Перейти до вмісту

Il monaco studita San Simeone il Nuovo Teologo e alcune sue notazioni per quanto riguarda la vita monastica

Metropolita Jonáš (Jozef Maxim)
Pontificio Istituto Orientale
Facoltà di Scienze Ecclesiastiche Orientali
Dissertatio ad Doctoratum in Theologia, Roma 2017
Moderator: Prof. Germano Marani

Capitolo III. Come un monaco può accostarsi a Dio. Consigli pratici
1. La preghiera personale
2. Accidia – ostacolo alla preghiera
3. Preghiera nella cella
 3.1. Dove e quando si prega – il posto e il tempo della preghiera
  3.1.1. La gioventù
  3.1.2. Monastero di San Mama
  3.1.3. Monastero di Santa Marina
 3.2. Come si prega – il ruolo del corpo nella preghiera
  3.2.1. Essere seduti – κάθημαι
  3.2.2. Stare in piedi – ἵστημι
  3.2.3. Le prostrazioni
 3.3. La fase preparatoria della preghiera personale
  3.3.1. La lettura
  3.3.2. L’esame di coscienza
 3.4. Il contenuto e la struttura della τετυπωμένη εὐχή
  3.4.1. L’ufficio serale – ἡ τῆς ἐσπέρας ἀκολουθία
  3.4.2. La preghiera della regola prima del mattutino
  3.4.3. La preghiera della regola dopo il mattutino
4. I movimenti spirituali dell’anima
 4.1. Gioia ed esultanza spirituale
 4.2. Misericordia verso se stessi
 4.3. Badare/sorvegliare se stesso
Conclusione
Sigle e abbreviazioni
Bibliografia

Capitolo III. Come un monaco può accostarsi a Dio. Consigli pratici

Il nostro autore San Simeone il Nuovo Teologo cercava di vivere e realizzare l’ideale monastico studita[1], cioè la vita cenobitica così come la voleva San Teodoro Studita.

San Teodoro, generalmente parlando, concepisce il monastero e la vita in esso come corpo di Cristo e i monaci ne sono le membra.

On pourrait concevoir le coenobium comme une simple réunion de moines poursuivant côte à côte leur vocation personnelle […].Théodore reviendra bien souvent sur cette conception, sur la base charismatique de la vie cénobitique, et la diversité des vocations de ceux qui la mènent. C’est la lutte de chacun qui constitue le combat collectif de la communauté contre le démon. C’est l’application de chacun à l’humble travail de son emploi qui permet au monastère tout entier de vivre matériellement et spirituellement. “Vraiment”, s’écrit Théodore, “nous sommes le corps du même Christ et vrai Dieu.”[2]

Gli elementi fondamentali della dottrina cenobitica che San Teodoro cercava di realizzare nella vita monastica del monastero dello Stoudios, sono i seguenti.

La vita monastica è un ritorno alla vita dei santi Padri il cui scopo era di piacere a Dio, servire a Dio e conquistare Dio per mezzo della pratica dei comandamenti; la professione monastica è un secondo battesimo che illumina e purifica; il monaco è par excellence colui che fa la rinuncia (ἀποταγή) ela «rinunciazione», a volte, è sostituita con la parola l’«abito santo», l’«abito angelico», che è segno esteriore della rinuncia interiore; la vita cenobitica viene considerata in due aspetti diversi e correlativi – la vita in comunità e la sottomissione (ὑποταγή); infatti, il sinonimo per cenobita è l’ὑποτακτικός – colui che si sottomette; la concezione mistica della vita monastica sta nel fatto che il monaco nel «dare la propria vita» è imitatore della passione – martirio e dell’amore di Cristo; il κοινόβιος è la realtà mistica: esso è il corpo mistico di Cristo, vero Dio. Il carisma di ciascun membro della comunità è al servizio per il bene di tutti i membri, secondo il principio apostolico di avere «un cuore solo e un’anima sola» (At 4, 32); il principio del cenobitismo primitivo «tutto è di tutti» si applica sia alla rinuncia del possesso personale sia alla propria volontà; vale l’uguaglianza fra i membri della comunità malgrado la loro diversità; la spiritualità del monaco consiste nel servire tutti a immagine di Cristo, per la via della sudditanza (ὑποταγή) e le virtù da essa derivanti e per mezzo del lavoro.[3]

L’unico aspetto diversamente interpretato riguarda l’obbedienza[4] richiesta a ognuno dei monaci dal padre della comunità. Il concetto dell’obbedienza in San Simeone viene sottoposto a un cambiamento significativo – il discepolo obbedisce al suo padre spirituale, in una connessione protetta e guidata dalle manifestazioni dello Spirito Santo.

Una trasposizione piena dei valori stabiliti nello Stoudios da Teodoro a San Simeone il Nuovo Teologo è stata operata dal suo padre spirituale Simeone lo Studita, monaco dello Stoudios, monaco studita vero e proprio, seguace fedele di San Teodoro.

San Simeone il Nuovo Teologo, a differenza dei suoi predecessori nella vita monastica studita, evidenziava ancora di più certi momenti della vita personale del monaco che cercheremo di analizzare in questo capitolo.

Sappiamo che nelle comunità cristiane, già dai primi secoli, la giornata di lavoro si concludeva con la preghiera vespertina. Di solito erano i vespri a concludere la giornata, ma «negli uffici urbani monastici posteriori era la compieta»[5]apodeipnon[6]. Per Simeone il tempo trascorso nella cella proprio dopo la compieta è un tempo privilegiato per il monaco. Nelle Catechesi 30 e 31, Simeone si focalizza sul tempo tardo-serale e notturno, sfruttando quel periodo personale del monaco, per indicare come trascorrerlo per potersi accostare a Dio.

1. La preghiera personale

In uno dei suoi libri, p. R. Taft, riferendosi alla liturgia delle ore conferma che «come in tanti altri casi nella storia della Chiesa, ciò che una volta era proprietà dell’intero popolo di Dio è degenerato in un residuo clericale, sola reminiscenza di ciò che originariamente era chiamato ad essere»[7]. Analogicamente, per quanto riguarda la preghiera personale e la visione di Dio, anche San Simeone già nel suo tempo, secondo il nostro parere si rendeva conto di un simile pericolo e perciò cercava di trascinare non soltanto i monaci ma anche i laici – i cristiani non consacrati – a vivere appieno la loro vita spirituale.

Simeone il Nuovo Teologo è uno dei più grandi mistici bizantini e nello stesso tempo, come monaco, con i propri scritti ha esercitato un influsso originale sulle generazioni di monaci[8] che l’hanno seguito fino ai nostri giorni. Dal suo biografo possiamo apprendere che Simeone nella sua giovinezza ha letto Marco l’Eremita[9], che ha influenzato la sua vita spirituale.

Il nostro punto di partenza è quello che afferma anche Hausherr, cioè che a differenza di Evagrio[10], secondo cui la luce divina «senza forma» è tutta intellettuale, si può contemplare direttamente dall’intelletto e nell’intelletto come «luogo di Dio» e di conseguenza anche l’orazione, come lo afferma Nilo[11], ha in questa concezione un carattere monologico[12]. La visione di Dio per San Simeone tende quasi ad essere materializzata – nel senso che gli esseri umani possono fare esperienza diretta di Dio – e di conseguenza anche la preghiera si trasforma in una conversazione reciproca con l’interlocutore divino il quale risponde verbalmente alle domande dell’orante.[13]

Il momento centrale e l’apice della vita mistica della persona e, nel nostro caso anche del monaco, per Simeone non è la visione della luce stessa, ma l’incontro personale con Cristo che si rivela nella luce, la sua conoscenza mistica e la comunicazione con Lui. Perciò soltanto dal momento in cui Cristo comincia a parlare con la persona nel cuore, attraverso il suo Santo Spirito, si può ottenere la conoscenza personale di Lui[14].

Simeone sottolinea l’importanza della vicinanza con Cristo, che per lui è amico e mistagogo dei sacri misteri. Il vantaggio del rapporto personale con Dio sta in ciò: quando la coscienza della persona progredisce nella consapevolezza interiore, allora la relazione personale con Cristo, in uno stato più profondamente illuminato, è utile e aiuta a disgregare il proprio ego. Gesù chiamava Dio «Padre», e questo esprime le relazioni personali profondamente intime con Dio come quelle di un bambino con il proprio papà. Simeone, infatti, esprimerà le relazioni fra bambino e genitore come amico ad amico, come amato ad amato. Per questo motivo Dio per lui è uno di famiglia, amico, amato, maestro, taumaturgo, quello che dà senso alla vita[15] e con il quale ci si debba confidare. Egli confessa la sua fiducia nell’accorrere, il coraggio nel venire e la speranza di recarsi presso il Signore dicendo: «tu lo sai, Signore, non ho mai avuto fiducia nelle mie opere o nelle mie azioni per la salvezza della mia anima; sono sempre corso alla tua misericordia, […] che tu avrai pietà di me […], come un tempo l’hai avuto per il figliuol prodigo»[16].

Dagli Inni di San Simeone si può capire che la vita spirituale è un progresso perpetuo nella partecipazione alla ricchezza e alla gloria inesprimibile di Dio, un processo che comincia in questa vita e ha la sua continuazione nell’eternità del Paradiso e non conosce fine.

E allora Dio in questo processo della vita spirituale è un abisso senza limiti (ἀόριστος βυθός) e un’altezza senza misure (ἀμέτρητος ὕψος)[17], una pienezza inesauribile (ἀκένωτος πλοῦτος)[18]. L’anima, quando ha gustato questa immensità e questa pienezza, è trascinata ancora di più verso il Dio infinito che è per essa oggetto proprio.

Il processo della vita spirituale, per questo motivo, è dinamico e perciò non può avere limiti, non può essere arrestato. Esso consiste nella partecipazione e nella comunione alla vita di Dio. Si potrebbe dire che si produce soprattutto attraverso la preghiera con la quale si entra in contatto con Dio stesso personalmente, per mezzo della penitenza e della prassi delle virtù. Questi sono i mezzi con l’aiuto dei quali si può accedere alla perfezione ed essi non hanno altro scopo che di introdurre l’uomo nell’intimità vivente con Dio.

Per Simeone, l’esperienza personale di Dio in questa vita, durante il processo spirituale, è una condizione indispensabile di salute spirituale; essa è fondamentale anche per il sempre crescente processo formativo[19] di coloro che si accostano a Dio.

Negli Inni troviamo la prova della sua esperienza personale diun Dio immutabile che si fa presente nell’uomo:

Che meraviglia, che incredibile dono della tua bontà che gli uomini diventino a forma di Dio (ἐν τῇ μορφῇ τῇ τοῦ Θεοῦ τοὺς ἀνθρώπους γενέσθαι) e che prenda forma in loro colui che non può essere contenuto da nulla, il Dio immutabile, che per natura non è soggetto a cambiamenti, che vuol abitare in tutti coloro che ne sono degni, così che ciascuno possiede dentro di sé, nella sua completezza, il Re, il Regno stesso e i beni del Regno, e risplende come risplendette il mio Dio quando risorse […], e così gli uomini […], resteranno sbalorditi per l’eccesso della gloria e per il continuo accrescersi (προσθήκῃ διηνεκεῖ) dello splendore divino (λαμπρότητος τῆς θείας).[20]

La presenza divina nell’uomo è sempre crescente e senza fine, non può arrestarsi o limitarsi.

