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Il monaco studita San Simeone il Nuovo Teologo e alcune sue notazioni per quanto riguarda la vita monastica

Metropolita Jonáš (Jozef Maxim)
Pontificio Istituto Orientale
Facoltà di Scienze Ecclesiastiche Orientali
Dissertatio ad Doctoratum in Theologia, Roma 2017
Moderator: Prof. Germano Marani

Introduzione
Capitolo I. La visione simeoniana dell’uomo creato
1. L’uomo creato da Dio
 1.1. Lo stato paradisiaco
 1.2. La trilogia nella creazione umana
 1.3. Le qualità di Adamo
 1.4. L’uomo e la donna creati da Dio
 1.5. L’immagine di Dio
  1.5.1. L’unità dell’anima
  1.5.2. La triplicità dell’anima
2. Il Peccato d’Adamo e le sue conseguenze
 2.1. Comandamento del Signore
 2.2. Conseguenze del peccato
 2.3. La penitenza e visione
 2.4. La provvidenza e la misericordia di Dio
 2.5. Disgregazione dell’uomo, dell’umanità
 2.6. La morte e la risurrezione
 2.7. La creazione
3. L’uomo redento
 3.1. Il parallelismo fra la creazione di Adamo e l’incarnazione di Cristo
 3.2. La porzione
 3.3. La restaurazione dell’uomo
 3.4. La capacità dell’anima
 3.5. La fede che è cruciale
 3.6. L’uomo diventa dio

Introduzione

1. La vita di San Simeone il Nuovo Teologo

All’inizio di questo nostro lavoro vogliamo fare un profilo generale della biografia[1] del nostro personaggio. La vita del monaco studita, San Simeone il Nuovo Teologo, si potrebbe dividere in tre periodi: la gioventù, la presenza di San Simeone nel monastero di San Mama e alla fine il periodo vissuto nel monastero di Santa Marina.

San Simeone il Nuovo Teologo secondo le informazioni che abbiamo è nato nel 949 da genitori nobili Basilio e Teofano, in Paflagonia nel borgo che si chiamava Galata. E’ nota la sua permanenza, dal 960 a 963, a Costantinopoli nella casa dello zio che era conosciuto nel palazzo imperiale. Questi aveva intenzione di presentarlo all’imperatore per introdurlo alla vita di corte ma Simeone si oppose. Lo zio lo eleva, allora, alla dignità senatoriale che non aveva molta importanza a corte e dava solamente il diritto di portare la spada in un fodero d’oro. Nel 963 lo zio muore e il giovane Simeone dopo il 16 di agosto per la prima volta chiede di essere accolto nel monastero di Stoudios. Viene rimandato ma resta in contatto con il suo padre spirituale, San Simeone lo Studita. Nel 969 dirige la casa di un patrizio e ha contatti con il palazzo imperiale. Nel 970 ha la prima «visione». Dopo questo fatto segue un periodo di un certo allontanamento da Dio e di immersione negli affari mondani. Nel 976 fa un viaggio verso la casa nativa in Paflagonia e nel 977, dopo il consiglio del suo padre spirituale, di nuovo chiede di entrare nello Stoudios e farsi monaco. Questa volta viene accettato e alla fine dello stesso anno trascorso nello Stoudios, sotto la guida spirituale di Simeone, ha la seconda «visione» ma, a causa del suo rapporto con San Simeone lo Studita, viene espulso. Il suo padre spirituale lo conduce al monastero di San Mama, che si trovava vicino e lì viene accolto dall’igumeno Antonio. Nello stesso anno, nel 977, Antonio gli conferisce la tonsura monastica.

Secondo periodo comincia con il passaggio di Simeone dallo Stoudios al monastero di San Mama, dove egli diventa semplice monaco del monastero conducendo una vita esemplare. Tutto cambia nel 980 dopo la morte dell’igumeno Antonio. Simeone viene eletto igumeno e accetta l’ordinazione sacerdotale e da igumeno comincia a proclamare le istruzioni spirituali – le Catechesi – alla comunità secondo la prassi studita. Nel periodo 986-987 muore Simeone il Pio, il suo padre spirituale e, Simeone il Nuovo Teologo, considerandolo santo, subito comincia a svolgergli il culto come a un santo. Nel 998 si nota l’apice della rivolta aperta da una parte dei suoi monaci e nel 1003 si aggiungono anche le accuse di Stefano di Nicomedia. Nel 1005 le tensioni contro l’igumeno crescono anche dalla parte della suprema autorità ecclesiale in modo tale che Simeone si dimette a favore del discepolo Arsenio.

Gli attacchi contro Simeone continuano e il 3 gennaio del 1009 si concludono con l’esilio di Simeone nella sponda asiatica del Bosforo presso l’oratorio di Santa Marina, proprietà del suo discepolo Cristoforo Fagura. Nel 1010-1011 c’è la revisione del processo che si conclude con l’esilio volontario di Simeone nel luogo menzionato dove costruisce e organizza una nuova comunità e il monastero. Simeone rimane nell’esilio fino alla sua morte il 12 marzo del 1022.

2. Le motivazioni personali

Dopo essere entrato, dodici anni fa, nella comunità monastica degli studiti della Lavra della Dormizione[2]di Univ in Ucraina, dove si vive secondo il Typikon[3] studita, tante volte ho provato a cercare un santo del monachesimo bizantino, un esempio, un personaggio, direi non di una santità monastica stereotipata, taumaturgica per esempio, ma uno che avesse avuto una vita interessante anche dal punto di vista umano. Mi è capitato di leggere la vita di San Simeone il Nuovo Teologo di Niceta Stetato[4].

Mi è sembrato di aver incontrato nella persona di San Simeone contemporaneamente un figlio e un padre spirituale; un semplice monaco e un superiore cioè un igumeno, un monaco tipicamente tradizionale nel senso della fedeltà ai principi monastici cenobitici dei grandi personaggi del monachesimo della tradizione orientale quali San Basilio Magno e San Teodoro Studita prima di tutto. Nello stesso tempo San Simeone mi è parso come un mistico, cioè il difensore di una spiritualità dall’esperienza personale profonda e mistica come quella di Marco l’Eremita, Diadoco e Climaco, nello stesso tempo, un personaggio molto pratico e attivo. San Simeone, infatti, ha ravvivato la vita monastica di tipo studita in due monasteri di Costantinopoli da lui ricostruiti, di San Mama e di Santa Marina e, nonostante la sua attività di costruttore, Simeone è rimasto profondamente spirituale e fedele alla preghiera sia liturgica, sia personale in modo particolare.

Quando ho cominciato a leggere i suoi scritti[5], prima di tutto le Catechesi[6], il suo linguaggio mi è sembrato molto moderno ed attuale, come se stesse scrivendo oggi, per i monaci di oggi, con un linguaggio spirituale profondo e nello stesso tempo semplice e chiaro, a volte anche «carismatico» ed evoca il linguaggio dei movimenti carismatici nella chiesa odierna.

Mi sono chiesto, allora, come mai mille anni fa sia vissuto un personaggio così pratico, vivace, spiritualmente e teologicamente profondo, della mia stessa famiglia monastica e che in quei tempi non ha avuto scrupoli nel raccontare la propria esperienza di vita monastica che ancora parla ai nostri tempi e prima di tutto parla a me, monaco studita del terzo millennio. Mi hanno interpellato soprattutto le sue parole indirizzate direttamente ai suoi confratelli, le sue esortazioni pratiche relative a «come un monaco può accostarsi a Dio». Queste sue parole dunque, mi hanno preso in modo tale che ho deciso di scrutare che cosa significasse il suo «come accostarsi a Dio» e che cosa significhi oggi per un monaco studita.

Inoltre esaminando gli scritti con lo sguardo della vita monastica, mi pare che essi siano un aiuto per i monaci che anche oggi cercano di realizzare lo stesso ideale monastico nella famiglia monastica di Typikon studita. Non solo, penso che siano utili per tutti coloro, che pur cercando la via tradizionale per realizzare l’ideale monastico oggi, si trovano in difficoltà nel confronto fra la vita attiva e quella contemplativa e mistica, fra la vita cenobitica e quella strettamente eremitica ed esicasta. [7]

In realtà gli scritti di San Simeone sono esaminati oggi da tanti studiosi che cercano di approfondire i vari aspetti del suo insegnamento teologico, ascetico, spirituale ecc. Il nostro autore è letto da tanti laici, gente cristiana semplice che trova in lui un incoraggiamento per la propria vita. A nostro avviso, però, manca una sintesi dal punto di vista monastico, uno sguardo più approfondito e dettagliato sulle indicazioni pratiche per i monaci sul come realizzare la vita monastica.

Teodoro Studita, l’igumeno di Stoudios, non era uno scrittore mistico, al contrario, si potrebbe dire che la spiritualità di San Simeone il Nuovo Teologo era una specie di reazione contro il cenobitismo formale che si era sviluppato a Stoudios nel tempo dei successori di San Teodoro. Sappiamo che i primi ascoltatori dell’insegnamento del nostro autore erano i monaci stessi. L’insegnamento di San Simeone non è indirizzato in modo speciale alle persone avanzate nella vita contemplativa, ai solitari o agli anacoreti, ma ai monaci ordinari, di un monastero cenobitico della capitale con livello non molto alto di spiritualità[8]. Dal punto di vista spirituale, infatti, è noto il declino del monachesimo in Costantinopoli nella seconda metà del X sec[9].

A nostro avviso anche oggi, in primis sono proprio i monaci ai quali ha qualcosa da comunicare San Simeone attraverso i suoi scritti, soprattutto se sono monaci studiti. Nella trattazione principale, perciò, come abbiamo già menzionato nel sottotitolo del nostro tema, si tratterà dell’analisi teologico-spirituale di alcune note dell’insegnamento pratico sulla vita monastica di San Simeone il Nuovo Teologo ai suoi monaci.

Il nostro obbiettivo sarà concentrato soltanto ad alcune note e non a tutto l’insegnamento monastico di Simeone. Ci è sembrato importante in modo speciale porre l’accento sulla preghiera personale di San Simeone come la sperimentava lui e come la proponeva ai suoi confratelli e su tutto ciò che con essa è collegato. Cercheremo, allora, di soffermarci sulla sua concezione di monaco e di vita monastica circoscritta alla penitenza, carità e preghiera per ripartire in modo più dettagliato e concreto verso la preghiera personale di Simeone.

Siamo consapevoli che il nostro approccio a Simeone ha dei limiti e che si potrebbe approfondire maggiormente l’argomento, ma speriamo che anche se in forma limitata, il nostro lavoro possa essere un aiuto per coloro che vogliono ascoltare, sentire, comprendere e realizzare gli insegnamenti di Simeone su «come un monaco possa accostarsi a Dio».

3. Metodologia

Dal punto di vista metodologico, abbiamo diviso il nostro lavoro in tre sezioni. La prima sezione sarà una lettura introduttiva, uno sguardo antropologico-teologico piuttosto generale partendo da una lettura di tutte le opere di San Simeone il Nuovo Teologo. Tutto questo dovrebbe fare da sottofondo a tutto il nostro lavoro, per capire meglio la problematica monastica in genere. Abbiamo messo la parte antropologica al primo posto, perché secondo noi è importante tenerla presente e capirla fin dall’inizio, per poi più tardi, alla luce di questa sua concezione antropologica dell’uomo, vedere più approfonditamente il suo insegnamento sul monaco e sulla vita monastica, parte che interessa maggiormente il nostro lavoro.

Nella seconda e terza sezione faremo un’analisi teologico-spirituale delle sue opere. Nella seconda sezione ci limiteremo a prendere in esame la visione di San Simone relativamente alla vita monastica e ad alcuni elementi scelti e per essa caratteristici e che, a nostro avviso, per San Simeone sono indispensabili. Scavando e cercando negli scritti di Simeone abbiamo scelto i topoi da noi ritenuti utili per avvicinarci alla sua spiritualità.

Nella terza sezione analizzeremo l’insegnamento pratico di Simeone ai suoi monaci.

Come fonte per quest’analisi ci servirà il testo, che secondo il nostro parere è il più rilevante del suo insegnamento pratico ai monaci, cioè il testo delle sue due catechesi che vengono riportate sotto i numeri 30 e 31 in base alla numerazione di Sources Chrétiennes. Esse sono un testo esplicitamente dedicato ai monaci e collegato interiormente nelle sue diverse parti con un unico pensiero, pur se formalmente diviso in due catechesi, di cui la prima è la base e la seconda è un supplemento esplicativo. Ci sforzeremo di sviluppare e chiarire i punti principali di questo testo che riguarda il nostro tema, cercando un aiuto nell’intero insegnamento simeoniano e in tutti i suoi scritti che ne fanno un contesto illuminante.

Per il nostro lavoro useremo come base l’edizione critica degli scritti simeoniani editi nella collana di Sources Chrétiennes. Cercheremo di usare le citazioni dirette delle opere di San Simeone nella lingua della traduzione francese oppure italiana, e se ci sono le traduzioni come nel caso delle quattro Epistole, anche l’inglese. Per far capire meglio il senso del testo citato, nel caso delle parole chiave e importanti useremo nelle parentesi il greco dell’edizione critica corrispondente. Nei casi i cui l’opera di Simeone è tradotta in italiano, per una lettura più scorrevole del testo della nostra tesi, riportiamo in primo luogo la citazione in italiano e nelle note segue sempre anche il riferimento all’edizione critica.

Nelle note del nostro lavoro cercheremo di creare un isone, un riferimento approfondito teologico, spirituale, liturgico e storico nei punti importanti e ci sembra di averli ritenuti come un accompagnamento per inquadrare meglio l’insegnamento di Simeone in un insieme della tradizione sia teologica spirituale sia liturgica, che ha avuto influenza sul pensiero e sull’ insegnamento di San Simeone il Nuovo Teologo.

4. Il contenuto e la struttura

Per quanto riguarda il contenuto del nostro lavoro, nella prima sezione abbiamo voluto mettere a fuoco la concezione antropologica simeoniana dell’uomo creato da Dio che è veramente quella dei Padri della Chiesa nella linea in cui si muove anche il nostro autore.

Cercheremo, infatti, la sua visione antropologica e soteriologica presente nei suoi scritti. Nella prima parte, metteremo a fuoco la creazione dell’uomo, con le caratteristiche principali della creazione umana nel paradiso così come la vede Simeone. Continuando poi nella seconda parte, ci soffermeremo sulla frantumazione e sulle conseguenze del peccato che è subentrato dividendo l’unione tra il Creatore e l’uomo. Nella terza parte cercheremo di scoprire qual è la visione simeoniana dell’uomo dopo la redenzione di Cristo.

Dopo aver abbastanza riflettuto sulla questione antropologica, nella seconda sezione di questo lavoro, tenteremo di dare una certa panoramica sulla visione teologica e spirituale del monaco e sulla vita monastica, così come, secondo noi, la intende San Simeone. Anche questa parte avrà in un certo senso un carattere generale ma comunque specificato per certi argomenti che abbiamo scelto. Nella prima parte ci interesseranno le definizioni di San Simeone per quanto concerne le caratteristiche interiori e spirituali di un monaco, poi la concezione dell’insensibilità del monaco e alla fine cosa s’intende con il «mondo», così come li spiega e definisce il nostro autore. In seguito, nella seconda parte, ci soffermeremo su qualche elemento della vita monastica importante per San Simeone. Dal punto di vista della vita monastica studieremo tre elementi: la carità – elemento cristocentrico, la penitenza – elemento pneumatologico e la preghiera – elemento escatologico. Alla fine, giungeremo ad avere sotto il nostro sguardo il gradino spirituale più elevato del cammino monastico tanto caro a Simeone, cioè la visione interiore di Dio e l’esperienza spirituale della «luce».

Nella terza sezione ci concentreremo sui consigli pratici della trentesima e trentunesima Catechesi in cui San Simeone chiarisce ai suoi monaci «come un monaco deve accostarsi a Dio». In pratica al primo posto ci interesserà il punto forte della visione della vita monastica di Simeone, cioè la preghiera personale e l’accidia – ostacolo numero uno ad essa. La terza parte è dedicata all’argomento pratico cioè alla preghiera personale del monaco eseguita nella cella, posto della preghiera, al modo con cui essa si svolge, al contenuto e alla struttura della preghiera così come l’ha vissuta e proposta Simeone stesso nei suoi scritti. Alla fine della sezione vedremo i punti più rilevanti dei movimenti spirituali dell’anima che sono molto importanti per Simeone e, perciò, sono da lui consigliati: la gioia e l’esultanza spirituale, la misericordia verso se stessi e la custodia di sé.

Alla fine di questa sezione dovrebbero risultare tessere come di un mosaico, che nel nostro caso si chiama vita monastica, così come la vede San Simeone e specialmente uno schema pratico su come un monaco può accostarsi a Dio.

Capitolo I. La visione simeoniana dell’uomo creato

L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, allontanato da Dio per il proprio peccato e redento dal Figlio di Dio, occupava nel pensiero teologico dei Padri della Chiesa un posto assai importante se non cruciale. Questi tre momenti antropologici hanno il proprio rispecchio teologico[10] anche nella visione del nostro autore San Simeone il Nuovo Teologo. In questo capitolo tratteremo alcuni elementi di questi tre punti antropologici.

1. L’uomo creato da Dio

L’uomo[11] creato da Dio.

1.1. Lo stato paradisiaco

Il Signore creò il mondo in sette giorni. Secondo Simeone ne risulta una tipologia di «sette periodi di secoli»[12]. Solamente dopo piantò il Paradiso terrestre, cioè nell’ottavo periodo[13] in avvenire. Il Paradiso terrestre[14], dunque, dopo la creazione dal nulla dei cieli e della terra e di tutto il creato dei primi sette giorni, era piantato (ἐξανέτειλεν), o meglio, Dio lo fece spuntare. La vita lì era senza problemi (ἡ διαγωγὴ) e senza fatica (ἀκάματος); l’umanità era incorruttibile, e di conseguenza, il corpo umano incorruttibile si nutriva di cibo[15] incorruttibile.

Il Paradiso, nel linguaggio simeoniano, è quella parte della terra (ἡ μερὶς τῆς γῆς), il regno dei cieli[16], dove Dio ha posto l’uomo affinché crescesse verso la verità[17]. L’albero della vita[18] è l’immagine della vita eterna che è Dio stesso; la costola di Adamo, usata nella creazione della donna, costituisce la figura della Chiesa che è un altro mistero dell’economia divina per salvare l’uomo. Simeone, parlando della salvezza, spiega che l’uomo ha perso la somiglianza dell’immagine di Dio, in altre parole ha perso il regno dei cieli, cioè il paradiso, ed anche la vita stessa, che Adamo voleva prendere dall’albero, ma, proprio grazie alla sua costola, cioè alla Chiesa, sarà di nuovo accolto da Cristo Dio e riportato alla stessa bellezza originaria[19].

Innanzi tutto Dio creò il cielo e la terra e tutto quanto loro contengono poi Dio formò l’uomo con le proprie mani. Soltanto allora fece spuntare il paradiso[20] e vi pose l’uomo che aveva creato; prese poi una costola di Adamo, e creò la donna; ordinò loro, infine, di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene[21] e del male, per non sottoporsi alla morte, ma di curarlo e custodirlo[22] secondo il suo comandamento. Perché Dio ha affidato tale compito all’uomo? Per prima cosa affinché gli uomini si mantenessero nel «souvenir de Dieu (τοῦ μεμνῆσθαι Θεοῦ)[23]» e come seconda cosa nel «souvenir de ses bienfaits (τῶν εὐεργεσιῶν αὐτοῦ[24]. Simeone stesso spiega la memoria di Dio, come «avere il cuore puro […], evitare le difficoltà provocate dalle passioni […], non far inclinare il pensiero verso il male o la vita materiale e avere sempre presente con un amore irreprensibile il ricordo di Dio»[25]. Amore e incessante ricordo di Dio, sono due virtù nella profondità dell’anima che uno dovrebbe curare.

Simeone, in altre parole, esprime come «action de grâce (εὐχαριστῶν[26] da parte dell’uomo verso Dio, il rendimento di grazie per tutto quanto Egli ha fatto e donato all’uomo. Simeone afferma che l’uomo ne era contento, felice, e viveva in prosperità, in onore presso di Dio (ἔμελλεν εὐδοκιμεῖν). E quando predica Catechesi 31, come vedremo nell’ultima parte del nostro lavoro, parla di nuovo del rendimento di grazie, che fa parte dell’esame di coscienza del monaco, dicendo: «[…] e su ciascuno di essi (comandamenti) esaminandoci e scrutandoci, vediamo noi stessi, e se riscontriamo di averlo adempiuto, rendiamo grazie (εὐχαριστήσωμεν) a Dio nostro Signore, […]»[27]. Della parte finale di questo pentimento, fa parte anche la gioia (μετὰ χαρᾶς) e l’inesprimibile esultanza (ἀφράστου ἀγαλλιάσεως) di nuovo raggiunta, il cui risultato è il pianto, purificazione, riconciliazione con Dio, che porta lo stato pacifico nell’anima, insieme con la consapevolezza di essere i figli di Dio.

Risulta che erano la memoria di Dio e il rendimento di grazie che il Signore ha affidato all’uomo. Questa è l’identità vera dell’uomo. Se l’uomo fosse rimasto in quello stato, sarebbe nella sua pienezza.

Quando Simeone spiega che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, perché è l’unico tra le creature terrestri che è dotato di ragione, spiega che proprio per questo motivo l’uomo è l’unico che può conoscere Dio[28]. L’uomo nella sua parte razionale e intellettuale è capace della conoscenza ineffabile[29] di Dio. Egli ha la capacità di rivestirsi dell’immagine del Nostro Signore Gesù Cristo, uomo celeste e Dio. «Ma se non ha piena percezione e coscienza (εὐαισθήτως καὶ γνωστῶς) di essere rivestito di questa immagine, egli è soltanto carne e sangue.»[30] In questo caso, l’immagine è rimasta nel nous e, malgrado la caduta, l’uomo ha perso la somiglianza, come si vedrà poi.

 Se l’uomo fosse rimasto tale – con piena conoscenza e percezione di Dio – sarebbe rimasto davanti a Dio e questo avrebbe portato una fioritura di bene. L’uomo, però, ha trasgredito il precetto di non mangiare (Gn 2, 15-17), ha perso lo stato eucaristico[31] che lo caratterizzava e lo avrebbe dovuto caratterizzare per sempre e per mezzo della propria colpa si è privato della gloria di Dio.

L’uomo, dopo aver perso lo stato eucaristico, nella seconda fase dello sviluppo degli avvenimenti, ha perso anche la gloria di Dio.

Ora parleremo della creazione dell’uomo come la concepisce Simeone.

