ὄνοι ἐν ἀργῷ ὑπὲρ ἐμοῦ ἐξελθόντες τὴν ἑαυτῶν πρᾶξιν ἡδύνθη αὐτῷ ἄρτος εἰς νεωτέρους” (Eccoli, simili agli onagri del deserto, escono al lavoro; di buon mattino vanno in cerca di nutrimento; la steppa offre loro cibo per i figli.)

Sir 37,16: “ἀρχὴ παντὸς ἔργου λόγος καὶ πρὸ πάσης πράξεως βουλή” (L’inizio d’ ogni azione è nel discorso, e prima d’ ogni opera c’ è il consiglio.)

Sir 38,24: “σοφία γραμμματέως ἐν εὐκαιρίᾳ σχολῆς καὶ ὁ ἐλασσούμενος πράξειαὐτοῦ σοφισθήσεται” (La sapienza dello scriba viene dal tempo speso nella riflessione, si diventa sapienti trascurando l’ attività pratica.)

1 Es 1,31 (apocrifo): “τὸ καθ’ ἓν πραχθὲν τῆς πράξεως Ιωσιου καὶ τῆς δόχης αὐτοῦ.” (per gli conviti e per gli atti di Iosia come è secondo i fatti)

πρᾶξις nel Nuovo Testamento:

Mt 16,27: “ καὶ τότε ἀποδώσει ἑκάστῳ κατὰ τὴν πρᾶξιν αὐτοῦ.” (e allora darà a ciascuno secondo la sua condotta.)

Lc 23,51: “οὐκ ἦν συγκατατεθειμένος τῇ βουλῇ καὶ τῇ πράχει αὐτῶν” (non si era associato alla loro deliberazione e alla loro azione.)

Rom 12,4: “τὰ δὲ μέλη πάντα οὐ τὴν αὐτὴν ἔχει πρᾶξιν” (le varie membra non hanno tutte le stesse funzioni.)

2.2.2 La parola πρᾶξις negli Stromati

Da Stählin e G. Pini la parola πρᾶξις nelle sue ricorrenze negli Stromati è associata per significato e origine a Platone, Aristotele, Filone Alessandrino[206], Crisippo, Senofonte, Socrate. I nostri due critici hanno anche fornito le citazioni bibliche che certi passaggi di Clemente semplicemente riportano senza darne però gli estremi.

Per la parola πρᾶξις abbiamo anche inserito un nostro apparato critico.

Per quanto riguarda la relazione tra filosofi e l’uso della parola πρᾶξις e gli Stromati anche noi abbiamo inserito alcune personali note critiche come per esempio nella nota 2, nella nota 7, nella nota 10, nella nota 11, nella nota 12, nella nota 13.

3 Θεωρία e πρᾶξις e il loro rapporto

negli Stromati di Clemente

Clemente usa la parola θεωρία negli Stromati 65 volte e la parola πρᾶξις 28 volte, tra cui 10 sono degli Atti degli apostoli. Nel primo libro degli Stromati indica che per lui la θεωρία è lo scopo anche dell’uomo politico, al contrario della tradizione precedente, dunque é scopo sia dell’uomo pratico sia di quello che vive la vita filosofica.[207] Infati dice così: “Scopo infatti, così penso, dell’uomo politico come di colui che vive secondo la legge è la contemplazione.” (Str. I, 166,2)

La θεωρία ha però diversi aspetti: esiste la visione delle cose belle sensibili, delle cose intelligibili, la visione del sommo bene – delle cose migliori, che sono infatti quelle divine. Alla fine c’è la visione non più delle cose ma delle realtà spirituali, fra cui più grande è il Sommo Dio. Clemente riassume questa sua divisione commentando allegoricamente un passo dell’Antico Testamento: “Abramo si avviò verso il luogo che Dio gli aveva detto. Al terzo giorno alzò gli occhi e vide il luogo da lontano” (Gn 22, 3-4). Per Clemente questo passo si spiega come un’allusione ai tre giorni dopo il qual Gesù Cristo era risorto, dunque come una via verso la risurrezione: “Il primo giorno è quello della vita delle cose belle, il secondo significa il desiderio dell’anima rivolta al bene sommo, nel terzo l’intelletto discerne le realtà spirituali, poiché gli occhi del pensiero sono stati aperti dal maestro che il terzo giorno risorse. I tre giorni potrebbero essere anche simbolo del sigillo [battesimale] per cui si crede in Colui che è il vero Dio.[208] (Str. V, 73,2)

In un altro passaggio Clemente parla di questa distinzione dei tre livelli della visione – esaminazione nella ricerca filosofica della verità: “Impegno filosofico congiunto alla verità, la vera dialettica esamina la realtà e sa distinguere le Dominazioni e le Potestà; poi trascende via via all’Essenza sovrana e osa spingersi oltre, verso Iddio dell’universo.” (Str. I, 177,1)

H. Pietras citando F. Draczkowski[209] usa uno schema simile per educazione all’amore: 1) il grado iniziale, cui soggetto è la gente dal cuore duro e per programma ha accetazione della fede e conversione; 2) il grado del progresso, cui soggetti sono i servi fedeli e come programma hanno le buone azioni; 3) il grado della maturità, cui soggetti sono gli gnostici, che hanno per programma l’eroismo nelle virtù, la gnosi e il martirio.[210] La terza tappa unisce l’ideale della gnosi con l’amore. Un vero gnostico è maturo nell ἀγάπη di Dio.[211]

Questa via della ricerca, ossia sfida per la verità che è anche sforzo per la libertà dalle passioni che ci offuscano la vista spirituale, si finisce acquistando lo Spirito Santo: “Le [212] è proprio e realmente Signore e guida, quello Spirito Santo che il credente si conquista dopo aver consolidato la fede, per divina provvidenza, alla fine di tutta [la ricerca].”[213] (Str. VI, 155,4).

Clemente dice nella sua antropologia addirittura che la costituzione dell’uomo è fatta per contemplare il cielo e per agire bene, criticando i dispreggiatori del corpo umano: “Irrazionale, dunque, l’attegiamento di quanti inveiscono contro la formazione [della figura umana] e spregiano il corpo. Essi non considerano che la costituzione dell’uomo è stata eretta per contemplare il cielo, che la struttura degli organi di senso è protesa alla “gnosi”, che le membra e le parti del corpo sono adeguatamante disposte a conseguire il bene, non il piacere.”[214] (Str. IV, 163, 1-2).

Così anche noi potremmo dividere la θεωρία in Clemente secondo la gradazione della visione in tre livelli: visione delle cose sensibili terrene, visione delle cose spirituali ultraterrene e visione di Dio. Solo otto volte Clemente non usa la parola nel senso della visione (seguono i numeri dei passi in cui θεωρία non è usata nel senso di visione):

1. n. 13: “indagine teorica o scientifica”

2. n. 16: “dottrina dello gnostico”

3. n. 23: “i filosofi e le rispettive dottrine”

4. n. 37: “prima della teoria fisica”

5. n. 47: “la scienza naturale”

6. n. 53: “compita eleganza della cultura”

7. n. 64: “le teorie avanzate dai Greci sui principi.”

8. n. 65: “da queste teorie dipendono anche i misteri”

In tutti questi passi il significato non ha il senso proprio della contemplazione, ma si fonda sulla base della visione, intesa come sguardo, ossia opinione su qualche argomento. Anche φυσικὴ θεωρία[215] è in un certo senso qualche tipo di sguardo sulle cose sensibili, che è alla fine la scienza della natura. Ma questo aspetto della θεωρία non ci interessa in questa nostra ricerca, dunque useremo solo le pericopi dove il significato della θεωρία è proprio la contemplazione.

3.1 La θεωρία come visione delle cose sensibili terrene

Il primo livello della θεωρία è la visione delle cose che si sono formate nel mondo sensibile[216] nella loro realtà, nella loro verità. Un caso specifico, come in tutta la tradizione platonica, è l’uso dell’astronomia per contemplare il cielo.[217] Per Clemente bisogna avere la capacità di discernere (δύναμις τοῦ διορᾶν) le cose del mondo. Clemente definisce questa facoltà dell’uomo in opposizione ai dialettici moderni del suo tempo, che perdevano il loro tempo nelle questioni sofistiche, l’autentica dialettica: “Infatti questa autentica prudenza dialettica è una facoltà capace di discernimento nel mondo dell’intelligibile e atta a rilevare la sostanza fondamentale di ogni ente, senza contaminazione e nella sua limpida purità. Essa è, in altri termini, una facoltà versata nella distinzione dei vari generi di cose, che discende fino alle più particolari e fa apparire ogni essere nella sua reale purità[218] (Str. I, 177,3)

In questo senso è scopo anche dell’uomo nella vita politica, poiché anche lui deve saper distinguere le cose giuste dalle cose sbagliate. Ma questa visione giusta delle cose non è subito perfetta e non si può ottenere in un attimo: “la conquista della verità non è difficile solo a quelli che vi si accostano così, sprovveduti, ma neppure a quelli che raggiungono la scienza in modo personale si concede di colpo e perfetta la contemplazione[219] (Str. VI, 132,5)

Per raggiungere la scienza della verità c’è bisogno dunque di un aiuto. L’uomo da solo non può arrivare neanche a questo primo livello della θεωρία, poiché le malattie dei piaceri e dei vizi lo portano via dalla strada giusta. Per Clemente l’unico vero aiuto è Gesù Cristo: “Veramente dunque noi malati abbiamo bisogno di un medico, traviati abbiamo bisogno del duce, ciechi di chi ci illumini, assetati della fonte vitale, a cui bevendo non avremmo più sete[220], morti siamo bisognosi della vita, gregge del pastore, fanciulli del pedagogo, anzi tutta l’umanità ha bisogno di Gesù.”[221] (Pedagogo I, 83, 3)

A questo punto si potrebbe menzionare che “nel Corpus Hermeticum la cosidetta «corrente ottimistica» sostiene, nel quinto trattato (cap. 3), che il modo migliore per ottenere qualche conoscenza di dio è quello di contemplare l’universo.”[222]

Clemente sulla scia di Filone[223] come esempio riporta Abramo di Genesi, che “sollevati gli occhi al cielo, vide in ispirito il Figlio, come alcuni spiegano, o un angelo glorioso, o comunque anche altrimenti riconobbe Dio come sovrano della creazione e dell’ordine che vi regna.” (Str. V, 8, 5-6)[224]