Il progresso non avrà infatti termine lungo il decorso dei secoli, poiché la cessazione dell’accrescimento verso un termine che non ha termine produrrebbe la comprensione di ciò che è assolutamente incomprensibile e diverrebbe oggetto di sazietà Colui del quale nessuno può essere sazio. Invece la pienezza dell’insaziabilità e la gloria della sua luce diventeranno un abisso di progresso, appunto, un principio senza fine; e come pur essendo Cristo che ha preso forma al loro interno, essi si collocano accanto a lui, che risplende di una luce inaccessibile (λάμποντι ἀπροσίτως), così in essi la fine diventa principio di gloria. […], nella fine avranno il principio e nel principio la fine.[21]

Nel Eth. 11, 296-415, c’è un caso straordinariamente bello della preghiera, del dialogo a tu per tu fra Dio e il monaco che ha raggiunto già le vette spirituali nella propria vita e che ha intrapreso la via delle virtù, ha ottenuto dimora interiore presso il Signore e il Signore stesso gli chiede di lasciarla per assumere incarichi esterni[22] quali, la direzione spirituale delle persone, la pastorale, il servizio per il bene dei fedeli, ed essere a disposizione per il bene della chiesa.

Ad un primo sguardo sembrerebbe che il monaco sia chiamato a lasciare le profondità spirituali ed uscire in superficie spirituali mentre si tratta piuttosto di un invito a prendere il largo e nel dialogo con il Signore, trovare le profondità spirituali anche nelle situazioni in cui sembrerebbe difficile trovarle.

Nel monachesimo di quel periodo vi erano casi in cui il monaco era chiamato ad uscire nel mondo, cioè lasciare il monastero e la sua comunità monastica per esercitare un incarico pastorale ed ecclesiale.[23]

In questi casi, il monaco posto davanti a una simile sfida viveva un dibattito interno contraddittorio con la tentazione quasi «dualistica», di essere diviso fra le cose «interiori», «spirituali» – come quelle di Dio, e quelle «esteriori», «materiali» – che sarebbero non di Dio.

Simeone, con modalità a lui proprie, descrive in modo vivacissimo tale dialogo interno, una preghiera personale, che mostra, da parte del monaco che cerca la volontà di Dio, fiducia, sincerità e apertura verso Signore.

Maître, comment t’abandonnerai-je pour me rendre dans cette vanité et les multiples tracas de cette occupation ? […] Ne sois pas irrité contre moi, ton serviteur, et ne me rejette pas de si haut dans ce chaos. Non, Maître, ne me prive pas de cette lumière de ta gloire (τοῦ τοιούτου φωτὸς τῆς δόξης) […]. Ai-je péché sans le savoir, Maître? […] Est-ce que tu vas t’éloigner de moi à ce point, toi qui m’as enlevé tant de fautes et de péchés? Eh bien! S’il m’est arrivé de commettre quelque faute, punis-moi sur place ; taille-moi en pièces, si tel est ton bon plaisir, pourvu que tu ne m’envoies pas là-bas.[24]

 Il monaco si trova così nella contraddizione interna fra le cose di lassù e le cose di quaggiù, nella tentazione illusoria di abbandonare dei beni alti ed eterni donati dal Signore stesso e discendere in mezzo alle tribolazioni e preoccupazioni visibili e terrestri che lo aspettano nella vita apostolica.

Qui c’è la fortissima preoccupazione: che cosa fare? Si pone allora la domanda se il Signore non priverà la persona di quei beni spirituali già raggiunti. In quel combattimento interno tra la domanda e l’attesa della risposta del Signore, arriva la parola del conforto del Signore stesso che assicura la propria presenza e mette la luce vera su quel dibattito fra «le cose «spirituali» e «l’apostolato con le preoccupazioni temporali».

Et s’il ajoutait ceci: “Va, pais mes brebis; va, convertis tes frères”, il fallait de ton côté lui répondre : “Hélas, Maître, je vais donc être séparé de toi, indigne que je suis ?” Et si là-dessus il te disait encore: “Mais non, car je serai là-bas avec toi”, de ton côté il fallait te prosterner, il fallait pleurer, arroser de tes larmes en esprit ses pieds immaculés, en disant: “Comment seras-tu avec moi, Maître, si en descendant là-bas je rentre dans les ténèbres ?” […]. Supposons même que le roi bienveillant et si bon, prenant en considération ton amour et ton humilité t’ait dit de nouveau : “Ne crains pas, dit-il. Puisque je t’ai promis de rester avec toi, tu ne seras dominé absolument par aucun adversaire ; car tu m’auras comme allié en toute circonstance et je te glorifierai encore plus là, en bas, et ensuite tu reviendras ici avec un éclat plus grand et plus radieux et tu régneras avec moi pour les siècles sans fin.”[25]

Questo dibattito quasi «dualistico» fra i due mondi sopra citati nel quale l’anima del monaco potrebbe trovarsi nell’indecisione e non sapere che cosa fare e come reagire, Simeone lo risolve con una affermazione teologico-spirituale fortissima dicendo:

notre Maître, en tant que créateur et auteur de toutes choses, règne par nature et avec plein pouvoir sur toutes choses, au ciel, sur terre et sous terre, car il est lumière sans déclin (φῶς ὤν ἀνέσπερον)[26] et inaccessible, Seigneur de toutes choses, présentes et futures. Donc ceux qui lui obéissent et gardent sans accroc ses commandements, en jouissant avec modération des choses passagères, en les prenant avec retenue et action de grâces (ἐν ἀπολαύσει συμμέτρῳ γινόμενοι καὶ εὐχαρίστως μετ’ ἐγκρατείας τούτων μεταλαμβάνοντες), déjà, par les choses visibles elles-mêmes, sont ramenés vers les biens incorruptibles et éternels (τὰ ἄφθαρτα καὶ αἰώνια), parce qu’ils se sont soumis au roi et Dieu de toutes choses et qu’ils ont observé ses préceptes. Tous ceux, au contraire, qui vont à l’encontre de ses commandements, se trouvent rangés avec l’adversaire ; ils deviennent ouvertement les ennemis de Dieu.[27]

 Che cosa piace al Signore di più? Quale scelta fra le due possibilità? Scegliere le cose «del mondo», oppure restare nelle «cose divine»?

 Il monaco ottiene risposta nella preghiera personale, nel dialogo reciproco con il Signore che risponde molto attentamente e benevolmente, spiegando la logica e la vera dinamica interiore spirituale.

Poiché Egli è il Signore di tutte le cose terrestri ed eterne, visibili e invisibili, materiali e spirituali spetta anche al monaco obbedire e osservare i comandamenti godendo anche delle cose transitorie con moderazione e rendimento di grazie. Così anche le realtà che sembrano non spirituali e che al primo sguardo allontanano dal Signore, in questo modo hanno la forza di portare all’incorruttibilità e alla vita eterna. Le persone che riescono a fare ciò sono infatti vicini al Signore. «Tous ceux qui écoutent la parole de Dieu et la mettent en pratique, il les a élevés à la dignité de sa mère, il les appelle ses frères et il les nomme tous ses parents.»[28]

Simeone vede piuttosto nell’accidia l’ostacolo alla preghiera personale cioè al dialogo interpersonale in genere e quello del monaco in modo speciale.

2. Accidia – ostacolo alla preghiera

Simeone indica un consiglio su come combattere l’accidia (ἀκηδία)[29] o meglio, contro il demone dell’accidia e la pesantezza corporale (βάρος τοῦ σώματος)[30] che va di pari passo con l’accidia. «Nessuno può conoscere in profondità con gli occhi sensibili la grandezza del cielo, […] oppure varie dimensioni delle cose», dunque come si potrebbe sensibilmente «afferrare ciò che oltrepassa l’intelligenza e il ragionamento?»[31] Questo a maggior ragione diventa impossibile se il corpo è appesantito dal demone dell’accidia e il monaco è ozioso e inattivo.

Simeone sottolinea che l’accidia non si dovrebbe scambiare per niente con la pace oppure con il silenzio perché non lo è e perciò distingue l’inoperosità dall’esichia e dal silenzio.

L’inoperosità (ἀργία)[32], secondo lui, «appartiene a coloro, che non vogliono partecipare delle ricchezze di Dio (τῶν ἀγαθῶν τοῦ Θεοῦ) né operare per il bene», e poiché porta in sé una passività negativa non è desiderata; l’esichia (ἡσυχία)[33] invece ha una dinamica positiva: infatti «appartiene a coloro, che cercano la conoscenza divina (τὴν γνῶσιν τοῦ Θεοῦ), che ascoltano la parola della saggezza da loro posseduta, che scrutano le profondità dello Spirito e che vengono così iniziati agli stupefacenti misteri divini» e, alla fine, il silenzio (σιωπή)[34] «appartiene a coloro che si consacrano all’attività dell’intelletto (τὴν νοερὰν ἐργασίαν) controllando attentamente il giudizio sui pensieri (διανοίας τῶν λογισμῶν[35].

A livello esterno l’accidia e la pesantezza corporale conducono il monaco a trascurare le regole e i canoni mentre a livello interno colpiscono prima di tutto l’anima con un ottenebramento. Perciò nel cuore nascono i pensieri di blasfemia e rilassatezza che alla fine nella mente provocano tenebre (σκότωσιν τῇ διανοίᾳ προξενοῦσι), scoramento (ἀθυμίαν) e persino pensieri contro il Creatore. Simeone il Nuovo Teologo, così come prima di lui Giovanni Climaco nel suo tredicesimo gradino[36], riconosce nell’accidia una disconoscenza, una dimenticanza nei confronti di Dio. «Colui, che è colto dall’accidia cessa di rendere grazie a Dio (eucharistía) e cade nell’acharistía. Dall’ingratitudine si cade facilmente nella bestemmia, ci si rivolta contro il Creatore.»[37]

Si tratta di una rivolta interna del monaco contro Dio, del voltarsi indietro dal proprio Creatore. Si segue la dinamica simile a quella di Adamo[38]: in primo luogo vi è la trasgressione dei comandamenti, dei canoni e delle norme esterne e in seguito viene l’offuscamento interno e la rivolta contro Dio, con il rischio di finire nella corruzione e nella morte perché tale peccato introduce nella «sepoltura delle tenebre», nella «schiavitù del principe delle tenebre», in altre parole, dallo stato eucaristico si passa allo stato «acaristico».

In questo caso viene in aiuto il consiglio pratico di Simeone, l’incoraggiamento, cioè, alla preghiera personale perché per mezzo di essa si ha la possibilità di ristabilire la vera relazione con Dio e trovare la forza di farla passare nel proprio interno e, conseguentemente, anche all’esterno cioè alle regole, all’ordine, alla luce e alla vita.

Poiché tu conosci la causa e la provenienza di questa condizione, ritorna (σπουδαίως εἴσελθε), dove abitualmente preghi (εἰς τὸν συνήθη τόπον τῆς προσευχῆς), prosternati (προσπεσὼν δεήθητι) davanti a Dio misericordioso e con lacrime (μετὰ δακρύων) e gemiti (στεναγμοῦ) nell’afflizione del tuo cuore, chiedigli di essere liberato dal peso dell’accidia e dei cattivi pensieri. Se tu busserai con forza e perseveranza, otterrai di essere prontamente liberato.[39]

Egli non consiglia altri rimedi, come fa Evagrio[40], ma uno solo: entrare nello stato di preghiera e nel dialogo con il Signore. Nel confronto con Evagrio si percepisce che per Simeone né le lacrime, né i gemiti, né la compunzione del cuore sono la meta ma il frutto della preghiera, i rimedi che in un certo senso fanno vedere la relazione qualitativa del monaco con il Signore, del monaco consapevole della propria debolezza e incapacità di liberarsi con le sole proprie forze dagli assalti ma che confessa la propria dipendenza da Lui e dalla sua filantropia[41] e chiede aiuto. Simeone propone di entrare nello stato veritiero del monaco – «πτωχός τις φιλάδελφος»[42], vale a dire di un povero pieno d’amore fraterno.

Simeone sperimentando personalmente la bontà immensa del Signore, nello stesso tempo, la mostra con amore agli altri; perciò incoraggia a chiederla, a cercarla presso il Misericordioso poiché, in fondo è il Signore colui che libera dall’accidia. Si tratta di un atto di abbandono completo e fiducia immensa. Si può percepire che tutto il peso del combattimento contro l’accidia è spostato verso una fiduciosa condiscendenza di Dio e la sua misericordia.