1.2. La trilogia nella creazione umana

L’Architetto divino, come Simeone chiama il Creatore, prima di creare l’uomo ha disegnato in anticipo, come su una lavagna, tutto quello che stava per realizzare. Ha disegnato tutto ciò che era importante e che doveva essere realizzato passo dopo passo, cioè la prospettiva della nostra salvezza[32] e della nostra restaurazione[33].

Simeone rileva che proprio Dio «l’a posée d’avance et produite»; La creazione, la salvezza e la restaurazione dell’umanità non è un’immaginazione dell’umanità stessa, ma è un progetto divino. Guardando, però, il progetto apparente della creazione umana nel mondo sensibile, non si può dubitare che «la véritable réalité dans notre cas s’accomplit et s’achève de manière spirituelle»[34].

Per Simeone l’uomo creato è un cosmo, il secondo cosmo. Ci sono, dunque, due cosmi: uno è il mondo visibile e l’altro è l’uomo e Simeone chiama il mondo visibile semplicemente kosmos (κόσμος)[35]. Anche l’uomo è stato creato da Dio come un mondo, ma come un mondo grande (μέγας)[36] che si trova, però, in questo mondo visibile che è piccolo (ἐν τῷ μικρῷ κόσμῳ). «Nous comprenons que chacun de nous, sachant qu’il est créé comme un second monde par Dieu – un grand monde dans ce monde visible qui est le petit, ainsi qu’en témoigne avec moi l’un des théologiens […].»[37]

L’uomo, infatti, non è chiamato mikrokosmos ma, al contrario, come cosmo grande e come tale si trova nel cosmo piccolo, oppure semplicemente nel kosmos. Per quanto riguarda mikro- e makro- kosmos, Simeone ha una posizione rovesciata rispetto a quanto abitualmente, si legge nei Padri della Chiesa[38], semplicemente perché, secondo lui, l’uomo ha una dimensione interiore, che non si può misurare.

In effetti, quando Simeone sta descrivendo l’uomo creato da Dio, lo descrive con una tricotomia assai interessante. San Simeone, come uno dei teologi bizantini del Medioevo, assume nella sua antropologia l’aspetto più importante dell’antropologia patristica greca, secondo la quale l’uomo non è un essere autosufficiente e autonomo ma dipendente da Dio. «L’uomo non è un essere autonomo, e la sua vera umanità si realizza soltanto quando egli vive “in Dio” e possiede le qualità divine. Per esprimere questa idea autori diversi usano terminologie differenti – origeniste, neoplatoniche o bibliche; tuttavia, vi è un consenso sull’apertura essenziale dell’uomo»[39].

Simeone non ha paura di andare oltre affermando coraggiosamente che proprio Dio fa parte integrale dell’essere umano. Egli vede l’uomo composto di tre elementi[40] e parla della creatura umana composta di Dio, dell’anima e del corpo. «Dieu (Θεός), âme (ψυχὴ) et corps (σῶμα), c’est l’homme créé à l’image de Dieu et jugé digne d’être dieu.»[41] Ecco proprio questo è, secondo Simeone, l’uomo creato a immagine di Dio.

Secondo la sua tricotomia c’è un processo interattivo fra i tre elementi: Dio infiamma l’anima attraverso la grazia e la forza dello Spirito Santo e l’anima infiammata, comunica questo fuoco al corpo. L’anima diventa per il corpo la stessa cosa che Dio, attraverso lo Spirito Santo diventa per l’anima. Così tutti i tre elementi sono nella reciproca comunicazione; in effetti «ni l’âme ne peut vivre sans être illuminée par son Créateur, ni le corps sans être fortifié par l’âme»[42]. In tutto questo processo è Dio che è all’inizio di reciproca comunione perché è da Lui che proviene la forza e grazia dello Spirito Santo, e dà all’uomo la possibilità di essere uno con Lui e creare la relazione con Lui[43].

Come nella Trinità tra le tre divine persone, Padre, Figlio e Spirito Santo non c’è né confusione né divisione, così anche nell’uomo tutti e tre, cioè Dio, anima e corpo sono coinvolti fra loro secondo l’immagine della Trinità. Nostro autore sostiene, infatti, che la perfezione umana consiste proprio nell’unione dell’anima intellettuale dell’uomo con Dio.[44]

1.3. Le qualità di Adamo

Dio dalla polvere della terra ha formato Adamo, che ha ricevuto il soffio della vita (πνεῦμα λαβὼν ζωῆς): questo soffio di vita sarebbe l’anima intellettuale (ψυχὴν νοερὰν) e immagine di Dio (εἰκόνα Θεοῦ). Adamo era posto nel paradiso con l’ordine di lavorarlo e guardarlo. Intanto la sua qualità era quella immortale. Era un rivale degli angeli, nel senso buono della parola, cioè concorrente, perché «avec eux il louera continuellement Dieu, recevra les illuminations qui en viennent, verra Dieu en esprit et entendra ses paroles divines»[45]. L’uomo svolgeva in sostanza un lavoro spirituale, con tutte le dinamiche che oggi intendiamo per «lavoro spirituale», per esempio la lode, l’ascolto della Parola divina, il colloquio della preghiera ecc., durante le quali uno riceve l’illuminazione con l’esperienza (πείρα)[46] di vedere Dio nello spirito.

In un certo senso Adamo aveva il dono della teologiasuperiore[47] ciò che si spiega con la parola «mistico», cioè dono nel quale convergono insieme la preghiera – unione fra pregante e pregato, la contemplazione della luce riflessa dall’anima, e la purificazione dell’ascesi fino alla nudità dello spirito completa, che spoglia fino allo stato preconcettuale di pura ricettività adamitica e ne generano unità. Sembra che Simeone sviluppi la linea di Doroteo[48] il quale afferma che il privilegio di Adamo nel paradiso era la contemplazione e di Evagrio[49] che sostiene che all’uomo appartiene il carisma della preghiera e della salmodia e deve persistere a cercarla.

In pratica, nella descrizione del lavoro spirituale dell’uomo creato si possono intravedere gli spunti della concezione dell’ideale monastico di Simeone. Di questo parleremo più tardi nel secondo capitolo del nostro lavoro.

Il peccato, la violazione del comandamento distrugge tutto questo.

De même qu’Adam, avant de transgresser le commandement de Dieu, était immortel, incorruptible, concitoyen et compagnon des anges dans le séjour du paradis, mais dès qu’il eut transgressé le commandement de Dieu, fut déchu de tous ces avantages et, devenu corruptible et mortel, fut chassé du paradis, de même en est-il, exactement, pour tous ceux qui sont nés de lui.[50]

Adamo è stato introdotto nel paradiso dopo che il Signore lo aveva piantato. Soltanto dopo che Adamo era stato introdotto, Eva fu creata. Il Creatore ha preso una «porzione» (τὴν τῆς σαρκὸς αὐτοῦ μερίδα), cioè la costola di Adamo e ha creato la donna, «et de la portion qu’il avait prise il édifia une personne humaine intégrale (ὅλον ᾠκοδόμησεν ἄνθρωπον[51]. Dal punto di vista dell’anima, ad’ Adamo Dio non aggiunge niente in piu al posto di costola presa, e anche alla donna non aggiunge niente in più di quello che aveva l’uomo.

Il serpente ha ingannato Eva. Poiché Eva era stata ingannata dalla parola del serpente, e aveva mangiato dall’albero, disobbedendo al comandamento, per prima subì la morte dell’anima.[52]

In genere si può affermare che i Padri della chiesa[53] seguono l’antropologia biblica[54], secondo la quale l’anima e il corpo fanno parte dell’uomo. L’uomo completo è l’unione dell’anima e del corpo[55].

La teologia orientale[56] pone l’accento in modo molto chiaro sull’importanza del corpo umano[57] in quanto esso fa parte del progetto divino della redenzione umana e già in questa vita esso dà la possibilità in qualche modo di pregustare la realtà celeste[58].

Anche il nostro autore Simeone è della stessa linea patristica[59], e afferma che solo l’uomo fra tutte le creature ha ricevuto dal Creatore la forma duplice. L’uomo «possiede un corpo (σῶμα) formato dai quattro elementi […]. Possiede un’anima dotata d’intelletto (ψυχὴν δὲ νοερὰν) immateriale e privo di corporeità, unita (συνηνωμένην) in modo indicibile (ἀρρήτως) e non rintracciabile (ἀνεξιχνιάστως) con gli elementi corporei con una compenetrazione (συγκεκραμένην) senza miscuglio (ἀμίκτως) e senza confusione (ἀσυγχύτως)[60]. Ecco ciò che costituisce l’essere umano»[61]. Ecco l’affermazione che nella fisiologia umana l’anima coesiste con il corpo.

Nel corpo umano ogni sua parte ha un disegno spirituale. Infatti, prende il corpo umano di Cristo dicendo: «Voici ce que comprend la stature parfaite du Christ selon l’interprétation spirituelle».[62] E dettagliatamente descrive le realtà spirituali dell’anima corrispondenti, descrivendo i membri corporali del corpo umano di Cristo cominciando dai piedi dicendo:

ses pieds sont la foi et la sainte humilité […], le ventre, l’estomac et la structure des entrailles désignent la partie intellectuelle de l’âme, destinée à recevoir et à élaborer, […] nous avons figuré le corps de la stature selon le Christ […], il nous faut aussi monter jusqu’à la tête pour obtenir la parfaite intégrité de ce corps dans l’ordre spirituel.[63]

1.4. L’uomo e la donna creati da Dio

L’uomo, Adamo, «fut formé avec un corps incorruptible (ἄφθαρτον), matériel (ὑλικὸν) certes et non pas encore entièrement spirituel (ὅλον οὕπω πνευματικόν), et que c’est en roi immortel dans un monde incorruptible, […] sous toute l’étendue du ciel, qu’il fut établi par Dieu le créateur»[64].

L’uomo era stato creato nel sesto giorno, con il corpo incorruttibile, certo materiale e non ancora interamente spirituale, come sovrano, cioè come un re immortale nel mondo incorruttibile, come re di tutto ciò che il Signore ha creato in cinque giorni. Non erano ancora stati creati né Eva né il paradiso. Il mondo era creato come paradiso ed era incorruttibile (ἄφθαρτος) ma materiale (ὑλικὸς) e sensibile (αἰσθητὸς). E questo era stato dato ad Adamo e ai suoi discendenti per gioire (ἀπολαύω). Ε quando dice: «uomo e donna li creò», non vuol dire che Eva era stata già creata, ma che era presente nella costola di Adamo e che esisteva con lui, e allora il Signore li benedisse.

Per quanto riguarda Eva non era stata creata nello stesso modo di Adamo, cioè presa e formata dalla terra e ravvivata con il soffio vitale, ma era presa da Adamo. Infatti, «Dieu prit la côte déjà animée d’Adam et en bâtit une femme», e allora non c’era bisogno di ravvivare ciò che era già stato ravvivato con il soffio della vita. Però, con la parte presa dal corpo dell’uomo, il Creatore «constitua un corps de femme complet et de ce prélèvement du souffle qu’il prit avec la chair animée il fit une âme vivante parfaite, réalisant avec les deux ensemble un être humain».[65]

Questo modello della creazione dell’uomo e della donna cioè l’unione fra loro, poi servirà al nostro autore come esempio analogico per spiegare l’unione tra anima e corpo, come anche per spiegare l’incarnazione del Verbo e salvezza dell’uomo, attraverso Maria.

Parlando della creazione di Eva, Simeone continua con l’analogia fra Eva e Maria. Quest’analogia gli serve come una figura per chiarire in quale modo Gesù si è incarnato e conseguentemente unito con l’umanità attraverso Maria, dicendo: «Dieu, le modeleur et le créateur, l’a unie (ἥνωσε)», cioè Maria, «à sa divinité incompréhensible et inaccessible». Maria è per lui una rappresentante sostanziale di tutta l’umanità, perché dichiara che si è unito non soltanto a lei stessa, ma piuttosto «à notre essence qu’il unit en essence la substance entière de sa divinité»; e allora è proprio in questa prospettiva che «il l’a édifiée comme un temple saint pour lui-même ; sans mutation ni altération, le Créateur d’Adam est devenu lui-même homme parfait»[66].

Con la concezione sopra citata, Simeone in sostanza prepara il terreno per spiegare la salvezza. La donna ancora nascosta nel costato di Adamo riceve la benedizione vitale dal Creatore insieme con Adamo. Si può dire che la donna è la parte più profonda, più nascosta e in certo senso anche finale dell’umanità fino alla quale la benedizione vitale di Dio per mezzo di Adamo vuole arrivare. Più tardi quando viene il peccato, la corruzione e la morte vengono dalla donna e da lei il peccato che avvolge anche Adamo e così tutti i figli di Adamo e anche Maria[67] perché anche lei è vera figlia di Adamo, ed è così unita a tutta la natura umana e anche a tutto il creato.

Questo si può applicare anche al livello interno della persona umana facendo l’analogia da una parte fra l’uomo e la donna e dall’altra parte fra corpo e anima. Infatti, il peccato mortifica prima l’anima cioè l’elemento femminile e poi anche il corpo, che sarebbe l’elemento maschile. È una logica in un certo senso ascendente, nel senso che comincia dall’interno all’esterno, cioè il peccato attacca prima la parte immateriale che è più profonda più nascosta più interna e soltanto dopo la parte materiale, che è parte più esposta, esterna. Cioè il peccato attraverso la donna passa all’uomo.

Nell’analogia anima-corpo e donna-uomo[68], secondo San Simeone, anche la salvezza segue la stessa logica ascendente, dall’interno all’esterno, dall’anima al corpo, dalla donna all’uomo. Prima tocca l’elemento femminile cioè l’anima e dopo si estende anche al corpo cioè l’elemento maschile. La salvezza realizzata nell’incarnazione viene proprio attraverso la parte femminile dell’umanità, cioè da Maria e attraverso Cristo da lei nato, cioè uomo e nello stesso Figlio di Dio, passa a tutta l’umanità.

In effetti, è da Maria che verrà il Cristo, nuovo Adamo, e che in lui e a lui unita tutta l’umanità, potrà ottenere la salvezza. Cristo, Parola di Dio, s’incarna in Maria poiché è la donna e la figlia di Eva, lei stessa è il costato di Adamo e così tutta l’umanità. Allora attraverso il costato di Adamo, Dio riplasma il corpo di Adamo. L’elemento riplasmante è lo Spirito Santo. E’ vero che il Verbo di Dio riceve da Maria, Madre di Dio, il corpo, ma in cambio le dona non la carne, ma lo Spirito Santo. Al posto della vita eterna, una volta persa a causa di Eva, adesso il Creatore pone lo Spirito Santo[69].

 Lo Spirito è quello che ha vivificato «l’âme précieuse et tout immaculée de la Vierge (τὴν τιμίαν καὶ ὑπεράμωμον ταύτης ψυχήν) en la ressuscitant de la mort»[70]. Per Simeone, dunque, Maria morirebbe perché nell’interno della tradizione orientale, risulta che lo Spirito Santo è sceso a ravvivare prima l’anima[71] di Maria e conseguentemente anche il suo corpo[72] per preparare l’Incarnazione. Così il Verbo si è incarnato prendendo su di sé la carne umana di Maria, però già animata, per rinnovare così misteriosamente tutta la nostra natura.

Il Figlio di Dio si è incarnato in un corpo umano. Egli, infatti, possedeva un corpo «doué d’intelligence et d’âme (σῶμα ἐν ἑαυτῷ ἔννουν μετὰ ψυχῆς κεκτημένος[73]. Cioè, la sua carne era dotata d’intelligenza ed era animata. Doveva essere così perché è stata Eva la prima che morì con la morte dell’anima. Eva ha perso la vita eterna e attraverso di essa l’ha persa anche Adamo. Allora secondo la logica di Simeone, di tutta la stirpe umana era Maria che per prima doveva essere rianimata con lo Spirito[74].

Prima Dio scende e ricrea l’Eden che sarebbe Maria. Il Nuovo Adamo, infatti, è nato dal cielo, dove il cielo sarebbe Maria, umanità redenta, divinizzata. Simeone non si concentra tanto sul ruolo di Maria, e neppure si concentra sull’uomo come tale. L’importanza e il posto centrale per lui è la sua presenza. Proprio Cristo, cioè il Figlio di Dio è il fuoco centrale. In questo senso per Simeone emerge più la maternità universale di Cristo che quella di Maria. Il ruolo di Maria si limita soltanto all’azione del concepimento e al parto di Figlio. Ed è proprio il Figlio che genera la nuova generazione dei figli immortali e incorruttibili.

Infatti, come per quanto riguarda la creazione dell’uomo si parla di Adamo come rappresentante dell’umanità e si parla del suo peccato, perché è dal suo costato, cioè da Eva, che è nata l’umanità e da lei poi è venuto il peccato e la morte, così dal Nuovo Adamo, cioè Cristo, e dal suo costato deve rinascere l’umanità e venire la vita nuova cioè la salvezza. In questo contesto, sembrerebbe contradditorio, ma la vera madre dei viventi nello Spirito, secondo Simeone, sembra essere più Cristo che Maria[75], ciò non vuol dire che Simeone per quanto riguarda la salvezza diminuisca il ruolo di Maria, no, ma il nostro autore semplicemente sposta l’accento.

1.5. L’immagine di Dio

L’immagine[76] di Dio[77].

1.5.1. L’unità dell’anima

Per comprendere in che cosa consiste l’immagine di Dio nell’uomo creato è importante vedere che cosa Simeone adora in Dio, che cosa è per lui importante. Egli afferma, infatti, che nel Creatore noi adoriamo: «l’essence et la nature unique en trois hypostases, coéternelle, consubstantielle, sans division ni confusion, conçue comme principe unique de toutes choses, le Dieu unique, le Créateur de l’univers»[78]. Queste parole sottolineano l’unità di Dio, Creatore di tutto universo. Vediamo, ora, come egli descrive l’unità di Dio:

Dieu, la cause de l’univers, est un ; cet Un est lumière et vie, esprit et verbe, bouche et parole, sagesse et science, joie et amour, royaume des cieux et paradis, ciel des cieux, de même qu’il est appelé soleil des soleils, Dieu des dieux, jour sans déclin ; tout ce que l’on peut désigner comme beau d’après les choses visibles, même en cherchant au-delà de tout l’univers, on le trouvera en substance dans cet Un qui est appelé au sens propre Bon. Loin d’être lui aussi comme les choses visibles, il les transcende toutes de manière incomparable et ineffable et cet Un non plus, comme ces choses visibles, à la manière de chacune d’elles, ne se trouve à l’état séparé ; il reste un et identique sans aucune mutation, absolument bon et transcendant toute bonté.[79]

Proprio quest’unità di Dio si rispecchia nell’uomo creato a immagine[80] di Dio. Simeone, qui, segue il pensiero tradizionale[81]. Al primo posto si osserva l’unità[82] della parte spirituale dell’anima[83] dell’uomo cioè l’intelligenza (ὁ νοῦς[84]), la ragione (ὁ λόγος[85]) oppure il linguaggio interiore dell’anima, e l’anima intellettuale (ἡ ψυχὴ[86] νοερὰ).

Al secondo posto vi è una capacità sensoriale unica dell’anima che, agendo nel corpo, si distingue nei cinque sensi corporali[87]. Lo afferma dicendo che l’uomo

possède une faculté de sentir unique dans l’unité de l’âme (ψυχῇ), de l’intelligence (νοῒ) et de la raison (λόγῳ), bien qu’elle soit partagée entre cinq sens pour les besoins naturels du corps ; par rapport aux choses du corps, la sensation est divisée indivisiblement en cinq sens et elle manifeste son activité par des changement qui ne la changent pas, car ce n’est pas elle qui voit, mais l’âme (ψυχή) par son intermédiaire, de même que c’est l’âme qui entend, qui sent, qui goûte, qui discerne par le toucher.[88]

Nell’ordine spirituale, per quanto concerne la relazione fra l’anima e i sensi corporali, l’anima non è più costretta a condividere le sensazioni esterne dei sensi corporali. «Sa faculté de sentir», cioè dell’anima, «est en dehors de tout cela et ramassée tout entière entièrement dans l’intelligence (τῷ νῷ[89]. Quest’unità di sentire, nell’intelligenza, è più unica che multipla, come se fosse un pozzo indivisibile che unisce tutto in sé.

Più avanti Simeone conferma ciò dicendo che in effetti anima (ψυχή), intelligenza (νοῦς) e ragione (λόγος) sono uno e con l’unità d’essenza e di natura. Dio si è rivelato all’anima ragionevole come unità, e tutti i sensi lo percepivano tale, nella propria integrità: «il est vu et entendu, il est agréable au gout, parfumé à l’odorat, touché, connu ; il parle et il est exprimé par la parole, il connaît, il est reconnu, il est conçu comme connaissant»[90].

Ecco che la grazia del Signore ci fa percepire e vedere i diversi beni trascendenti e universali attraverso la molteplicità dei sensi ma con una unica sensazione e percependoli come un bene unico. Questa capacità, ovvero qualità dell’anima, la chiama contemplazione[91]. Essa rimane una capacità unica che però si può percepire diversamente, con i vari nomi: contemplazione (ἡ θεωρία), conoscenza (ἡ γνῶσις), visione (ἡ ὅρασις)[92] e audizione (ἡ ἀκοή). Allora la contemplazione diventa conoscenza, e viceversa la conoscenza diventa contemplazione; l’audizione diventa visione e la visione diventa audizione. Infatti, è per questo che «dans les choses spirituelles, la sensation, qu’elle soit audition ou contemplation, c’est tout un»[93].

Ecco, una delle caratteristiche interiori dell’anima fatta a immagine di Dio, cioè l’unita della percezione nell’anima che si mostra nella contemplazione.

1.5.2. La triplicità dell’anima

Simeone non si sofferma a contemplare l’immagine di Dio nell’uomo soltanto nell’unità poiché l’uomo è creato a immagine di Dio Trino e distingue anche le tre parti interiori dell’anima[94]: irascibile (τὸ θυμικόν), razionale (τὸ λογιστικόν), concupiscibile (τὸ ἐπιθυμητικόν).

Questi tre forze sono state introdotte da Dio Uno e Buono per far gioire l’uomo e, infatti, sono assolutamente unite. Queste facoltà dell’anima discernono il bene e il male e ne determinano la decisione e la scelta, oppure ripudiano ciò che è contro la volontà divina. Soltanto quando l’anima deve prendere posizione contro le cose che non sono secondo la volontà divina, cioè ripudiare le cose che sono contro, allora, e solo in quel caso si mette in moto la parte irascibile.