3.2 La θεωρία come visione delle cause prime

Negli Stromati di Clemente il sommo bene è la γνῶσις di Dio. Essa è la scienza divina. La θεωρία delle prime cause è “indagare con maggior cura la verità autentica, che sola ha per oggetto il vero Dio.[225] (Str. VII, 91,3)

Questa scienza della ricerca della verità è difficile a conquistarsi. Da questa difficoltà nascono le orgogliose e ambiziose eresie. Ma questa apparente molteplicità dei sguardi sulla (visioni della) verità non ci deve spingere ritirarsi. Bisogna accingersi alla fatica proprio a cause di queste eresie. Le cause prime, le verità del mondo intelligibile si devono “saper distinguere con una visione comprensiva e insieme con il ragionamento più perentorio il vero dall’apparente.”[226] (Str. VII, 91,3)

Ma non si può indagare senza la fede[227]: “Come potrà infatti un’anima far luogo alla soprannaturale contemplazione di queste cose, quando ancora le imperversa dentro l’incredulità verso quando apprende? Invece la fede, che certi Greci calunniano giudicandola vuota e barbara, è una volontaria “prolessi”, un assenso religioso, “sostanza di cose sperate, argomento di cose che no si vedono”, secondo il divino apostolo.[228] (Str. II, 8,3)

Questa indagine teorica delle cose divine del mondo intelligibile ci purifica dalle nostre false visioni provocate dalle notre passioni. Quando si arriva al vertice di questa θεωρία, il cristiano, ossia il vero gnostico, riceve il riposo della resurrezione dalla morte dalle passioni. Infatti Clemente spiega questo riposo così: “Il settimo giorno è dunque proclamato giorno di riposo: tempo di astinenza dal male, esso prepara quel primo giorno origine della vita, vero nostro riposo, che è anche veramente la prima generazione della luce, nella quale si contempla l’universo e ogni cosa è data in possesso. Da questo giorno la prima sapienza e “gnosi” irradia per noi.[229] Poiché la luce della verità è vera luce, senza ombre, che si distribuisce nella sua indivisibilità, quale spirito del Signore, a quelli che si sono santificati per fede, e ci sovrasta come fiaccola per la conoscenza profonda del reale. Ora, se la seguiamo, per tutta la vita ci rendiamo insensibili alle passioni, e questo è trovare riposo[230].”[231] (Str. VI, 138,2).

Essendo in questo stato della contemplazione, il cristiano raggiunto il vertice della gnosi, “prega che la sua capacità di contemplazione si accresca e perduri, come l’uomo comune di aver sempre la salute. In particolare chiederà di non mai allontanarsi dalla virtù, cooperando al massimo a restarvi per la vita senza vacillare.[232] (Str. VII, 46,4-5). Così passa all’ultimo livello della contemplazione che è la visione del Dio invisibile.

3.3 La θεωρία come visione di Dio

Come si può arrivare ad una visione del Dio invisibile? Clemente nel sesto libro degli Stromati spiega quale è la condizione non solo di questa ma di tutte le θεωρίαι: “Non è possibile di partecipare alle contemplazioni gnostiche (provenienti dalla conoscenza), se noi non ci saremo svuotati delle concezioni che abbiamo prima.[233] (Str. VI, 150, 4) L’uomo può avere tante false immagini di Dio[234], ma solo quando se ne libererà avrà la possibilità della visione di Dio. Questa suprema contemplazione di Dio non è secondo alcuni studiosi possibile in modo perfetto nella vita terrenne.[235] Altri studiosi dicono che la risposta non è almeno chiara.[236] Ma Clemente non misura la θεωρία solo con la categoria della perfezione (θεωρία ἐποπτική), ma anche della durazione. E θεωρία perenne (ἀίδιος), che si acquista con contemperamento perenne e sopratutto preghiera ininterrotta[237], si può ricevere anche su questa terra (Str. IV, 136,4).

Clemente critica i filosofi greci che parlando di Dio non lo conoscevano in verità: “Ma a quanto pare i filosofi greci, sebbene nominino Dio, non lo conoscono, perché non venerano Dio secondo Dio”.[238] (Str. VI, 149,1) Come esempio riporta fra gli altri esplicitamente anche Omero: “Ad esempio, anche Omero disse: “padre degli uomini e degli dei”, [239] ma senza sapere chi è il Padre e come lo è.[240] (Str. VI, 161,5).

Per sapere chi è il Padre, si deve arrivare al Logos – Gesù Cristo[241], perché Clemente afferma con la Sacra Scrittura che “nessuno conosce[242] il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo”[243]. Questo è anche lo scopo della γνῶσις per Clemente: avere esperienza di questa rivelazione con la quale ci mostra Padre il suo Figlio, il Logos. Dunque dal Logos possiamo apprendere come conoscere Padre. Clemente dice: “… è nostro proposito dire con quali atti e con quale tenore di vita possiamo giungere al riconoscimento dell’Onnipotente Dio e come dobbiamo onorare la divinità per procurarci la salvezza: noi intraprendiamo ad agire in modo giusto e santo, per aver conosciuto e imparato non dai sofisti, ma da Dio stesso ciò che gli è gradito. E gradito gli è che ci si salvi, e la salvezza viene a noi tramite la bontà delle azioni e la gnosi, di entrambe le quali cose ci è maestro il Signore.”[244] (Str. VI, 96,3-4).[245]

Dunque γνῶσις è la conoscenza dall’esperienza. I falsi gnostici (al contrario dei veri gnostici di Clemente) dicevano che sanno tante dottrine salvifiche segrete, ma queste provenivano dalla loro speculazione razionale o da qualche tradizione segreta orale. Mai dalla esperienza personale di Dio.[246] Ma questa esperienza non è una dimostrazione materiale ma si risolve nella fede[247], nella fiducia in Maestro, che è il fondamento e la costruzione postavi sopra: il principio e la fine.[248]Del resto il non dubitare di Dio, ma credere è il fondameto della gnosi[249], dice Clemente nel settimo libro degli Stromati. Qui si dovrebbe sottolineare che “l’Alessandrino è stato il primo ad adattare il termine scritturistico di “fede” alla nozione di πίστις che si trova nella logica aristotelica e in quella stoica.”[250]

Questa dimostrazione scientifica intima, non materiale si riceve nella parola di Dio: “E non vogliamo ancora capire che la parola di Dio è dimostrazione?[251] (Str. II, 25,3). Dunque per Clemente lo gnostico è quello che con il Logos suo maestro[252] penetra bene nella comprensione della parola di Dio. Le sue parole a proposito sono chiare: “Uno che sa veramente comprendere e penetrare [il significato delle Scritture]: questi è lo gnostico.”[253] (Str. IV, 135,1).

La visione di Dio è dunque collegata alla visione delle cose divine e anche alla visione delle cose terrenne attraverso il perenne aiuto della Sacra Scrittura per essa e la presenza del Logos, Figlio di Dio, che è “il fondamento e la costruzione postavi soprae il fine” (Str. VII, 55,5). La πρᾶξις che proviene da questa θεωρία è la stessa che in seguito richiede di approfondire di più la θεωρία stessa.[254] Dunque si potrebbe concludere che per Clemente primo e ultimo è Gesù Cristo[255] – il Logos del Padre, ma fra questo inzio e fine c’è una consequenza reciproca di θεωρία e πρᾶξις. Nessuno chi si attiene alla vera θεωρία, rimanerà inattivo. E chi veramente pratica i precetti di Dio trasmessi nella Sacra Scrittura per farlo sempre meglio si atterà alla giusta conoscenza, ossia alla θεωρία di essi e di chi li aveva emendati, cioè di Dio sommo.

 

Conclusione

La θεωρία e la πρᾶξις per Clemente sono dunque due aspetti della vita del vero gnostico, cioè del cristiano. Clemente commentando l’apostolo Paolo dice: “[L’apostolo][256] tratteggia qui una giustizia assolutamente perfetta, come completa d’azione e di contemplazione.” (Str. IV, 99,1). Così per Clemente non esiste un’antinomia ma armonia tra θεωρία e πρᾶξις. Questo attegiamento secondo me si potrebbe basare su una centrale idea, per lo più si potrebbe dire una esperienza, di Clemente che l’esprime così: “ [L’operatore della pace] sa interpretare come suprema armonia della creazione le contradizioni del cosmo.”[257] (Str. IV. 40, 4)[258]

Quest’ armonia[259], invece di essere antinomia, è il frutto della conoscenza gnostica, cioè profonda della Sacra Scrittura, e specialmente del Vangelo: “Scevra di dubbi infatti è la fede che egli ha circa la sua condotta di vita, perché approva il Vangelo attraverso azioni pratiche e contemplazione. Così non guadagna lode dagli uomini, ma da Dio, poiché mette in pratica gli insegnamenti del Signore.” (Str. VII, 78,1-2). Clemente dice che questo atteggiamento del cristiano deve essere spinto solo dall’amore[260] per il bene stesso della contemplazione: “Soltanto il fare bene per amore, quello che si fa per il bene in sé, e per sé deve scegliere lo gnostico.”[261] (Str. IV, 135,4)

Alla fine vorrei ringraziare tutti che mi hanno aiutato a realizzare il progetto di questa tesina, quelli che mi hanno aiutato a passare dalla teoria nella pratica. Sicuramente non ho affrontato il tema da tutti i punti di vista, ad esempio si potrebbe aggiungere uno studio più ampio sul vocabolario della θεωρία a della πρᾶξις e di tutti gli autori precedenti non solo greci, includendo anche le altre tradizioni sia religiose, sia filosofiche,[262] dato che ad esempio Clemente conosceva anche l’insegnamento di Buddha (infatti, Clemente è il primo autore che menziona Buddha in Occidente[263]) e l’insegnamento delle religioni del vicino oriente, che anche hanno concetti della visione di Dio. [264]

Potrebbe portare un ulteriore chiarimento nella comprensione di questi due termini presi da Clemente l’attenta analisi del loro uso in autori posteriori che hanno attinto a Clemente.[265]

Nel campo della critica testuale si potrebbe proseguire nell’accurata correzione del Registro di Stählin con l’aiuto del TLG[266] almeno per tutte le parole dei concetti significanti della filosofia e vita cristiana d’allora, come lo propone anche A. van den Hoek.[267]

Ma per questi approfondimenti c’è bisogno di un altro tipo di lavoro, ad esempio una tesi di dottorato.