Simeone, a nostro avviso, riporta una conferma, una descrizione di ciò derivante dalla sua lotta personale. Egli parla di una dinamica del combattimento contro il demone dell’accidia e dell’orgoglio che, se condotto con le sole forze umane porta all’insuccesso.

Un giorno, un uomo preso dall’accidia, aveva lo spirito svuotato (χαῦνον τὸν νοῦν) e oscurato (σκοτεινόν) e l’anima completamente distratta (ἔκλυτον); mancava poco che gli venisse meno dal cuore la compunzione (τὸ πένθος), che il fuoco dello Spirito si spegnesse (σβεσθῆναι) e che tutta la casa del corpo fosse avvolta dal fumo (πλησθῆναι καπνοῦ). Nello stesso tempo lo assalì un torpore della membra dovuto al suo lasciarsi andare, tanto che gli causava continuamente sonnolenza al punto da non essere in grado di soddisfare le sue esigenze quotidiane. Reagì contro questa situazione praticando la temperanza e le veglie, ma, dopo aver vinto il sonno, il suo cuore si indurì a causa della presunzione e per la mancanza di compunzione divenne preda della rilassatezza. Ma appena l’avvertì, si precipitò fuori della sua cella[43] (τῆς κέλλης αὐτοῦ ἔξω) in un’ora insolita e si rifugiò in un angolo oscuro (ζοφώδη τόπον καὶ σκοτεινόν). In piedi in quel luogo alzò le mani al cielo, si fece il segno della croce e diresse lo sguardo della sua anima verso Dio. Subito dopo aver umiliato il suo pensiero (ὡς μικρὸν ἐταπείνωσε τὸν λογισμόν), il demone della rilassatezza si scostò un po’ da lui, ma più forte di lui il terribile nemico, cioè l’orgoglio (ὁ δεινὸς τῆς κενοδοξίας), penetrò furtivamente nel suo pensiero per trascinarlo e consegnarlo nuovamente nelle mani del demone della rilassatezza. Questo fatto lo meravigliò, allora pregò Dio con fervore di strappare la sua anima dai tranelli del diavolo.[44]

Nell’esperienza di Simeone si può notare che non basta semplicemente lo sforzo umano per combattere l’accidia ma tale combattimento viene affidato al Signore nella preghiera e con spirito di timore.

Non si tratta di un timore qualsiasi ma del timore di Dio (ὁ φόβος τοῦ Θεοῦ)[45]. Simeone ne parla di più nei suoi Inni[46]. Per esempio nota l’importanza di avere timoredi Dio nel cuore (12, 14), ricorda che con timore di Diosi cerca Dio (13, 94) e che il timore di Dio ha afferrato il suo cuore (15, 5).

L’Inno 17 in questo elenco ha un posto speciale perché per eccellenza tratta il timore di Dio: Simeone lo chiede nella preghiera (1-105), ne attende il frutto cioè l’amore di Dio (106-507) perché è da esso che Dio comunica la sua vita.

Simeone assicura che è lo Spirito che riempie il cuore con il timore di Dio(20, 9 e 22) e insieme con l’umiltà si oppone a quelli che si occupano delle cose visibili (24, 320-325). Iltimore di Dio assicura vero atteggiamento verso l’Eucaristia (26, 28). E’ il timore di Dio con il quale il canto delle creature esalta maggiormente la proclamazione della Sua gloria (35, 80 e 38, 40). E’ il timore di Dio che si impossessa di Simeone e lo riempie dopo che Simeone ha visto le grandi meraviglie che Dio fa per gli uomini e il forte amore divino verso gli uomini (40, 22). Il Signore, da ciascuno, secondo il libero arbitrio, attende il sentimento di timore di Dio e la prova dell’amore (43, 34). In fine, troviamo anche l’invocazione di Simeone per coloro che sono nelle tenebre e chiede per loro la luce della conoscenza e il timore di Dio(55, 186).

Il timore di Dio da Simeone viene paragonato a una fiamma o a un fuoco ardente; è il mezzo spirituale, la disposizione interna con cui non si dovrebbero temere gli attacchi dei demoni e che insieme con l’umiltà (ἡ ταπείνωσις) fa allontanare i demoni e non temere gli uomini malvagi[47]. Il timore di Dio insieme con la fede, ha la forza di compiere ciò che sembra difficile o impossibile. Anzi, se c’è la paura, questo è un segno dell’anima orgogliosa, è un difetto infantile e ridicolo[48].

Abbiamo visto che per potersi accostare a Dio, per il monaco, sono importanti la preghiera e il timore di Dio che sono i mezzi efficaci per combattere il nemico principale del monaco, l’accidia, che ostacola la relazione viva del monaco con il Signore.

3. Preghiera nella cella

Preghiera nella cella[49].

«E a sera, entra nella tua cella (Ἑσπέρας δὲ εἰσελθὼν ἐν τῷ κελλίῳ) […]»[50], è una considerazione di San Simeone, al primo sguardo semplice e ovvia ma dietro di sé porta una concezione monastica tradizionale e profonda e nello stesso tempo basata anche sulla sua ricca esperienza vissuta personalmente.

3.1. Dove e quando si prega – il posto e il tempo della preghiera

Del fatto che la cella del monaco fosse il punto di riferimento per la preghiera personale abbiamo testimonianze nei vari periodi della vita stessa di Simeone. Lo osserveremo nei tre periodi della sua vita: il primo – il periodo della sua gioventù fino all’ingresso nel monastero di San Mama; il secondo – il periodo trascorso nel monastero di San Mama e il terzo – la vita dell’esilio nel monastero di Santa Marina.[51]

3.1.1. La gioventù

L’autore della sua biografia testimonia che Simeone, fin dall’infanzia, trovandosi nella capitale dell’Impero bizantino nella casa dello zio, «si dedicava con estremo zelo all’orazione e alla lettura»[52]. Nel primo incontro con Simeone lo Studita, dopo essere stato rimandato dallo Stoudios, questi gli indica le letture da fare. Sotto l’influenza del brano letto e a lui consegnato da Simeone, «prolungava l’orazione e la meditazione fino al canto del gallo»[53]. Certamente faceva questo nella stanza della casa dello zio dove abitava. Il giovane Giorgio aveva l’usanza di pregare nella propria stanza – cella, e proprio in essa ebbe anche la prima «visione» della luce: «ora, una notte, mentre era in preghiera (ὡς ἱστάμενος ἦν εἰς προσευχὴν ἐν μιᾷ τῶν νυκτῶν) […], trovandosi illuminato (αὐτὸς φωτιζόμενος) da tale luce (φῶς), gli parve che l’intera casa, con la cella in cui si trovava fosse svanita (τὸν οἶκον ἅπαντα σὺν τῇ κέλλῃ ἐν ᾗ ἱστάμενος ἔτυχεν ἀφανισθέντα[54].

 Un’altra testimonianza della preghiera in cella la troviamo nel periodo successivo quando decide di entrare nello Stoudios e si reca a casa sua o meglio dai suoi genitori, nel periodo di quaresima. Durante quel periodo era solito pregare in una «cella molto stretta (ἐπὶ σμικρότατον ἦν κελλίον), accanto all’ingresso di una cappellina; vi entrava da solo e vi rimaneva a lungo; la notte, chiudeva le porte dietro di sé e pregava per tre ore»[55].

Dopo essere entrato nello Stoudios in qualità di candidato alla vita monastica[56], il suo padre spirituale lo sistemò sotto la scala della propria cella, in un posto stretto affinché potesse meditare sulla via stretta, poiché non vi erano celle libere per ospitarlo[57]. E’ difficile immaginare come eseguisse la sua preghiera in quel luogo angusto ma comunque il biografo afferma che «mentre stava pregando» i demoni con i loro assalti «scuotevano la sua cella con grande strepito provocando visioni spaventose» cercando di disturbare la sua preghiera e, anche quando si recava a dormire, essi continuavano gli assalti in vari modi e in modo tale che Simeone ad ogni assalto «si alzava e pregava»[58].

Ancora un’altra testimonianza di quel periodo racconta che una volta, dopo l’incontro con il suo padre spirituale che lo incoraggiava nella lotta spirituale e nel combattimento personale contro i demoni e le loro lusinghe, circa all’ora terza della notte, il giovane Giorgio «è appena rientrato nella sua cella (τῷ δὲ κατερχομένῳ πρὸς τὴν ἰδίαν κέλλαν) […], e d’improvviso una luce dall’alto lo circonda come un lampo»[59].

Dalle testimonianze qui riportate si vede che la cella già in quel suo periodo giovanile aveva per Simeone un significato importante. Non essendo ancora monaco aveva già, se così si può dire, la virtù di comportarsi nella camera della sua abitazione come se fosse già monaco e naturalmente la sfruttava nel periodo serale-notturno come posto per la preghiera personale.

3.1.2. Monastero di San Mama

Riguardo alla preghiera nella cella abbiamo altre testimonianze relative al periodo nel quale il giovane Simeone, appena entrato nel monastero di San Mama divenne monaco ricevendo lo schima (σχῆμα)[60]monastico.

Nel Monastero di San Mama, dove il giovane Giorgio si è trasferito, i monaci abitavano nelle celle. Il suo biografo afferma[61] che Simeone aveva la propria cella. Negli scritti di Simeone notiamo la stessa realtà. Egli afferma che «nous nous établissons en cellule», «nous couchons […] dans nos propre cellule» e, ancora rivolgendosi a un monaco: «tu demeures dans ta cellule»[62]. Simeone trascorse i primi anni in qualità di semplice monaco non ancora sacerdote e neppure igumeno. Nella Vie di Simeone il Nuovo Teologo quando si parla della cella, se ne parla in collegamento con la preghiera personale. Niceta Stetato ci testimonia che Simeone, in questo periodo, si rifugiava nella propria cella e dedicava il tempo alla preghiera. «(Il) se levait et s’enfuyait dans sa cellule, fermait les portes à clef et se mettait en prière», poi «(il) se tenait enfermé la journée entière dans sa cellule sans en sortir […], il se recueillait tout entier […], et se mettait en prière» e ancora parlando di un certo Filoteo dice: «il se prépara une cellule d’hésychaste pour vivre en reclus».[63] Per Simeone stesso la cella è il luogo che diventa il paradiso, perché in essa egli ha avuto la «visione» del Signore; nella cella Simeone cerca di essere attento a Colui che gli parla dell’amore e, in altre parole, la cella per Simeone è un luogo privato e intimo in cui egli sta in profonda comunione con il Signore.[64]

Possiamo affermare che nel monastero cenobitico di San Mama, con le usanze e i costumi studiti, era pratica comune abitare nelle celle. Si potrebbe sostenere che per Simeone era sconosciuta la stretta usanza cenobitica di abitare nei dormitori comuni, perché ciò, in un certo senso, poteva essere di ostacolo alla preghiera personale così come la intendeva Simeone che era favorevole alle celle singole anche perché così i monaci potevano disporre di uno spazio privato più grande per tutelare la preghiera personale fuori dall’orario della preghiera liturgica e comunitaria.

Il tempo della sua preghiera personale in sostanza corrispondeva al ritmo della vita quotidiana del monaco studita del monastero Stoudios, dove era precisamente stabilito l’orario del tempo libero e personale che si poteva sfruttare proprio per la preghiera personale.