Simeone, infatti, sostiene l’analogia fra l’unità delle persone della Trinità e l’unità delle tre parti interiori nell’anima dell’uomo spiegando:

c’est Dieu lui-même […], qui nous a accordé intelligence (νοῦν), raison (λόγον) et âme intellectuelle (ψυχὴν νοεράν), qui nous a faits à son image et à sa ressemblance, qui a écarté loin de nous les ténèbres de l’ignorance (τὸ σκότος τῆς ἀγνωσίας ἀποδιώξας), […] de même qu’il a produit notre intelligence (νοῦν), notre âme (ψυχὴν) et jusqu’à notre langage intérieur (ἐνδιάθετον λόγον), en même temps qu’il a formé notre corps (σώματος), […] montre que notre intelligence (νοῦς) et notre raison (λόγος) ont existé en même temps que l’âme (πνεῦμα), sans que l’une ait préexisté ou soit présupposée, car les trois ensemble sont un et nous ont été donnés pour être un unique souffle de vie – de même donc que, dans ce cas, aucune des parties n’a préexisté ou n’est présupposée par rapport à l’autre, à cause de l’unité d’essence et de nature, de même de la Trinité identique par l’essence et par la gloire, aucune des personnes n’a préexisté à l’autre. Car Dieu, le créateur de l’image, qui est en trois personnes, n’a jamais eu une personne préexistante à l’autre ; les trois ensemble sont un, Dieu, et de la même façon l’un est éternellement trois.[95]

Si vede che per il nostro autore la tripartizione dell’anima umana è proprio stata fatta da Dio, a Sua immagine e somiglianza. Questi tre parti, in un certo senso, sono fra di loro in reciprocità, armonia e unità in modo tale che finché questa unità esiste le tenebre e l’ignoranza non le offuscano.

Le tre parti dell’anima umana portano in sé l’immagine e la somiglianza alle persone della Trinità anche per quanto riguarda la gloria poiché appartengono alla stessa essenza e natura.

considère de quels avantages Dieu t’a gratifié en te créant à son image et en te faisant l’honneur de participer à ses propriétés. Nous professons que le Père, par rapport au Fils et à l’Esprit, est de gloire égale, de même essence, de même puissance : c’est la sainte Trinité, principe, pouvoir et souveraineté uniques ; sache que l’intelligence (νοῦς) en toi est de gloire égale, de même gloire et de même essence que la raison (λόγῳ) et l’âme (ψυχῇ), du moment qu’elle appartient à une essence et à un une nature unique. […] Il est vrai que, si l’homme manque d’une de ces trois parties, il ne peut être homme ; si on lui enlève l’intelligence (νοῦν), on lui enlève du même coup la raison (λόγον) et il n’aura ni intelligence (ἄνους) ni raison (ἄλογος) ; si c’est l’âme, on enlève avec elle l’intelligence et la raison ; si c’est le langage intérieur seulement, voici que l’on réduit à l’immobilité tout l’être vivant. Car l’intelligence qui n’émet pas de parole ne recevra pas non plus la parole d’autrui. Comment le pourrait-elle, en effet, une fois amputée et détournée de sa propre nature ? Car de même que la respiration et le souffle nous viennent de la nature et que, si nous en sommes privés, nous tombons aussitôt en faiblesse, de même l’intelligence possède en elle-même par sa nature propre la faculté raisonnable et bien sûr aussi le pouvoir d’engendrer la parole ; donc, si elle vient à être privée de cette faculté naturelle d’engendrer, comme coupée et séparée de la raison immanente, elle dépérit et n’est plus bonne à rien. […], ainsi notre intelligence a reçu elle-même de Dieu, avec sa nature, la propriété d’engendrer continuellement la parole qui est inséparable d’elle et inhérente à son essence: si on supprime cette (parole engendrée), on supprime en même temps son auteur.[96]

Infatti, l’uomo senza anche solo una di queste tre, non sarebbe più uomo. Dunque, non si può né sottovalutare una di queste tre, né si può sopravvalutare una di queste tre. Sarebbe un’esagerazione, uno squilibrio che distruggerebbe l’armonia interna dell’uomo in modo tale che l’uomo perirebbe.

Poiché l’anima umana è fatta a immagine del Creatore, bisogna trattarla con una complessità tripartita unitaria più che disgregativa. La complessità unitaria dell’anima umana rende omaggio e onore all’uomo stesso e a Dio.

dans l’intelligence entière que tu possèdes – afin que, initié par ce qui te touche à ce qui est au-dessus de toi, tu ne perdes pas de vue l’image dont tu as été honoré de sa part – la raison (ὁ λόγος) réside tout entière, et l’esprit (l’âme) (τὸ πνεύμα) est dans les deux sans division ni confusion. Voilà en quoi consiste l’image, la richesse, que nous avons reçue d’en haut : être faits à la ressemblance de Dieu le Père et porter l’image de celui qui nous a engendrés (γεγεννηκότος) et crée. C’est pour cela également que, lorsque nous saluons un homme, l’hommage que nous lui rendons en tant que doué d’intelligence, d’âme et de raison, est unique ; nous ne distinguons pas, nous considérons le sujet qui a les trois en lui sans division ni confusion ; nous ne saluons pas et nous n’honorons pas trois être, mais un homme unique à cause de l’image commune du Créateur.[97]

La fede nel fatto che l’anima umana consiste di tre parti va di pari passo con la fede professata nella Trinità e viceversa.

C’est en ayant ainsi une juste intelligence de Dieu, que l’homme, en même temps qu’il fait profession de foi, se montre lui-même à l’image du Créateur, puisqu’il est doué d’une âme raisonnable (ψυχὴν λογικήν), intelligente (νοεράν) et immortelle (ἀθάνατον), qui est créée par un intelligence et une raison consubstantielles et immanentes (τοῖς ὁμοουσίοις[98] καὶ ἐνυποστάτοις).[99]

Infatti, quelli che confessano di essere composti delle sopraddette parti e nello stesso tempo, contrariamente alla propria ragione, privano di esse il Signore e Creatore, questi uomini Simeone li chiama pagani, per non dire «des bêtes, des reptiles et des fauves»[100].

Simeone ama tanto ripetere spesso la descrizione degli stessi fatti, anche se ogni volta aggiunge qualche novità, non con elemento nuovo ma in modalità nuova o sfumature diverse nella spiegazione. Egli vuole, così, porre l’accento e mettere in primo piano l’importanza di un fatto da dimostrare e far comprendere.

Allora sentiamo di nuovo una spiegazione più profonda, più plastica direi, delle realtà che abbiamo già visto:

l’âme n’a pas préexisté et ne se constitue pas préalablement à l’intelligence, ni l’intelligence avant la raison qu’elle engendre (γεννομένου), mais qu’elles reçoivent l’existence simultanément de Dieu, que l’intelligence engendre la raison (ὁ δὲ νοῦς τὸν λόγον ἀπογεννᾷ) et produit par elle la volonté de l’âme, de même Dieu le Père non plus n’a pas préexisté au Fils ni à l’Esprit ; mais, comme l’intelligence est dans l’âme et possède la raison immanente en elle, pareillement Dieu le Père est dans tout l’Esprit-Saint et il a tout entier en lui-même Dieu le Verbe engendré (γεγεννημένον) ; et de même que l’intelligence et la raison ne peuvent exister sans l’âme, de même il n’y a aucun moyen de nommer le Fils avec le Père sans l’Esprit-Saint.[101]

Ecco la descrizione dell’anima dell’uomo e le relazioni fra le parti in essa, che ne testimoniano l’immagine della Trinità.

2. Il Peccato d’Adamo e le sue conseguenze

Il nucleo del peccato originale si può descrivere in due fasi. La prima è la trasgressione del comandamento divino: invece di ascoltare il comandamento di Dio, la parola di Dio, l’uomo presta ascolto al diavolo. Dell’atto interiore dell’uomo, che si lascia convincere dall’ingannatore dando ascolto alle sue parole astute che dicevano male del Creatore, Simeone afferma: «il prêta, l’oreille aux murmures du diable trompeur»[102].

Il secondo momento è quando l’uomo ha gustato dall’albero. Da lì proviene la sensibilità passionale in genere che comincia ad avvolgere l’uomo. Egli inizia pian piano a usarla, infatti, «il regarda avec passion la nudité de son corps et il la vit»[103].

2.1. Comandamento del Signore

Simeone nelle sue opere usa spesso la parola «comandamento» (ἡ ἐντολή) oppure i «comandamenti». Se si volesse definire il peccato, si potrebbe definire come la trasgressione del comandamento e, ancora più concretamente, come la trasgressione del comandamento di Dio. Ma che cosa si nasconde dietro la parola comandamento, quale è la concezione simeoniana di esso? Proviamo vedere.

Du moment qu’il nous a donné le privilège du libre arbitre, ou plutôt des commandements (ἐντολάς) qui nous indiquent la manière de tenir tête à l’adversaire, il laisse chacun se déterminer de son propre gré à combattre et à vaincre l’ennemi, ou à se négliger et à se laisser vaincre pitoyablement par lui.[104]

Adamo, dopo aver mangiato del frutto vietato, poiché non ha rispettato le parole, cioè la legge (νόμος) del Signore è spogliato dall’incorruttibilità e dalla gloria: «il fut dépouillé de son vêtement incorruptible (τῆς ἀφθάρτου καταστολῆς) et de la gloire (δόξης) et revêtit la nudité de la corruption (τὴν τῆς φθορᾶς γυμνότητα ἐνεδύσατο[105].

Vediamo i passaggi e le conseguenze della trasgressione di Adamo: il peccato lo fa passare dalla nobiltà alla povertà, dalla dignità regale all’esilio su questa terra.

Comme celle-ci à son tour imputait la faute au serpent et qu’ils ne voulurent pas du tout se repentir, ni tomber aux pieds du Maître en demandant pardon, alors aux qui étaient comme en un palais royal et dans une demeure des plus nobles, je veux dire le paradis, il les chasse et les fait sortir de là, afin qu’ils continuent à vivre sur cette terre en exilés bannis hors des frontières.[106]

Simeone, come tanti altri i suoi contemporanei, crede nella sopravvivenza sensibile del paradiso[107] dal quale Adamo era stato cacciato.

Per quanto riguarda l’uomo, è chiaro che la trasgressione della legge del Signore riduce l’uomo «à la corruption et à la mort, d’habiter une terre également transitoire et périssable et de prendre la nourriture adéquate qu’il méritait»[108].

Che cosa ha causato la dimenticanza dei beni di Dio (εἰς λήθην ἀγαθῶν) e il disprezzo della legge (εἰς καταφρόνησιν ἐντολῆς) nell’uomo? La perdita della qualità della vita paradisiaca, cioè «la jouissance sans restriction, le séjour incorruptible, et exempt de fatigue»[109].

2.2. Conseguenze del peccato

La conseguenza del peccato è la morte. La morte è avvenuta nello stesso momento in cui l’uomo ha mangiato dell’albero. Simeone spiega e specifica dicendo che è proprio la morte dell’anima e che proprio per questo l’uomo è diventato nudo e si è trovato senza veste immortale (τῆς ἀθανάτου στολῆς)[110]. Questa è la conseguenza annunciata dalle Scritture e la sola prevista da Dio, che poteva essere annullata subito se l’uomo si fosse pentito. Dio, infatti, non aveva pronunciato niente di più contro l’uomo.

Poiché l’uomo, invece di pentirsi ha scelto di scusarsi, di coprire, nascondere la propria colpa allora, ecco la sofferenza, le spine e le tribolazioni. Questa è stata una scelta vergognosa e scellerata dell’uomo. Dio assume la stessa posizione con la donna poiché anch’essa segue la stessa dinamica errante. Invece di pentirsi sceglie l’accusa e così le scelte operate da entrambi li hanno banditi dalle delizie del paradiso. Si sono allontanati da Dio stesso, con il loro giustificarsi hanno ottenuto il castigo dell’allontanamento[111], cioè sono divenuti terra.

Ιl male è qui personificato; si parla dell’incontro con il seduttore, l’ingannatore cioè con il serpente che parla contro Dio. Il problema consiste nel fatto che l’uomo ha prestato la propria attenzione all’ingannatore, rispetta più lui che Dio, ritiene il suo consiglio più vero e più prezioso del comandamento del Signore[112].

E allora la morte porta con sé tutto lo spettro delle conseguenze. Già nel paradiso avviene la morte dell’anima cioè la morte spirituale. La prima conseguenza che avviene a livello dell’anima, è il fatto che l’uomo viene «privé des yeux de l’âme (τοὺς ὀφθαλμοὺς τῆς ψυχῆς πηρωθῇ)», poi è spogliato del vestito divino cioè «du vêtement de gloire divine (τὴν καταστολὴν τῆς θείας δόξης ἀποδυθείς)», poi «les oreilles bouchées (ἐμφραγῇ τὰ ὦτα)», ancora l’uomo è decaduto dalla vita «en compagnie des anges (τῶν ἀγγέλων ἐκπέσῃ διαγωγῆς)», e infine è stato «chassé du paradis (τοῦ παραδείσου ἐκδιωχθῇ[113].

Nella loro permanenza fuori dal paradiso Adamo e Eva sperimentano anche i segni della morte a livello fisico. Dal punto di vista fisico, dopo la cacciata dal paradiso, arriva la pena dei sudori e delle fatiche corporali, l’esperienza della fame e della sete, del freddo, dei dolori e di ogni sventura di cui tutta l’umanità fa esperienza[114].

E’ proprio la morte che va di pari passo con la cecità dell’anima e lo spogliamento dalla gloria divina, poiché l’uomo non può più vedere Dio e la sua gloria.

A causa della chiusura degli orecchi, con gli orecchi profanati, l’uomo non può più sentire e capire la Parola di Dio e anche la qualità della vita è decaduta, diciamo che si è abbassato il livello della vita. L’uomo si è ridotto «à la connaissance sensible et passionnée (αἴσθησιν κατηνέχθη) des créatures terrestres et visibles», lui, infatti, è diventato insensibile e corruttibile, simile alle bestie senza intelligenza (τοῖς ἀνοήτοις).[115] Il primo uomo che si è così ridotto, Simeone lo chiama uomo terrestre, cioè l’uomo che proviene dalla terra nel vero senso del termine: quest’uomo terrestre (ὁ ἐκ γῆς χοϊκός) veramente era stato privato del paradiso.

Generalmente parlando, tutto ciò si può esprimere con poche parole, cioè che l’uomo creato è come il rappresentante dell’umanità: l’uomo dopo il peccato ha perso la vita immortale ed eterna e la specie umana si è privata della salvezza[116].

Al livello del megakosmos, secondo la mentalità di Simeone, cioè dell’uomo stesso come ente personale, in altre parole nel livello del cerchio intero dell’uomo stesso, abbiamo ancora altre conseguenze.

Proviamo a vederne alcune.

I pensieri dell’uomo, dopo il peccato si rinchiudono in se stessi e prendono l’attenzione dell’uomo stesso in modo tale che il cuore si indurisce. Adamo dialoga fra sé e sé e non fa entrare Dio nel dialogo interiore; nascondendo così se stesso, nasconde il proprio male così come si era ingannato sperando che Dio non vedesse il suo peccato[117].

Tutto questo processo interiore avviene semplicemente perché l’uomo non ha riconosciuto, non ha espresso e non ha confessato il suo peccato. Il danno che ne segue è fatale. «S’il l’avait dit, il serait resté dans le paradis, et tout ce cycle de myriades de maux qu’il encourut, une fois expulsé et gisant dans les enfers durant tant de siècles, il allait se l’épargner par cette seule parole.»[118] Simeone costantemente afferma una sua posizione importantissima che ripete spesso: Adamo fu esiliato dal paradiso non tanto a causa del peccato, bensì perché, dopo aver peccato, non aveva voluto riconoscerlo, confessarlo e chiedere il perdono. Questa sottolineatura di Simeone espressa in modo così insistente e forte non si trova da nessuna altra parte nella tradizione[119].

Proprio il fatto che l’uomo, usando lo strumento della penitenza, avrebbe potuto mutare il corso degli eventi tragici avvenuti e che Dio gli aveva dato questa possibilità, è già una grande testimonianza del mistero dell’amore di Dio verso l’uomo. «S’ils s’étaient repentis, ils n’auraient pas été chassés, ils n’auraient pas été condamnés, et la sentence de retourner à la terre dont ils avaient été pris, ils ne l’auraient pas encourue.»[120]

Dall’altra parte, qualche passo più avanti Simeone può di più porre in rilievo il grande amore di Dio. Lo dimostra il fatto che pur se Adamo e Eva inizialmente si sono induriti, uscendo dallo stato paradisiaco e subito dopo essersi resi consapevoli dei beni perduti, cioè subito dopo essere usciti dalla familiarità con Lui, dal Suo amore, dalla Sua benevolenza, stando fuori dal Paradiso sono stati presi dal pentimento, hanno pianto ed innalzato i loro lamenti.

Un’altra grande conseguenza del peccato sta nella qualità della relazione dell’uomo verso il Creatore stesso svoltasi nel corso della storia dell’umanità.

All’inizio, proprio la totale ignoranza di Dio e dei suoi comandamenti ha indirizzato l’umanità verso il culto non al Dio vero ma a creature visibili, al sole, alla luna, alle stelle, al fuoco, all’acqua e così via.

Come secondo passo, gli uomini si sono rivolti alle passioni vergognose e le hanno divinizzate ed adorate. Quelle passioni vergognose, messe al posto di Dio, secondo Simeone, sono la fornicazione (πορνείαν), l’adulterio (μοιχείαν), l’omosessualità (ἀνδρομανίαν), l’omicidio (ἀλληλοφονίαν) e altre[121]. Queste sono state imposte, suggerite, e approvate dal maligno per un unico motivo, per rendere gli uomini servi e schiavi.

Ecco perché, anche un individuo che non ha ceduto a queste miriadi di orde vergognose, come li chiama Simeone, per il solo fatto dell’appartenenza al seme della generazione caduta, è tuttavia sottoposto alla schiavitù della morte.

Ecco il peccato e le sue conseguenze ancora più dettagliate come si sono viste e sperimentate nella vita.

2.3. La penitenza e visione

La penitenza (πένθος)[122] secondo Simeone è uno stato di compunzione (κατάνυξις)[123], fondato su una giusta conoscenza di se stessi, si esprime prima di tutto nelle lacrime (δακρύων)[124] ed è una condizione essenziale per la remissione dei peccati[125]. Simeone parla di un invito alla penitenza da parte del Creatore e lo colloca ancora nel Paradiso subito dopo il peccato poiché serve una riconoscenza veritiera di quello che si è fatto.

Proprio la domanda del Signore: «Adamo deve sei?» era l’invito al pentimento, non soltanto come una azione esteriore ma, come dice Simeone, per fare rientrare l’uomo decaduto «dans sa conscience (εἰς συναίσθησιν αὐτὸν[126]. In realtà Dio lo incoraggiava ad aprire, in sua presenza, il suo cuore e rivelare i pensieri nascosti. Ma l’uomo non rispondeva, non si piegava, non si umiliava: la reazione dell’uomo è stata negativa. Egli non si era pentito, né aveva pianto, né aveva chiesto perdono. Non ha mostrato nessuna di quelle caratteristiche della penitenza. La cervice del suo cuore è rimasta dura come il ferro.

Invece di rispondere con la penitenza l’uomo ha reagito all’opposto, cioè con l’accusa verso la donna perché «il rend la femme responsable de sa folie et de son péché» e allora è per questo che «il est chassé justement du paradis»[127]. Infatti, l’invito del Creatore ad Adamo a pentirsi, non ha trovato risposta né da parte di Adamo né da parte di Eva.

Per questo motivo, quella famosa domanda del Creatore: «Adamo dove sei?», ovvero come la chiama San Simeone, l’invito alla penitenza, viene posta all’umanità lungo tutta la storia della salvezza; con la stessa proposta alla penitenza, San Giovanni Battista comincia a preparare la strada al Nuovo Adamo, al Salvatore.

La penitenza insieme con l’umiltà è lo strumento dell’umanità per unirsi con Dio, per raccogliere tutte le forze dell’anima ed indirizzarle a Dio[128].

Nella penitenza ha un ruolo molto importante la concezione di quella manifestazione del dono divino verso l’uomo che Simeone chiama in vari modi: la visione, oppure la conoscenza della grazia, l’esperienza, oppure la contemplazione[129]. La chiama in vari modi perché, a suo avviso, dal punto di vista spirituale è un tutto unico ed è difficile per lui esprimerlo; anche nelle molteplicità delle parole conferma ciò dicendo che «dans les choses spirituelles, la sensation, qu’elle soit audition ou contemplation, c’est tout un»[130], cioè praticamente quella grazia attraverso la quale l’uomo viene istruito dal Signore.

In sostanza è come una medicina cruciale per l’uomo, senza la quale non si può fare la vera penitenza, non si può essere veramente umile e dunque neppure è possibile creare la vera e reale unione con il Creatore. La penitenza e l’umiltà sono gli strumenti per unire a Dio tutte le nostre sensazioni, come una sola facoltà. La molteplicità delle sensazioni si può apprendere così in un insieme, cioè nell’udire, nell’ascoltare, nel sentire (ἀκούω) «dans la vision (ἐν τῇ ὁράσει)»; nel vedere, nello sperimentare, nel percepire, nell’intendere (ὀράω) «dans l’audition (ἐν τῇ ἀκοῇ)»; nell’imparare, nell’apprendere (μανθάνω) «dans la contemplation (ἐν τῇ θεωρίᾳ)»; e viceversa nell’udire, nell’ascoltare, nel sentire (ἀκούω) «dans la révélation (ἐν τῇ ἀποκαλύψει[131].

Allora la visione, l’ascolto, la contemplazione, la rivelazione e quello che si apprende, si riceve e si ottiene in esse sono le varie sfumature della stessa realtà, che viene da sopra come aiuto per l’uomo. Possiamo dire che è come se fosse un’istruzione interna, data all’uomo e strettamente collegata con la penitenza al fine di portare a termine più efficacemente la penitenza stessa: in un certo senso è il segno della filantropia[132] di Dio.

Il grado più profondo o più alto dello stesso atteggiamento di misericordia divina verso l’uomo, e sul livello più ampio, verso tutta l’umanità, sono le promesse dei beni futuri (τῶν μελλόντων ἀγαθῶν) (1Tim 4, 8), che Dio darà nell’avvenire. Il primo bene futuro, l’avvenimento che Dio ha annunziato attraverso i profeti è la venuta del Signore, che benché non si sia realizzata nei tempi dei profeti stessi e essi non l’abbiano veduta, l’hanno già appresa e conosciuta con precisione[133].

Più tardi, Dio per mezzo di San Paolo apostolo (2Tim 4, 7-8), dà la promessa dei beni futuri[134] per i giusti che lottano spiritualmente (τοῖς ἀγωνιζομένοις δικαίοις)[135] e amano il Signore con tutta l’anima, allora questi ottennero i beni dopo la seconda venuta del Signore e dopo la risurrezione dei morti. Più avanti Simeone nella stessa logica riporta anche San Giovanni apostolo ed Evangelista (1Jn3,2). Esse, le rivelazioni, sono la parte più alta dell’audizione nelle cose spirituali (ἐν τοῖς πνευματικοῖς ἀκοή) che Dio nella sua economia ci ha donato.