Vorrei finire nondimeno che con una citazione tratta dagli Stromati di Clemente che riassume il nostro tema in maniera eccezionale:

Poiché sì, certo, dello “gnostico” duplice è il fine,

almeno su questa terra,

da un lato la contemplazione che fa scienza, dall’altro l’azione.[268]

Bibliografia

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Clemente Alessandrino, Παιδαγωγός (a cura di O. Stählin), GCS 12 (1936), p. 87 – 340

Clemente Alessandrino, Στρωματεῖς (a cura di O. Stählin), libri I-VI, GCS 15 (1936), nuova ed. del L. Früechtel, 52 (1960)

Clemente Alessandrino, Στρωματεῖς (a cura di O. Stählin), libri VII-VIII, GCS 17 (1939), p. 3-102.

2. Traduzioni italiane consultate di Clemente Alessandrino:

Clemente Alessandrino, Gli Stromati (a cura di G. Pini), Milano 1985

Clemente Alessandrino, Estratti profetici (a cura di C. Nardi), Firenze 1985

Clemente Alessandrino, Il Protrettico (a cura di Matteo Galloni), Roma 1991

3. Altre opere patristiche consultate:

Girolamo, Gli uomini illustri (a cura di Enrico Camisani), Roma 20001.

Eusebio di Cesarea, Storia della Chiesa (a cura di Livio Tescaroli), Roma 1999.

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Evagrio, Творения аввы Евагрия (a cura di A. I. Sidorov), Mosca 1994

Testi gnostici in lingua greca e latina (a cura di M. Simonetti), Rocca San Casciano 20013

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12. Dictionnaire de spiritualitè II., Paris 1967

13. H. R. Drobner, Patrologia, Casale Monferrato 20022

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31. T. Špidlík, La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, Roma 2002

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33. J. Wytzes, The twofold way (I), In: “Vigiliae christianae“ 11 (1957), p. 226 – 245.

34. J. Wytzes, The twofold way (II), In: “Vigiliae christianae“ 14 (1960), p. 129 – 153.

  1. S. Lilla giustamente osserva che “a further study would hardly be expected to add anything new to what we already know [about Clement].” (S. Lilla, Clement of Alexandria: A Study in Christian Platonism and Gnosticism, London 1971, p. 1) Ma lo scopo di questa tesi non è di trovare qualcosa nuovo, ma solo porre un diverso sguardo sulle cose già conosciute.

  2. Str. I, 11, 2: “Σικελικὴ τῷ ὄντι ἦν μέλιττα”.

  3. Il nome integro di Clemente Alessandrino è trasmesso da Eusebio, Storia ecclesiastica VI, 13, 1 e Fozio, Biblioteca, codice 111: “Τίτου Φλαυίου Κλήμεντος [Fozio aggiunge πρεσβυτέρου Ἀλεξανδρείας]”.

  4. Anche se questo secondo M. Mees potrebbe essere una semplice ipotesi bassata su Str. I, 11, 2. Cfr. M. Mees, Clemente di Alessandria, In: Dizionario patristico e di antichità cristiane Io, Casale Monferrato 19831, col. 706.

  5. M. Simonetti, E. Prinzivalli, Letteratura cristiana antica Io, Casale Monferrato 19961, p. 454.

  6. A dictionary of christian biography (ed.W. Smith e H. Wace), Volume I (A-D), New York + Millwood 1974, p. 559-560.

  7. Eusebio, Storia ecclesiastica IV, 26, 4; V, 11,1-5; VI, 6, 1; VI, 11, 6; VI, 13, 1 – 14, 9; Preparazione evangelica II, 2f.

  8. Gerolamo, Gli uomini illustri, XXXVIII.

  9. Cfr. Origene, Omelie su Ezechiele, 13,796; Sui Principi 4,2,4.

  10. Epifanio Di Salamina, Panarion, 32, 6,1: “Κλήμης τε, (ὅν φασί τινες ᾿Αλεξανδρέα, ἕτεροι δὲ ᾿Αθηναῖον)“.

  11. Cfr. H. R. Drobner, Patrologia, Casale Monferrato 20022, p. 197. Un’altra oppinione ha J. Munck, dicendo che era solo una scuola temporanea: “Die nächtsliegende Erklärung ist wohl die, dass er nicht zur Katechetenschule in Alexandria gehörte, da dieselbe noch nicht in derjenigen Form existierte, wie wir sie später kennen, sondern dass er zusammen mit seinem Lehrer Pantainos einige Jahre in Alexandria Schule gehalten hat, um danach anderswo seine Lehrtätigkeit fortzusetzen.” (J. Munck, Untersuchungen über Klemens von Alexandria, Stuttgart 1933, p. 175)

  12. Clemente usa proprio la parola ἀνεπαυσάμην che indica il cessare, il fermarsi, il sospendere. La forza irradiata da Panteno spiega come poi Clemente abbia smesso di cercare la verità.

  13. Cfr. C. Moreschini, E. Norelli, Manuale di letteratura cristiana antica greca e latina, Brescia 19991, p . 121.

    Vedi anche J. Quasten, Patrologia Io, Casale Monferrato 1980 (ristampa di 1995), p. 287.

  14. Cfr. H. R. Drobner, Patrologia, p. 197.

  15. Questo fatto potrebbe secondo M. Galloni indicare gl’inizi della vita monastica nei deserti dell’Egitto.

    Cfr. M. Galloni, Introduzione, In: Clemente Alessandrino, Il Protrettico, Borla, Roma 1991, p. 9.

  16. Omero, Odissea, II, 276.

  17. Str. I, 11,1-3: “῎Ηδη δὲ γραφὴ … κατηξιώθην ἐπακοῦσαι, λόγων τε καὶ ἀνδρῶν μακαρίων καὶ τῷ ὄντι ἀξιολόγων. τούτων ὃ μὲν ἐπὶ τῆς ῾Ελλάδος, ὁ ᾿Ιωνικός, οἳ δὲ ἐπὶ τῆς Μεγάλης ῾Ελλάδος (τῆς κοίλης θάτερος αὐτῶν Συρίας ἦν, ὃ δὲ ἀπ’ Αἰγύπτου), ἄλλοι δὲ ἀνὰ τὴν ἀνατολήν· καὶ ταύτης ὃ μὲν τῆς τῶν ᾿Ασσυρίων, ὃ δὲ ἐν Παλαιστίνῃ ῾Εβραῖος ἀνέκαθεν· ὑστάτῳ δὲ περιτυχὼν (δυνάμει δὲ οὗτος πρῶτος ἦν) ἀνεπαυσάμην, ἐν Αἰγύπτῳ θηράσας λεληθότα. Σικελικὴ τῷ ὄντι ἦν μέλιττα προφητικοῦ τε καὶ ἀποστολικοῦ λειμῶνος τὰ ἄνθη δρεπόμενος ἀκήρατόν τι γνώσεως χρῆμα ταῖς τῶν ἀκροωμένων ἐνεγέννησε ψυχαῖς. Ἀλλ’ οἳ μὲν τὴν ἀληθῆ τῆς μακαρίας σῴζοντες διδασκαλίας παράδοσιν εὐθὺς ἀπὸ Πέτρου τε καὶ ᾿Ιακώβου ᾿Ιωάννου τε καὶ Παύλου τῶν ἁγίων ἀποστόλων, παῖς παρὰ πατρὸς ἐκδεχόμενος (ὀλίγοι δὲ οἱ πατράσιν ὅμοιοι), ἧκον δὴ σὺν θεῷ καὶ εἰς ἡμᾶς τὰ προγονικὰ ἐκεῖνα καὶ ἀποστολικὰ καταθησόμενοι σπέρματα.”

  18. Cfr. Hans von Campenhausen, I Padri greci (traduzione italiana dell’originale tedesco), Paideia, Brescia 1967, p. 41.

  19. Ibidem, p. 41.

  20. R. Cantarella, Storia della letteratura greca, Milano 1962, p. 983.

  21. J. Quasten, Patrologia I, p. 288.

  22. “Nous pouvons donc conclure que al comparaison avec Origène, qui est théologien de l’Ecriture, met en relief l’importance de Clément comme théologien de la Tradition. Il mérite à cet égard d’être mis sur le même plan qu’Irénée.”

    Vedi J.Daniélou, La tradition selon Clément d’Alexandrie, In: “Augustinianum” 12 (1972), p. 18.

  23. Ibidem.

  24. Ibidem.

  25. Cfr. J. Quasten, Patrologia I, p. 295-298.

  26. Questa universalità della salvezza, che Cristo Logos è diceso sulla terra per aiutare tutti è sottolineata anche negli Stromati. Lo afferma anche ciò che dice H. Alfeyev: “Clement is the first who has spoken about the descent of Christ into Hades not only for the Giudes, but also for all other people, also pagans. (Str. VI, 6,1-3)”. Vedi H. Alfeyev, Christ the Conqueror of Hell, In: Christus bei den Vätern (ed. P. Andia – L. Hofrichter), Innsbruck 2004, p. 58-59.

  27. “Studiandosi dunque di perfezionarci con un aprogressività salutare, conveniente a un’efficace educazione, usa di un buon metodo il benignissimo Logos, prima protreptico consigliere, poi pedagogo, infine maestro.”

  28. J. Quasten, Patrologia Io, p. 293.

  29. Str. VII, 111,1: “Ἐοίκασι δέ πως οἱ Στρωματεῖς οὐ παραδείσοις ἐξησκημένοις ἐκείνοις τοῖς ἐν στοίχῳ καταπεφυτευμένοις εἰς ἡδονὴν ὄψεως, ὄρει δὲ μᾶλλον συσκίῳ τινὶ καὶ δασεῖ κυπαρίσσοις καὶ πλατάνοις δάφνῃ τε καὶ κισσῷ, μηλέαις τε ὁμοῦ καὶ ἐλαίαις καὶ συκαῖς καταπεφυτευμένῳ, ἐξεπίτηδες ἀναμεμιγμένης τῆς φυτείας καρποφόρων τε ὁμοῦ καὶ ἀκάρπων δένδρων διὰ τοὺς ὑφαιρεῖσθαι καὶ κλέπτειν τολμῶντας τὰ ὥρια, ἐθελούσης λανθάνειν τῆς γραφῆς.”