San Simeone, come monaco studita, poteva dedicarsi alla preghiera personale nei momenti in cui l’orario del giorno studita glielo permetteva. Secondo gli scritti di San Teodoro Studita possiamo ricostruire la vita quotidiana nel monastero di Stoudios. Vi erano cinque momenti liberi nella giornata: 1. Il riposo notturno: dopo la fine dell’apodeipnon (verso la seconda ora della notte, che corrisponde circa alle ore 20.00) fino all’inizio dell’orthros (verso la settima ora della note che corrisponde circa alle ore 01.00). 2. Dalla fine dell’orthros fino all’inizio dell’ora prima (verso la prima ora del giorno, nel momento in cui il sole appare e che corrisponde circa alle 7.00 del mattino). Nel monastero di San Mama l’ora prima, tranne i giorni aliturgici, era probabilmente seguita da divina liturgia. 3. Dalla fine dell’ora prima (nel caso di San Mama dalla fine della divina liturgia) fino all’inizio dell’ora seconda del giorno (verso le 8.00 di mattina) quando cominciava il lavoro. 4. Dopo l’ora sesta (verso mezzogiorno), che era il tempo per un breve riposo. 5. Durante la Quaresima vi era un momento libero anche fra l’ora nona (alle 15.00) fino all’inizio del vespro (l’inizio del calare del sole).[65]

I momenti liberi della giornata descritti nei primi due punti, a nostro avviso, erano più favorevoli per la preghiera personale dei monaci studiti nello Stoudios.

Nella Catechesi 26 abbiamo una vivace «istruzione utilissima per i principianti»[66] di Simeone, che praticamente è una descrizione della vita quotidiana di un monaco cenobita, un typos simeoniano[67]. Da esso si può benissimo ricavare come doveva svolgersi una giornata monastica nel monastero di San Mama e quali erano i momenti dedicati alla preghiera personale.

a. Secondo questo typos, ilmonaco cenobita di San Mama si alzava a mezzanotte. Subito dopo c’era lo spazio per la cosiddetta «preghiera della regola», τετυπωμένη εὐχή che poteva durare fino all’alba perché in quel momento cominciava il mattutino[68] in chiesa, la preghiera comune di tutta la comunità. Dopo il mattutino si tornava in cella, dove in solitudine si dava di nuovo spazio alla «preghiera della regola».

b. Dopo la preghiera solitaria nella cella, bisognava impegnarsi in un’opera di ubbidienza assegnata dal superiore o dal padre spirituale. Simeone la chiama ἐργασία σωματική, termine che indica tutto l’ambito dell’attività ascetica e virtuosa e che poteva essere un lavoro manuale, un servizio, una lettura e via dicendo. Simeone distingue ancora altri termini simili: opera corporale – σωματικὴ πρᾶξις che corrisponde all’ascesi e alle virtù (povertà, digiuno, veglia, continenza, pazienza);operazione spirituale –πνευματικὴ ἐργασία (l’illuminazione dello Spirito, la visione e il possesso di Dio e la vita celeste che ne consegue); esercizio corporale – σωματικὴ γυμνασία; pietasεὐσέβεια, insegnata dallo Spirito; ascesi senza conoscenza – ἄσκησις μὴ ἐν γνώσει.[69]

c. Quando si celebrava l’eucaristia, dopo qualche ora passata in cella si tornava di nuovo alla sinassi in chiesa dopodiché seguiva il cibo alla mensa comune. Il pasto comune terminava con il congedo del sacerdote e il monaco si spostava di nuovo nel silenzio della cella propria in cui leggeva il libro proposto oppure un altro tipo di lettura spirituale.

Nel periodo estivo era permesso sdraiarsi per terra, sulla stuoia, per un po’ di tempo e fare un riposo. Nel periodo invernale, invece, dopo aver letto qualche pagina di testo sacro, subito si passava al lavoro manuale che durava fino al vespro[70].

d. Dopo il vespro era lecito accontentarsi di «un biscotto e di un bicchiere d’acqua». Si seguiva insieme ai confratelli la preghiera della sera che era probabilmente apodeipnon, dopodiché davanti al superiore si faceva un inchino – βαλὼν μετάνιαν, insegno di penitenza e rispetto e si riceveva la benedizione – εὐχὴν ἐκεῖθεν λαβὼν del superiore, si baciava l’icona e di nuovo si rientrava nella cella.

e. Nella cella si leggeva qualche pagina della Scrittura e poi ci si alzava a pregare e salmeggiare. Il testo afferma che i salmi, le preghiere insieme alle genuflessioni erano ben stabiliti dal padre spirituale sia per la sera sia per la mattina. La preghiera aveva un carattere penitenziale e all’interno di essa vi era la confessione dei peccati al Signore.

Terminata la preghiera penitenziale, la veglia personale continuava ancora con la lettura spirituale dopo la quale si riprendeva il lavoro manuale fino all’ora terza di notte, che era il momento per l’amomos[71]. Risulta che a San Mama era la pratica che ognuno doveva pregare nella cella privatamente.

f. Dopo questa preghiera, si poteva riposare o dormire fino a mezzanotte.

Possiamo notare che la giornata monastica nel monastero di San Mama, così come la descrive San Simeone nella Catechesi 26, praticamente corrispondeva a quella di Stoudios[72] e anche i momenti dedicati alla preghiera personale, più o meno, corrispondevano a quelli di Stoudios.

Dalla Catechesi 26 risulta che il momento più favorevole per la preghiera personale a San Mama era l’intervallo fra la fine dell’apodeipnon fino all’orthros e poi dalla fine dell’orthros fino all’inizio del lavoro.

Nei seguenti passi possiamo notare che anche Simeone stesso, essendo già monaco di San Mama nel periodo in cui non era ancora igumeno, per la sua preghiera personale, sfruttava i tempi stabiliti dalla vita quotidiana nel monastero, seguendo dettagliatamente l’ordine del giorno della vita monastica che più tardi, da igumeno, proporrà nella Catechesi 26 come typos per i principianti. Vediamo qualche esempio.

 a. Durante le feste, dopo il pasto comune[73] con gli altri monaci, «rendeva grazie, si alzava e fuggiva nella sua cella (τὴν κέλλαν), chiudeva le porte a chiave e si metteva a pregare (ἵστατο εἰς προσευχήν[74]. Qui abbiamo la testimonianza che Simeone sfruttava i giorni delle feste e delle domeniche per poter rimanere nella propria cella leggendo, meditando e pregando, come era usanza dei monaci studiti. Certamente eseguiva ciò che, più tardi, in qualità di igumeno nella Catechesi 30 proponeva ai suoi ascoltatori:

quando uscite dalla chiesa non cominciate a dissiparvi in cose vane e inutili (μὴ ἄρξησθε μετεωρίζεσθαι εἰς μάταια καὶ ἀνωφελῆ), perché non venga il diavolo (ὁ διάβολος), vi trovi occupati in cose simili e non faccia come il corvo che, quando nel campo il chicco di grano non è ancora coperto dalla terra, lo prende e se ne vola via. […] Invece, se uno ha ricevuto l’ordine di lavorare, di fare un lavoro o un servizio, se ne vada a capo chino (ἀπελθέτω κάτω νεύων) badando se stesso (προσέχων ἑαυτῷ)[75], lavori o faccia il suo servizio.[76]

b. Poi un’altra testimonianza dice che Simeone si ritirava «ogni giorno […] e stava chiuso[77] per l’intera giornata nella sua cella (ἐν τῇ κέλλῃ), senza mai uscirne», lavorando sulle proprie virtù e «sul far del giorno si metteva a pregare (εἰς προσευχὴν ἵστατο κατ᾽ ἀρχὰς τῆς ἡμέρας) […], e tutto infiammato dall’orazione, usciva dalla sua cella per il kathisma[78](ἀπὸ προσευχῆς ἐπὶ τὸ κάθισμα τοῦ κελλίου ἐξήρχετο[79]. Risulta che Simeone si dedicasse alla preghiera personale ancor prima dell’inizio del mattutino.

c. Appena terminata la preghiera ufficiale nella chiesa – il mattutino, al quale era presente insieme con gli altri suoi confratelli, «dietro tutti gli altri, usciva in silenzio dal tempio e ritornava nella cella (τὴν κέλλαν), dove riprendeva i santi combattimenti (εἴχετο τῶν ἱερῶν ἀγώνων[80] αὐτοῦ[81]. Si trattava di un tempo libero fino all’ora prima che già San Teodoro incoraggiava a trascorrere non nel sonno ma nella preghiera per non disperdere quello che si è raccolto durante la preghiera del mattutino[82]. Simeone è fedele anche a questa possibilità e la sfrutta per il proprio bene spirituale.

d. Infine, dopo essersi comunicato ai santi misteri durante la divina liturgia Simeone «in silenzio si affrettava a tornare nella sua cella (πρὸς τὴν κέλλαν αὐτοῦ[83], fino all’inizio del lavoro nella seconda ora del giorno, cioè verso le otto di mattino.

Da queste poche testimonianze possiamo renderci conto che la cella per il giovane monaco Simeone era il posto privilegiato e un posto amato. La usava per potersi raccogliere nella preghiera nei momenti del giorno prescritti secondo le usanze dei monaci studiti. La sfruttava durante le feste, il tempo del riposo notturno, il tempo dopo l’orthros fino all’ora prima e il tempo intercorrente tra divina liturgia e l’inizio del lavoro.

La cella era per lui il luogo in cui conduceva il combattimento spirituale del quale, fra le altre attività, faceva parte costitutiva la preghiera come afferma il suo biografo: «Tel était le cours des combats ascétiques (ὁ δρόμος τῶν ἀσκητικῶν ἀγώνων) de l’admirable Syméon le jour et la nuit»[84].

Allora si potrebbe dire che sulla base della sua esperienza personale nel periodo prima dell’ingresso nello Stoudios e anche nel periodo dei primi anni passati già da monaco nel monastero di San Mama, il posto favorevole per la preghiera, per Simeone, era la cella soprattutto nel periodo tardo serale e notturno come pure al mattino presto.

3.1.3. Monastero di Santa Marina

Del periodo della sua vita passata in esilio nel monastero di Santa Marina non sappiamo molto[85]. Da ciò che il suo biografo ci ha riportato a riguardo della vita monastica, possiamo affermare come prima cosa che Simeone avesse l’intenzione di condurre una vita esicasta cioè solitaria, e per questo motivo voleva erigersi una cella presso l’oratorio di Santa Marina che era in rovina e che gli era stato donato dal suo discepolo Cristoforo Fagura[86].

 Simeone, dopo aver ricostruito e trasformato l’oratorio di Santa Marina nel monastero in cui si stabilisce, condusse una vita monastica cenobitica e, alla fine di tutte sue fatiche, si ripose da ogni suo lavoro e si

dedicò di nuovo all’amata quiete (τῆς φίλης ἡσυχίας), anche se non l’aveva mai veramente lasciata pur in mezzo al tumulto delle cose da fare. Allora però si abbandonò completamente alla contemplazione e alle illuminazioni (τῶν θεωριῶν καὶ ἐλλάμψεων ἐν τῷ πνεύματι γίνεται) cui era abituato. Fuggì via, attraversando la materia e la pesantezza del corpo; lui, che non si era mai separato da Dio, si unì a lui più pienamente con la ragione e lo spirito (ἑνοῦται τούτῳ δὶα λόγου καὶ πνεύματος τελεωτέρως).[87]

Ma abbiamo ancora una testimonianza assai interessante che risale ai primi momenti dell’esilio nelle vicinanze di Costantinopoli, nella località chiamata Paloukiton, sulla sponda asiatica del Bosforo.

Simeone, ai piedi di una collina deserta trovò le rovine dell’oratorio di Santa Marina e «il y entra et offrit à Dieu les prières de none (τῆς ἐνάτης ὥρας[88]. Da questa notizia possiamo dedurre l’importanza che Simeone assegnava al ritmo liturgico e probabilmente anche al ritmo monastico della giornata intera, certamente secondo le circostanze e le possibilità adeguate. Nonostante le sue pessime condizioni personali di esiliato fossero paragonabili a quelle dell’oratorio che era in rovina, nel tempo dell’ora nona egli inizia a recitare i salmi e le preghiere della parte dell’officium corrispondente e questo fatto ci potrebbe testimoniare la sua fedeltà anche al ciclo giornaliero monastico e pure ai momenti del raccoglimento personale passati se non in una cella, comunque, almeno in un posto adatto.