Dio istruiva i profeti poi illuminava San Paolo apostolo e San Giovanni l’Evangelista, faceva loro conoscere avvenimenti che si sarebbero realizzati non nei loro tempi, ma nei tempi a venire, con l’unico scopo di aiutare agli uomini a riconoscere, contemplare o anche accettare il misericordioso disegno divino[136].

Secondo noi anche per questo motivo, cioè che tutti i beni futuri alla fine si concentrano in Cristo, Simeone convince che per gli spirituali la conoscenza e la somiglianza (ἥ τε γνῶσις καὶ ὁμοιότης), come anche la contemplazione (ἡ θεωρία) e la riconoscenza (ἡ ἐπίγνωσις) sono una cosa sola e unica perchè, infatti, Cristo si è fatto per noi tutto questo: conoscenza (γνῶσις), sagezza (σοφία), parola (λόγος), luce (φῶς), illuminazione (ἔλλαμψις), somiglianza (ὁμοιότης), contemplazione (θεωρία), riconoscenza (ἐπίγνωσις) [137].

Allora risulta che la contemplazione, secondo Simeone, non è una cosa a sé stante ma è in certo senso legata alla sua concezione della creazione primordiale, dell’uomo creato da Dio, della speranza del paradiso e della realizzazione della salvezza.

Dal peccato commesso dall’uomo e dalla penitenza proposta dal Creatore e conseguentemente rigettata dall’uomo, Simeone da buon predicatore, spesso nei suoi scritti passa subito all’incoraggiamento generale ad osservare i comandamenti e praticare le virtù per non seguire la sorte del primo uomo. Portiamo uno dei esempi:

Voici donc que tu as été connu à l’avance par Dieu, frère ; tu as été aussi prédestiné, appelé, glorifié et justifié et invité à la vie éternelle par la foi au Crist et le saint baptême. […] Pratique donc les vertus et garde les commandements de Dieu, ou plutôt garde-toi toi-même par les commandements pour ne désobéir à aucun ordre, de peur que tu ne subisses le sort d’Adam, et même un sort encore pire, en étant privé des biens célestes et supérieurs.[138]

Gli incoraggiamenti come quelli sopra riportati sono legati alla concezione del nuovo paradiso, che non è più sensibile come quello nel quale era introdotto Adamo ma è nel cielo e si ottiene attraverso la fede in Cristo stesso osservando i comandamenti: Simeone chiama la fede stessa in Cristo il nuovo paradiso[139].

Questa fede è il segno attraverso il quale Cristo ha riconosciuto ancora prima della fondazione del mondo quelli che hanno creduto e che crederanno in lui. Molto bello è quando Simeone trasforma la domanda «Adamo dove sei?», nella descrizione bellissima della perseveranza instancabile e continua del Signore verso l’umanità dicendo:

il les a appelés et jusqu’à la consommation il ne cessera de les appeler ; il les a glorifiés et il les glorifiera, il les a justifiés et il les justifiera, c’est-à-dire les rendra conformes à la gloire de l’image de son Fils par le saint baptême et la grâce de l’Esprit, en les transformant tous mystérieusement en fils de Dieu, en les rétablissant neufs de vieux et de mortels immortels et en leur donnant des commandements, comme autrefois à Adam.[140]

La fede in Cristo si mostra attraverso la perseveranza nell’adempimento dei comandamenti di Dio e nella realizzazione dell’amore verso Dio ed è questo che farà crescere progressivamente nella gloria.

Esistono però anche uomini che trascurano ciò e, dunque, anche al centro di questo nuovo paradiso, come rimedio di salvezza, Dio ha posto la penitenza.

Tutta l’umanità, e ognuno in essa, in proporzione alla propria penitenza e nella misura in cui si affretta a farla, può trovare nei rapporti verso Dio franchezza e familiarità come se fosse «un ami auprès d’un ami», come se fosse un incontro faccia a faccia, una vista interiore con gli occhi dell’intelligenza purificati (νοεροῖς ὀφθαλμοῖς καθαρῶς)[141]: in altre parole un paradiso nuovo.

La vita eterna trascurata per negligenza può essere riabilitata proprio con lo strumento della penitenza e proprio la penitenza, insieme con l’azione dello Spirito Santo, riconduce l’uomo a Dio: «C’est ainsi que Dieu règne sur ceux en qui il n’a jamais régné, quand ils sont purifiés par les larmes de la pénitence (μετανοίας) et perfectionnés par la sagesse (σοφίας) et la connaissance (γνώσεως) de l’Esprit»[142].

Se questo non fosse previsto (ᾠκονόμησεν), nessuno si potrebbe salvare. Ecco il grande amore del Signore misericordioso (ὁ φιλάνθρωπος Θεός)[143] verso gli uomini.

2.4. La provvidenza e la misericordia di Dio

Allora che cosa succederà con l’uomo e tutto il creato? Quale futuro? Quale prospettiva? La risposta si nasconde nella provvidenza e nella misericordia del Creatore. Si comprende dal pensiero antropologico di Simeone che Dio, prima che il mondo cominciasse ad esistere, sapeva che dopo la trasgressione sarebbe stata necessaria la rinascita dell’uomo e la restaurazione dell’uomo nuovo nella nascita del Figlio Unico. E proprio per questo motivo Dio

retient tous les êtres par un effet de sa propre puissance ; avec miséricorde et bonté il suspend l’assaut des créatures conjurées ; du même coup il les soumet toutes, comme avant, à l’homme. Il veut que la création, assujettie à l’homme en vue de qui elle a été créée, en devenant corruptible pour (l’homme) corruptible, lorsque celui-ci sera restauré à nouveau et deviendra spirituel (πνευματικός), incorruptible (ἄφθαρτος) et immortel (ἀθάναθος), qu’elle aussi, alors soit délivrée de sa servitude et, après avoir été soumise par Dieu comme esclave au révolté, qu’elle soit restaurée avec lui, devienne incorruptible et toute spirituelle.[144]

Il nostro autore ragiona con il condizionale: se l’uomo non avesse trasgredito che cosa sarebbe successo? Infatti «s’il s’était repenti après l’avoir violé, de quelle gloire (δόξης), de quelle dignité (τιμῆς), de quelle bienveillance (συμπαθείας) ne l’aurait-il pas jugé digne en le laissant séjourner à l’intérieur du paradis»[145]?

Invece di dare una risposta Simeone, sottolinea la storia della salvezza. Grazie alla trasmissione periodica delle verità su Dio nel corso dei secoli gli antichi, con l’aiuto della grazia di Dio, riconoscevano il Creatore attraverso i secoli ma d’altro canto gli uomini, dopo essersi moltiplicati sono tornati alla malvagità, e «ils tombèrent dans l’oubli (λήθην) et l’ignorance (ἄγνοιαν) du Dieu qui les avait faits»[146], e sono caduti nella idololatria cominciando a venerare gli idoli, i demoni e divinizzando e adorando la creazione stessa data da Dio al fine di servire l’uomo.

Anche la creazione, così, si è corrotta per il fatto che l’uomo ha cominciato a divinizzare e ad adorare la creazione stessa. La malvagità e la decadenza hanno assunto dimensioni ancora maggiori «car ils se multiplièrent et, tombant dans l’ignorance de Dieu (ἀγνωσίαν Θεοῦ) […] ; ils commencèrent à élever une tour et entreprirent de monter jusqu’aux cieux»[147].

La malvagità dell’umanità, sempre crescente, comportava una punizione proporzionale: per esempio a causa di una profonda malvagità si sono confuse le lingue. La punizione e la maledizione hanno sciolto l’accordo nell’operare il male e in questo caso la punizione ha un effetto positivo, serve a non far progredire il male ma a fermarlo. Simeone la interpreta come mezzo, come strumento per fermare e frenare la malvagità umana.

La permanenza dell’uomo fuori dallo stato paradisiaco è uno stato temporaneo e Simeone percepisce ciò come un fatto positivo e non lo vede come punto di arrivo bensì come punto di partenza da dove si parte per raggiungere la salvezza, e si potrebbe dire che si tratta di una concezione del finemeta-fisico in quanto si identifica con Dio stesso[148], e come tale, ha un proprio vantaggio poiché è proprio lì, che inizia l’economia della salvezza.

Invece di un danno, come sembrerebbe a primo avviso, gli uomini ne hanno tratto un grande vantaggio perché «cet exil même[…], tourne à notre salut à nous tous»[149]. Questo va detto certamente nella prospettiva della risurrezione di Cristo. L’umanità ha ottenuto la libertà originaria, ma quelli che sono vissuti prima di Cristo dovevano scendere agli inferi e lì attendere l’opera salvifica della resurrezione di Cristo. Noi, invece, vissuti dopo Cristo, siamo stati subito resi partecipi delle beatitudini del paradiso[150].

Ne deriva così che la punizione era stata prevista per la salvezza e serviva per il bene. Perciò quando la malvagità dell’uomo raggiunge l’acme dei suoi eccessi e il punto estremo della disobbedienza, allora discende il Verbo, il Figlio di Dio, per riformare l’uomo disintegrato, per vivificare l’uomo morto e per riprenderlo dal suo smarrimento[151]. Disobbedienza, smarrimento e la morte dell’uomo invece di diventare la fine, sono diventate l’inizio della nuova vita.

2.5. Disgregazione dell’uomo, dell’umanità

Una delle conseguenze della costruzione della torre di Babele era stata la disgregazione dell’umanità per dividerla in etnie (ἔθνη). «Il les détacha, comme des membres, du corps d’Adam et les sépara de lui, en même temps que les uns des autres, et les dispersa en donnant à chaque membre une langue différente, afin qu’ils n’aient plus la possibilité de se réunir.»[152] L’unico corpo dell’umanità viene disgregato e frantumato in nazioni senza più alcuna possibilità di riunione come Simeone sostiene esplicitamente. Non sarà più possibile dal punto di vista esteriore, cioè della lingua, essere di nuovo uniti, è una strada senza ritorno e la dispersione delle nazioni continuerà. Non ci sarà nessun mezzo per restaurare l’unità esteriore dell’uomo, dell’umanità. Risulta dunque, che il peccato della costruzione della torre di Babele non era che una conseguenza visiva della disgregazione interiore.

Che cosa è successo nel livello interiore dell’uomo?

comme Lucifer et, plus tard Adam, … se sont révoltés contre le Créateur en prétendant devenir dieux (θεοί), de même, hélas ! cet homme franchit les limites de sa propre nature et se laisse emporter par le désir (ἐπιθυμήσας)[153] et l’imagination (φαντασθείς)[154] vers ce qui le dépasse : il a voulu monter jusqu’au sommet de la connaissance spirituelle (πνευματικῆς γνώσεως)[155] «non par l’humilité (ταπεινώσεως) et en suivant l’exemple du Christ, mais par l’outrecuidance (ὑπερηφανίας) et l’orgueil (ἐπάρσεως). Il a comme ramassé de-ci de-là les briques d’une pseudo-connaissance (ψευδωνύμου γνώσεως), il les a cuites par une méditation assidue (ἐπιμόνου μελέτες) et après les avoir assemblées en édifice prétentieux par amour de la gloire (φιλοδοξίας) et avec le souci de plaire aux hommes (ἀνθρωπαρεσκίας), il s’est flatté de posséder (κτήσασθαι) une tour de théologie (θεολογίας)[156] et de connaissance spirituelle (πνευματικῆς γνώσεως) ; de plus, se croyant déjà aux cieux ou même au-dessus des cieux et s’imaginant qu’il se dresse tout à fait au-dessus, il disserte sur le Créateur du ciel et de la terre et de tout ce qu’ils contiennent.[157]

Che cosa abbia fatto Adamo e che cosa sia successo con lui, si può dedurre da ciò che hanno fatto gli uomini costruendo la torre di Babele.

In primis c’era la pretesa dell’uomo di diventare dio e il desiderio e l’immaginazione orientati verso realtà che lo superavano hanno giocato un ruolo fondamentale in questo movimento. L’uomo voleva possedere la conoscenza spirituale con mezzi con i quali è impossibile raggiungerla[158], cioè con l’arroganza, l’impudenza, l’impertinenza unite all’orgoglio e senza umiltà.

L’uomo così ha iniziato a crearsi i mattoni della pseudo-conoscenza. Raccogliendoli e rimanendo sopra di essi senza alcun discernimento di riconoscimento critico, meditandoli e lasciandosi affascinare da essi, cominciava a costruire un’opera, un mondo proprio. L’elemento, che in qualche modo riusciva a tenere tutto questo insieme era secondo Simeone, l’amore per la gloria (φιλοδοξία), cioè la vanagloria[159], e il desiderio di piacere agli uomini (ἀνθρωπαρεσκία)[160].

Il top di tutta questa costruzione falsa era una fede perversa ed egoistica, il credere in qualcosa che non era veritiero, cioè credere prepotentemente di possedere la realtà celeste da solo, isolatamente dal Creatore. Di conseguenza, seguendo le proprie idee, l’uomo è caduto ancora più nell’abisso persuadendosi, nella propria immaginazione, di possedere già ed abbracciare tutta la realtà celeste, limitando così l’ineffabilità del Creatore.

Ecco allora, al posto dell’immortalità angelica, la morte, la corruzione e la maledizione, frutti e conseguenze che portano tutti nati da Adamo. Una condizione spiacevole dell’uomo terrestre in cui la «teologia», cioè la conoscenza di Dio, diviene contaminata, impura. Simeone constata:

Car si l’homme formé à l’image de Dieu et bénéficiaire d’une vie immortelle, égale à celle des anges, a été privé à bon droit, par suite de la transgression d’un seul commandement de Dieu, non seulement de cette condition angélique, mais de la vie éternelle, et condamné (καταδικασθείς) à la mort (θανάτῳ), à la corruption (φθορᾷ) et à la malédiction (κατάρᾳ), quel sera donc le sort de tous ceux qui naissent de lui et qui, bien qu’ils portent encore l’image du terrestre, se mêlant (ἐπιχειροῦντες) de théologie (θεολογεῖν) en état d’impureté (ἀνάγνως)?[161]

Nella disgregazione dell’umanità peccatrice, comunque, Dio ha lasciato una via d’uscita, non ci ha lasciati cadere nella dimenticanza totale di Dio. Nell’economia della salvezza Dio ha lasciato all’uomo la possibilità di restare in contatto con il Creatore, di parlare con il Signore per poter rinnovare continuamente in sé la memoria di Dio.

Mais de peur qu’un silence prolongé ne nous donne la maladie d’un oubli total (τῇ μακρᾷ σιωπῇ λήθην) de Dieu et que nous ne vivons dans le monde comme des athées, il nous a été concédé de parler de Dieu et de ce qui le concerne suivant la capacité de la nature humaine, […] afin que, renouvelant continuellement le souvenir de Dieu, nous soyons en mesure de glorifier sa bonté et sa bienveillance à notre égard dans l’incarnation. Et nous, terre et cendre, comme si nous ignorions (ἀγνοήσαντες)[162] notre propre nature, nous tendons à la démesure ; ce que les anges et toutes les puissances célestes ne peuvent comprendre ni exprimer, nous ne craignons pas de le sonder, de l’analyser à loisir, de la concevoir, de l’imaginer et de le figurer.[163]

Si può capire dalle parole di Simeone sopra riportate che, nonostante il segno della bontà divina nei confronti dell’umanità disgregata, l’ignoranza umana spinge la persona a fare delle scelte sbagliate, di combattere e essere in conflitto con il segno della filantropia di Dio.

2.6. La morte e la risurrezione

Nella storia di Adamo la morte è venuta su due livelli. La prima morte, quella dell’anima, è sopraggiunta quando l’uomo ha perso il paradiso terrestre, cioè nel momento stesso della trasgressione mentre la morte del corpo è avvenuta nel tempo, quando Adamo era già fuori dall’Eden.

La morte corporale, Simeone la spiega in modo positivo dicendo che è un beneficio e un piano divino di salvezza dicendo:

La morte degli uomini, infatti è la morte delle preoccupazioni; la morte è lo scioglimento dalle inquietudini, la morte è la liberazione dalle malattie e da ogni genere di passioni, la morte è l’amputazione dei peccati e dell’ingiustizia, la morte è la separazione da tutti i mali della vita e per quelli che sono vissuti bene è fornitrice di una gioia interminabile, di un gaudioso godimento eterno e di una luce che non conosce tramonto.[164]

Per questo motivo, secondo la logica di Simeone, prima si porta a termine la restaurazione dell’anima con lo Spirito, poi quella del corpo nella risurrezione finale.

c’est qu’Adam, de son côté, quand il eut mangé de l’arbre dont Dieu lui avait interdit de manger, immédiatement après la transgression subit la mort de l’âme, et celle du corps bien des années plus tard seulement ; à cause de cela donc c’est l’âme, atteinte par la sanction de la peine de mort, qu’il a ressuscitée d’abord, vivifiée et divinisée, et c’est ensuite que le corps, soumis à l’ancienne sentence de devoir retourner en terre par la mort, a recouvré par la résurrection l’incorruptibilité, comme Dieu en avait disposé. Non content de cela, il est encore descendu en enfer et il a délivré de leur liens séculaires les âmes des saints retenus là ; il les a ressuscités et rangés dans le lieu de repos et de lumière sans déclin, mais non encore leurs corps qu’il a laissés dans leurs tombes jusqu’à la résurrection générale.[165]

Le conseguenze della trasgressione e della morte si erano estese anche agli uomini venuti dopo Adamo fino al momento in cui Cristo – Dio, nuovo Adamo, discese agli inferi e li resuscitò dai morti.

Ecco che cosa ha fatto Dio nella storia nei riguardi dell’uomo perduto:

il a incliné les cieux et il est descendu, il est devenu homme à cause de toi, il est venu là où tu gis. Il te visite plusieurs fois par jour, tantôt en personne, tantôt par ses serviteurs ; il t’exhorte à te relever de la chute qui te laisse à terre et à le suivre, quand il remonte au royaume des cieux, et à y entrer avec lui. Malgré cela, tu refuses. Qui donc, dis-moi, est responsable alors de ta perte et de ton dissentiment ? Toi, l’indocile qui refuses de suivre ton Maître, ou Dieu lui-même qui t’a créé, lui qui dans sa prescience savait que tu ne l’écouterais pas et que tu persévérerais dans ta dureté de cœur et ton impénitence ? A mon sens, tu diras certainement : Ce n’est pas lui le responsable, c’est bien moi ! Car ce n’est pas la prescience de Dieu qui est cause de notre endurcissement, mais notre indocilité.[166]

Il momento cruciale è quello in cui Simeone pone l’accento sull’irrigidimento dell’uomo la cui redenzione comincia proprio nel momento in cui il Signore vuole addolcire il cuore umano mentre l’umanità, al contrario, si aspetta l’ira del Signore.

L’uomo, trafitto da peccato, ha una visione malata e distorta di Dio la cui conseguenza è la durezza ancora più profonda del cuore umano. Inizia, così, una lotta nel cuore dell’uomo e sembra che l’uomo rimanga solo ma con l’uomo combatte anche il Signore: è Lui che lo assiste in caso di lotta, Egli non lo lascia solo nel combattimento; Egli è colui che conosce le debolezze della natura umana e misteriosamente procura la forza e la vittoria per la persona umana, anzi è piuttosto Lui che la realizza, è Lui che guida alla vittoria[167].

Relativamente al peccato dell’uomo e alle sue conseguenze, l’insegnamento di Simeone si potrebbe così riassumere: i primi creati si sono sottomessi volontariamente al nemico e hanno trasgredito i comandamenti di Dio quindi coloro che prima si trovavano nella luce senza tramonto (τῷ ἀνεσπέρῳ φωτί) ora sono ridotti alla corruzione e alla morte. Essi sono stati dominati e, diventando gli schiavi (δοῦλοι τῷ τοῦ σκότους ἄρχοντι γεγονότες) del principe delle tenebre, sono completamente sepolti in esse poiché a causa del peccato sono stati introdotti (διὰ τῆς ἁμαρτίας ἐγένοντο) nelle tenebre della morte (ἐν τῷ τοῦ θανάτου σκότει)[168]. Conseguentemente tutta la stirpe umana, non per violenza di qualcuno, ma volontariamente, si sottopone al tiranno.

Prima della Legge (νόμος)[169] e nel periodo della Legge c’erano uomini disponibili a seguire le disposizioni del loro Signore, gridavano verso di Lui e lo supplicavano. Dio misericordioso, pertanto, nel periodo dopo la Legge, decide di riscattare e liberare tutta l’umanità, quella vissuta prima, durante e dopo la Legge. Egli stesso vuole fare questo poiché Egli stesso ha creato e plasmato l’uomo con le proprie mani invisibili a sua immagine e somiglianza. Così si è mostrata la grande accondiscendenza divina verso l’umanità, per glorificare e innalzare la stirpe umana[170].

La vita mortale è conseguenza della trasgressione dei comandamenti di Dio ed essa stessa è ostacolo all’immortalità. Simeone indica una via di uscita nella sua teoria dell’evoluzione del processo di salvezza, vale a dire il processo spirituale di trasformazione dal materiale all’immateriale: «L’âme de chacun serait devenue plus brillante et le corps sensible et matériel aurai été mué et transformé en immatériel, spirituel et suprasensible»[171]. Questo processo fa parte della redenzione umana ed è preparato dalla bontà di Dio.

2.7. La creazione

Tutta la creazione prima del peccato dell’uomo era incorruttibile[172]. Dopo il peccato di Adamo anche la creazione, come il corpo umano subisce una mutazione e necessita, quindi, di un rinnovamento. La creazione stessa si è invecchiata e sporcata per colpa dell’uomo e ha bisogno di rinnovamento e purificazione, «sera dissoute dans le feu par la Créateur de l’univers»; e allora sarà «refondue et transmuée pour devenir brillante et toute neuve, sans aucune comparaison avec celle que l’on voit à l’heure actuelle»[173]. La creazione, infatti, si trova nella speranza di essere spiritualizzata cioè redenta, riabilitata e restaurata nella propria bellezza primordiale:

De même que la création a été produite la première incorruptible et puis l’homme, un peu plus tard, de même il faut encore que la création soit transformée la première de la corruption à l’incorruptibilité, ou subisse sa mutation, pour que soient restaurés alors avec elle et en même temps qu’elle les corps humains corrompus, de sorte que l’homme redevenu spirituel et immortel puisse habiter en un lieu incorruptible, éternel et spirituel.[174]

Il rinnovamento della creazione è necessariamente collegato al rinnovamento dell’uomo che occupa il posto principale e centrale. Egli costituiva la fine della creazione, la corona ma, dopo il peccato, la corruzione si sparse per tutto il creato ed è per questo motivo che la creazione aspetta il rinnovamento dell’uomo e con esso quello di tutta la creazione. Anzi, Simeone metaforizza e fa viva e personale la creazione dicendo che la creazione «ne voulait plus être l’esclave d’Adam après sa transgression, en le voyant déchu de la gloire divine à cause de sa révolte contre Dieu son créateur»[175].