  30. Il titolo è stato tramadato solo da autori posteriori, come ad es. Eusebio, Storia ecclesiastica VI, 13, 1: “Τίτου Φλαυίου Κλήμεντος τῶν κατὰ τὴν ἀληθῆ φιλοσοφίαν γνωστικῶν ὑπομνημάτων στρωματεῖς”.

  31. J. Quasten, Patrologia I, p. 293.

  32. Vedi A Dictionary of Christian Biography, Volume I (A-D), p. 563: “The fragment which bears the title of the eight book in the one remaining manoscript, is in fact a piece of a treatise on logic. It may naturally have served as an introduction to the exmination opf the opinions of Greek Philosophers, the interpretation of Scripture, and the refutation of heresies which were the general topics of the second principal member of Clement’s plan; but i t is not easy to see how it could have formed the close of the Miscellanies. It is “a fresh beginning” and nothing more.”

  33. E. Cavalcanti, L’esperienza di Dio nei Padri greci, Roma 1984, p.8.

  34. Str., I, 11, 1: “ἀνδρῶν μακαρίων καὶ τῷ ὄντι ἀξιολόγων.”

  35. Ibidem: “τῶν ἐναργῶν καὶ ἐμψύχων ἐκείνων, …. λόγων”

  36. Sono i passi 18, 22 e 75. Dunque Clemente nei testi a noi pervenuti, lasciando fuori gli Stromati, usa il termine θεωρία solo tre volte, il chè dimostra la posizione importante del termine θεωρία all’interno degli Stromati.

  37. Sono i passi 24, 28, 29, 35, 38, 40, 41, 46, 50, 51, 55, 56, 59, 61, 68, 69, 71, 72, 74 e 78.

  38. L’utilità di questo strumento proprio per la verifica del Registro di Stählin loda anche una delle più erudite studiosi di Clemente Alessandrino d’oggi Annewies van den Hoek: “The computer index of the TLG is a wonderful and accurate means to gain a quick insight into words in thier context; the index of Stählin however, is less accurate since it is a vast vessel of very diverse materials that were collected over the centuries.” A.van den Hoek, Techniques of quotation in Clement of Alexandria, In: Vigilae christianae 50 (1996), p. 230.

  39. Così ad esempio l’80° passo qui riportato è tratto dal primo libro degli Stromati; in esso Clemente per la prima volta negli Stromati usa la parola θεωρία.

  40. La traduzione inglese, del 1885 è tratta dal secondo volume degli Ante-Nicene Fathers (ed. A. Roberts e J. Donaldson) riprodotto nel 1994 in Intenet: http://newadvent.org/fathers/0210.htm

  41. Cioè la visione naturale, intellettuale e spirituale. I gradi della contemplazione in autori come T. Špidlik.

  42. Traduzione italiana è di G. Pini presa da Clemente Alessandrino, Gli Stromati, note di vera filosofia, Milano 1985.

  43. Prima di questo testo c’è una lacuna di alcune parole.

  44. Dopo questo punto Clemente segue Platone, Symposion, 203e-204a.

  45. Questa parola ha introdotto Stählin per sostituire ἡ μὲν ἔτι φιλοσόφων con ὁ ἔτι φιλοσοφῶν, cui αὐτῷ andrebbe così riferito. Ma Pini si chiede se non è meglio mantenere ἡ μὲν ἔτι φιλοσόφων, cioè θεωρία, corregendo solo αὐτῷ in αὐτῇ. Cfr. G. Pini, Note critiche, In: Clemente Alessandrino, Gli Stromati, Edizioni Paoline, Milano 1985, p. 899.

  46. ἀγράφως παραδοθεῖσα = alla lettera: tramadata non per iscritto. Potrebbe significare anche segretamente.

  47. Questo passo è una sintesi del significato del termine θεωρία di Clemente. La θεωρία è per Clemente la visione più che mai coinvolgente di Dio διὰ τοῦ μεγάλου ἀρχιερέως, che è Cristo. È un culto, una sacra λειτουργία che ha come scopo salvezza degli uomini.

  48. Secondo G. Pini questo è la formula di silenzio esoterica: cfr. Euripide, Ifigenia in Tauride, 37.

  49. Nelle righe seguenti (13,3-15,4) Clemente sviluppa l’esercizio della θεωρία: lo “gnostico” edificando se stesso forma anche gli altri. Infatti così definisce le caratteristiche di un “teoretico”: “ἡμερότης δ’, οἶμαι, καὶ φιλανθρωπία καὶ μεγαλοπρεπὴς θεοσέβεια γνωστικῆς ἐξομοιώσεως κανόνες.” (13,3). 

  50. Questo passo è molto simile a quello precedente.

  51. Questo è un termine gnostico variamente inteso come “realizzazione definitiva” (in senso basilidiano) o come “restaurazione” (in senso stoico).

  52. Termine προσηγορία al contrario del termine ὄνομα non indica il nome di un individuo, ma nome di un genere, oppure sopranome, titolo, epiteto. Così i „puri di cuore“ non diventeranno „dei“ per l’essenza, ma solo parteciperanno alla divinità. Anche qui si vede l’esattezza dei termini che usa Clemente.

  53. In tutta la LXX si trova questa locuzione 49 volte, in altre parole 7×7 volte. Dunque l’uso dell’avverbio πολλάκις, che in correlazione con i verbi ha proprio il significato di moltissime volte, è qui molto giusto.

  54. Clemente usa qui di nuovo il termine misterico ἐπιοπτική.

  55. Cfr. 1 Cor 13, 9-10.

  56. Il raggiungimento della “gnosi” si risolve in una trasformazione (cfr. Str. II, 31,1) sostanziale del soggetto (cfr. Str. I, 166,5): egli diviene “gnosi” vivente. Questo concetto è comune a Clemente e a tutte le sette gnostiche esoteriche.

  57. Sp 7, 17.20.

  58. Cfr. Mt 10,24.

  59. In questo passo Clemente parla della divinizzazione dell’uomo, non nella sostanza (οὐσία!), ma nella figliolanza.

  60. Qui Clemente difende l’aspetto occulto della θεωρία.

  61. Nelle righe seguenti Clemente prosegue con il discorso sulle vergini, che accettano tutto dalla provvidenza divina in quanto torna a loro vantaggio.

  62. Qui Clemente usa θεωρία nel nostro senso moderno, per indicare cioè le dottrine dei filosofi, derivati dalla meraviglia che suscita in loro la contemplazione del mondo.

  63. Questa immagine poi sarà ripresa, come simbolo della vita spirituale, da Gregorio di Nissa in sua opera La vita di Mosè.

  64. La citazione combina insieme Timeo 28c e la Lettera 7a. Il testo era prediletto dal medioplatonismo e dai primi cristiani per il suo senso mistico. Il passo di Timeo 28c è citato da Clemente anche in Strom. V,14, 92,3.

  65. Qui Clemente sottolinea l’ineffabilità di Dio: presso di Lui c’è una ἄγνοια che si pone davanti all’ ἀλήθεια.

  66. Questo sostantivo è secondo Montanari, p. 2068 attestato solo negli ambienti cristiani, dovepoi ha acquistato il senso liturgico del responsorio. Tale obbedienza non è passiva, ma ascolta e risponde.

  67. Sono i famosi simpliciores; cfr. IV,16,100,6; V,4.26.1.

  68. Come nota Stählin, il termine ricorre anche in Platone, Fedro 247a. Ma Platone dice soltanto che no c’è fra gli dei l’invidia nei riguardi dei loro diversi compiti od occupazioni: “Φθόνος γὰρ ἕξω θείου χοροῦ ἵσταται.”

  69. Questo passo è abbastanza oscuro, giacché in esso Clemente adopera la sua μυστικὴ ἑρμενεία per spiegare simbolicamente gli oggetti che si trovavano nel tempio ebraico.

  70. Questo passo è nel contesto della spiegazione allegorica della veste talare del sommo sacerdote degli Ebrei, che secondo Clemente è simbolo del mondo sensibile (Cfr. Str. V, 37,1 – 40,4).

  71. Stahlin fa qui riferimento a Crisippo, fr. [C.e.] 604 e seguenti, dove i saggi-sacerdoti pagani “fanno sacrifici agli dèi con animo puro, in quanto evitano le colpe che offendono gli dèi” (“καὶ θύειν αὐτοὺς θεοῖς ἁγνοὺς τε ὑπάρχειν· ἐκνεύειν γὰρ τὰ περὶ τοὺς θεὺς ἁμαρτήματα.”); Clemente invece dice subito dopo che il levita si purifica ormai con il Logos “gnostico” (Cfr. Str. V, 39,4), egli ha dunque bisogno della purificazione, non è automaticamente purificato in quanto sacerdote.

  72. Questo pronome si riferisce ai quelli che sono fra gli eletti i più eletti (“τῶν ἐκλεκτῶν ἐκλεκτότεροι”) … tratti ugualmente da Giudei e Greci (“ἐπ’ ἴσης ἔκ τε Ἰουδαίων ἔκ τε Ἑλλήνων”) … nei quali la grazia si manifestò raddoppiata (“διπλασιασθείσης τῆς χάριστος·”). – vedi Str. VI, 107,2. Si tratta dunque dei perfetti gnostici.

  73. In questo passo è interessante l’uso del sostantivo θεραπεία (cura, culto) e dell’aggettivo βελτιωτική (che rende migliori).

  74. Cfr. 1 Cor 13,8.

  75. Questo passo è l’immediata continuazione del passo n. 16, ma ha un diverso significato. Quindi ho ritenuto meglio, dal punto di vista del significato della parola θεωρία, dividere testo in due passi, come lo fa anche Stählin nel suo Registro.

  76. Qui Clemente non usa il termine greco θεωρία, ma il verbo θαυμάζειν, che esprime il senso di meraviglia per le cose create. Già da Platone è questa meraviglia ritenuta come l’inizio della filosofia: “Μάλα γὰρ φιλοσόφου τοῦτο τὸ πάθος, τὸ θαυμάζειν· οὐ γὰρ ἄλλη ἀρχὴ φιλοσοφίας ἢ αὕτη, καὶ ἔοικεν ὁ τὴν Ἶριν Θαύμαντος ἔκγονον φήσας οὐ κακῶς γενεαλογεῖν.” (Platone, Teeteto 155d) La traduzione di G. Giardini è: “Si addice particolarmente al filosofo questa tua sensazione: il meravigliarti. Non vi è altro inizio della filosofia, se non questo, e chi affermò che Iride era figlia di Taumante come sembra, non fece male la genealogia.” Dunque qui Clemente collega la θεωρία con il senso di meraviglia, che non è un’osservazione passiva.