In modo indiretto tutto ciò è confermato anche dalla Catechesi 17, che in pratica è una lettera, una specie di testamento indirizzato ai suoi discepoli più fedeli che gli sono rimasti vicino fino alla fine, scritta negli ultimi giorni della sua vita[89] probabilmente nel monastero di Santa Marina. In essa afferma l’efficacia della «pratica perseverante della preghiera con la meditazione delle parole divine (τῇ ἐπιμόνῳ τῆς εὐχῆς ἐργασίᾳ καὶ τῇ μελέτῃ τῶν θείων λογίων)» e dell’«abito delle buone consuetudini (τῷ ἐν ἕξει γενέσθαι τῶν ἀγαθῶν ἀφανίζεται)», perché con queste virtù «si scaccia la malizia» così, come «tenebra è scacciata» con il sole che sorge poco a poco ed «è rivelata la sua inconsistenza;» e continua «con un po’ di pazienza, dunque, e con un minimo di determinazione, o – per meglio dire – con l’aiuto del Dio vivente, noi veniamo riplasmati e rinnovati»[90].

Dette queste parole negli ultimi giorni della sua vita, avendo dietro le spalle l’esperienza della vita monastica, possiamo credere che anche Simeone di persona abbia eseguito tutto ciò fino alla fine della sua vita finché le forze fisiche glielo hanno permesso.

Per quanto riguarda la preghiera personale nella cella, queste testimonianze potrebbero condurci a una costatazione: Simeone nel monastero di Santa Marina continuava gli stessi ritmi della vita monastica e conseguentemente anche le abitudini del monastero di San Mama.

D’altra parte, però, dobbiamo rilevare che egli non si limita strettamente alla cella ma in due casi, per esempio, istruisce il lettore sulle modalità per combattere l’accidia.

reviens courageusement à la place où tu pries d’habitude (σπουδαίος εἴσελθε εἰς τὸν συνήθη τόπον τῆς προσευχῆς σου); prosterne-toi devant le Dieu de miséricorde; demande avec des larmes et des gémissements dans l’affliction de ton cœur d’être délivré de ce poids de l’acédie et des mauvaises pensées; si tu frappes avec force et persévérance, tu obtiendras sous peu d’en être délivré.[91]

Nel primo di questi casi, Simeone consiglia di ritornare, o meglio di entrare con coraggio e prima possibile, in fretta nel posto – τόπος[92] abituale, cioè dove solitamente si prega. Non specifica che è la cella. Non specifica il luogo concreto ma piuttosto la qualità del luogo in cui si pratica la preghiera, in cui ci si può accorgere della presenza di Dio e liberamente aprirsi a Lui, a Lui rivolgere i gemiti del proprio cuore e accettare da Lui ciò che Egli vuole dare. Nel Cap., 1, 71 il topos della preghieraviene ancora specificato con due parole come «εἰς ζοφώδη τόπον καὶ σκοτεινόν», cioè opaco e tenebroso. Darrouzès lo traduce come «au fond d’un coin obscur». Renato D’Antiga lo traduce praticamente uguale, come «un angolo oscuro».

Sicuramente s’intende un luogo solitario come poteva essere la cella del monaco, ma anche un qualsiasi altro posto[93] in cui trovare un «angolo privato» per poter pregare, in cui ritirarsi e in cui passare anche i momenti del riposo.

Nel secondo caso parla proprio di un angolo – γωνία:

Se ti accorgi che colui che semina furtivamente la zizzania dello scoramento non ti permette di innalzarti alle cime della santità e ti ispira questi pensieri: “Nel mondo non puoi salvarti e nemmeno custodire intatti i comandamenti divini”, allora ritirati in un angolo (ἐν μιᾷ καθίσας κατὰ μόνας γωνίᾳ[94]), raccogliti nell’interiorità (σύστειλον σεαυτόν), concentra il tuo pensiero (ἐπισύναξόν σου τὸν λογισμόν), ed elargisci alla tua anima questo suggerimento (δὸς ἀγαθὴν βουλήν): “Perché sei triste, anima mia? Perché mi turbi? Spera in Dio così potrai lodarlo, lui salvezza del mio volto e mio Dio”(Sal 41, 6). Chi sarà giustificato dalle opere della legge? Davanti a Dio nessuno (Gal 2, 16), ma grazie alla mia fede spero di essere salvato attraverso un dono della sua ineffabile pietà. Satana, retrocedi e allontanati (Ὕπαγε ὀπίσω μου)! Io adoro (προσκυνῶ) il mio Dio e lo servo (λατρεύω) dalla mia infanzia, lui che deve salvarmi con la sua sola pietà. Vattene (Ἀπόστηθι) da me: il Dio che mi ha creato a sua immagine e somiglianza ti ridurrà (καταργήσει σε) all’impotenza![95]

In questi due casi appena citati, secondo noi, il concetto del posto dove «di solito si prega» ottiene nella concezione di Simeone un significato più ampio e non si limita strettamente alla cella – la parte dell’edificio, ma si intende come un posto qualsiasi in cui poter pregare e raccogliersi per incontrare il Signore. In questi casi si rispecchia una certa libertà di Simeone, che non ha il problema di identificare il posto per la preghiera personale con un posto esterno qualsiasi: l’importante è che sia favorevole alla preghiera.

Per esercitare la preghiera personale Simeone incoraggia a trovare un posto solitario, un angolo, oppure ancor meglio, incoraggia ad addentrarsi nel processo della preghiera stessa, ad essere trascinati da essa perché, come si è visto, l’accidia è quella che scoraggia e allontana.

Dunque, possiamo dedurre che per Simeone il posto isolato e soprattutto la cella monastica sono il luogo per eccellenza in cui il monaco può praticare l’esichia e così approfondire la relazione personale con il Signore.

Ora andremo a vedere che cosa si fa nella cella.

3.2. Come si prega – il ruolo del corpo nella preghiera

La posizione del corpo nella preghiera personale del monaco specialmente nell’ambiente del cristianesimo orientale ha un posto importante nella preghiera.

Il corpo, in modo consapevole o inconscio, prende parte ai movimenti dell’anima, ai pensieri, ai desideri, ai sentimenti, alle decisioni. Vi è una differenza fra il movimento del corpo e la posizione del corpo. Il movimento è un atto che passa. La posizione è, al contrario, uno stato che perdura. Il corpo, costretto a restare in una posizione, accomoda, non si sa come, i nervi, i muscoli, la circolazione a questo stato. L’ideale della preghiera orientale […], non è un atto di preghiera, bensì uno stato (katastasis) duraturo, una disposizione stabile, un grido di tutto l’essere umano: “Abbi pietà di me peccatore!”. [96]

Sulla base della Catechesi 30, noi abbiamo scelto due tipi della posizione corporale nella preghiera: essere seduti – κάθημαι,e stare in piedi – ἵστημι e un movimento corporale menzionato da Simeone, cioè fare le prostrazioni – προσκυνέω.

3.2.1. Essere seduti – κάθημαι

Essere seduti –κάθημαι[97].

Partendo dalla Catechesi 30, ci soffermiamo sul verbo «siediti», dove Simeone semplicemente con due parole «entra» e «siediti» dà l’istruzione seguente: «e a sera (ἑσπέρας), entra (εἰσελθών) nella tua cella, siedi sul tuo letto (κάθισον ἐπὶ τῆς κλίνος σου) e passa in rassegna in te stesso»[98]. E’ praticamente l’unico posto dove Simeone istruisce esplicitamente in modo imperativo «siediti», in altre parole, posa le parti posteriori del corpo sopra un appoggio, in questo caso sul letto con le gambe di solito piegate nelle ginocchia. «Siediti», non è collegato all’invito «prega», ma con l’attività definita come «rendersi coscienti».

In modo implicito abbiamo altre prove che potrebbero affermare lo stesso fatto nello stesso momento serale. Nella Catechesi 26 dopo la benedizione serale e dopo che il monaco è entrato nella cella, lo istruisce: «chiudi la porta e, prima di tutto prendi il tuo libro. Leggine due o tre pagine attentamente e poi alzati per pregare […]»[99], e ancora più in avanti dopo l’ufficio serale nella cella e prima di andare a dormire: «Terminata la preghiera, leggi ancora un poco, poi prendi il tuo lavoro manuale». Certo che anche da queste citazioni si potrebbe dedure che la lettura si faceva seduti, dopodiché si alzava per la preghiera oppure si riprendeva il lavoro.

Dunque, anche qui «essere seduti», anche se in modo implicito, viene collegato non con la preghiera ma con un’altra attività spirituale, cioè con la lettura, che come vedremo più tardi, svolgeva un ruolo di aiuto per prepararsi ad entrare nella preghiera oppure ad uscire dalla preghiera.

Per capire meglio il contesto del consiglio di Simeone «entra e siediti», ci aiutiamo con un altro testo. Anche in esso abbiamo una affermazione che ci dice che «essere seduto» era una pratica serale. Simeone racconta che cosa gli sta succedendo essendo nella propria camera, prima di coricarsi a dormire.

Sto seduto (κάθημαι) sul mio letto e sono fuori dal mondo e, mentre sono in mezzo alla mia cella (τῆς κέλλης), io vedo (βλέπω) colui che è al di fuori del mondo, me lo vedo qui; mi intrattengo con lui, e lo amo e anch’egli mi ama (φιλῶ, φιλεῖ με καὶ ἐκεῖνος); io mangio, mi nutro abbondantemente di questa sola contemplazione (τρέφομαι […] τῇ θεωρίᾳ) e, diventando una sola cosa con lui, vedo oltre i cieli e so che questo è vero e saldo, ma dove si trovi allora il mio corpo non lo so. So che discende (κατέρχεται) colui che è immobile; so che mi si fa vedere (ὅτι ὁρᾶταί μου) colui che è invisibile; so che colui che è separato da tutta la creazione mi prende dentro di sé e mi nasconde tra le braccia e allora mi trovo fuori da tutto il mondo, contemplando dentro di me, tutto intero, il Creatore del mondo e so che non morirò, poiché mi trovo dentro la vita e che ho tutt’intera la vita che gorgoglia dentro di me.[100]

Simeone nota che sta seduto sul letto. Si potrebbe specificare che era in una posizione fisica stabile che non cambiava e mentre è seduto, sperimenta la discesa e la presenza del Signore nel suo interno. E’ vero che essere seduti è una posizione assai insolita per avere una «visione» di Dio, ma abbiamo un’altra testimonianza, che testimonia che era «stato rapito (συνηρπάγην) dalla luce dell’amore (τὸ φῶς [sc. τῆς ἀγάπης])» e ha avuto una visione estatica[101] nel momento inaspettato e fuori del contesto della sua preghiera personale.

Simeone è cosciente della grazia di Dio che scende come dono, che lo trascina e questa coscienza della grazia, «essa stessa è la grazia e non risultato degli sforzi dell’uomo», oppure «delle mortificazioni»[102].

Simeone è consapevole della propria esperienza e che l’esperienza della presenza di Dio non dovrebbe essere un’impresa per tentare Dio. Un tale atteggiamento testimonierebbe una mancanza di fede. Infatti vediamo che Simeone è molto libero in questo riguardo, non si sforza di possederla e lascia a Dio l’iniziativa. Alla fine della sua vita in una retrospettiva la stessa sua posizione si afferma decisamente ancora una volta: «Involontariamente (ἀκουσίως), a tratti, salivo sulle cime della contemplazione, e volontariamente (ἑκουσίως) precipitavo giù, per restare nei limiti della natura umana e custodire sicura l’umiltà»[103].