Per quanto riguarda la creazione Dio l’ha maledetta perché

elle devienne elle aussi corruptible, dans l’intérêt de l’homme pour qui elle avait été produite et qui était devenu corruptible, de sorte qu’elle lui procure annuellement une nourriture corruptible; mais lorsqu’il renouvellera l’homme et le rendra incorruptible, immortel et spirituel, c’est alors, dis-je, qu’il transformera avec lui toute la création aussi et qu’il la rendra définitivement éternelle et immatérielle[176].

La creazione, però, è dipendente dalla trasformazione dell’uomo e come ha ottenuto la corruttibilità a causa dell’uomo, così, ora, attende di essere trasformata come l’uomo.

3. L’uomo redento

Il principio della redenzione dell’uomo è Cristo Figlio di Dio e la sua incarnazione. «Dieu, souverain de l’univers, a recouru à la présence corporelle, pour venir sur terre restaurer et renouveler l’homme et bénir par surcroît toute la création maudite à cause de lui.»[177]

L’incarnazione del Figlio di Dio è avvenuta allo stesso modo in cui era avvenuta anche la creazione dell’uomo, il primo Adamo. Egli, primo Adamo, era stato preso da Dio dalla terra. Dio «soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gn2, 7). Era stato creato senza nessun atto carnale e senza seme e il Creatore, dopo aver mandato il sonno su di lui, prese il suo costato e ne fecce la donna.

Dallo stesso costato di Adamo, cioè dalla donna, Dio ha fatto nascere il Nuovo Adamo. Dio Verbo, dalla donna ha preso la carne animata ed è nato come uomo perfetto cioè vero figlio di Adamo; Egli è diventato simile a noi in tutto tranne il peccato. E in base al corpo da lui accettato è diventato nostro familiare (πάντων εὐθὺς ἀνθρώπων συγγενὴς τὸ κατὰ σάρκα ἐγένετο)[178].

3.1. Il parallelismo fra la creazione di Adamo e l’incarnazione di Cristo

Il Figlio di Dio, lo stesso creatore di Adamo, prima è disceso nel seno immacolato di Maria Vergine e poi assume in sé la costola di Adamo (τὴν πλευρὰν τοῦ Ἀδάμ), ciò vuol dire «la chair sans aucune tache (τὴν πανάμωμον σάρκα), et il est devenu homme»[179]. Accettando la carne umana da Maria, il Verbo di Dio dona a questa carne accettata da Maria il suo spirito, lo Spirito Santo e così arricchisce di un supplemento la stessa anima unita alla carne donando all’uomo ciò che prima non aveva: la vita eterna.

La Nuova Eva doveva essere la prima a ricevere questo dono, ecco perché la prima creatura dell’umanità che ha goduto di questo dono è proprio la Madre di Dio[180]. Rispetto al vecchio Adamo nel Nuovo Adamo vi è «in più» lo Spirito Santo che viene così donato a tutta l’umanità. Ricevendo lo Spirito Santo l’umanità ottiene la rigenerazione della propria natura decaduta.

Da qui lo Spirito Santo assume un ruolo cruciale nell’impostazione antropologico-spirituale di Simeone in generale ma specialmente per la vita monastica come tale e per ognuno dei monaci ai quali egli si rivolgeva.

Così, dunque, è venuto nel mondo il Nuovo Adamo per distruggere il serpente che una volta aveva ingannato Eva. La Nuova Eva, Maria, Madre di Dio ha accettato la buona novella e ha creduto all’annunciazione portata dall’angelo. In quel momento Maria ha sostanzialmente accettato il Verbo di Dio e, in quel momento, il Verbo incarnato ha ricreato il corpo d’Adamo con il soffio dell’anima vivente[181].

3.2. La porzione

Dal secondo Discorso Etico Simeone comincia a parlare dell’economia salvifica di Dio nei termini della cosiddetta «porzione» (μερίς). La storia della salvezza è per lui la storia della «porzione»[182] che, secondo Simeone comincia da Eva, «porzione» di Adamo, costato del fianco di Adamo e poi prolungata attraverso Noè, Abramo, Israele, Davide fino a Maria Vergine.

Come Adamo si è disgregato nelle nazioni che si sono perse nell’idolatria e nella dimenticanza di Dio, così la «porzione» partita da Adamo è diventata corruttibile e mortale e poiché gli uomini che ne sono discesi sono rimasti immersi nei peccati, ecco che la «porzione» viene fatta perire nel Diluvio.

Il Creatore, in pratica, ha dovuto prendere una nuova «porzione» dalla «porzione». E’ interessante notare che Simeone rileva che la nuova «porzione» non è presa da Adamo bensì la sorgente della nuova genealogia della salvezza scaturisce dalla donna. Il Creatore prende Noè, «porzione» di Eva e lo preserva dal diluvio. Inizia così il secondo mondo. L’Arca è icona della Madre di Dio, Noè è figura di Cristo e i suoi figli sono uomini che vivono secondo la Legge. Anche questa generazione, però, perisce nel momento stesso in cui comincia a moltiplicarsi[183].

Di nuovo il Creatore prende da Abramo[184], un’altra «porzione», secondo l’elezione della fede, perché solamente lui, fra i nuovi dispersi, ha preservato il vero germoglio (τὸ σπέρμα) della fede (τῆς πίστεως) e della conoscenza di Dio (τῆς θεογνωσίας) originaria.

Dobbiamo notare che nel pensiero antropologico di Simeone, cioè nel dinamismo salvifico creazione-peccato-salvezza, Simeone spesso adopera due concetti fondamentali per lui, la dimenticanza (λήθη)[185] e la misconoscenza di Dio (τῆς τοῦ Θεοῦ ἀγνωσίας) da una parte e la conoscenza di Dio (ἡ θεογνωσία) dall’altra.

A differenza di Noè, dal quale si era realizzata la promessa dei figli secondo la carne, da Abramo nasce (γένεσιν) un altro popolo e in lui si realizza la promessa dell’immortalità e della vita eterna per i figli spirituali che in sé rigenerano la forma della sua impronta, finche non si realizzi Cristo in pienezza, perché Lui, il Creatore non genera (γεννῶν) secondo la carne, ma restaura (ἀναπλάττων) spiritualmente[186], attraverso l’azione dello Spirito Santo che opera nel battesimo e nella partecipazione all’eucaristia[187].

 Da Abramo, Dio costituì un grande popolo al quale donò la circoncisione come indice di nuova nascita, come distinzione dagli altri popoli e come segno di riconoscimento per tutti i discendenti che costituiscono la «porzione» di Giacobbe e, in altre parole, d’Israele. Però i popoli attraverso la misconoscenza di Dio, hanno subito una riduzione sul piano della conoscenza rispetto a quello che erano prima. Simeone per chiamare la generazione ridottasi in questo senso usa una espressione forte, cioè li chiama «le bestie senza ragione» [188].

Ma poiché anche Israele si è immerso nell’idolatria, il Creatore prende anche da esso una «porzione» della «porzione», cioè Maria, dalla quale nasce il secondo Adamo, Cristo, vero figlio di Adamo. Infatti, dice:

Mais le reste du corps, la partie détachée de sa propre portion et tombée dans l’idolâtrie, Dieu le repoussera et le chassera de ce paradis, c’est-à-dire de la vigne qui est sa part. Puis de la foi selon l’élection qui est sa part, celle qui vient de la côte d’Adam, tirant comme une petite semence pour lui, Dieu le Verbe deviendra homme ; c’est-à-dire, je le répète, le second Adam, fils du premier, naîtra comme de sa côte, sans commerce ni émission charnelle ; et alors aussi seront bénis le corps intégral et les membres du premier Adam, à savoir la foule même des nations repoussées, qui sont réunies en vertu de la foi par le fils d’Adam, l’Homme-Dieu, à la portion (τῷ λήμματι) issue de la côte d’Adam.[189].

Simeone colloca la spiegazione della «porzione» nella storia che divide in vari modi e secondo i vari criteri. Prima divide la storia della salvezza in tre periodi e più avanti in due periodi[190].

Il primo periodo si estende da Adamo fino al diluvio, a Noè, il secondo va da Noè fino ad Abramo e il terzo da Abramo fino ai tempi di Gesù.

Nel primo periodo Simeone intravede la promessa del secondo paradiso. Nel secondo periodo si può scoprire il typos del paradiso cioè l’arca al posto della Madre di Dio e nel terzo periodo si realizza la Legge, cioè nel momento in cui effettivamente Israele possiede Canaan.

Poi, come abbiamo già detto, secondo un’altra classificazione Simeone divide la storia della salvezza in due periodi.

Nel primo periodo vi erano i comandamenti dati ai progenitori con la loro libertà superiore mentre nel secondo vi è la Legge data nella legge spirituale.

Nel primo periodo l’uomo aveva al centro del paradiso l’albero della vita dal quale non poteva mangiare mentre nel secondo periodo gli Israeliti hanno i vasi della manna – pane disceso dal cielo, prefigurazione di Cristo. L’uomo, infatti, è invitato a possedere dentro di sé Cristo[191], il pane che dà la vita eterna.

Nel primo periodo al centro vi era l’albero della vita, non la vita stessa. Nel secondo periodo, più che l’albero della vita, si manifesta la grazia dello Spirito attraverso le promesse espresse dai profeti.

Nel primo periodo gli abitanti del primo paradiso hanno vissuto con la minaccia e maledizione della morte e della trasgressione, mentre nel secondo gioiscono della speranza del perdono e della benedizione della vita eterna.

Nel primo periodo l’arcangelo con la spada di fuoco fa la guardia all’ingresso del giardino dell’albero della vita; nel secondo, invece, l’arcangelo Michele veglia sulla sicurezza degli abitanti per non permettere la loro perdizione.

Nel primo periodo Dio, prendendo la costola di Adamo e creando (ἄνευ συνουσίας γένηται) la donna senza rapporti sessuali ha già premostrato come sarà rifatto il vecchio Adamo nel secondo periodo, prendendo cioè la costola della donna senza rapporti sessuali in modo tale che Cristo sarà generato (ἄνευ … συνουσίας γεννηθῇ) come uomo senza relazione carnale.

Mosè, il personaggio par excellence, haruolo speciale in tutto questo parallelismo e viene situato da Simeone nel secondo periodo. Come nel primo periodo era Adamo colui che parlava con Dio e con il quale Dio parlava, così nel secondo periodo è Mosè che dialoga con Dio. Ma Adamo, diversamente da Mosè, non ha la speranza della presenza corporale di Dio mentre Mosè, rispetto ad Adamo ha in più questa speranza.

3.3. La restaurazione dell’uomo

Continuiamo a vedere la restaurazione dell’uomo durante i due periodi sopra citati. Dobbiamo richiamare che, notoriamente, Simeone non è sistematico e praticamente, il secondo periodo, in questo caso, non è più quello precedente che durava fino a Cristo, ma diventa quello di Cristo e della Chiesa[192].

Nel paradiso, la donna è nata dall’uomo (ἀπὸ ἀνδρὸς γυνὴ γέγονε) ed è la madre di tutti quelli che sono nati dalla terra (τῶν ἀπὸ γῆς γεννηθέντων). Nella Chiesa, il Cristo, che è Dio e uomo, è nato (ἐγεννήθη) dalla donna in virtù della fede e in Lui rinascono spiritualmente (ἀναγεννωμέμων πνευματικῶς) tutti quelli che condividono questa fede.

Il parallelo cruciale è quello dell’albero della conoscenza del bene e del male che diventa per Adamo e Eva la causa della morte e della chiusura. L’altro albero, invece, quello della croce sulla quale Cristo secondo Adamo e Dio è stato inchiodato, diventerà per i progenitori la liberazione dalla morte e dalla maledizione, un dono di vita nuova e la forza per condurre una vita angelica.

Questo dono non è soltanto per loro ma per tutti perché con la lancia che ha aperto il costato di Cristo, Cristo stesso ha aperto l’entrata che era stata chiusa e «il nous a donné aussi de planter chaque jour cet arbre qui croît instantanément et procure la vie éternelle à tous ceux qui y goûtent»[193]. E’ bella la fine di questo passo quando risponde alla domanda retorica da noi qui parafrasata, cioè: dove si trova allora il nuovo paradiso se noi abitiamo fino ad oggi sulla stessa terra condannati a mangiare il pane del nostro lavoro, della fatica e del sudore? Simeone non risponde in modo diretto ma afferma: se tu vuoi apprendere le opere e i misteri, «[…], applique en ce moment ton intelligence (τὸν νοῦν) et l’exposé te les fera connaître (διηγουμένων γνώσῃ[194]) et apprendre (μαθήσῃ[195]. Così Simeone sottolinea l’importanza delle capacità dell’anima guarita, cioè intelligenza, conoscenza e capacità di apprendere le realtà della fede.

C’è similitudine fra Adamo, Eva e Cristo. La loro nascita è senza seme umano. Adamo, attraverso Eva, costituisce il principio della generazione umana nella corruzione e nella morte per tutti gli uomini dopo di lui. La giustizia si compie quando da Cristo e dalla sua nascita, si costituisce l’inizio di un’umanità restaurata e immortale.

Infatti, ci sono due interventi divini nella storia dell’umanità: il primo è all’inizio della creazione quando Dio, dall’uomo trae Eva, la donna; il secondo intervento segna l’inizio della redenzione quando dalla donna, Maria, viene generato l’uomo – Cristo attraverso cui avviene la redenzione.

Dieu le Verbe nous a emprunté la chair, qu’il n’avait pas par nature, et il est devenu homme, ce qu’il n’était pas ; il donne en partage à ceux qui croient en lui sa propre divinité, que nul parmi les anges ni les hommes n’a jamais acquise, et ils deviennent dieux, ce qu’ils n’étaient pas, par adoption (θέσει) et par grâce (χάριτι).[196]

E più avanti conferma lo stesso fatto affermando che poiché «notre naissance à la corruption s’est produite par l’intermédiaire de la femme Ève» anche la nostra rinascita spirituale «se produisît par l’intermédiaire de l’homme, c’est-à-dire du deuxième Adam qui est aussi Dieu»[197].

3.4. La capacità dell’anima

La redenzione del Signore ha l’effetto salvifico e vivificante soprattutto nell’anima umana, che con il peccato ha perso le proprie capacità ed è diventata corruttibile mentre il corpo, nel quale Dio si è incarnato, è stato da Dio divinizzato e ciò è confermato dalle parole: «il a donc vivifié l’âme qu’il avait assumée et il l’a faite Dieu en la rendant incorruptible ; quant à son corps immaculé et divin, bien qu’il l’eût divinisé, il le portait cependant encore comme un vêtement périssable et matériel»[198].

Simeone non si sofferma tanto sul corpo ma costata la divinizzazione del corpo e la sua materialità. Parlando, però, escatologicamente della creazione nuova, della terra e dei cieli nuovi, accenna anche la trasformazione del corpo umano dopo la resurrezione finale; la nuova creazione, infatti, sarà diversa dalla creazione iniziale.

Egli spiega la trasformazione della creazione basandosi sulle parole di San Paolo (1Cor 15, 44) che afferma che Dio «ressuscite un corps non pas tel qu’était celui du premier homme avant la transgression», cioè materiale, sensibile e mutevole, ma «il ressuscite un corps entièrement spirituel et inaltérable»[199] come quello che Gesù Cristo, secondo Adamo, ha ricevuto alla sua risurrezione dopo la morte. E continua dicendo che l’uomo redento, cioè dopo la resurrezione finale, sarà simile ai angeli, «sinon par la nature (τῇ φύσει), du moins par la dignité (τῇ ἀξίᾳ ἐσόμεθα[200].

Vediamo, ora, i frutti soteriologici sulle capacità dell’anima. Una delle caratteristiche dell’anima dell’uomo redento è la capacita di riconoscere il Signore.

In primo luogo l’uomo coscientemente può riconoscere[201] (γιγνώσκω) Dio mentre Dio conosce e vede l’uomo e nessuno gli sfugge. Questa capacità del Creatore non ha subito alcuna interruzione dopo il peccato dell’uomo ma, dopo la redenzione, le caratteristiche dell’uomo redento diventano proprio la percezione, la consapevolezza e la conoscenza di essere conosciuto e visto da Dio, cioè la consapevolezza di essere presente davanti il Signore. «Car celui qui est connu de Dieu sait qu’il est connu (γινωσκόμενος) et celui qui voit (ὁρῶν) Dieu sait que Dieu le voit ; mais celui qui ne voit pas Dieu ne sait pas que Dieu le voit, pas plus d’ailleurs qu’il ne voit, même s’il regarde (βλέπει) tout et que rien ne lui échappe.»[202]

 Un’altra caratteristica dell’uomo redento è la capacita di udire (ἡ ἀκοή). «Il appelle audition ce qu’il lui a été donné à la fois d’apprendre et de connaître en contemplant la gloire de l’Esprit, ce qu’il a entendu au sujet de son incarnation et de son apparition sur la terre.»[203] Certo è una capacita interna, oppure una delle capacità interne, dei sensi interiori dell’anima[204] che danno la possibilità all’anima di vedere e percepire il Signore non tanto esteriormente ma piuttosto interiormente.

In effetti, è un processo molto complesso nel quale distinguere e individuare ognuna delle percezioni interne è un po’ difficile, perché si manifestano in un insieme.

Grâce à cette action commune de tous les sens à la fois, ceux qui ont été jugés dignes de voir le bien universel et transcendant tout bien, comme par une sensation unique des sens multiples, qui saisit ce qui est un et multiple, ont reconnu et chacque jour ils reconnaissent les biens divers tous ensemble, comme bien unique, dans les sensations diverses de l’unique faculté; ils ne perçoivent là aucune diversité, mais la contemplation (θεωρίαν), d’après eux, se nomme connaissance (γνῶσιν) et inversement la connaissance contemplation, l’audition (ἀκοὴν) vision (ὅρασιν) et vision audition.[205]

Proprio, questa interna percezione complessa, in certo senso, diventa anche uno strumento della fede; Dio si rivela facendosi molto vicino all’uomo e rendendosi percepibile per la sua anima razionale. Simeone descrive ciò dettagliatamene.

le Dieu un de l’univers se montre par révélation à l’âme raisonnable une, tout bien lui est révélé et lui apparaît à la fois par tous ses sens réunis ; il est vu et entendu, il est agréable au goût, parfumé à l’odorat, touché, connu ; il parle et il est exprimé par la parole, il connaît, il est reconnu, il est conçu comme connaissant.[206]

Anche questa è una delle caratteristiche della redenzione.

L’uomo ha nuovamente la capacità di percepire Dio da vicino in modo molto personale[207] e nell’intimità, cioè nella propria anima, anche se la descrizione di questa percezione interna è fatta con i termini della percezione esteriore.

«Une fois parvenu à cet état, nous devenons semblables selon la grâce à Dieu lui-même, l’ami des hommes et notre maître, restaurés que nous sommes et renouvelés dans notre âme, rendus incorruptibles et vivant comme ressuscités des morts.»[208]

3.5. La fede che è cruciale

Abbiamo detto, che ciò che ci accomuna con il Figlio di Dio è la carne che Lui ha accettato dal costato di Adamo, cioè dalla donna. In questa parentela fisica la fede in Gesù Cristo quale Figlio di Dio fa da mediatrice. Poiché noi non eravamo in grado di fare nulla per la nostra salvezza, «Dieu accepte en tout et pour tout notre foi à son égard»[209]. Preso dalla pietà per noi, Egli ci dona liberamente, attraverso la remissione dei peccati, l’esenzione dalla morte e dalla corruzione. Inoltre, secondo la promessa data nel vangelo, ci fa rinascere nell’acqua e nello Spirito, e ancora di più, vuole fare di noi, suoi servi, dei santi e concederci la grazia dello Spirito. Egli desidera di realizzare e di portare a compimento la promessa dei beni di questa terra, che noi dovevamo ricevere in eredità e di unirsi a noi in modo tale che diventiamo uno, Lui e noi in Dio Padre attraverso lo Spirito Santo[210].

La grande prospettiva del pensiero antropologico di Simeone è unità in Dio e unità per tutte le nazioni. Egli dice infatti:

toutes les nations, du levant au couchant, sont appelées et ceux qui croiront doivent adhérer à celui qui a pris chair de la côte de leur père, au Crist Dieu, Fils de Dieu et fils d’Adam ; ainsi les deux deviendront un, incorporés vraiment au Christ, participant à lui, eux qui sont frères et cohéritiers du Crist et le Christ lui-même, y compris les nations qui ne croiront pas doivent rester au dehors avec ceux qui se sont retranchés de la portion de la foi (τοῦ λήμματος τῆς πίστεως), je veux dire les Juifs eux-mêmes, rejetés et repoussés à cause de leur incrédulité.[211]

Questa unità si realizza per adozione da parte di Dio. Da parte dell’uomo può essere accettata attraverso la fede nel Figlio di Dio, Nuovo Adamo e pure attraverso le opere che dimostrano la fede.

Solo in questo contesto di fede si può parlare anche dei santi che sono persone che, nella fede, accettano l’adozione del Signore, cioè il Suo progetto antropologico e salvifico riguardo all’ uomo. «Les saints sont donc tous connus d’avance par Dieu, à la fois prédestinés et comptés, puisqu’ils sont inscrits nommément dans les cieux ; en même temps ils sont les membres du Christ, destinés à enter dans un corps unique et à s’y achever.»[212]

Si può notare che il fine del pensiero antropologico di Simeone è l’unita finale fra l’uomo e Dio, la Gerusalemme celeste[213] nella cui realizzazione tutto quanto detto sopra raggiunge il vero significato. Simeone lo afferma dicendo: «Lorsque tous ceux-là seront enfin réunis dans un corps unique, celui du Christ, alors le monde d’en-haut, la Jérusalem céleste elle-même, qui est l’assemblée des premiers-nés, aura atteint sa plénitude»[214].

La redenzione e la restaurazione del Signore non si è fermata sull’umanità decaduta ma continua e si estende a tutto il creato. Per prima cosa rialza l’uomo abbattuto dal peccato, sopraffatto ed invecchiato, lo ricrea e lo rinnova e solamente dopo, come conseguenza, comincia a ricreare anche l’intera creazione.

3.6. L’uomo diventa dio

Segno della redenzione dell’uomo è la possibilità della creatura umana, con la grazia divina, di diventare dio[215]. Simeone fa la comparazione fra l’unità di Dio nella Trinità e l’unità nell’uomo. Dio è adorato nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo senza confusione e divisione e ciò vale anche per l’uomo redento.