  77. Da questo passo si potrebbe concludere che per Clemente esiste dapprima la meraviglia per la creazione (τοῦ θαυμάζειν τὴν κτίσιν) e che soltanto dopo viene la θεωρία delle parole di Dio, vale a dire il loro ascolto (εὐθέως δὲ ἀκούσας θεόν τε καὶ πρόνοιαν ἐπίστευσεν ἐξ ὧν ἐθαύμασεν).

  78. Esempi di questo “imparare da solo” (intrinsecamente) i precetti della Sacra Scrittura, li possiamo trovare nei Apoftegmi dei Padri del deserto o nella vita di Maria d’Egitto, che pur non sapendo leggere, durante il suo soggiorno di quaranta anni nel deserto oltre il Giordano aveva imparato tanti testi biblici a memoria. (Cfr. ZosimO, La vita di Maria d’Egitto, PG 46 col. 856-861)

  79. Sal 93[94], 10.

  80. Questo termine θεωρία ἐποπτική è preso dal linguaggio misterico, ma già si trova anche nel Platone. Nei misteri eleusini ἐπόπτης era il fedele all’ultimo grado dell’iniziazione. Dunque qui si allude secondo Pini (cfr. nota n. 78 alla p. 78) alla conoscenza o visione suprema, la “gnosi”.

  81. Questa φυσικὴ θεωρία è la visione vera, perfetta delle sostanze delle cose che equivale secondo G. Pini alla γνωστικὴ φυσιολογία (cfr. nota n. 77 alla p. 78).

  82. Ἀκολουθία è un altro termine importante per Clemente perché essa è anche la reciproca corrispondenza fra fede e “gnosi” (Str. II, 16,2: “ πιστὴ τοίνυν ἡ γνῶσις, γνωστὴ δὲ ἡ πίστις θείᾳ τινὶ ἀκολουθίᾳ τε καὶ ἀντακολουθίᾳ γίνεται.”), e l’interna coerenza della verità rilevata, che lo “gnostico” deve scoprire; così essa talora è addirittura equivalente all’ ὁμοίωσις θεῷ (Str. II, 100,4: “τὴν μὲν γὰρ ἐξομοίωσιν ὁ νόμος ἀκολουθίαν ὀνομάζει· ἡ δὲ τοιαύτη ἀκολουθία κατὰ δύναμιν ἐξομοιοῖ.”; Str. V, 94,6: “ἑτέρῳ δ’εἰ βούλει παραλαβεῖν ὀνόματι τὴν ἐξομοίωσιν, εὕροις ἂν παρὰ τῷ Μωυσεῖ [τὴν] ἀκολουθίαν ὀνομαζομένην θείαν·”). Da qui deriva uno dei motivi di condanna delle sette eretiche: esse tagliano la ἀκολουθία col Cristo, e rappresentano una frantumazione della vera sequenza intellettuale (Cfr. G. Pini, nota n. 80 alla p. 79).

  83. Cfr. Ps. Platone, Lettera 7, 341cd.

  84. Cfr. Str. V, 70,1-4; 71,1-2 dove Clemente parla della consecuzione tra la catechesi (fondamenti della dottrina) e la contemplazione (i grandi misteri, riguardanti tutta la vita) nell’ascensione verso l’Intelligenza prima.

  85. Nei frammenti n. 624 e 625 relativi allo stoico Sfero di Boristene, si trova l’espressione καταληπτικὴν φαντασίαν (che si può tradurre rappresentazione) invece dell’espressione καταληπτικῇ θεωρίᾳ usata qui da Clemente. Questo potrebbe significare che Clemente usa θεωρία proprio per sottolineare la differrenza tra φαντασία (rappresentazione delle cose, come nel caso di Sfero) e θεωρία (visione reale di Dio). Cfr. Stoici antichi (a cura di R. Radice), Bompiani, Milano 2002, p. 274-277 (v. sopratutto il testo greco).

  86. Secondo G. Pini si tratta di un frammento di una tragedia sconosciuta: Adesp. 117 N.2 (T.G.F., p. 863).

  87. Questo passo è inserito nel contesto di critica delle false filosofie (epicureismo, ma anche stoicismo) per le loro “infantili” concezioni della creazione e dell’origine delle cose intelligibili. (Διὸ κἀκεῖνα [ἀπόστολος] ἐπιστέλλει· «τὰς νεωτέρας ζητήσεις φεύγετε·« μειρακιώδεις γὰρ αἱ τοιαῦται φιλονικίαι. – Str., I, 51, 2).

  88. Ab 2,4.

  89. Is 7,9.

  90. In questo passo Clemente usa θεωρία solo per indicare la scienza della natura.

  91. Euripide, fr. 482 N.2 (dalla Melanippe saggia – Μελλανιππή ἡ σοφή.).

  92. Questa concezione è sostenuta veementemente da Clemente in diversi punti degli Stromati.

  93. In questo passo Clemente non usa il termine θεωρία per indicare la visione suprema (perfetta), ma solo quela che la precede, vale a dire qui la visione delle cose naturali.

  94. ἐποπτεία ha qui il senso di “contemplazione” religioso-misterica (suprema visione dell’iniziato). Cfr. Str. I, 13,1; V, 73,2; V, 138,3.

  95. In questo passo, il termine θεωρία è usato più di frequente, per ben tre volte.

  96. Τούτου si referisce al precedente ἄνθρωπος.

  97. La fonte di questa fermezza dello spirito è la resurrezione del Signore: “μηδὲ καθ’ ὁτιοῦν μεταβαλλόμενοι, ἀλλ’ ἐν ἕξει ἀσκήσεως ἀεὶ μένοντες ἀναλλοίωτοι μετά γε τὴν τοῦ κυρίου ἀνάστασιν.” – Str. VI, 71,3.

  98. Si sottintende ὁ γνωστικός – il “gnostico” che è grato per la creazione.

  99. Anche qui si sottintende ὁ γνωστικός, che prega per i beni dell’anima.

  100. Questa funzione dello gnostico viene più volte ribadita da Clemente, quando cita il passo paolino “τοῖς πᾶσιν γέγονα πάντα” (mi faccio tutto a tutti) – 1 Cor 9,22. Cfr. anche Str. IV 101,1; 130,2.

  101. Lv 18,1-5

  102. Clemente usa qui di nuovo la parola dei misteri eleusini ἐποπτικὴ.

  103. Questo passo parla delle condizioni della vita “gnostica”, vale a dire della contemplazione.

  104. Cfr. Gv 10,8. In questo senso Clemente lo usa anche in Str. I, 81,1.

  105. In questo passo θεωρία ha quasi lo stesso significato che ha nel passo precedente.

  106. Il fatto che queste sono le stesse parole usate nel passo n. 64, può indicare il titolo dell’opera futura di Clemente, o la sua intenzione di attingere ad una fonte recante un simile titolo. Clemente parla altrove della sua intenzione di scrivere un περὶ ἀρχῶν (Str. III, 13,1; 21,2; IV, 2,1; 16,3), senza però usare il termine θεωρία, che appare collegato con περὶ ἀρχῶν solo nei passi n. 64 e 65.

  107. Questo passo difende la complementarità ontologica tra fede e gnosi: “ἤδη δὲ οὔτε ἡ γνῶσις ἄνευ πίστεως οὔθ’ ἡ πίστις ἄνευ γνώσεως” (Non c’è conoscenza senza fede né fede senza conoscenza) – Str. V, 1,3.

  108. Questo passo con i paragrafi sucessivi potrebbe essere definito l’inno d’amore di Clemente. La giustizia perfetta consiste nella nostra opera d’amore verso i nostri nemici e vicini. Essa si compone d’azione e di contemplazione. Cfr. Str. I, 46,4; Str. VII, 77,6 (inizio del passo n. 73).

  109. Rm 10, 10 – 11.

  110. Rm 10, 8b – 9.

  111. Rm 12,14.

  112. 2 Co 1,12.

  113. 2 Co 2,14.

  114. Si sottintende ὁ γνωστικός.

  115. Es 21, 33-34.

  116. Is 1, 3.

  117. Rm 11, 33.

  118. Qui Clemente usa l’immagine dell statua presente in Platone, Repubblica, II, 361d, perché “rappresentando così i due caratteri credo che non sia più difficile spiegare quale vita attende l’uno e l’altro” (Ὄντοιν δὲ τοιούτοιν, οὐδὲν ἔτι, ὡς ἐγᾦμαι, χαλεπὸν ἐπεξελθεῖν τῷ λόγῳ οἷος ἑκάτερον βίος ἐπιμένει.) – Platone, Repubblica, II, 361d – e.

  119. Vedi le nostre note relative al passo n. 65.

  120. Qui finisce il sesto libro degli Strοmatι.

  121. Qui si potrebbe proporre anche un’altra traduzione: “per distinguere, spiegare con chiarezza la verità”. Perché l’infinito διαλαβεῖν collegato con la preposizione περί significa “decidere riguardo a qualcosa” o “spiegare con chiarezza”. Cfr. F. Montanari, Vocabolario della lingua greca, Torino 1995, p. 504.

  122. Cfr. nostro passo n. 14 (Str. II, 5,3).

  123. In questo passo è degno di nota l’accento posto da Clemente sull’attività dell’uomo in vista della sua salvezza. Ognuno deve comminciare dall’interno di se stesso, perché se giudicherà se stesso, solo così sarà degno di dono di Dio. Cfr. J. Wytzes, The Twofold Way (I), In: Vigilae christianae 11 (1957), p. 231-233.

  124. Cfr. Platone, Repubblica, VII 533d.

  125. Is 55,1.

  126. Prv 5,15.

  127. Cfr. Platone, Leggi VII 844a – b.

  128. Cfr. Plutarco, Solone 23,6, dove si attribuisce questa norma proprio a Solone.

  129. 1 Cor 11, 30-31.

  130. Qui si sottintende ὁ Πλάτων.

  131. Cfr. (Platone), Epinomide, 977b.

  132. Secondo Stählin c’è qui una lacuna nel testo; ἔπειτα può anche essere corruzione per diplografia da συνάπτει. Vedi G. Pini, Note critiche, In: Clemente Alessandrino, Gli Stromati, Milano 1985, p. 884.