Il testo di Simeone: «laisse alors le Maître, sans l’importuner, se reposer sur ton âme comme sur un lit»[104], Darrouzès lo commenta così: «Simeone vagamente ammette che il sentimento della presenza di Dio non è un dialogo continuo, una visione permanente; i monaci lasciano a Dio l’iniziativa della visione, sottolineando l’inutilità degli sforzi puramente umani e indiscreti»[105]. Simeone praticamente non si concentra per niente sull’importanza della posizione fisica e soprattutto non descrive il modo di essere seduto[106], così come si accentuerà dopo nel movimento esicasta[107].

Dall’esperienza di Simeone sopra citata abbiamo la conferma che è lui che lascia al Signore l’avvicinarsi e egli prende una posizione fisica assai comoda e semplicemente sta seduto, o la posizione che il corpo assume abitato dallo Spirito.

Non risulta che lui avrebbe fatto un sforzo speciale nell’«essere seduto», un esercizio speciale di come «essere seduti». Dunque, la posizione fisica e in questo caso – l’essere seduto, non viene concepita da lui come la posizione necessaria per avere la «visione» e neanche per pregare, ma piuttosto come una posizione comoda per riflettere, per fare una lettura.

«Essere seduti» secondo la concezione di San Simeone, era capito non come posizione della preghiera come tale, ma per prepararsi a pregare, come una posizione fisica che aiuta il monaco a fare una rassegna o una lettura di un testo spirituale e in questo modo conseguentemente come preparazione alla preghiera.

3.2.2. Stare in piedi – ἵστημι

Stare in piedi – ἵστημι[108].

1. La prima fase della preghiera dell’ufficio serale comincia «in piedi» e si prolunga così fino alla fine della recita dei salmi: «mettiti in piedi per la preghiera come condannato (στῆθι εἰς προσευχὴν ὡς κατάκριτος[109].

Per capire meglio, che cosa Simeone intende con l’espressione «stare in piedi» ci aiutiamo con la sua propria spiegazione. Il dinamismo interno durante lo «stare in piedi» viene da lui spiegato così:

Tiens-toi donc droit (στῆσι οὖν), je ne dis pas seulement par le corps (σώματι ὄρθιος)[110], mais par les démarches et les élans de ton âme (ψυχῆς). Fais le silence (Δὸς ἡσυχίαν), en pensant que le roi des rois est arrivé dans ta maison. Parle énergiquement à tous les portiers de ta maison, je veux dire à tes propres sens: “C’est le roi! Tenez-vous bien aux portes (στῆτε καλῶς ἐπὶ τῶν θυρῶν)[111]; tenez-vous en silence et grand respect (στῆτε ἐν ἡσυχίᾳ[112] καὶ φόβῳ).”[113]

Dal testo citato risulta, che «stare in piedi» secondo il pensiero di San Simeone è legato al silenzio –ἡσυχία, e al timore di Dio – φόβος, con la concentrazione su Colui che sta dentro e non al «bussare (Μηδεὶς […] κρούσειε)» e al «grido (κραυγή)» dal di fuori, perché di solito in quel momento vi sono le distrazioni provenienti dai nemici che bussano e gridano. Dunque, per poter stare in piedi integralmente, si parte dalla posizione fisica e corporale ritta, per poi raggiungere, all’interno della persona che prega, l’esichia e il timore di Dio.

Stare in piedi durante la preghiera serale nella cella, ha però per Simeone un carattere penitenziale[114], perciò in piedi si sta come se uno fosse condannato – ὡς κατάκριτος. Nel corso di questa fase della preghiera l’attegiamento penitenziale si sottolinea anche dalla posizione delle mani. Si mettono in varie posizioni per esprimere esternamente i diversi gradi della penitenza interna dell’anima del monaco pregante.

«Le mani estese in alto, verso i cieli»[115]. La prima posizione delle mani durante lo «stare in piedi», esprime la confessione, poiché le mani si estendono in alto, verso i cieli – «ἐκτεῖναι θελήςῃς τὰς χεῖράς σου εἰς τὸ ὕψος τοῦ οὐρανοῦ»[116] e guardandoli pian piano si ricordano e conseguentemente confessano i propri peccati e le azioni malvagie compiute con esse.

Si rende anche consapevoli di uno stato d’incapacità a combattere i logismoi. Lo testimonia un altro caso che Simeone descrive.

Si tratta di nuovo della preghiera in piedi con le mani alzate verso il cielo. Simeone parla di «un uomo, preso dall’accidia (ὑπὸ ἀκηδίας)» che, «si rifugiò in un angolo oscuro (ζοφώδη τόπον καὶ σκοτεινόν). In piedi in quel luogo alzò le mani al cielo (τὰς χεῖρας εἰς οὐρανοὺς ἀνατείνας), si fece il segno della croce e diresse lo sguardo della sua anima verso Dio (ὄμμα τε ψυχῆς πρὸς Θεὸν ἀνατείνας).»[117]

Probabilmente Simeone qui testimonia una delle sue esperienze personali come combattere l’accidia. Per noi è importante che la persona si trovi nella posizione corporale retta e in piedi. Anche qui si usa il verbo ἵστημι – stare in piedi per pregare, s’innalzano (ἀνατείνω) le mani verso cielo e si fa il segno della croce (ὁ σταυρός). Non sappiamo quale tempo passa fra il momento dell’elevazione delle mani e il segno della croce.

L’autore fa una relazione fra alzare le mani e alzare l’anima. Per il movimento interno usa la stessa parola come per quello esterno, cioè ἀνατείνω – alzare, elevare.

La persona che si reca alla preghiera, ha uno stato d’animo assai preoccupante. L’accidia ha capovolto la persona. Lo spirito (νοῦς) dell’orante si caratterizza come χαῦνος, cioè internamente svuotato e σκοτεινός – ottenebrato. La sua anima è completamente distratta (ἄκλυτον αὐτοῦ τὴν ψυχήν)». La compunzione (πένθος) nel cuore (καρδία) è scesa al minimo, e la fiamma dello Spirito (τὴν φλόγα τοῦ Πνεύματος) sta per spegnersi e conseguentemente si rischia che un tipo di ottenebramento come un fumo possa avvolgere l’anima in modo tale che anche il corpo (τὸν οἶκον τοῦ σώματος) continua ad essere nella sonnolenza (νάρκωσις) «al punto da non essere in grado di soddisfare le sue esigenze quotidiane»[118].

Nello stesso tempo nell’orante così colpito c’è anche un certo tipo di azione, un lavoro sull’umiltà del proprio pensiero, che in seguito viene umiliato. Esso serve come sfondo per discernere lo spirito maligno di accidia da quello dell’orgoglio e per notare il loro «gioco» di impossessamento del pensiero.

Accorgendosi di tutto ciò, l’orante confessa di essere stupito (τέθηπα) del fatto e nello stesso momento percepisce una certa impotenza, una incapacità, una disabilità di fare qualcosa contro l’accidia e l’orgoglio e non riesce ad attaccarli. Allora c’è un unico rimedio, un’unica via d’uscita per strappare la propria anima ad essi. Stando in piedi con le mani alzate, il monaco soleva anche il suo sguardo interno dell’anima verso il Signore nella preghiera con fervore (θερμῶς) per poter essere strappato ai tranelli del diavolo.

«Le mani legate dietro la schiena»[119]. La seconda posizione delle mani esprime l’invocazione della misericordia di Dio. Così come si fa con un condannato portato alla morte, anche colui che prega mette le proprie mani dietro la schiena come se fossero legate – «στρέψας οὖν αὐτὰς εἰς τὰ ὀπίσω καὶ συνδήσας», e invoca Dio dicendo: «Abbi pietà di me peccatore»[120]. Durante questa fase si propone di eseguire anche i vari tipi di penitenze ascetiche[121] personali certamente ispirate da Giovanni Climaco: battersi (τύπτε σφοδρῶς), schiaffeggiarsi in viso (ῥάπιζε τὸ πρόσωπόν σου), strapparsi i capelli (τίλλε τὰς τρίχας σου), flagellarsi (μαστίξας σεαυτόν).

«Le mani rivolte verso l’avanti»[122]. La terza posizione esprime la gioia del perdonato, perciò alla fine della fase penitenziale della preghiera serale, di nuovo si sta ritti, con le mani rivolte in avanti[123], e gioiosi nell’anima: «δῆσον τότε τὰς χεῖράς σου ἔμπροσθεν καὶ στῆθι ἐν ἱλαρᾷ τῇ ψυχῇ»[124]. Soltanto dopo che si è giunti a questo stato d’animo, si comincia a recitare due o tre salmi.

2. Nella seconda fasi dell’ufficio serale, di nuovo ci si mette in piedi e raccolti – νοήσεις σεαυτόν, senza distrarsi, si rimane così durante tutto il tempo che il monaco dentro di se riflette su se stesso – la «rassegna (ἀναλογισάμενος)» fino alla fine della preghiera. Si fa un certo tipo di ricapitolazione. Se nel caso, che il Signore dà all’orante la grazia delle lacrime e la compunzione si rimane così finché dura questa grazia.

Nella Catechesi 26 abbiamo la conferma e ricapitolazione di tutto ciò che si è detto sopra per quanto riguarda lo «stare in piedi» durante la preghiera serale. Simeone istruisce il monaco dopo che egli è entrato nella cella e che ha letto attentamente la lettura dicendogli:

alzati per pregare (στῆσι εἰς προσευχήν): salmeggia nella quiete (ἡσύχως ψάλλων) e prega Dio (προσευχόμενος τῷ Θεῷ) mentre nessuno ti ode. Sta’ in piedi raccogliendo i tuoi pensieri (Στῆσι δὲ γενναίως ἐπισυνάγων σου τοὺς λογισμούς) e non permettere loro di andare in giro altrove. Giungi le mani (σφίγξον[125] σου τὰς χεῖρας), unisci ugualmente i piedi: immobili su un solo piano. Chiudi gli occhi perché non guardino a nient’altro e non facciano dissipare la mente. La tua mente, invece, come pure tutto il tuo cuore, elevali (ἆρον) ai cieli e a Dio e, con le lacrime e gemiti, invoca (ἐκκαλούμενος) di lassù la misericordia.[126]

Vi troviamo ancora due cose che non abbiamo incontrato prima, cioè il «tenere unite le mani e i piedi in modo immobile» durante la posizione retta dell’orante e «avere gli occhi chiusi».

Per quanto riguarda gli occhi è chiaro, perché aiutano a non dissipare la mente. Troviamo spiegato il motivo per cui si deve essere con le mani e i piedi uniti e fermi nella descrizione della preghiera eseguita in chiesa durante l’officium del mattutino. Il monaco, combattendo la negligenza della preghiera, nella cella e nello stesso modo anche in chiesa dovrebbe stare tutto il tempo in piedi con «senno e vigilanza, facendo grande attenzione […], senza pigrizia, senza lasciare che il corpo si rilassi col mettere avanti un piede o appoggiarsi alle pareti e alle colonne», con «le mani strettamente congiunte (τὰς μὲν χεῖρας ἀσφαλῶς δεδεμένας), i piedi appoggiati pari sul pavimento (τοὺς πόδας ἐπιστηριζομένους ἄσους τῇ γῇ), la testa immobile (τὴν δὲ κεφαλὴν ἀσάλευτον), senza dondolarla qua e là», con l’unico scopo di essere concentrati e di non lasciare vagare la mente e invece badare sulla salmodia, alle letture e tutto ciò che si fa in chiesa, per poter giungere alla «compunzione (κατάνυξιν), all’umiltà (ταπείνωσιν) e alla divina illuminazione (φωτισμὸν ἔλθῃ θεϊόν) dello Spirito Santo»[127].

Si potrebbe affermare che nella cella durante la preghiera personale nello stesso modo come anche in chiesa, l’orante sta in piedi come se fosse «con gli angeli del cielo», e dato che lo sforzo ascetico di stare in piedi con rigoroso controllo della posizione corporale aiuta a badare (πρόσεχε) a «se stessi (σεαυτῷ μόνῳ)», alla «salmodia (τῇ ψαλμῳδίᾳ)» e all’attenzione «ai propri peccati (ταῖς ἁμαρτίαις σου[128], il tempo della preghiera personale e privata si trascorre in modo più qualitativo e utile per l’anima.