L’homme devient Dieu selon la grâce, en Dieu, âme et corps, sans confusion ni division ; ni le corps ne se change en âme, ni l’âme ne se transforme en la divinité, ni Dieu ne se confond avec l’âme, ni l’âme ne se coagule en chair, Dieu restant ce qu’il est en tant que Dieu, l’âme, ce qu’elle est par nature, et le corps, tel qu’il a été formé : de la boue.[216]

Da questo testo risulta, che Simeone ha una concezione della strutturazione umana assai specifica. La trilogia dell’uomo, contiene prima di tutto Dio stesso, poi l’anima e il corpo e ne consegue che Dio, insieme con l’anima e il corpo forma la trilogia dell’uomo che risulta, dunque, essere creato a immagine di Dio e, quindi, degno di essere dio. Come afferma Jean Darrouzès[217], questa è una posizione forzata al solo scopo di sottolineare la partecipazione del corpo umano all’ impassibilità divina ma si tratta, comunque, di una idea interessante.

La conseguenza è la realizzazione della salvezza dell’uomo: Dio negli ultimi giorni si è rivelato nella carne del suo Figlio e si è fatto conoscere attraverso lo Spirito Santo. Egli stesso si è unito all’anima intellettuale (ψυχῇ νοερᾷ) a causa della nostra anima (διὰ τὴν ἐμὴν ψυχήν) per salvare lo spirito (τὸ πνεῦμα) e per rendere anche il corpo (τὴν σάρκα) immortale. Dio abita nell’uomo liberamente e ciò significa che lo Spirito, per la sua forza illuminatrice si muove nell’anima liberamente.

La stessa cosa vale anche per la relazione fra anima e corpo. L’anima penetra nel corpo e lo coinvolge in modo tale che nessuna parte del corpo si trovi fuori, nel senso che non ha nessun desiderio fuori dell’anima, perché il corpo non può vivere senza l’anima, ed è condotto al consenso con l’anima, in modo tale che né l’anima né il corpo possono vivere l’uno senza l’altra[218].

Ci sono, allora, due sfere in cui si progetta la salvezza: l’anima e il corpo.

Grazie alla morte e alla resurrezione del Figlio di Dio, Dio stesso ci ha donato il regno, l’incorruttibilità e la totalità della vita eterna. Ma nell’anima (ψυχή) già qui, nel tempo presente si può prendere parte ai beni futuri, «à savoir incorruptibles, immortels, fils de Dieu, fils de lumière et fils du jour, héritiers du royaume des cieux»[219], in sostanza è lo stesso regno che noi già portiamo nel nostro interno; è proprio nella nostra anima che noi riceviamo la pienezza della conoscenza e la sapienza di esso.

Per quanto riguarda il corpo, Simeone distingue due periodi: prima e dopo la risurrezione di Cristo. Noi, come Cristo prima della sua resurrezione, non prendiamo parte ancora ai beni futuri pienamente, non li sperimentiamo ancora poiché il corpo è ancora corruttibile e in certo modo limita anche la nostra anima. Per questi motivi noi non abbiamo, per ora, la capacità di ricevere la totalità della gloria rivelata ma possiamo soltanto gustarla parzialmente. Dopo la risurrezione, però, anche il nostro corpo sarà spirituale[220]. Allora saremo simili a Cristo, cioè «hommes par nature, dieux par grâce, comme lui-même, Dieu par nature, a pris forme d’homme par sa bonté»[221].

 Simeone chiama il corpo «palazzo» e l’anima «tesoro reale». Dio si è unito all’anima attraverso l’eseguimento dei comandamenti rendendola piena della luce divina. Essa stessa diventa dio per l’effetto dell’unione[222].

Terminiamo questo capitolo con una preghiera, un’esclamazione, un ringraziamento di Simeone, pieno di profonda gratitudine interna per tutto quello che il Signore ha fatto nel suo prodigio verso l’uomo decaduto e redento:

Gloire à toi qui en as disposé ainsi. Gloire a toi, qui as bien voulu nous apparaître et t’unir à nous. Gloire à toi, qui t’es révélé à nous et qui t’es fait voir à cause de ton immense compassion, toi, invisible par nature même pour les puissances célestes. Gloire à toi, qui possèdes une pitié ineffable à notre égard et qui as daigné, en vertu de notre pénitence, habiter et te promener en nous. O immensité de gloire ineffable, ô excès d’amour ! Celui qui contient toutes choses habite à l’intérieur d’un homme corruptible et mortel, dont toutes choses sont au pouvoir de celui qui l’habite, et l’homme devient vraiment comme femme qui porte un enfant. O prodige stupéfiant, d’un Dieu incompréhensible, œuvres et mystères incompréhensibles ! Un homme porte sciemment en lui Dieu comme lumière, celui qui a produit et crée toutes choses, y compris l’homme qui le porte.[223]


[1] Per gli altri dati biografici rimandiamo a: Cf. Niceta Stetato, Vie de Syméon le Nouveau Théologien; I. Hausherr, «Introduction», 80-91; D. Stiernon, «Simeone il Nuovo Teologo, santo», 1104-1114; B. Petrà, «Simeone il Nuovo Teologo. Profilo biografico e spirituale», 264-298; U. Neri, «Introduzione», 26-39.

[2] Cf. І. Мицько, Святоуспенська Лавра в Уневі; М. Пишкович, Історія Свято-Успенської Унівської Лаври і студійського монашества.

[3] Cf. A. et C. Szeptycky, Typicon. Nella tradizione bizantina, i testi di carattere normativo dal punto di vista giuridico liturgico o monastico secondo i quali si ordina la vita in un monastero, si chiamano τυπικόν typikon – «tipico» – ordo. A livello monastico ci sono i typika: provenienti da un padre spirituale fondatore di un monastero (per esempio di San Saba a Gerusalemme, di San Teodoro Studita, del Monte Athos) oppure di un’autorità civile – typika imperiali (per esempio di Giovanni II Comneno, di Michele VIII Paleologo).Cf. M. Nin, – D. Ceccarelli Morolli, «Typikon», 783; A. Rentel, «Byzantine and Slavic Orthodoxy», 255; 265-266.

A livello liturgico, un posto speciale ha l’ordodi Stoudios – la «sintesi delle sintesi»; la sua diversità dall’ordo di Gerusalemme e dell’ordosuccessivi, si spiega sia con la posizione unica del monastero di Stoudios stesso, sia per l’adattamento dell’ordo (p.e. l’eliminazione delle certe veglie delle feste dei santi, del piccolo vespro) alle circostanze esterne specifiche. Cf. A. Schmemann, Introduction to Liturgical Theology, 205-212

[4] Cf. Niceta Stetato, Vie de Syméon le Nouveau Théologien.

[5] E’ stata pubblicata l’edizione critica degli scritti simeoniani edita in Sources Chrétiennes e le quattro Epistole di San Simeone con la traduzione inglese, edite da Turner, che praticamente utilizzeremo come fonti nel nostro lavoro. Per i dettagli rimandiamo alla Bibliografia.

[6] Gli scritti e l’opera di San Simeone si trovano dettagliamente descritti da Krivocheine, grande conoscitore di San Simeone. Cf. B. Krivocheine, «The Writings of St. Symeon the New Theologian»; B. Krivocheine, «Saint Syméon le Nouveau Théologien à travers les âges (XIe-XXe siècles)».

[7] Dal 30.06 fino al 04.07 di 2002, infatti si svolgeva a L’viv la terza sessione del Sobor (Sinodo) della Chiesa greco-cattolica ucraina (UGKC), dove sono stati convocati rappresentanti di tutti gli Ordini, Congregazioni religiose ed Istituti apostolici di UGKC, per discutere e trovare risposte sul tema «Identità e la missione dei religiosi nella Chiesa greco-cattolica e nella società ucraina». Nelle sedute di questo sinodo si è cercato, esaminando il passato e il presente, di cogliere e sviluppare in una prospettiva futura la tensione creativa esistente fra monachesimo tradizionale e comunità di vita attiva oggi nel nostro tempo. Come una prima bozza per questo lavoro «sinodale» era stato preparato da Marani il materiale per un instrumentum laboris definitivo. Cf. G. Marani, Trasfigurare la terra. Identità e missione del monachesimo orientale.

[8] Cf. B. Krivocheine, «Introduction», 41-42.

[9] Cf. R. Morris, Monks and laymen in Byzantium, 843-1118, 171-173.

[10] La fedeltà all’ortodossia nel pensiero teologico di Simeone: Cf. И. Алфеев, Преподобный Симеон Новий Богослов и православное предание, 285-310.

[11] Per le domande fondamentali come: che cosa caratterizza e costituisce l’uomo creato da Dio, la sua vocazione nella Gn 1-2 e la sua relazione con Cristo, si può confrontare B. Rey, «L’homme “dans le Christ”».

[12] La tipologia di «sette periodi di secoli» Darrouzès attribuisce a Massimo il Confessore. Cf. Simeone il Nuovo teologo, Traités théologiques et éthiques, I, 182, n. 1.

[13] Secondo Gregorio di Nissa, l’ottavo giorno è il periodo dell’eternità futura, quando la resurrezione trasformerà completamente la nostra natura in un’altra condizione dell’esistenza. Cf. Gregorio di Nissa, Pss. titt., 2, 5, 35; cf. Éth., 2, 3, 63-65.

[14] Dio fece spuntare il Paradiso terrestre nella parte orientale di Eden (Gn2, 3-4) come un posto materiale. In esso ha posto l’uomo come in un palazzo. Dopo il peccato, Dio lo ricondusse di nuovo fuori, con la speranza (Rm8, 20) di ritornare. Cf. Éth., 1, 1, 67-145; Ibid., 2, 3, 19. La concezione del Paradiso nella tradizione cristiana: Cf. P. Miquel, «Paradis»; cf. J. Daniélou, «Terre et Paradis chez les Pères de l’ Église».

[15] Origene spiega che il cibo del perfetto cristiano è Dio e la sua Parola. Cf. Origene, Hom. in Ezech., 12. San Gregorio di Nissa sviluppa questo pensiero spiegando che era la Parola del Signore l’alimento spirituale con il quale si nutriva Adamo, e quello di cui godeva l’uomo nel Paradiso. Cf. Gregorio di Nissa, Hom. opif, 196c-197b.

[16] Simeone spiegando la realtà del paradiso non è molto chiaro e non fa chiara distinzione fra paradiso esteriore e interiore e spiegandolo facilmente passa da una realtà all’altra. Quando parla del paradiso come regno dei cieli si esprime in modo molto poetico. Il suo discepolo Niceta, per esempio, è più chiaro. Lui prende le parole del Signore «Il regno dei cieli è dentro di voi» (Lc17,21) e le interpreta come paradiso, dove si entra per le porte dell’umiltà oppure per la porta della carità. Cf. Niceta Stetato, Du paradis, 59.

[17] I Padri greci, pur mantenendo il senso generale della parola, come valore di conoscenza, piuttosto che l’ignoranza, l’errore, l’opinione e menzogna, si riferiscono soprattutto alla Verità di Dio, rivelato da Cristo nella sua vita e il suo insegnamento. Il termine verità si applica ancoro alla Trinità e a ciascuna delle Tre Persone, sia nel tempo delle controversie al tempo dell’arianesimo, sia nei commentari su Giovanni. Cf. A. Solignac, «Vérité. Des Grecs au Moyen Âge», 431. Per l’ἀλήθεια: Cf. PGL, 70-72.

[18] L’«albero della vita» nella letteratura patristica si spiega come simbolo della pienezza del bene e come totale partecipazione al bene. Cf. Giovanni Damasceno, Hom. 7, 2, 2. San Gregorio di Nissa lo percepisce come la Sapienza stessa di Dio data in cibo all’uomo. Cf. Gregorio di Nissa, Hom. opif, 197 a-b. E alla fine, come spiega Origene, l’albero della vita è la Sapienza, ma anche tutte le altre virtù che crescono grazie alla pioggia benefica della Parola. Cf. Origene, Hom. 1-16 in Gen., 2, 4.

[19] Cf. Éth., 2, 3, 63-90. Il significato della bellezza originaria potrebbe essere nella linea di San Gregorio di Nissa, che lo spiega come lo stato quando tutti gli elementi dell’anima e del corpo possano reciprocamente collaborare in comune orientazione verso immagine divina, verso quello che è Buono e Bello, e non servire più al peccato, cioè senza nessuna molteplicità e disgregazione nell’uomo, anzi con l’unificazione meravigliosa a causa della sua adesione a Dio solo. Cf. Gregorio di Nissa, Virg., 12, 4.

[20] Il paradiso nei Padri si capisce come dimora dei vivi, intesi come coloro, che non sono stati uccisi dal peccato. Cf. Gregorio di Nissa, Virg., 12, 4. Paradiso era il posto dove l’uomo godeva degli alimenti spirituali. Cf. Id., Hom. opif, 196c -197a.

[21] L’albero della conoscenza del bene e del male era proibito perché non si deve conoscere il bene e il male, ma solo distinguerlo per essere in grado di scegliere correttamente. Cf. Gregorio di Nissa, Hom. opif., 197a-b.

[22] Nazianzo per esempio, distingue chiaramente «le piante della vita», che erano piantate da Dio nel paradiso ancora prima che il Creatore ne introducesse uomo con libero arbitrio, dall’«albero della conoscenza». L’uomo doveva far coltivare le piante immortali – secondo Gregorio i pensieri divini – che l’uomo con la propria libertà sceglieva. Dopo, il Signore gli ha dato la legge – il materiale per il suo libero arbitrio, che fosse albero della conoscenza del bene e del male, in sostanza un albero buono quando viene usato nel tempo opportuno. Quest’albero della conoscenza è la contemplazione e fa bene a quelli che sono già cresciuti nella contemplazione nella solitudine, e fa male ai quelli che non sono ancora purificati. Cf. Gregorio di Nazianzo, Or., 38, 12.

[23] Questo termine generalmente nella letteratura cristiana si spiega come «memoria di Dio» nell’uomo. Ha anche le spiegazioni specifiche. Per esempio: Cassiano la spiega come l’orazione continua e perfetta del monaco. Basilio il Grande, Evagrio Pontico e Pseudo-Macario sono sulla stessa linea ma pongono l’accento ancora di più sul fatto che è un’attitudine spirituale principale del cristiano-monaco. Marco l’Eremita la definisce come sforzo del cuore alla pietà e la distingue dalla conoscenza spirituale e senza di essa non si può avere la vera gnosi. Massimo il Confessore sostiene che solo la memoria di Dio preserva dalla presunzione nel progresso delle virtù. Cf. H.J. Sieben, «Μνήμη Θεοῦ», 1411.

[24] Éth., 2, 7, 86.

[25] Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce, 166; cf. Cap., 3, 32, 18, 93; cf. Théol., 1, 147.

[26] Cat., 5, 166. Padre Krivocheine nelle note afferma che è da Doroteo, che Simeone riprende tante idee e li sviluppa, come per esempio quella di ri di Adamo che ha attirato la misericordia divina e ha provocato la venuta di Dio sulla terra.

Per quanto riguarda il rendimento di grazie, Diadoco è uno dei Padri che esorta suoi ascoltatori al rendimento di grazie nei vari momenti della vita. Questo è il modo come unirsi a Dio. Motivo è che l’anima quando si unisce così a Dio esulta di gioia. Cf. Diadoco di Fotica, Perf., 27, 44, 54, 87, 94. In modo ancora più esatto lo fa proprio Doroteo di Gaza sottolineando che a Dio unico si deve render grazie per tutti i beni ricevuti, anche nelle tribolazioni e tentazioni e nelle prove che uno sorpassa. Ricorda che rendimento di grazie è un elemento importante della preghiera serale e personale di un monaco. Cf. Doroteo di gaza, Doct., 38, 16; 70, 21-24; 84, 32; 125, 21; 138, 11; 148, 16; 181, 42; 185, 11; 187, 29. L’azione di grazie è l’atteggiamento fondamentale della Chiesa e dei membri nella presenza di Dio, è la preghiera dello Spirito dentro di noi. C’è l’amen, la confessione della fede cristiana, che dalla liturgia, si prolunga nella vita e fa di ogni fedele un εὐχαριστός (Col 3, 15). Cf. Hamman, A., «Eucharistie», 1583.

[27] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 464; cf. Cat., 31, 149-150. Con la stessa parola «εὐχαριστῶ σοι», Simeone comincia le sue due opere specifiche e tanto caratteristiche proprio per lui, le sue confessioni mistiche personali, un rendimento di grazie, che l’edizione di SC riporta nel terzo volume delle Catechesi come «Action de grâces (1-2)». Tra gli Inni possiamo trovare altre cinque εὐχαριστία – «rendimento di grazie», cioè Inni 14, 22, 26, 36 e 41.

[28] L’idea di uomo, l’immagine di Dio che è capace conoscere Dio, cioè «capace di Dio», e diventare famigliare e compagno del Dio massimo, condividendo le danze degli angeli, s’incontra in Gregorio di Nazianzo. Cf. Gregorio di Nazianzo, Or., 38, 11; cf. Trisoglio, F., San Gregorio di Nazianzo. Teologia e dogmatica, 222-223; cf. P. Evdokimov, L’ortodossia, 64-65.

[29] Simeone, come nota Neri, quasi ossessionamene sviluppa la «mistica dell’esperienza», cioè della percezione diretta (αἴσθησις) delle realtà spirituali. Secondo la sua dottrina non basta, infatti parteciparne insensibilmente (ἀναισθήτως), come accade in virtù del battesimo ricevuto nell’infanzia. Per appropriarsene nell’intimo, e per essere davvero trasformati occorre giungere a possederle coscientemente. Di qua allora, importanza della conversione e dell’osservazione dei comandamenti. Cf. U. Neri, «Introduzione», 61-64.

[30] Cf. Cat., 28, 425-430. Quando si parla della percezione diretta (αἴσθησις) nella patristica, si tratta di una sensibilità del nous con carattere noetico che dipende dall’esperienza mistica.Nell Origene, Gregorio di Nissa, Massimo il Confessore, Diadoco, Macario e anche da Simeone il Nuovo Teologo, questo termine non ha nulla in comune con sensismo, cioè con sole sensazioni dai organi di sensi stessi oppure con l’emozionalità sul livello psichico, ma sottolinea il realismo di ciò che è vissuto dallo spirito. Cf. P. Evdokimov, L’ortodosia, 66-67.

[31] La capacita di rendere grazie oppure lo «stato eucaristico» come lo chiama Simeone insieme alla percezione diretta delle realtà spirituali in qualche modo fa parte della immagine di Dio nell’uomo. Dopo il peccato si offusca e viene rinnovato per mezzo della penitenza: «Quando di fronte all’intelletto immortale svanisce la saggezza terrena e la mortalità viene cacciata dalla vita, l’anima si alza come fra i morti, si vede e si riconosce come quando uno si risveglia dal torpore. Riconosce Dio che l’ha risuscitata e contemplando e rendendogli grazie (ᾧ εὐχαριστοῦσα) si innalza al di sopra dei sensi e del mondo, ripiena di un piacere ineffabile. Essa, una volta in Dio, cessa la sua attività intellettuale.» Cf. Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce, 168; cf. Cap., 3, 36-38.

[32] «L’essenziale di ogni spiegazione della salvezza procurataci da Gesù è la deificazione: l’uomo è chiamato in vita per partecipare, fin d’ora in questa sua vita terrestre, alla stessa vita di Dio». Cf. E.G. Farrugia, «Soteriologia», 719-720.

[33] Nel pensiero dei Padri cappadoci, e soprattutto di Origene ed anche dopo di lui San Gregorio di Nissa, si tratta del processo oppure passaggio dall’immagine alla somiglianza finale che non è altro cherestaurazione della somiglianza primaria distrutta dal peccato. L’uomo con il peccato ha distrutto la dignità originaria e ha sfigurato l’immagine di Dio. Compito dell’economia divina sarà la restaurazione di tale immagine. Cristo è venuto a restaurare l’umanità e a ricondurla alla sua condizione primitiva. La ricostituzione dell’originaria realtà dell’uomo avviene con la risurrezione finale. La risurrezione è la restaurazione (apokatastasis) dello stato primitivo. Per Origene si tratta soltanto dell’anima come realtà spirituale, dove il corpo sarà distrutto. Per Gregorio di Nissa si tratta anche della restaurazione del corpo. Per il Nisseno la risurrezione finale è perciò concepita con il preciso intento di ricollegare la fine all’inizio, l’Omega all’Alpha. Cf. H. Crouzel, Théologie de l’image, 221-222; cf. C. Moreschini, I Padri cappadoci, 194-202.

[34] Cf. Éth., 4, 792-798.

[35] Cf. A. Golitzin, «The Body of Christ», 113; cf. Ibid., n. 32.

[36] Cf. Éth., 4, 800. Simeone per discernere e sottolineare un altro livello e la grandezza più complessa cioè spirituale della creazione umana al riguardo di quella del mondo creato materiale cioè kosmos, preferisce usare la parola μέγας il cui significato è proprio «grande», «vigoroso», «potente». Cf. PGL, 836. Simeone usa la parola μέγας al posto della parola μακρὀς. Essa, cioè μακρὀς ha piuttosto significato esteriore e materiale, quello che si può misurare, cioè «lungo», «largo». Cf. Ibid., 825.

[37] Cf. Éth., 4, 799-801.

[38] «Parlando della dicotomia originaria della natura umana, alcuni Padri della Chiesa usavano l’idea classica di microcosmo, secondo cui l’uomo rappresenta un “piccolo mondo”, che comprende in sé i medesimi elementi di cui è composto l’universo. Questa idea s’incontra in Democrito, Galeno, Filone di Alessandria e altri. Tuttavia, se i filosofi antichi parlavano dell’uomo come di un “piccolo mondo”, per Gregorio di Nazianzo proprio il mondo materiale è “piccolo” rispetto all’uomo-macrocosmo, poiché l’uomo racchiude in sé entrambe le realtà, quella materiale e quella spirituale, mentre il mondo possiede solo l’essere materiale». Cf. I. Alfeev, Dottrina, 230; cf. Gregorio di Nazianzo, Or., 38, 11; 28, 22; Tutte le orazioni. A cura di Claudio Moreschini, 679-681-891; cf. F. Trisoglio, San Gregorio di Nazianzo. Teologia e dogmatica, 217-219.

[39] Cf. J. Meyendorff, La teologia bizantina. Sviluppi storici e temi dottrinali, 170.