  133. Es 3,14.

  134. Cfr. Platone, Politico, 260b –c.

  135. Mt 7,21.

  136. Tt 2,12.

  137. T. Špidlík, La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, Roma 2002, pp. 199-200.

  138. J. Quasten, Patrologia Io, p. 288.

  139. Cfr. F. Pierini, Mille anni di pensiero cristiano I (Alla ricerca dei Padri), Milano 1988, pp. 33-34.

  140. Cfr. Ibidem, p. 33.

  141. Così dice anche Hans von Campenhausen: “Clemente si sentiva cristiano cattolico, ortodosso, e in effetti lo era, in quanto aveva fatto suo il risultato più cospicuo della lotta contro la gnosi, ossia aveva accettato la Bibbia della Chiesa. Accettava, dunque, l’Antico Testamento, la sua fede nella creazione e cercava di fondare la sua dottrina sulla Scrittura.” In: H.von Campenhausen, I Padri greci, Brescia 1967, pp. 42-43.

  142. Str. I, 11,1.

  143. Nel testo greco c’è parola οἱ πρεσβύτεροι, vale a dire la generazione dei Padri postapostolici. Vedi anche Str. I, 1,3: “αὐτίκα πατέρας τοὺς κατηχήσαντάς φαμεν” (del resto noi chiamiamo padri quelli che ci hanno istruito nella religione).

  144. Clemente Alessandrino, Estratti profetici 27, 1-4. (traduzione di F. Pierini)

  145. Un’attenta analisi di questi conti delle citazioni dalla Sacra Scrittura è fatta da A. van den Hoek nel suo libro Clement of Alexandria and his Use of Philo in Stromateis (Vigilae cristianae supplementum n. 3), Leiden 2002. Essa dubita tuttavia del numero delle citazioni della Bibbia assegnato a Origene, che dovrebbe essere molto più abbondante, cfr. op. cit., p. 1, n.1.

  146. Per una profonda e completa analisi della parola θεωρία da Platone rimando all’eccelente libro A. J. Festugière, Contemplation et vie contemplative selon Platon, Paris 1953. Cfr. anche S. Lilla, Clement of Alexandria, pp.163-169.

  147. Cfr. T. Špidlík, La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, p. 201-202.

  148. Cfr. Platone, Republica VII, 532c: “… καὶ ἐπαναγωγὴν τοῦ βελτίστουἐν ψυχῇ πρὸς τὴν τοῦ ἀριστου ἐντοῖς οὖσι θέαν”. (… e innalza la parte migliore dell’anima alla contemplazione della partemigliore dell’essere.)

  149. Cfr. A.van den Hoek, Techniques of Quotation in Clement of Alexandria, p. 230-231.

  150. Cfr. T. Špidlík, La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, p. 202.

  151. “Le altre scienze non si occupano dell’esistenza reale o meno del loro oggetto (vale a dire del posto che il loro oggetto occupa nell’ambito dell’essere) ma si accontentano di assumerne esistenza.” In: G. Reale, Sommari analitici, In: Aristotele, Metafisica (a cura di G. Reale), Bompiani, Milano 2000, p. 756.

  152. G. Reale, Quadro generale dei contenuti, In: Aristotele, Metafisica (a cura di G. Reale), Bompiani, Milano 2000, p. 717.

  153. Aristotele, Etica Nicomachea, 1095b. Aristotele qui dice, che lo scopo della vita politica è l’onore, oppure, per quelli più esigenti, il possesso della virtù.

  154. F. Daumas lo afferma nella sua Introduzzione in: Philon d’Alexandrie, De vita contemplativa, Paris 1963, p. 67: “Les confidences mêmes de Philon nous révèlent qu’il a mené le plus souvent une vie active, à Alexandie même, ou lors de sa fameuse ambassade au Rome.”

  155. Filone, La migrazione di Abramo, 164: “Λέγει δὲ τοὺς εὐφυεῖς τρόπους καὶ φιλοθεάμονας… τούτων δ’ ἀμφοτέρων ἐστὶν ὁ θεωρητικὸς βίος κλῆρος, προσαγορευόμενος Μαμβρῆ, ὃ μεταληφθὲν ἀπὸ ὁράσεως καλεῖται·”

  156. Cfr. Filone, Tutti i trattati del commentario allegorico alla Bibbia, Milano 19941, p.752-753 e le note al testo a p. 772 (note sono di R. Radice).

  157. “A first general observation that should be made that Philo’s and Clement’s writings are rather different corpora, even though they are both linked by a common desire to base their thought on Scripture and both have a positive attitude towards philosophical doctrines which can be used to understand and explain it.” David T. Runia, Clement of Alexandria and the Philonic Doctrine of the Divine Power(s), In: Vigilae Christianae vol. LVIII, n. 3 (2004), Leiden-Boston, p. 259.

  158. Padri apostolici non la usano termine θεωρία mai e apologeti precedenti di Clemente solo 7 volte.

  159. CAVALCANTI, E., L’esperienza di Dio nei Padri greci, Edizioni Studium, Roma 1984, pp. 10-11.

  160. Questo passo è inserito nel contesto, in cui Clemente parla della μυστικὴ ἑρμηνεία della veste talare del sommo sacerdote ebraico.

  161. Questo termine si riferisce al precedente passo che parla del filosofo che a causa dell’amore predilige la verità insegnata da Dio (vedi Str. II, 45,1-2).

  162. Platone, Teeteto, 155d.

  163. Qui si tratta dell’apocrifo del Nuovo Testamento, perduto, forse identico al Vangelo di Mattia, d’origine gnostico – encratita. Clemente cita questo apocrifo anche in: Str. III, 26,3; VII, 82,1-7; VII, 108,1.

  164. Qui c’è probabilmente una lacuna nel manoscritto.

  165. G. Pini qui non accetta la correzione si Stählin di αὐτή in αὕτη, inquanto non va considerata con la concomitante εὐλάβεια “circospezione” di sopra (Str. II, 79,5). Su questo si basa anche la sua traduzione.

  166. G. Pini qui presuppone solo piccolo guasto del testo, al massimo <τὰ ὅλα> o <τὸν κόσμον>. Così anche nella traduzione italiana.

  167. Cfr. anche l’ultima frase del nostro passo n. 4.

  168. In questo passo si vede bene la distinzione operata da Clemente sotto l’influenza peripatetica (ps. Aristotele, Magna moralia I, 34, 1197a 13-14) e stoica (Crisippo, frammento mor. 105 Arn.) tra ἐνέργεια e πρᾶξις.

  169. Questo brano risente della terminologia stoica (cfr. Crisippo, fr. 515), che distingueva fra azione di valore “medio” (μέση πρᾶξις) ed azione di valore moralmente “perfetto” (κατόρθωμα πρᾶξις), in quanto compiuta in piena adesione al Logos.

  170. Mt 16,26.

  171. Una diversa opinione ci presenta Socrate (cfr. Senofonte, Memorabilia I,3,2): Καὶ ηὔχετο δὲ πρὸς τοὺς θεοὺς ἁπλῶς τἀγαθὰ διδόναι, ὡς τοὺς θεοὺς κάλλιστα εἰδότας ὁποῖα ἀγαθά ἐστι·” (“Egli [Socrate] pregava i dei che gli concedessero semplicemente il bene, convinto che essi sappiano perfettamente ciò che è bene”. – traduzione di Anna Santoni)

  172. Vedi per esempio Aristotele, Metafisica VI, 1, 1025b: “τῶν δὲ πρακτῶν ἐν τῷ πράττοντι, ἡ προαίρεσις·τὸ αὐτὸ γὰρ τὸ πρακτὸν καὶ προαιρετόν” (e il principio delle azioni pratiche è nell’agente ed è la volizione, in quanto l’oggetto dell’azione pratica e della volizione coincidono – traduzione di Giovanni Reale).

  173. Questo passo si trova nel contesto della seyione in cui si spiega il senso “gnostico” del decalogo (Str. VI, 133,1 – VI, 148,6). Esso presenta per ben tre volte il termine πρᾶξις.

  174. Es 20,17.

  175. Cfr. Gal 5,17.

  176. Gn 1, 26.

  177. Questo è un riferimento a Str. VI, 134,1, dove Clemente parla dei comandamenti scritti in modo duplice per due spiriti, quello che ha funzione di guida (ἡγεμονικός) e quello che sta soggetto (ὑποκείμενος). Nel nostro passo quest’ultimo termine è sostituito da πλασθέντος (quello modellato).

  178. Sal 16, 3-4.

  179. Clemente qui applica la terminologia stoica dei διάφορα, che significano le cose che stanno a mezzo fra i beni e i mali (cfr. Crisippo, [C.e.], fr. 117-123). Ma i Stoici almeno in questi frammenti non lo hanno applicato all’anima e corpo.

  180. Questo passo precede una piccola trattazione sul digiuno praticato il mercoledì e il venerdì. Tale trattazione potrebbe alludere, oppure essere copiata dal discorso Sul digiuno, menzionato da Eusebio (Storia ecclesiastica, VI, 13, 3) e anche da Girolamo (Gli uomini illustri, XXXVIII).

  181. Cfr. anche Str. III, 101,5, dove Clemente parafrasa passi di Tertulliano Ad Uxorem 1,8 e De Virginibus velandis 10,4, dicendo che “ἤδη τινὲς καὶ τῆς παρθένου τὴν χήραν εἰς ἐγκράτειαν προτιμῶσι καταμεγαλοφρονήσασαν ἧς πεπείραται ἡδονῆς.” (“Per altro c’è chi, in fatto di continenza, antepone alla vergine la vedova, che con gran forza d’animo disprezza il piacere che ha sperimentato”).

  182. Vedi anche Str. V, 73,1-2, dove Clemente spiega secondo Filone (De posteritate Caini 17-20) e sulla scia di platonismo (cfr. ad es. Platone, Simposio 210a-211c) l’episodio biblico di Gn 22, 3-4 dicendo che “διοιχθέντων τῶν τῆς διανοίας ὀμμάτων πρὸς τοῦ τῇ τρίτῃ ἡμέρᾳ διαναστάντος διδασκάλου” (“gli occhi del pensiero sono stati aperti dal maestro che il terzo giorno risorse.”).