Lo sforzo ascetico di «stare in piedi» in cella nel tempo della preghiera, aiuta la persona che prega ad entrare nello stato penitenziale e a non dissiparsi, anzi a concentrarsi spiritualmente e rendersi conto del proprio status quo interno, cioè delle proprie debolezze, mancanze e incapacità, per poter in seguito innalzarli con le invocazioni verso Dio misericordioso.

3.2.3. Le prostrazioni

Le prostrazioni – προσκυνήσεις[129], fanno parte integrale dell’ufficio serale. Simeone testimonia che esse hanno luogo dopo la lettura dei «due o tre salmi» nella quantità secondo le possibilità fisiche e personali[130]. Nella seconda Epistola invece precisa che si tratta di salmi penitenziali (50 e 6 secondo la numerazione dei LXX) intramezzati da brevi preghiere penitenziali[131] e indica anche la loro quantità – ogni preghiera dell’elenco si ripete cinquanta volte – e alla fine dell’elenco del «programma serale» eseguito, si aggiungono ancora venticinque μετανοίας[132]. La quantità delle preghiere che vanno recitate e la quantità delle metanìe svolte differisce. Perciò la diferenza della quantità ci conduce ad affermare che adempiendo le prostrazioni non si recita nessuna preghiera. Dai testi sopra citati risulta che le metanìealla fine del blocco delle preghiere si compiono in silenzio.

Nel tempo di penitenza cioè nel periodo dei digiuni liturgici[133] del Grande digiuno(τὴν δέ Μεγάλην τεσσαρακοστήν),di Natale(τῶν Χρίστου γέννων), degli Apostoli (τῶν Ἀποστόλων), il numero delle preghiere e anche delle prostrazioni si raddoppia e cioè si compiono cinquanta metanìe.

Nella Catechesi 30 abbiamo ancora una altra testimonianza della metanìa, e anche se essa viene fatta dopo la fine della preghiera liturgica cioè del mattutino, in un certo senso esprime, alla fine della preghiera liturgica, l’atteggiamento piuttosto personale e soggettivo del monaco che lascia l’ambiente della chiesa e si reca nella propria cella.

Finita la divina lettura e fatta la consueta metanìa(μετάνοιαν) a entrambi i cori, considerando tutti non con disprezzo (μὴ καταφρονητικῶς) o negligenza (μηδὴ ῥαθύμως), bensì come figli di Dio e tutti i santi, prostrati (προσπεσών), posa la testa sul pavimento, e di’ segretamente (λέγε μυστικῶς) nel tuo cuore (ἐν τῇ καρδίᾳ) a tutti loro: “Pregate per me e perdonate me peccatore e indegno del cielo e della terra, voi santi di Dio (Εὔξασθε καὶ συγχωρήσατέ μοι, τῷ ἁμαρτωλῷ καὶ ἀναξίῳ τοῦ οὐρανοῦ καὶ τῆς γῆς, ἅγιοι τοῦ Θεοῦ)”.[134]

Questa testimonianza è per noi interessante perché ci mostra che comunque, il monaco esercitando la prostrazione, si incoraggiava misticamente, cioè nella profondità del proprio cuore, a unire al movimento penitenziale del corpo espresso per mezzo dellametanìa, la preghiera di contenuto penitenziale – l’espressione del proprio spirito. Simeone, infatti vede l’uomo come unità organica del corpo e anima, una totalità psico-somatica[135].

L’atteggiamento del monaco prostratosi è quello del pentimento insieme all’accoglienza nel cuore dell’umiltà e alla disposizione a guardare i confratelli con la considerazione positiva di figli di Dio, senza disprezzo e nessuna negligenza.

Se il monaco nella relazione verso i propri confratelli era incoraggiato ad unire alla metanìa anche le parole della preghiera, dobbiamo ammettere che poteva farlo liberamente anche nei confronti del Signore, eseguendo le metanìe nella propria cella nel corso della preghiera serale.

Simeone soltanto una volta menziona le genuflessioni (γονυκλισίας)[136] e le mette in rilievo nella Catechesi 22, spiegando la preghiera serale del giovane Giorgio eseguita nella sua casa privata dopo che tornava dai suoi incarichi nel mondo: «ed egli faceva frequenti genuflessioni e prostrazioni (συχνότερον ἐπὶ τὴν γὴν καὶ ἐπὶ πρόσωπον γονυκλισίας ἐποίει) tenendo i piedi uniti e immobili»[137]. Si specifica, che le genuflessioni erano per terra (ἐπὶ τὴν γήν) cioè le metanìe piccole, e sulla faccia (ἐπὶ πρόσωπον) cioè le prostrazioni grandi. Da questo risulta che Simeone parlando delle genuflessioni praticamente intendeva le metanìe.

Alla fine di questa parte vogliamo soltanto aggiungere una nozione importante. Simeone stesso parla del pericolo di poter esagerare con le parole e con i propri movimenti corporali che dovrebbero esprimere il pentimento pensando che forzando così il cielo con le proprie forze ci si aggrappa a Dio stesso più velocemente. Anzi, egli era consapevole che un simile atteggiamento poteva causare frutti opposti in modo tale che anima e cuore rimanevano amareggiati.

Ne l’accable pas de paroles (πολυλόγει) et de prosternations (πρόσπιπτε), en osant sans rougir calculer à part toi et dire: “Je vais montrer une ferveur extraordinaire et un amour très ardent pour lui, afin qu’il admette ma bonne intention et qu’il connaisse que je l’aime et que je l’honore.” Sache-le bien, avant même que tu les conçoives, lui de son côté sait (ἐννοῆσαι) toutes les démarches de ta pensée (διαλογισμούς) sans que rien lui échappe. Ne tente pas non plus de le retenir avec les mains de ton intelligence (νοεραῖς χερσί), car il est insaisissable (ἄληπτος), et tu auras beau t’enhardir à le toucher ou t’imaginer le tenir, tu n’auras rien au-dedans; au contraire il disparaîtra (ἕξεις) aussitôt entièrement de toi, et toi, avec beaucoup de regrets (μεταμεληθήσῃ) et de larmes (κλαύσεις), tu te meurtriras toi-même de coups sans en retirer vraiment aucun avantage.[138]

Risulta, che l’orante durante la preghiera deve essere molto attento al «come» eseguire ed adempire in modo giusto tutte le tappe della preghiera personale.

Il suo consiglio, sicuramente basato sulla sua esperienza, ci porta a pensare che dalla parte del monaco è importante avere consapevolezza ed anche un certo programma fisso per quanto riguarda certe posizioni fisiche che qui abbiamo visto: seduti, in piedi, prostrazioni, metanìe. Ciò vale anche per le preghiere prescritte più o meno in un certo ordine, ma nonostante tutto si deve lasciare lo spazio al Signore, che liberamente può visitare la persona con la propria grazia.

3.3. La fase preparatoria della preghiera personale

3.3.1. La lettura

La lettura ἀνάγνωσις[139] delle «Scritture» è capita da Simeone come lettura personale indirizzata alla persona stessa che legge. Simeone quando parla della lettura ha in mente la lettura della Sacra Scrittura e la lettura dell’insegnamento dei santi Padri[140].

La lettura ha un scopo preciso, aiuta al discernimento[141] spirituale dei pensieri che sopravvengono.

«Noi dobbiamo dunque discernere con cura tutti i pensieri (λογισμοὺς διακρίνειν) che ci sopravvengono e opporre loro le testimonianze delle Scritture divinamente ispirate (θεοπνεύστων Γραφῶν) e dell’insegnamento (τῆς διδασκαλίας) dei nostri santi padri spirituali (τῶν πνευματικῶν καὶ ἁγίων πατέρων)» e se questi pensieri sono «in armonia con quelle testimonianze e hanno lo stesso senso, dobbiamo trattenerli con tutte le nostre forze e metterli in esecuzione»[142]. Altrimenti si devono scacciare con grande ira (μετ᾽ ὀργῆς πολλῆς). Perciò scrutare le divine Scritture è un grande bisogno spirituale.

a) Sacra Scrittura

Al primo posto è la lettura della Scrittura, cioè della Parola divina. Simeone lo giustifica con le parole stesse del Signore: «“Scrutate le Scritture (Ἐραυνᾶτε τὰς Γραφάς)”(Gv 5, 39). Scrutate e ritenete (κατέχετε) con grande rigore e fede ciò che esse dicono in modo che sapendo con esattezza la volontà di Dio in base alle divine scritture, possiate discernere il bene del male (δύνησθε τὸ καλὸν διακρίνειν ἀπταίστως ἀπὸ τοῦ χείρονος) e non ubbidire invece ad ogni spirito né essere portati qua e là dai pensieri nocivi»[143].

La Sacra Scrittura aveva il posto principale nella lettura quotidiana di San Simeone. La Vie ci testimonia che nel monastero di San Mama: Simeone la mattina dopo la lettura dei salmi– kathismata in chiesa, si immergeva nelle sacre Scritture (εἶτα ταῖς θείαις ὁμίλει γραφαῖς) (26, 20); fino alla note tardi poteva perseverare nella preghiera e nell’approfondimento delle sante Scritture (ὁμιλίαν τῶν θείων γραφῶν) (27, 14); in chiesa con grande attenzione ascoltava la lettura delle divine Scritture (27, 5), perché è Dio stesso[144] che parla attraverso il lettore; dopo le sue dimissioni quando esorta il suo successore a San Mama, l’igumeno Arsenio, egli sottolinea l’importanza della meditazione delle divine Scritture (τὴν μελέτην τῶν θείων γραφῶν) (62, 11). La meditazione[145] della sacra Scrittura era per lui una realtà importantissima: «Rien, absolument rien d’autre n’est plus avantageux pour une âme qui a choisi de méditer (μελετᾶν) nuit et jour la loi de Dieu que de scruter les divines Écritures (ἡ τῶν θείων γραφῶν ἔρευνα[146].

Non si tratta di imparare a memoria il testo della Scrittura (τὰς Γραφάς) e leggerlo come se fosse un salmo. Sarebbe una ignoranza del dono di Dio che è nascosto dentro come in uno scrigno. I testi biblici portano in se e nascondono come in uno scrigno una ricchezza accessibile, solo per coloro che hanno gli strumenti per schiuderla ed aprirla. Questi strumenti sono i comandamenti e le virtù. Per comprendere, conoscere e interpretare bene il contenuto delle Scritture ci vuole la grazia dello Spirito[147]. Perciò le Scritture vanno scrutate, associate, meditate, e possedute fortemente. Il capire le letture dipende dall’adempimento dei comandamenti di Dio e dalla grazia di Dio. Ci deve essere la sinergia di queste due realtà.

Leggere la Scrittura diventa una sorgente dell’ispirazione mistica. Come primo livello si legge la Scrittura, si è attenti alle parole e si comincia a capire il senso letterale. Come seconda fase si comincia ad’attribuire le parole della Scrittura a se stessi. Mentre vengono lette le divine Scritture, Simeone afferma che l’uomo dovrebbe fare un lavoro su sé stesso, cioè «deve guardare sé stesso, riflettere e osservare come in uno specchio la propria anima»[148]. Questo aiuta l’uomo a capire la condizione in cui si trova nel caso di negligenza, cominciare ad adempire i comandamenti, perché più si osservano i comandamenti più si capisce la profondità della Scrittura. Nella terza fase è Dio stesso che si fa vedere e con la grazia dello Spirito Santo e attraverso la comunione con la luce divina l’uomo diventa gnostikos e acquista una conoscenza perfetta del senso mistico della Scrittura.[149]

Simeone rigetta l’affermazione di quelli che dicono che non hanno mai sentito niente durante la contemplazione e rivelazione, e che hanno ricevuto la grazia soltanto dall’ascolto attraverso il ragionamento e la fede e non attraverso l’esperienza (πείρα)[150]. Non considerava la Scrittura come oggetto d’interpretazione, ma egli stesso è diventato soggetto della narrazione e la Scrittura veniva da lui capita per mezzo dell’esperienza (πείρα).[151]

b) La lettura – ἀνάγνωσις

La lettura spirituale faceva parte integrante della giornata del monaco studita[152]. Oltre l’ufficio liturgico eseguito in chiesa, la lettura doveva fare parte anche della preghiera personale nella cella.