[40] La stessa tricotomia di Platone – νοῦς, θυμός, ἐπιθυμία – Origene ha espresso in altri termini: πνεῦμα (spiritus), ψυχή (anima), σῶμα (corpus). Il νοῦς si ritrova in Origene non come uno dei tre elementi della tricotomia, ma per designare la parte superiore della ψυχή. θυμός, ἐπιθυμία Origene applica alla parte inferiore dell’anima. Così la tricotomia platonica concerne solo all’anima e quella origeniana a tutto l’uomo. Si deve sottolineare che la tricotomia πνεῦμαψυχήσῶμα non si trova nei discepoli di Origene, né da Didimo il Cieco, né da Evagrio Pontico, che confonde νοῦς con πνεῦμα. L’anima – πνεῦμα (spiritus) èper Origene duplice. Essa è composta da due parti, superiore e inferiore. Prima è disegnata con termine platonico νοῦς (mens, animus, sensus, cordis), che di solito viene tradotta come inteletto. L’anima può essere contestata dallo spirito che l’attira verso Dio oppure dal corpo. L’antropologia tricotomica d’Origene si è inserita nello sistema coerente della teologia speculativa come anche della teologia spirituale. Cf. H. Crouzel, «L’antropologie d’Origène», 36-37.

[41] Éth., 6, 177-178.

[42] Éth., 6, 135-136.

[43] Cf. Éth., 1, 6, 144-145; Per quanto riguarda il ruolo dello Spirito Santo nella vita dell’uomo rimandiamo a: В. Кривошеин, «Дух Святой в христианской жизни по учению преподобного Симеона Нового Богослова», 171-195.

[44] Cf. J. Darrouzès, «Introduction», 36.

[45] Éth., 13, 35-40.

[46] La πείρα ha i vari significati: «il tentativo»; «l’impresa» di una gara di atletica. Nel ambito monastico ha il significato della «prova» per i candidati alla vita monastica – per esempio da San Basilio nelle Reg. fus. (PG 31, 945B-948A). Nel NT si usa nel senso delle «tentazioni» di Cristo. Il significato più diffuso, in cui la πείρα viene usata dai Padri della Chiesa è «l’esperienza». Cf. PGL, 1055. Simeone l’espressione πείρα usa nel senso dell’esperienza personale spirituale e mistica di Dio alla quale conseguono i frutti: la consapevolezza (γνῶσις) della comunione con Dio, la «visione» della luce (φῶς), il penthos con le lacrime (δάκρυα) provenienti dall’illuminazione (ἒλλαμψις), l’esperienza delle lacrime gioiose (χαραποιὰ δάκρυα), l’esperienza dell’umiltà (ταπεἱνωσις) e il coraggio (ἀνδρεία) e la libertà (ἐλευθέρια) di agire nella forza dello Spirito nel scegliere la vita nelle virtù (ἀρετή). Cf. U. Neri, «Introduzione», 65-74; B. Bitton-Ashkelony, «Personal Experience». Poichè secondo Simeone l’esperienza spirituale e mistica con gli aspetti che ne seguono fa parte della vita cristiana e dunque anche della vita del monaco come vedremo, ne parleremo più detagliamente nella seconda parte del nostro lavoro dove esamineremo la visione Simeoniana della vita monastica.

[47] Cf. P. Evdokimov, L’ortodossia, 69.

[48] Cf. Doroteo di gaza, Doct., 1, 1.

[49] Si tratta di De oratione 60 e 87. Cf. J. Gouillard, ed., Piccola Filocalia della preghiera del cuore, 45-47; cf. I. Hausherr, Le traité de l’oraison d’Évagre (Pseudo Nil), 90, 132.

[50] Éth., 2, 2, 22-28.

[51] Éth., 2, 7, 139-140.

[52] Cf. Éth., 2, 7, 112-169.

[53] Lo sviluppo della problematica del corpo e dell’anima come parti integranti dell’uomo nel pensiero patristico molto bene in modo schematico riporta Špidlik. Cf. T. Špidlik, La spiritualità dell’Oriente cristiano, 109-112.

[54] Si tratta delle matrici bibliche veterotestamentarie di Gn1, 26; 2, 27, nelle quali, nel pensiero cristiano antico, venne recepito lo schema dicotomico greco dell’uomo corpo-anima. Esse sono interpretati sulla base della fondamentale unità dell’essere umano, quale si ha nel racconto biblico della creazione. Non si cade nella separazione dualista a motivo della fede comune dei cristiani nell’incarnazione del Verbo e nella risurrezione dei corpi. Poi, prima di tutto si tratta delle matrici neotestamentarie basate sui testi di Paolo. I testi base di Paolo sono: 1Ts5, 23 (l’uomo come corpo anima e spirito); 1Cor15, 45-49 (l’uomo carnale e spirituale, il primo Adamo e l’ultimo Adamo, vale a dire innesto dell’antropologia nella cristologia); Rm 7-8 (i vari momenti del compiersi dell’uomo). «Carne» e «spirito», anzi l’uomo «carnale» e l’uomo «spirituale» indicano in lui già i stadi decisionali. Stadi intermedi sono in lui quelli di soma (corpo) (1Cor 15, 44), psyche (anima) (1Cor 2, 14; 15, 45) e di nous (intelletto) (Rm7, 23; 12, 2; 1Cor14, 14-15) che possono approdare all’uomo «spirituale». Cf. V. Grossi, «Antropologia».

[55] Nel simbolo pseudo-atanasiano Quicumque (fra 430 e 500) si trova espressione della fede che esprime l’unità dell’anima intelligente e del corpo nell’uomo: «Nam sicut anima rationalis (rationabilis) et caro unus est homo, ita Deus et hommo unus est Christus». Concilio di Efeso (431) ciò afferma esprimendosi così nel riguardo del corpo e dell’anima umana: «Non diciamo, infatti, che la natura del Verbo si sia incarnata mutandosi, né che fu trasformata in un uomo completo, composto di anima e corpo. Diciamo piuttosto che, il Verbo unendo a se stesso ipostaticamente una carne animata da un’anima razionale». Cf. DH, 76, 37; 250.

[56] Quando si dice «orientale», o «greco» si pensa a grande linea dell’epoca patristica: Sant’Ireneo, Clemente Alessandrino, i due Cirilli, Sant’Atanasio, i Cappadoci, il corpus Areopagiticum, Leonzio di Bisanzio, San Massimo il Confessore, San Giovanni Damasceno; ai Padri del periodo post patristico come: San Simeone il Nuovo Teologo, Nicola Cabasilas, San Gregorio Palamas; alle opere monastiche: San Macario il Grande, Evagrio, San Nilo il Sinaita, Marco l’Eremita; Diadoco di Fotica (Centurie sulla perfezione spirituale), San Giovanni Climaco (La Scala del Paradiso), le Lettere di Barsanufio e Giovanni, monaci del convento di Seridos; Giovanni Mosco, le Centurie di Talassio, abate di Libia; le Catechesi di Isacco di Ninive, gli Inni di San Efrem Siriaco; Teodoro Studita. Cf. P. Evdokimov, L’ortodossia, 63-64.

[57] I Padri più influenzati da Platone sostengono, infatti, chiaramente che il corpo è parte integrante della natura umana. Ignazio di Antiochia combatte il docetismo che intacca il fondamento stesso della dottrina cristiana. L’immortalità e la risurrezione dei corpi è una dottrina essenziale dell’insegnamento cristiano. Per Evagrio il corpo resuscitato non è più carnalebensì spirituale, angelico, esso è pur sempre composto di quattro elementi e dunque è materiale. Il corpo apparirà spesso come un elemento passeggero di cui l’uomo dovrà progressivamente spogliarsi quanto più progredisce la sua divinizzazione. L’unione dell’anima e del corpo resta dunque misteriosa. Gregorio di Nazianzo parla di krásis, mìxis, mescolanza di due nature diverse e di due doveri cioè bisogna costantemente combattere le tentazioni, e nello stesso corpo bisogna spiritualizzare il corpo, e attraverso il corpo tutto il cosmo visibile. Cf. T. Špidlik, La spiritualità dell’Oriente cristiano, 110-112.

[58] Cf. A.G. Keselopoulos, Man and the Environment, 44.

[59] Simeone riporta qui Giustino il Filosofo, Atanasio di Alessandria e Gregorio di Nazianzo. Cf. I. Alfeev, Dottrina, 229-230.

[60] Simeone per esprimere la relazione fra anima e corpo usa la stessa parola che si è usato nel Concilio di Calcedonia (451) per esprimere come vi sono due nature in Cristo: «senza confusione (ἀσυγχύτως), immutabili (ἀτρέπτως), indivise (ἀδιαιρέτως), inseparabili (ἀχωρίστως)». Cf. DH, 302.

[61] Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce. 152-153; cf. Cap., 2, 23.

[62] Éth., 4, 369-370.

[63] Cf. Éth., 4, 371-445.

[64] Éth., 1, 2, 1-4.

[65] Éth., 1, 3, 2-8.

[66] Cf. Éth., 1, 3, 11-18.

[67] Il nostro autore non parla del privilegio di Maria cioè nel senso dell’Immacolata concezione e dell’Assunzione. Simeone sostiene che la Vergine Maria era riscattata da morte del peccato originale soltanto attraverso e nel momento stesso dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Traités théologiques et éthiques, I, 376, n. 2; 382, n. 1.

[68] Interessante è notare l’interpretazione allegorica di Origene in cui il maschio simbolizza lo spirito e la femmina l’anima. Cf. M. Simonetti, «Alcune osservazioni sull’interpretazione origeniana di Genesi 2,7 e 3,21», 372, n. 10.

[69] Cf. B. Petrà, «Cristo, secondo Adamo», 134-136.

[70] Éth., 2, 7, 212-214.

[71] Darrouzès nella sua nota afferma che si tratta della morte spirituale come conseguenza del peccato originale. Eva era prima che aveva subito la morte della morte dell’anima. Allora secondo la logica di Simeone l’Incarnazione ha preservato la Vergine dalla morte dell’anima. Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Traités théologiques et éthiques, I, 382, n. 1.

[72] La stessa idea è presente nell’Orazione 38 di Gregorio di Nazianzo: «partorito dalla Vergine, che prima era stata purificata dallo Spirito nella sua anima e nella sua carne.» Cf. Gregorio di Nazianzo, Tutte le orazioni. A cura di Claudio Moreschini, 893; cf. Id., Or., 38, 13.

[73] Éth., 2, 7, 216.

[74] Cf. Éth., 2, 7, 210-224.

[75] Cf. B. Petrà, «Cristo, secondo Adamo», 128.

[76] La problematica dell’immagine di Dio nell’uomo nei Padri della tradizione greca è molto complessa. L’origine e significato del tema, l’archetipo dell’immagine e l’immagine stessa di Dio descrive in modo sistematico Kirchmeyer nel suo articolo. Cf. J. Kirchmeyer, «Grecque (Église)», 817-819.

[77] Cf. Hymn., 44, 35-99. L’espressione di Simeone forse più bella dove esprime in modo poetico in che cosa consiste l’immagine di Dio.

[78] Théol., 1, 114-117.

[79] Éth., 3, 140-152.

[80] Origene per primo dai Padri ha cominciato chiamare la zona dell’immagine di Dio nell’uomo con l’espressione «uomo interiore». Cioè la parte superiore dell’anima dove è la sede del λόγος (ragione) con la sua facoltà di conoscenza, giudizio e bene morale, e del νοῦς (mente, intelligenza). Questa zona dell’uomo interiore è sotto l’influenza di Πνεῦμα divino.Cf. A. Solignac, «Homme intérieur», 653-654.

[81] Cf. И. Алфеев, Преподобный Симеон Новий Богослов и православное предание, 295-298.

[82] La parte superiore dell’anima Origene la chiama a volte λόγος, a volte νοῦς, è stabilita dai stoici con termine ἡγεμονικόν, appunto questa parola Rufino traduce come principale cordis, la facolta dominante dell’anima. L’ἡγεμονικόν è in un momento il sogetto della nostra vita intelettuale, esso equvivale a διανοητικόν, νοῦς, ψυχὴ νοερά, esso è opposto a αἴσθησις, a ψυχὴ φανταστική oppure ὁρμητική, sorgente delle passioni carnali. Cf. H. Crouzel, Théologie de l’image, 159.

[83] La prima terminologia mistica cristiana per quanto riguarda concetto dell’anima presso i greci, dipende più o meno da quella di Plotino e dei neoplatonici. Da Origene troviamo anima ψυχὴ che diventa νοῦς, ed essa mettendosi sulla scia dello Spirito Santo, e da esso rielevata, diventa πνευματική. Per Atanasio è proprio νοῦς dove l’anima purificata può contemplare in esso come nello specchio Logos, immagine del Padre e Padre nel Logos. Cf. L. Reypens, «Ame. Son fond, ses puissances et sa structure d’après les mystiques», 436.

[84] La parola greca νοῦς e la parola latina mens sono nella letteratura spirituale equivalenti principali. Nella tradizione greca a partire prima di tutto da Origene e nella tradizione latina da Ilario, cioè nei Padri e specialmente quelli influenzati dal pensiero di Platone, il νοῦς e la mens sono il luogo dell’immagine di Dio nell’uomo, per il motivo della loro natura spirituale. Cf. A. Solignac, « “Νους” et “Μens”», 461; cf. PGL, 923.

[85] Significato del λόγος nel contesto patristico spiega Lampe: Cf. PGL, 808

[86] Ψυχή cioè «anima», è principio vitale delle creature. Cf. PGL, 1542. Si deve menzionare che per quanto riguarda l’anima dell’uomo, Simeone per spiegare la tripartizione dell’anima usa tre parole cioè νοῦςλόγοςψυχὴ νοερά. La parola πνεῦμα secondo J. Darrouzès, si usa come un sinonimo di ψυχὴ, ma Simeone la può usare anche in altro senso cioè per precisare lo senso del πνεῦμα. In questo a maniera bizantina Simeone è piuttosto libero. Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Traités théologiques et éthiques, I, 138-139, n. 1.

[87] Secondo Origene la parte superiore dell’anima – νοῦς, λόγος, ψυχὴ νοερά – è l’origine dell’attività libera e morale. Essa è alla fine principio dei sensi spirituali, cioè degli occhi, orecchi, del toccare, del gusto e del senso spirituale dell’olfatto che ci fanno percepire le realtà soprannaturali.Cf. H. Crouzel, Théologie de l’image, 159. Per sensi spirituali si può confrontare anche Daniélou. Cf. J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique, 235-266.

[88] Éth., 3, 154-159.

[89] Éth., 3, 156-157.

[90] Éth., 3, 190-193.

[91] Il vocabolario mistico greco contiene soprattutto due parole per designare la contemplazione: la θεωρία e la γνῶσις. La θεωρία è di origine filosofica e il senso che usa è la vista. La vista mentale è la specie più perfetta per la θεωρία per quanto riguarda la conoscenza. Il θεωρεῖν è quindi un intervento d’intelligenza che può prendere varie forme con varietà delle meditazioni, dalla semplice curiosità umana, dove l’intelletto occupa un posto minimo, fino a pura speculazione, dove tutto è intellettuale oppure fino a l’esperienza mistica che va oltre sopra intellettuale.

La γνῶσις non si connota con nessun organo particolare della conoscenza ma non è nemmeno esclusivamente una questione d’intelligenza. Dato questo, si distinguono seguenti significati della gnosis: la g. profana o semplice, la g. con oggetto del sacro, la g. in ricerca, la g. acquisita, la g. esistenziale, la g. come la contemplazione religiosa e mistica. Il termine gnosis ha un’estensione più ampia rispetto a theoria. Altri termini meno usati e meno confusi per indicare la contemplazione sono:l’ἐπιστήμη, l’ὅρασις – adoperato anche da Simeone, e l’ἐποπτεία. Cf. J. Lemaitre, «Contemplation», 1762-1766.

[92] Tradizionalmente in genere si distinguono tre tipi di visioni: le visioni sensibili o corporali che affrontano i sensi esterni, prima di tutto la vista; le visioni fantasiose, spesso indicati come immaginarie, non perché sono chimeriche, ma per sottolineare che sono le rappresentazioni interiori di un oggetto sotto forma di una fantasia, una immaginazione; le visioni intellettuali, che sono prodotte per una semplice visione dell’intelligenza, senza alcuna immaginazione figurativa in dipendenza corrente delle immagini sensibili. Cf. P. Adnès, «Vision de Dieu», 957-958. L’ὅρασις di cui parla Simeone è la visione spirituale con i sensi spirituali. Cf. PGL, 968.

[93] Théol., 3, 254-255

[94] Padre Darrouzès afferma che Simeone segue la divisione tradizionale dell’anima, che è diventata nell’uso comune preso i monaci e distingue anche tre parti o luoghi, dove risiedono tre forze interiori dell’anima cioè concupiscibile(τὸ ἐπιθυμητικόν), irascibile(τὸ θυμικόν) e razionale(τὸ λογιστικόν). Cf. Cap., 56, n. 1; cf. Éth., 4, 425-435; Quelle distingue dalle tre parti interiori dell’anima stessa cioè intelligenza (ὁ νοῦς), ragione (ὁ λόγος) e anima intellettuale (τὴ ψυχὴ νοερὰ): Cf. Théol., 1, 219-220; cf. Ibid., 2, 75-80. L’articolo di Krivocheine mette in rilievo le tendenze di fondo e le caratteristiche della dottrina dei Padri greci: Origene, Evagrio, San Massimo il Confessore insieme a San Simeone il Nuovo Teologo, sul luogo della Santissima Trinità nella vita spirituale e l’importanza nella teologia mistica. In paragone con primi tre, quelli di San Simeone colpiscono per la vivacità della loro descrizione mistica sulla base dell’esperienza personale di Simeone. Cf. B. Krivocheine, «The Holy Trinity in Greek Patristic Mystical Theology».

[95] Théol., 1, 219-239.

[96] Théol., 2, 134-164.

[97] Théol., 2, 118-129.

[98] Qui si tratta semplicemente della consustanzialità dell’intelligenza e ragione del Creatore, sulla quale immagine l’uomo è stato creato. Non si tratta del termine ὁμoουσίος di Nicea, cioè unità di essenza del Padre e del Figlio. Cf. Ch. Kannengiesser, «Concilio del 325», 3488; cf. PGL, 959-960. Per le prospettive dottrinali del concilio di Nicea del 325 e del concetto di l’ὁμoουσίος: Cf. M. Simonetti, «La crisi ariana nel IV secolo», 251-312; 455-526.

[99] Théol., 2, 85-89.

[100] Théol., 2, 95.

[101] Théol., 2, 96-106.

[102] Éth., 13, 46-47.

[103] Éth., 13, 50.

[104] Éth., 2, 1, 93-97.

[105] Éth., 1, 2, 12-14.

[106] Éth., 1, 2, 26-31.

[107] Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Traités théologiques et éthiques, I, 186, n. 1.

[108] Éth., 1, 2, 53-55.

[109] Cf. Éth., 1, 2, 56-57.

[110] Cf. Cat., 5, 229. Qui valle la pena menzionare l’interpretazione di Gn 3, 21; il testo biblico in cui si riferisce che Dio diede ad Adamo ed Eva delle «tuniche di pelle» al momento di scacciarli dal paradiso, dopo che hanno perso il vestito d’immortalità, fu di grande importanza nella storia delle speculazioni antropologiche del cristianesimo antico come anche nella patristica greca. Da Ireneo agli Antiocheni s’interpretava come veri e propri vestiti che manifestano la misericordiosa attenzione di Dio nei confronti dei protoplasti peccatori, e dall’altra parte a partire da Ippolito e da Origene si interpretava come simbolo della corruzione e della mortalità del corpo meritate dai progenitori con il peccato. Cf. P.F. Beatrice, «Tuniche di pelle», 5490. Si può confrontare anche l’interpretazione origeniana sulla problematica. Cf. M. Simonetti, «Alcune osservazioni sull’interpretazione origeniana di Genesi 2,7 e 3,21». Per lo stesso argomento nelle opere di Gregorio di Nissa: Cf. J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique, 57-65.

[111] Cf. Cat., 5, 243-270.

[112] Cf. Cat., 5, 264-268.

[113] Éth., 13, 40-44.

[114] Cat., 5, 275-281.

[115] Cf. Éth., 13, 60-65.

[116] Secondo il Prof. Price ci sono tre conseguenze del peccato primordiale nella concezione simeoniana. La prima è la cecità spirituale cioè la perdita della visione di Dio che si è ridotta soltanto alla visione delle cose sensibili, seconda è la morte dell’anima che ha portato all’instabilità corporale e mortalità fisica, e terza è la perdita del libero arbitrio di scegliere il bene e diventare i schiavi del principe delle tenebre. Cf. J.R. Price, «Mystical Transformation of Consciousness in Symeon the New Theologian», 8-9.

[117] Cf. Cat., 5, 200-206.

[118] Cat., 5, 219-222.

[119] Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 173-174. Questa affermazione viene espressa da Neri portata nella nota 52.

[120] Cat., 5, 270-274.

[121] Cf. Éth., 13, 100-120.

[122] Penthos è il lutto per la salvezza perduta, quanto a sé o quanto agli altri, e questo lutto deve essere perpetuo. Cf. I. Hausherr, Penthos, 32-42. Marco l’Eremita, araldo della penitenza perpetua, non distingue la penitenza (μετάνοια) da penthos, perché non era necessario per la sua polemica con i Messaliani. Cf. Marco l’Eremita, «Lettera al Monaco Nicola», 217. Giovanni Climaco, invece distingue tra μετάνοια, che spiega nel Gradino quinto, e πένθος e κατάνυξις. Questi definisce insieme nel Gradino settimo. Cf. Giovanni Climaco, La scala, 165-183, 193-209.

[123] Cf. PGL, 713. Hausherr la definisce come l’emozione, che radica profondamente nell’animo un sentimento o attitudine o una decisione. C’è rapporto tra katanyxis e penthos. La katanyxis può designare la vibrazione venuta dal di fuori (dall’ascolto della parola di Dio), o anche dal di dentro (dalla meditazione) e il penthos è la reazione psicologica. Spesso in pratica è difficile dividere compunzione, lutto e lacrime e vanno talmente insieme che vengono letti come sinonimi. Cf. I. Hausherr, «Penthos. La doctrine de la componction dans l’Orient chrétien», 14-19; Per la κατάνυξις nel pensiero di San Simeone: Cf. H. Dayton, Katanuxis as a Way of Healing in Symeon the New Theologian and Nicetas Stethatos and in their Medieval Church Slavonic Translations (in STSL). Secondo Climaco (cf. La scala, 7, 27), la katanyxis è la «puntura» che trafigge il cuore all’improvviso – «perché il Signore è venuto senza essere stato invitato», e con il dolore che ne provoca, spinge alla conversione. Ha un significato positivo perché, viene da Dio direttamente o indirettamente. Sempre presuppone un’azione dalla parte di Dio. Cf. L. D’Ayala Valva, «Glossario», 516-517.