  183. Cfr. Gv 19, 37.

  184. In questo passo per Clemente il termine γνωστικός è equivalente a Χριστιανός. Forse ai tempi di Clemente la parola non aveva il significato generale che ha oggi, ma indicava solo coloro che vivevano di Cristo, i portatori di Cristo (χριστοφόροι). Clemente distingueva dunque il vero gnostico e il semplice gnostico, ma non c’era bisogno fare tale distinzione nel caso dei cristiani, perché ogni vero cristiano era un vero gnostico. Ma per Clemente non tutti i cristiani sono veri cristiani, dunque neanche gnostici.

  185. Questo stesso passo contiene anche il termine θεωρία (perciò è citato come passo n. 13 per la θεωρία).

  186. Nella frase si sottintende ἡ φρόνησις (G. Pini la traduce con l’intelligenza).

  187. Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, 1098b: “Διαφέρει δὲ ἴσως οὐ μικρὸν ἐν κτήσει ἢ χρήσει τὸ ἄριστον ὑπολαμβάνειν, καὶ ἐν ἕξει ἢ ἐνεργείᾳ. τὴν μὲν γὰρ ἕξιν ἐνδέχεται μηδὲν ἀγαθὸν ἀποτελεῖν ὑπάρχουσαν, οἷον τῷ καθεύδοντι ἢ καὶ ἄλλως πως ἐξηργηκότι, τὴν δ’ ἐνέργειαν οὐχ οἷόν τε· πράξει γὰρ ἐξ ἀνάγκης, καὶ εὖ πράξει.” (“Ma è probabile che faccia non poca differenza il credere che il sommo bene consiste nel possesso o che consiste invece nell’uso, cioè nello stato abituale o nell’attività. Infatti è possibile che lo stato abituale sia presente senza che si realizzi nulla di buono, per esempio in chi dorme o è in qualche modo sotto costrizione: mentre per l’attività ciò non è possibile, infatti chi è in attività agirà necessariamente e avrà successo.” – traduzione di G. Pini) Secondo Clemente lo “gnostico” circoscrive i suoi desideri, non solo nel possesso (ἐν κτήσει) ma anche nell’uso (ἐν χρήσει); di conseguenza, non pecca neanche in sogno.

  188. I passi n. 32 – 41 usano la parola πρᾶξις riferendosi agli Atti degli Apostoli.

  189. At 17, 18.

  190. At 2, 41.

  191. Poi segue lunga citazione dagli Atti degli Apostoli: At 17, 22 – 28.

  192. Qui si sottintende ὁ Μουσῆς.

  193. At 7, 22.

  194. Cfr. At 5, 1-10.

  195. Cfr. At 15, 23-29.

  196. Segue un passo dagli Atti degli Apostoli – At 17, 24-25.

  197. Segue un passo dagli Atti degli Apostoli – At 17, 22-23.

  198. Segue un passo dagli Atti degli Apostoli – At 10, 34-35.

  199. Cfr. At 17, 16-32.

  200. Qui si sottintende ὁ Παῦλος.

  201. In questo brano si trova la parola πρᾶξις solo nella citazione diretta di Platone, dunque ci sarebbe una ragione a non meterlo nel Registro che si occupa solo dell’opera di Clemente.

  202. Qui si sottintende ὁ Πλατῶν.

  203. Platone, Leggi IV, 715e-716d.

  204. “ἀρχὴ καὶ δημιουργὸς πάσης λογικῆς πράξεως ἡ γνῶσις”

  205. Per il rapporto tra Clemente e la Sacra Scrittura cfr. il sottocapitolo 1.2.2.

  206. Filone usa nella sua opera la parola πρᾶξις 173 volte. Cfr. P. Borgen, K. Fuglseth, R. Skarsten, The Philo Index, Leiden + Grand Rapids 2000, p. 291-292.

  207. Vedi passi n. 2 e 81 per il termine θεωρία.

  208. “Πρώτη μὲν γὰρ ἡ δι’ ὄψεως τῶν καλῶν ἡμέρα, δευτέρα δὲ ἡ ψυχῆς <τῶν> ἀρίστων ἐπιθυμία, τῇ τρίτῃ δὲ ὁ νοῦς τὰ πνευματικὰ διορᾷ, διοιχθέντων τῶν τῆς διανοίας ὀμμάτων πρὸς τοῦ τῇ τρίτῃ ἡμέρᾳ διαναστάντος διδασκάλου. εἶεν δ’ ἂν καὶ αἱ τρεῖς ἡμέραι τῆς σφραγῖδος μυστήριον, δι’ ἧς ὁ τῷ ὄντι πιστεύεται θεός.”

  209. Cfr. F. Draczkowski, Agape w pismach Klemensa Alexandryjskiego, Pelplin 1980, p. 131-132.

  210. H. Pietras, L’amore in Origene, Roma1988, p. 53-54.

  211. Cfr. F. Draczkowski, ibid., p.155.

  212. Si allude a questa ricerca della verità.

  213. “Ἴδιον <δέ> ἐστιν ἐκεῖνο καὶ τῷ ὄντι κύριον καὶ ἡγεμονικόν, ὃ ἐπὶ πᾶσι προσλαμβάνει μετὰ τὴν βεβαίαν πίστιν ἅγιον κατ’ ἐπισκοπὴν ὁ πιστεύσας πνεῦμα.”

  214. “Οὔκουν εὐλόγως οἱ κατατρέχοντες τῆς πλάσεως καὶ κακίζοντες τὸ σῶμα, οὐ συνορῶντες τὴν κατασκευὴν τοῦ ἀνθρώπου ὀρθὴν πρὸς τὴν οὐρανοῦ θέαν γενομένην καὶ τὴν τῶν αἰσθήσεων ὀργανοποιίαν πρὸς γνῶσιν συντείνουσαν τά τε μέλη καὶ μέρη πρὸς τὸ καλόν, οὐ πρὸς ἡδονὴν εὔθετα.”

  215. Si trova nei passi n. 37 e 47 per il termine θεωρία.

  216. Cfr. Str. II, 5,2. – nostro passo n. 14 per la θεωρία.

  217. Nella tradizione platonica secondo S. Lilla “l’astronomia, prendendo le mosse dalla contemplazione del cielo, faceva giungere alla contemplazione del sovrasensibile.” Vedi S. Lilla, Introduzione al Medio platonismo, Roma 1992, p. 119.

  218. “Αὕτη γὰρ τῷ ὄντι ἡ διαλεκτικὴ φρόνησίς ἐστι περὶ τὰ νοητὰ διαιρετική, ἑκάστου τῶν ὄντων ἀμίκτως τε καὶ εἰλικρινῶς τοῦ ὑποκειμένου δεικτική, ἢ δύναμις περὶ τὰ τῶν πραγμάτων γένη διαιρετική, μέχρι τῶν ἰδικωτάτων καταβαίνουσα, παρεχομένη ἕκαστον τῶν ὄντων καθαρὸν οἷον ἔστι φαίνεσθαι.”

  219. Vedi il nostro passo n. 4 per il termine θεωρία.

  220. Cfr. Gv 4,13-14.

  221. “Εἰκότως ἄρα σωτῆρος μὲν οἱ νοσοῦντες δεόμεθα, οἱ πεπλανημένοι δὲ τοῦ καθηγησομένου καὶ οἱ τυφλοὶ τοῦ φωταγωγήσοντος καὶ οἱ διψῶντες τῆς πηγῆς τῆς ζωτικῆς, ἀφ’ ἧς οἱ μεταλαβόντες οὐκέτι διψήσουσιν, καὶ οἱ νεκροὶ δὲ τῆς ζωῆς ἐνδεεῖς καὶ τοῦ ποιμένος τὰ πρόβατα καὶ οἱ παῖδες τοῦ παιδαγωγοῦ, ἀλλὰ καὶ πᾶσα ἡ ἀνθρωπότης ᾿Ιησοῦ.”

  222. C. Moreschini, Storia della filosofia patristica, p. 115.

  223. Cfr. Filone, Sul cherubini 2,4.

  224. “ Ὕστερον δὲ ἀναβλέψας εἰς τὸν οὐρανόν, εἴτε τὸν υἱὸν ἐν τῷ πνεύματι ἰδών, ὡς ἐξηγοῦνταί τινες, εἴτε ἄγγελον ἔνδοξον εἴτε καὶ ἄλλως ἐπιγνοὺς θεὸν κρείττονα τῆς ποιήσεως καὶ πάσης τῆς ἐν αὐτῇ τάξεως.“ Cfr. anche Str. VI, 80,3; Str. VI, 90,3.

  225. Vedi il nostro passo n. 42 per la θεωρία.

  226. Ibidem.

  227. Per l’analisi della fede vedi il sottocapitolo sucessivo.

  228. Vedi il nostro passo n. 45 per la θεωρία.

  229. Simile spiegazione anche con citazione da Salomone è già nel Aristobulo (Eusebio, Preparazione evangelica, XIII, 12, 9-12) e Giustino, Dialogo con Trifone 12,3.

  230. Nel senso della vita eterna, dove non saranno né mariti né mogli. Vedi più avanti Str. VI, 140,1: “Εἰκότως ἄρα τὸν ἑπτὰ ἀριθμὸν ἀμήτορα καὶ ἄγονον λογίζονται, τὸ σάββατον ἑρμηνεύοντες καὶ τὸ τῆς ἀναπαύσεως εἶδος ἀλληγοροῦντες, καθ’ ἣν «οὔτε γαμοῦσιν οὔτε γαμίσκονται ἔτι«· ” (“Giustamente quindi ritengono [i pitagorici] il numero 7 “senza madre” e “senza figli”, interpretando così il sabato e definendo allegoricamente la caratteristica del riposo, durante il quale “non prenderanno più né mariti né mogli”.)

  231. “Ἡ ἑβδόμη τοίνυν ἡμέρα ἀνάπαυσις κηρύσσεται, ἀποχῇ κακῶν ἑτοιμάζουσα τὴν ἀρχέγονον ἡμέραν τὴν τῷ ὄντι ἀνάπαυσιν ἡμῶν, ἣ δὴ καὶ πρώτη τῷ ὄντι φωτὸς γένεσις, ἐν ᾧ τὰ πάντα συνθεωρεῖται καὶ πάντα κληρονομεῖται. ἐκ ταύτης τῆς ἡμέρας ἡ πρώτη σοφία καὶ ἡ γνῶσις ἡμῖν ἐλλάμπεται· τὸ γὰρ φῶς τῆς ἀληθείας φῶς ἀληθές, ἄσκιον, ἀμερῶς μεριζόμενον πνεῦμα κυρίου εἰς τοὺς διὰ πίστεως ἡγιασμένους, λαμπτῆρος ἐπέχον τάξιν εἰς τὴν τῶν ὄντων ἐπίγνωσιν. ἀκολουθοῦντες οὖν αὐτῷ δι’ ὅλου τοῦ βίου ἀπαθεῖς καθιστάμεθα, τὸ δέ ἐστιν ἀναπαύσασθαι.”