[124] Secondo la prassi ascetica uno non resta passivo nell’evento della salvezza dell’uomo, l’uomo collabora attivamente purificandosi dal peccato e dalle sue conseguenze e con le proprie lacrime lava l’immagine di Dio nella sua anima per dare la possibilità alla bellezza originaria a risplendere di nuovo. L’antichità conobbe il πένθος e la κατάνυξις, come componente della penitenza e la ricerca del gemito e delle lacrime diventerà parte del linguaggio spirituale, dagli Apophtègmata Patrum e da Evagrio a Giovanni Climaco. Cf. T. Špidlik – M. Tenace – R. Čemus, Il monachesimo secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, 144-146; Špidlík, T., «Il dono delle lacrime nella tradizione della chiesa orientale»; Il Grande Canone penitenziale di Sant’Andrea di Creta (660-740) diventa addirittura un genere letterario. La traduzione del «Poema del » di sant’Andrea: Cf. O. Clément, Il canto delle lacrime : saggio sul; Uno studio sull’ufficio del Grande Canone: Cf. P. Nellas, Voi siete dèi : antropologia dei Padri della Chiesa, 177-207. Il contemporaneo di San Simeone, San Gregorio di Narek (951-1010/11), compose testi poetici «del pianto», Libro delle Lamentazioni, che invocano il dolore dei peccati e la grazia del perdono. Cf. Grégorio di Narek, Prières; B.L. Zekiyan, La spiritualità armena : il libro della lamentazione di Gregorio di Narek; J.-P. Mahé – B.L. Zekiyan, ed., «Saint Grégoire de Narek, théologien et mystique».

[125] Cf. J. Gouillard, «Syméon le Jeune, le Théologien ou le Nouveau Théologien», 2955.

[126] Cat., 5, 175-176.

[127] Éth., 2, 7, 231-232.

[128] Cf. Éth., 3, 257-259.

[129] Le parole αἰσθητῶς, εὐαισθήτως, ἄγνωστος, γνῶσις, πεῖρα nel linguaggio di San Simeone si usano per esprimere l’esperienza della coscienza della grazia ottenuta da Dio. Cf. P. Miquel, «La conscience de la grâce selon Syméon le Nouveau Théologien», 314-323.

[130] Cf. Éth., 3, 246-255.

[131] Cf. Éth., 3, 261-264.

[132] Cf. Éth., 10, 60-81. La φιλανθρωπία è l’amore di Dio verso l’umanità (B 1-5). Il Signore è φιλάνθρωπος (Α 1, Β), «amante degli uomini». Cf. PGL, 1475-1476. La filantropiadi Dio, l’amicizia verso gli uomini, consiste nella sua benevolenza e nel suo amore ineffabile verso l’umanità e nella sua decisione di riscattare l’umanità intera dalle tenebre della morte per mezzo del suo Figlio Unigenito, Gesù Cristo. Il Signore stesso si presenta negli scritti di Simeone, soprattutto negli Inni, come φιλάνθρωπος (22, 48); Lui stesso testimonia «mi mostro nella mia bontà e amorevolezza (βλέπομαι γὰρ ὡς ἀληθῶς, δείκνυμαι φιλανθρώπως)» (22, 162); Simeone rende la testimonianza che Dio misericordioso è unico che ama gli uomini (ὀ Θεός, φιλάνθρωπος μόνος) (27, 146). Il tema della filantropia di Dio, spesso, quasi continuamente incontriamo nei testi liturgici. La Chiesa nei testi liturgici loda Dio come philanthropos e canta la sua filantropia. Per esempio, nella divina liturgia di San Giovanni Crisostomo lo troviamo dodici volte (includendo anche la preghiera del sacerdote prima del vangelo e la benedizione finale), poi, soltanto nelle preghiere lucernari del vespro, si trova quattro volte (terza, quinta, sesta e settima preghiera), e nelle preghiere iniziali del mattutino due volte (quarta e decima-undicesima). Cf. J. Goar, Euchologion, 47-69, 28-34, 39-44; cf. S. Parenti, – E. Velkovska, ed., L’Eucologio Barberini gr. 336, 25-41, 48-53, 64-72; cf. P.I. Ivancso, «L’attività sociale della Chiesa e la Liturgia», 2-3.

[133] Cf. Éth., 3, 265-270.

[134] Viene notata la sottolineatura di Darrouzès nelle note dove mette la luce sul fatto, che Simeone, quando cita San Paolo il quale udì le parole ineffabili che non è possibile ad un uomo proferire (2Cor 12, 4), gioca con le parole spiegando che proprio quei beni(ἀγαθά) sono le parole (λόγος – λογική), oppure la recitazione delle parole (ῥῆμα – νόημα), che procurano alla nostra natura ragionevole la gioia inesauribile ed eterna ed un afflusso della vita divina pieno di conforto. Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Traités théologiques et éthiques, I, 411.

[135] Origene spiega molto bene che cosa è la lotta spirituale e che essa appartiene ai perfetti come anche agli imperfetti. Cf. Origene, Hom. Josué, 15. Gregorio la descrive e spiega che si esegue in giorno e nella notte, interiormente ed esteriormente, in nascosto come anche in pubblico. Cf. Gregorio di Nazianzo, Discours, 2, 91. E Pseudo-Macario per esempio dichiara che Dio esige che uno lotta contro il peccato ma sradicamento del peccato è opera di Dio. Cf. Ps.-Macario, Hom., 3, 4. Nel altro posto afferma che la lotta appartiene anche ai quelli che sono già cresciuti nella carità perfetta di Dio e sono incatenati per la grazia di Dio. Cf. Ibid., 26, 14.

[136] Cf. Éth., 3, 264-374.

[137] Cf. Éth., 3, 303-309.

[138] Éth., 2, 7, 276-280.

[139] Niceta Stetato, discepolo di Simeone, nel suo trattato Du paradis distingue due paradisi. Uno visibile e l’altro paradiso nel mondo intelligibile e invisibile che esiste e si estende nell’interiorità dell’uomo. Cf. Niceta Stetato, Du paradis, 3.

[140] Éth., 2, 7, 289-296.

[141] Cf. Éth., 13, 231-236.

[142] Éth., 3, 655-657.

[143] Cf. Éth., 2, 7, 306-311.

[144] Éth., 1, 2, 84-92. Per quanto riguarda la creazione dopo la trasgressione di Adamo: Cf. Éth., 1, 4, 60-75.

[145] Éth., 1, 2, 115-117.

[146] Éth., 1, 2, 122-124.

[147] Théol., 2, 2, 28-33.

[148] Qui vale la pena menzionare fra i Padri Massimo il Confessore, perché come afferma Renczes nel suo studio, tutto il pensiero di Massimo il Confessore viene elaborato sotto il segno del finalismo. Cf. P.G. Renczes, Agire di Dio e libertà dell’uomo, 145-175. Per capire meglio di che cosa si tratta, ci aiuteremo con una citazione di Massimo il Confessore, Qu. Thal 59, tradotta in italiano da Renczes stesso.

«[Così, l’uomo] lasciando da parte il cercare (ζήτησις), passava al ricercare(ἐκζήτησις), come fine per natura. Poiché neanche poteva sfuggire al fatto che la sua delimitazione (περιγραφής), che lo serrava da ogni parte, delimitasse (περιορίζουσαν) il suo movimento. Dunque non era possibile [all’uomo] cercare(ζητεῖν) il suo principio (τὴν ἀρχήν), essendo questo, come ho appena detto, ormai dietro (ὀπίσω) [di lui], ma [era possibile] ricercare (ἐκζτητεῖν) il suo fine (τὸ τέλας), trovandosi questo davanti (ἐμπρός) [a lui], in modo da conoscere tramite il fine il principio abbandonato (διὰ τοῦ τέλους τὴν ἀπολειφθεῖσαν ἀρχήν), mentre non aveva conosciuto il fine a partire dal principio (μὴ ἔγνω τὸ τὲλος ἐκ τῆς ἀρχῆς). […] Infatti, dopo la trasgressione [il peccato di Adamo], il fine non si mostra più a partire dal principio, ma il principio a partire dal fine, e nessuno cerca più le ragioni del principio (τοὺς τῆς ἀρχῆς λόγους), ma si ricercano le ragioni che conducono chi si muove verso il fine (τοῦς πρὸς τό τέλος τοὺς κινουμένους ἀπάγοντας).» Ibid., 152.

[149] Cat., 5, 379-380.

[150] Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 179, n. 84.

[151] Cf. Éth., 1, 2, 135-140.

[152] Éth., 2, 2, 34-38.

[153] Da verbo ἐπιθυμέω – «desiderare», «impostare» il proprio cuore su una cosa. Cf. PGL, 523. Secondo Evagrio è proprio la parte concupiscibile (ἐπιθυμητικός) dell’anima dove si presenta il desiderio (ἐπιθυμία) nell’immaginazione come piacere. Il desiderio accompagna la possessione dell’oggetto desiderato. L’anima è attaccata dal desiderio cattivo provocato dai demoni. Cf. Evagrio Pontico, Pr., 54; 8, 2; 16, 4; 22, 7.

[154] Da verbo φαντασιόω – «portare immagini prima che la mente ne pensi». Evagrio afferma che le immaginazioni e specialmente quelle delle cose proibite sono le idee suggerite dal demonio per blasfemia contro Dio che non sono altro che orgoglio. Cf. Evagrio Pontico, Pr., 54; 46; cf. PGL, 1471.

[155] La conoscenza (γνῶσις) spirituale (πνευματική) insieme alla contemplazione (θεωρία) sono due termini che appartengono alla spiritualità orientale. Nel cristianesimo per la prima volta s’incontrano da Clemente d’Alessandria. La concezione platonica di contemplazione, nei Padri si è cristianizzata ed è diventata sinonimo della «visione» di Dio(θεωρία = Θεὸν ὁρᾶν), vale a dire un contatto misterioso con Dio, comprensione immediata di una realtà divina, esperienza intuitiva, al di là della ragione, una grazia improvvisa. La conoscenza – gnosi invece ha un significato più ampio della contemplazione. Come conoscenza di Dio e dei disegni di Dio nel mondo, indubbiamente agisce nell’intelletto ma non si limita a pura attività intellettuale, malgrado il suo organo privilegiato sia il νοῦς.Però tutta la conoscenza non è gnosi e ancora meno la contemplazione. Ha piuttosto un sapore spiccatamente mistico e si basa sulle risorse umane animate per la grazia e può essere ricercata, laboriosamente studiata. Gli spirituali orientali distinguono per opposizione una scienza semplice (ψιλή) e una scienza spirituale (πνευματική). Cf. J. Kirchmeyer, «Grecque (Église)», 846-848.

[156] «Teologia» qui significa la conoscenza di Dio. Cf. A. Solignac, «Théologie», 466-471; cf. T. Špidlik, «Syméon le Nouveau Théologien», 1391-1392. Per teologia-teognosia e altro vocabolario mistico: Cf. J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique, 200-201.

[157] Théol., 1, 359-372. Si può notare che Simeone per decifrare profondamente il peccato disgregante nella vita dell’uomo, usa come chiave concetti spirituali e un linguaggio, direi tipicamente monastico. Ne sono testimoni le parole come: «desiderio» e «immaginazione» come forze orientate nella direzione sbagliata, «conoscenza spirituale» che si raggiunge con l’umiltà al posto della gloria e orgoglio, poi «pseudo conoscenza» ottenuta per la via della meditazione assidua e l’amore della gloria e del piacere agli uomini.

[158] Qui si tratta del discernimento e conseguentemente della scelta sbagliata. Per esempio Diadoco spiega come possedere la vera scienza spirituale. Uno dei suoi raggi consiste nel discernere infallibilmente il bene dal male. Avere la γνῶσις per Diadoco va pari con la διάκρισις, il discernimento fondamentale. Cf. Diadoco di Fotica, Perf., 6; cf. E. des Places, «Diadoque de Photicé», 828; cf. G. Bardy, «Discernement des esprits. Chez les Pères», 1247-1250.

[159] La gloria, o vanagloria, secondo la tradizione orientale è un peccato capitale. Per esprimere le diverse sfumature della vanagloria, il vocabolario grecoè molto ricco. Le parole più usate sono: ὑπερηφανία orgoglio, φιλοδοξίαricerca della gloria e della fama, κενοδοξίαvanagloria, δόξα ἀνθρωπίνηgloria umana come oppozizione della gloria di Dio. Cf. P. Miquel, «Gloire (Vaine gloire)», 494-496.

[160] Nella regola 52 delle Regole brevi, San Basilio usa lo stesso termine greco di Simeone, e definisce ilpiacere agli uominicome «sforzo di uno che agisce secondo il volere di qualche uomo per piacergli, anche se quello che fa merita vergogna». Cf. Basilio Magno, Le regole, 271.

[161] Théol., 1, 373-380.

[162] L’ignoranza (ἄγνοια, ἀγνωσία), i Padri la considerano come un errore del giudizio oppure come una mancanza di conoscenza, d’ignoranza di Dio, il rifiuto consapevole di riconoscerlo, autoreferenzialità e volontà di autonomia (psicologica, morale e ontologica). Proprio l’ignoranza caratterizza l’uomo decaduto. Essa lo ha separato dal suo Dio e ha sfigurato in lui l’immagine di Dio. Cf. H. Crouzel, Théologie de l’image, 197-206. Evagrio nelle Orazioni lo conferma dicendo che l’ignoranza ha accecato la coscienza dell’uomo, e ha suscitato in lui una anarchia delle passioni e ha fatto di lui un schiavo dei sensi. Cf. J. Gouillard, ed., Piccola Filocalia della preghiera del cuore, 42-43. L’uomo si è ammalato dalla causa della propria ignoranza, e allora attraverso il «conoscere» che provvidenzialmente si effettuerà la guarigione dell’essere spirituale. Cf. Massimo il Confessore, Qu. Thal., Prol.; cf. Id., Carit. 1-4, 4, 53; cf. J. Kirchmeyer, «Grecque (Église)», 825.

[163] Théol., 1, 141-153.

[164] Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Inni, 289; cf. Hymn., 53, 291-304.

[165] Éth., 1, 3, 66-78.

[166] Éth., 2, 1, 69-83

[167] Cf. Éth., 2, 1, 96-102

[168] Cf. Éth., 10, 50-55

[169] Per il contesto patristico di questa parola Cf. PGL, 920-922.

[170] Cf. Éth., 10, 55-65.

[171] Éth., 1, 1, 61-63.

[172] Tutto il creato cioè tutto il mondo è essenzialmente buono essendo opera di Dio (Gn1, 31; 1Tim 4, 4), e segno di questa bontà sono l’armonia e l’unità che regnano nell’universo. Cf. J. de Sainte Marie, «Mondo», 1654.

[173] Éth., 1, 4, 24-27. La Scrittura sottolinea fortemente il legame del mondo all’uomo nella caduta: è a causa d’essa che il mondo è «maledetto» (Gn3, 17), e che la morte è entrata in lui (Sap 2, 24). Questo legame del destino del mondo con quello dell’uomo, suo capo, comporta che il mondo partecipa non solo alla caduta, ma anche alla sua redenzione, e anche questo la Scrittura lo insegna (Is65, 17; 66, 22; Rim 8, 19; 2Pt 3, 13; Ap21, 1). Cf. J. de Sainte Marie, «Mondo», 1654. I Padri affermano che la terra è stata maledetta a causa del peccato dell’uomo e il creato ha sofferto molto a causa della caduta umana, ma diventerà di nuovo incorruttibile per causa dell’uomo. Cf. T. Špidlik, La spiritualità dell’Oriente cristiano, 137; cf. Jean Chrysostome, Semons sur la Genèse.

[174] Éth., 1, 3, 124-129.

[175] Éth., 1, 4, 58-61.

[176] Éth., 1, 4, 63-69.

[177] Éth., 1, 3, 49-53.

[178] Cf. Éth., 13, 130-145.

[179] Éth., 2, 7, 120.

[180] Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Traités théologiques et éthiques, I, 377, n. 4.

[181] Cf. Éth., 2, 7, 112-220.

[182] Cf. A. Golitzin, «The Body of Christ», 107.

[183] Cf. Éth., 2, 7.

[184] Cf. Éth., 2, 4.

[185] L’espressione λήθη significa la dimenticanza dovuta a: trascuratezza, negligenza, noncuranza e disinteresse dell’uomo verso Dio, da Simeone usata per descrivere lo stato d’animo dell’uomo dopo il peccato di Adamo (Éth., 1, 2, 56. 122.). Invece, l’ἀγνωσία, la dimenticanza di Dio,cioè l’incapacità di conoscere Dio per la mancanza della fede e della penitenza sincera che purifica, San Simeone collega p.e. con le persone cadute nell’ignoranza dopo la diluvione (Éth., 2, 4, 20-21). La loro misconoscenza, cioè l’ignoranza che rende l’orecchio incapace di ascoltare (Éth., 4, 681), era secondo Simeone simile all’ignoranza degli infedeli (Éth., 2, 4, 59-60), delle nazioni incredule, che però, pur non conoscendo Dio, sono stati chiamati da Dio (Éth., 2, 7, 250-255). Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Traités théologiques et éthiques, I, 188, n. 1.

[186] Cf. Éth., 2, 7, 1-31.

[187] Cf. Éth., 1, 3, 83-86; cf. A. Golitzin, «The Body of Christ», 108-109.

[188] Cf. Éth., 2, 4.

[189] Éth., 2, 2, 169-181.

[190] Cf. Éth., 2, 5.

[191] Meyendorff afferma che «sarebbe inutile cercare in Simeone una nuova teologia dell’incarnazione. Simeone è il profeta dell’esperienza cristiana, ma questa esperienza per lui è quella di Cristo, il Verbo incarnato, dalla quale consegue, per ogni cristiano qui sulla terra, la possibilità di essere coscientemente in comunione con la vita divina. Il fondamento stesso dell’esperienza cristiana viene così ritrovato nella persona di Cristo.» Cf. J. Meyendorff, Cristologia ortodossa, 226.

[192] Cf. Éth., 2, 7, 31-75.

[193] Éth., 2, 7, 54-56.

[194] Per Origene la gnosi è l’illuminazione dove i perfetti sono illuminati da Dio attraverso l’illuminazione della gnosi. La gnosi origenista è una fioritura della mistica del Logos. Il Logos si trova nell’anima ed è ad essa unito interiormente come Cristo e la Chiesa.Cf. L. Bouyer, La spiritualité du Nouveau Testament et des Pères, 358-359. Evagrio, suddivide gnosialle tre tappe che corrispondono a quelle del corpo dell’anima e dello spirito: σοματικός, ψυχικός, πνευματικός. Cf. I. Hausherr, Le traité de l’oraison d’Évagre le Pontique (Pseudo Nil). Traduction française et commentaire d’après les autres écrits d’Évagre, 157.

[195] Éth., 2, 7, 73-76.

[196] Éth., 1, 3, 37-42.

[197] Éth., 1, 10, 156-159.

[198] Éth., 1, 3, 53-55.

[199] Éth., 1, 5, 6-10.

[200] Éth., 1, 5, 69.

[201] «La tradizione macariana (perpetuata sotto varie forme a Bisanzio da Diadoco di Fotica, Massimo il Confessore, Simeone il Nuovo Teologo e molti altri) insistette sul carattere consapevole della partecipazione dell’uomo alla vita divina. […] essi riconoscono che, la grazia divina non è in alcun modo vincolata alla coscienza dell’uomo; si tratta semplicemente di tener fermo che la collaborazione dell’uomo alla propria salvezza, una volta che egli raggiunge l’età di ragione, implica un incontro diretto e personale con Dio». Cf. J. Meyendorff, Cristologia ortodossa, 150.

[202] Éth., 3, 194-198.

[203] Éth., 3, 218-220.

[204] Secondo la dottrina tradizionale dei «sensi spirituali», risalente a Origene, l’uomo è dotato di cinque «sensi spirituali», cioè di cinque facoltà interiori che lo abilitano a percepire e gustare in modo cosciente la grazia di Dio (cf. Contro Celso 1, 48). Per esempio Diadoco di Fotica (Capitoli 25), come anche Climaco hanno fatto propria tale dottrina. Cf. M. Canevet, «Sens Spirituel», 599-604. Climaco preferisce parlare di un unico «senso spirituale» o «del cuore». Grazie ad esso il monaco unifica la propria vita interiore ed esteriore percependovi la presenza nascosta di Dio in modo tale che quando i sensi interiori si rendono percepibili, quelli esterni cessano quasi del tutto. Cf. Giovanni Climaco, La scala, 26, 17-18; 17, 4; 28, 42.

[205] Éth., 3, 197-205.

[206] Éth., 3, 188-193.

[207] Si tratta dell’incontro personale con Dio. «Questo incontro – unione, contemplazione, visione, gnosi, divinizzazione – implica che l’anima diventa una con Dio, poiché essa non può vederlo sin tanto che rimane sola, abbandonata alle sue forze.» Cf. J. Meyendorff, Cristologia ortodossa, 151.

[208] Éth., 1, 3, 90-94.

[209] Éth., 13, 169-171.

[210] Cf. Éth., 13, 179-183.

[211] Éth., 2, 2, 184-194.

[212] Éth., 1, 8, 40-45.

[213] Simeone spiega l’inabitazione di Dio nell’uomo usando l’allegoria della «Gerusalemme celeste» l’immagine dell’unità fra Dio e l’uomo, dove abita il Re dei Cieli, e dove ci sono tante stanze, il letto nuziale, e il «palazzo reale» il corpo umano, dove si trova il«tesoro celeste» – l’anima dell’uomo. Lo stesso, in modo schematico possiamo trovare per esempio anche nella Scala di Giovanni Climaco 29, 16-17. Cf. Giovanni Climaco, La scala, 451-452; cf. F.M.F. Jiménez, El humanismo bizantino en San Simeón el Nuevo Teólogo, 124-126.

[214] Éth., 1, 8, 46-50; cf. Ibid., 2.

[215] Qui in realtà si tratta della divinizzazione, «che non è uno stato soggettivo né un’esperienza puramente intellettuale, ma il contenuto reale della fede cristiana: è questo il messaggio di Simeone, che di fatto darà il tono a tutti gli sviluppi originali della teologia bizantina». Cf. J. Meyendorff, Cristologia ortodossa, 227.

[216] Éth., 6, 163-164.

[217] Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Traités théologiques et éthiques, II, 132, n. 1.

[218] Cf. Éth., 6, 140-160. Lui sostiene la posizione dell’impeccabilità dell’anima. L’anima una volta ottenuta la grazia dello Spirito Santo non è capace di ritornare al male. Cf. Éth., 5, 192; Théol., 2, 22.

[219] Éth., 10, 710-712.

[220] Cf. Éth., 10, 716-726.

[221] Éth., 10, 731-733.

[222] Cf. Éth., 11, 82-85.

[223] Éth., 11, 160-174.