  232. Vedi il nostro passo n. 8. per la θεωρία.

  233. “Μεταλαμβάνειν οὖν τῶν γνωστικῶν θεωρημάτων οὐχ οἷόν τε, ἐὰν μὴ τῶν προτέρων διανοημάτων κενώσωμεν ἑαυτούς.”

  234. Str. VI, 151, 5: “Ad esempio, anche Omero disse: “padre degli umoni e degli dèi”, ma senza sapere

  235. S. Lilla scrive: “In Clement’s conception of gnosis it is possible to distinguish two different stages. Gnosis can already be attained by man to some extent during his stay on earth, but it reaches its climax after the death of the body, when the soul of the γνωστικός is allowed to fly back to its original place where, after becoming a god, it can enjoy, in a complete and perpetual rest, the contemplation of the highest divinity “face to face”, together with the other θεοί ” S. Lilla, Clement of Alexandria, p. 142.

  236. P. Descourtieux scrive, che “La contemplation est le but de la vie. Elle est à la fois don de Dieu et aboutissement des efforts de celui qui a acquis la connaissance (Str. VI, 61,1-3). L’homme, en effet, est ordonné à la parfaite connaissance de Dieu (Str. VI, 65,6). Clément aime laisser planer une certaine ambiguïté sur la question de savoir si cette contemplation est déjà possible sur terre (Str. VI, 75,1) ou si lle n’existe que dans l’audelà.” (P. Descourtieux, Introduction, In: Clement d’Alexandrie, Les Stromates VI (SC 46), Paris 1999, p. 36.)

  237. Cfr. Str. VII, 49,4 – passo n. 27 per la θεωρία.

  238. “Ἀλλ’, ὡς ἔοικεν, οἱ φιλόσοφοι τῶν ῾Ελλήνων θεὸν ὀνομάζοντες οὐ γιγνώσκουσιν, ἐπεὶ μὴ σέβουσι κατὰ θεὸν τὸν θεόν.”

  239. Omero, Iliade I, 544.

  240. “πίστεως ἔχεται. οὕτως καὶ ῞Ομηρος εἶπεν «πατὴρ ἀνδρῶν τε θεῶν τε«, μὴ εἰδὼς τίς ὁ πατὴρ καὶ πῶς ὁ πατήρ.”

  241. Qui potrebbe rivelarsi opportuno citare la recensione del libro di S. Lilla, che ha scritto V. Grossi: “Clemente adotta completamente gl’ideali neoplatonici della contemplazione e delle somiglianza a Dio tramite l’apatheia, ma ritiene che la gnosis, sia sul piano etico che su quello della contemplazione, sia possibile solo grazie all’intervento di Cristo. Il neoplatonismo di Plotino non conosce nessun intermediario tral’uomo e Dio: per Clemente, invece, quest’intermediario è rappresentato dal Logos divino, che agisce sia come principio metafisico sia come personaggio storico, maestro di dottrine segrete.” Vedi V. Grossi, Un contributo agli studi su Clemente Alessandrino, In “Augustinianum”, 13 (1973), p. 152.

  242. Evangelista usa proprio il verbo ἐπιγινώσκω che ha il radice di γνῶσις.

  243. Mt 11, 27; Lk 10, 22; cfr. Gv 10,15. Vedi anche nostro passaggio n. 19 (Str. II, 77,5).

  244. “… πρόκειται δ’ ἡμῖν, τί ποιοῦντες καὶ τίνα τρόπον βιοῦντες εἰς τὴν ἐπίγνωσιν τοῦ παντοκράτορος θεοῦ ἀφικοίμεθα καὶ πῶς τιμῶντες τὸ θεῖον σφίσιν σωτηρίας αἴτιοι γινοίμεθα, οὐ παρὰ τῶν σοφιστῶν, ἀλλὰ παρ’ αὐτοῦ τοῦ θεοῦ γνόντες καὶ μαθόντες τὸ εὐάρεστον αὐτῷ, τὸ δίκαιον καὶ ὅσιον δρᾶν ἐγχειροῦμεν. τὸ σῴζεσθαι δ’ ἡμᾶς εὐάρεστον αὐτῷ, καὶ ἡ σωτηρία διά τε εὐπραγίας διά τε γνώσεως παραγίνεται, ὧν ἀμφοῖν ὁ κύριος διδάσκαλος. ”

  245. Vedi anche Str. I, 178,2: “Lui, che ha rivelato il Padre di tutte le cose a chi vuole” (“οὗτος ὁ τῶν ὅλων τὸν πατέρα ἐκκαλύπτων, ᾧ ἂν βούληται”).

  246. Str. VII, 55,4: “Noi affermiamo poi, che la gnosi differisce dalla sapienza che ottiene per l’insegnamento.” (“Γνῶσιν δὲ σοφίας τῆς κατὰ διδασκαλίαν ἐγγινομένης διαφέρειν φαμέν.”)

  247. Come scrive E. Osborn, parlando del ruolo della fede nell’opera di Clemente, “Clement defended Christian faith against the objections of philosophers who claimed tha “only believe!” was tha irrational demand of Christians. Clement argued that in all philosophy there was an important place for faith, that philosophers had spoken of faith in different ways: as necessary perception, decision, anticipation, criterion, or a point of ultimate dependence.” (E. Osborn, Clement of Alexandria, In: a.a.v.v., The First Christian Theologians, Malden (Oxford) 2004, p. 129.)

  248. Cfr. Str. VII, 55,5: “Ora il Cristo è ambedue le cose, cioè il fondamento e la costruzione postavi sopra: perciò Egli è il principio e la fine.” (“ἄμφω δὲ ὁ Χριστός, ὅ τε θεμέλιος ἥ τε ἐποικοδομή, δι’ οὗ καὶ ἡ ἀρχὴ καὶ τὰ τέλη. καὶ τὰ μὲν ἄκρα ”)

  249. Str. VII, 55,5: “Πλὴν ἀλλὰ τὸ μὴ διστάσαι περὶ θεοῦ, πιστεῦσαι δὲ θεμέλιος γνώσεως”.

  250. C. Moreschini, Storia della filosofia patristica, Brescia 2004, p. 112.

  251. “οὐδέπω συνίεμεν ἀπόδειξιν εἶναι τὸ ῥῆμα κυρίου;”

  252. Negli Stromati “il Logos di Dio è pur sempre personale, non èuna entità astratta.”

    Vedi C. Moreschini, Storia della filosofia patristica, p. 128.

  253. “῾Ο δὴ συνίων καὶ διορατικὸς οὗτός ἐστιν ὁ γνωστικός.”. L’oggetto secondo analisi gramaticale nella prima proposizione sono le Sacre Scritture come risulta dalla frase precedente di Str. IV, 134,4.

  254. Secondo J. Brun, Platone aveva questo dilemma di che cosa è primo logos (teoria) o prassi in contesto della vita dell’uomo politico: “Allora la praxis non sarà più considerata come ombra del logos, come appare in Platone e in Plotino … e se la praxis genera spesso il logos, si deve negare al logos ogni diritto di giudicare la praxis?”

    Vedi J. Brun, Platone, Milano 1996, p. 110-111.

  255. Vedi Protrettico I, 10,2: “πολυπραγμόνει Χριστόν.” (“cerca in tutte le maniere Cristo”)

  256. Cfr. Rm 10,8-9.

  257. “…τὰς ἐν τῷ κόσμῳ ἐναντιότητας ἁρμονίαν κτίσεως καλλίστην λογίζεται.” La parola significa ἐν-αντιότης proprio “la cosa che sta in opposto, in contrario”. Non è che solo “contradice” ma ontologicamente sta proprio in opposto contro l’altra cosa. Cfr. F. Montanari, Vocabolario della lingua greca, p. 677.

  258. Si potrebbe ritenere interessante che questa affermazione si trova anche quasi nel centro “geografico” degli Stromati. Nella edizione di Stählin si trova alla pagina 266, che è quasi la metà delgi Stromati contando anche pagine del settimo libro.

  259. Quest’armonia aveva poi definito Origene così: “οὔτε γὰρ πρᾶξις οὔτε θεωρία ἄνευ θατέρου” (“Nè la prassi senza contemplazione, nè la contemplazione senza prassi.”). Origene, In Lucam (frammenti), 39 (171,4)

  260. Cfr. I. Hausherr, Carità e vita cristiana, Roma 1970, p. 136 – 137, ma anche tutta la prima parte del libro, specialmente p. 17-22, dove parla del concetto della πρᾶξις dell’amore preso da Aristotele e Platone.

  261. “Μόνη δ’ ἡ δι’ ἀγάπην εὐποιία ἡ δι’ αὐτὸ τὸ καλὸν αἱρετὴ τῷ γνωστικῷ.”

  262. Un piccolo esempio di questa ricerca ho riportato alla fine del sottocapitolo 3.1.

  263. Cfr. C. Moreschini, Storia della filosofia patristica, p. 106.

  264. Cfr. interessante passaggio di Str. I, 71,4 – 72,5, dove Clemente menziona quasi tutti i correnti filosofico-religiosi d’allora, ciò pressuppone almeno una piccola conoscenza di essi dalla parte sua.

  265. Ad esempio per Evagrio Pontico (Trattato pratico, 32) il concetto della θεωρία è quasi identico a quello di Clemente. Sembra che anche i Padri cappadoci, quando parlano di θεωρία, usino i concetti che ha introdotto nella terminologia cristiana Clemente.

  266. Come si è visto ad esempio per la parola πρᾶξις, dove nel Registro mancano 3 citazioni trovate con l’aiuto di TLG.

  267. “Weeding out Stählin’s index systematically, however, would be a thesis-like job for every autor involved.”

    Vedi A. van den Hoek, Techniques of quotation in Clement of Alexandria, p. 230.

  268. Str. VII, 102,2: “Τέλος γὰρ οἶμαι τοῦ γνωστικοῦ τό γε ἐνταῦθα διττόν, ἐφ’ ὧν μὲν ἡ θεωρία ἡ ἐπιστημονική, ἐφ’ ὧν δὲ ἡ πρᾶξις.”