Simeone stesso ha la pratica di leggere la Sacra Scrittura, come abbiamo già visto, ma leggeva anche i testi dei Padri.

Simeone consiglia ai giovani monaci di fare la lettura – ἀνάγνωσις nella cella dopo l’apodeipnon quando si è rientrati nella cella e dopo aver chiuso la porta: «prendi il tuo libro (ἐπιλάβου τοῦ βιβλίου). Leggine (ἀναγνούς) due o tre pagine»[153]; prima del mattutino nel caso si sia svegli: «non riaddormentarti ma persevera nella preghiera e nella lettura (ἀναγνώσει καρτέρησον) fino al suono del simandro»[154]; dopo il mattutino quando si finisce la preghiera della regola (Cat., 26, 73), la mattina dopo che si è preso un po’ di cibo: «prendi il tuo libro (ἐπιλάβου τοῦ βιβλίου)» e «dopo aver letto un poco (καὶ ἀναγνοὺς ὀλίγον), sdraiati.»[155].

Per quanto riguarda i testi che potevano essere letti come lettura spirituale si possono soltanto dedurre, perché esplicitamente Simeone non parla di testi precisi, prescritti per la lettura. Dalla sua vita e dalle testimonianze dei suoi scritti mai possiamo riportare alcun testo.

Simeone ancora come giovane ragazzo nel mondo[156], dopo il consiglio del suo padre spirituale, legge[157] tre brani di Marco l’Eremita. Questi brani erano per lui significativi. Essi hanno influenzato la sua preghiera personale. Infatti, lui legge questi tre testi come una preparazione, prima di dedicare il tempo alla preghiera.

Per quanto riguarda il contesto di quei testi possiamo dire che nel primo brano si tratta della cura della coscienza[158], nel secondo si sottolinea che prima di cercare l’operazione dello Spirito Santo si deve praticare i comandamenti[159], e nel terzo si spiega la differenza tra la preghiera corporale di coloro che non hanno ottenuto ancora la conoscenza spirituale e l’adorazione del Figlio di Dio da parte di coloro, che hanno già ricuperato la vista spirituale[160].

Un altro fatto assai interessante della sua giovinezza (Vie, 19) è che una volta, prima di andare a pregare, al posto di leggere un libro spirituale aveva parlato con il suo padre spirituale e discutevano di cose spirituali, cioè concretamente della grazia divina e come ottenere la grazia dello Spirito Santo. Finito il discorso profondamente fraterno, il giovane Giorgio ha avuto una «visione». Questa non era la lettura tipica come preparazione per la sua preghiera, cioè di un libro di un autorevole padre spirituale, ma le parole di Simeone lo Studita che lo hanno preparato bene. Fondandosi su questo fatto ci sembra che in questo caso anche una conversazione spirituale con il padre spirituale si potrebbe in certo senso considerare come un tipo di lettura spirituale.

Niceta Stetato afferma[161] che Simeone leggeva le vite degli antichi asceti e conosceva bene le loro testimonianze ed gli esempi della vita ascetica da seguire. Infatti, ne troviamo testimonianze[162] nei suoi scritti.

Simeone come igumeno prima di descrivere dettagliamente la preghiera serale, incoraggia[163] di leggere il testo della penitenza di San Giovanni Climaco, cioè il quinto grado della Scala. Dalla proposizione di Simeone e specialmente dal modo che propone per la preghiera nella cella, si vede la somiglianza con ciò che descrive Climaco[164].

La lettura spirituale nella vita del monaco fa parte della preghiera personale. Anche essa appartenendo al metodo della penitenza aiuta a recuperare la «dignità divina (θεῖον ἀξίωμα)» e «l’essere in Dio (ἐν τῷ Θεῷ)», i doni perduti a causa dei peccati dopo il battesimo.

3.3.2. L’esame di coscienza

Prima di fare l’esame di coscienza è importante prepararsi «da lontano» con certi pensieri e ragionamenti sforzandosi durante tutto il giorno. Essi aiutano a non dissiparsi durante la giornata, e nello stesso tempo la sera entrando nella cella, prendendo la giusta posizione corporale aiutano ad entrare pian piano nell’esame di coscienza.

Dice Simeone: «e passa in rassegna (ἀναλογισάμενος)[165] in te stesso tutto ciò che si è detto»[166].

a) fase preparativa – «rendersi coscienti»

Dietro questo «rendersi coscienti» si nasconde un accumulo di ragionamenti, un riassunto con i pensieri: sia del passato – ricordarsi del passato vissuto nel mondo prima di farsi monaco e scrutare la vanità delle azioni compiute sull’esempio della parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-32)[167]; sia del futuro – farsi i propositi di condurre una vita ascetica e d’asceta con tutto ciò che essa porta con sé, incoraggiarsi ad essa.

Riportiamo qui il dialogo interno fra sé e sé della «presa in rassegna» proposto da Simeone:

Quanti giorni e quanti anni della mia vita ho lasciato passare nella dissipazione […]! Come sono stato vanno sino ad ora […]! Che mi giova la vita presente […]? […] vivrò fino a domani? Ho mangiato […]. Mi sono fatto bello con gli abiti, mi sono divertito […], mi sono arricchito […], ho fatto uso dei bagni […], ho frequentato amici, gente illustre […], ho alloggiato in case […]. Che profitto ne ho ricavato sinora oppure che potrà essermi utile […]? Davvero a nulla! Ma almeno ora i giorni che mi rimangono da vivere quaggiù non li passerò invano […]: voglio cominciare a fare anch’io l’opposto di tutto ciò, come i santi Padri. Digiunerò […]. Vestirò abiti vili […]. Rinuncerò […]. Parenti, amici e compagni li rinnegherò tutti […]. Così facendo mi alzerò a mezzanotte; mi prostrerò e piangerò […] e dirò a Dio: “O Sovrano (Δέσποτα), Signore (Κύριε) del cielo e della terra, so che ho peccato più di qualsiasi creatura umana. Ma a partire da questo momento […], non ti abbandonerò, non mi volgerò indietro, non toccherò più ciò che è vano e malvagio. […] Ma tu, mio Dio (ὀ Θεός μου), conosci la mia debolezza (ἐπιγινώσκεις μου τὴν ἀσθένειαν) […]. Aiutami (βοήθησόν μοι), […] non mi abbandonare (μὴ ἐγκαταλίπης με) e non permettere troppo a lungo che il Nemico mi derida e si prenda gioco di me, poiché da questo momento io sono tuo servo, o Buono (ἀγαθέ).”[168]

Come possiamo notare la «rassegna» non è nient’altro che la vera preghiera e in certi aspetti secondo noi segue la struttura dell’anafora[169] liturgica: con la parte anamnetica, cioè il ricordo dei momenti della propria storia econ la parteepiclectica, cioè l’invocazione dell’aiuto di Dioe la terza partedossologica, cioè la glorificazione di Dio che è «Buono». Dunque, per la preghiera penitenziale che seguirà, il monaco si prepara con la preghiera della «presa in rassegna». Anche questo momento privato e intimo del monaco è quello di formarlo alla preghiera costante, per inculcare in lui il lavoro personale della preghiera. La preghiera è infatti l’unico compito e il contenuto della vita, l’espressione spirituale dell’«altro mondo» e della comunione con la realtà del Regno.[170]

Il «prendere in rassegna» si propone soprattutto a coloro, che appena sono fuggiti dal mondo e possono avere certe confusioni, incertezze oppure la tentazione di girarsi indietro e così indebolire la loro scelta. Ma non solo, anche a tutti coloro che vogliono avere viva la motivazione della propria rinuncia al mondo e che dal punto di vista qualitativo vogliono passare bene il tempo privato davanti al Signore e alla sua presenza rendendosi ben conto di chi sono e presso di chi si trovano. In altre parole il «prendere in rassegna» serve come mezzo di aiuto, come strumento per disegnare da dove si è partiti e dove si vuole arrivare.

b) esame di coscienza – rendere grazie, esaminare se stessi

L’esame di coscienza[171] fa parte della preghiera personale. Simeone il Nuovo Teologo è nella linea del suo padre spirituale, Simeone lo Studita il quale propone: «Conserva costantemente il timore di Dio e ogni giorno esamina (ἀνακρίνω) te stesso su cosa hai fatto di buono o di cattivo»[172], e precisa che questo esame si dovrebbe fare alla fine del giorno quando sta cadendo la sera.

Simeone propone l’esame di coscienza come fase preparatoria per la preghiera personale nella cella. Al momento del limite fra giorno e notte, per lui è molto importante proporre al monaco di fare un lavoro interno:

rendi grazie (εὐχαρίστησον) prima di tutto perché sei stato fatto degno di giungere alla fine del giorno e al principio della notte. Poi esamina te stesso (εἶτα κατανόησον σεαυτόν)[173] e pensa a tutti i peccati (ἐνθυμήθητι ὄσα ἤμαρτες τῷ ποιήσαντί σε Θεῷ) che hai commesso contro Dio […]: egli non si è adirato (οὐκ ὠργίσθη), non si è distolto da te (οὐκ ἀπεστράφη σε) a motivo dei tuoi peccati (διὰ τὰς ἁμαρτίας σου).[174]

Vediamo che Simeone propone l’esame di coscienza che consiste in due parti: la prima è il rendimento di grazie per il fatto di poter raggiungere la fine del giorno, arrivare all’inizio della notte – è una proposta e come tale ha una causa direi teologica, perché anche con il ringraziamento dell’esame di coscienza il monaco, anche in questo modo, ha la possibilità di vivere lo stato eucaristico[175]; la seconda è il riconoscere e rendersi conto dei propri peccati da una parte e dall’altra della misericordia di Dio e della sua benevolenza e longanimità. In realtà si è consapevoli dell’assenza dell’ira dalla parte di Dio verso il peccatore, come anche del fatto che Dio non manca di essere propizio verso di lui. Si vedono i segni della filantropia divina, che continua a dare la vita per mezzo dei doni palpabili – il cibo, gli abiti, la cella – i doni necessari per vivere malgrado la peccaminosità.

Simeone il Nuovo Teologo nella proposizione di fare l’esame di coscienza non si sofferma tanto sulla specie dei peccati, e non fa un elenco e non li enumera così dettagliatamente come suo maestro spirituale[176], anzi li menziona in modo molto generico dicendo «pensa a tutti i peccati che hai commesso contro Dio». Per lui, sembra più importante porre l’accento sul rendersi conto della relazione che c’è fra Dio longanime e il peccatore. Facendo così un’anamnesi piuttosto della bontà di Dio nel riguardo del peccatore, che dei peccati stessi. Il monaco cogliendo in sé la memoria di Dio longanime in sé, rimane nella presenza di Dio e così preparato può accedere alla preghiera serale stessa.

Mettendo nell’esame di coscienza in contrapposizione i propri peccati alla misericordia di Dio si crea una tensione che a sua volta stimola lo spazio per lo spirito della penitenza fervente – θερμῆς ὡς ἀληθῶς μετανοίας ed essa a sua volta con le proprie capacità suscita presto lacrime (δακρύων) e compunzione (κατανύξεως) nel cuore, specialmente quello indurito.

Una volta fatto l’esame di coscienza Simeone consiglia di preparare il luogo per il riposo: «alzati, stendi la tua stuoia per terra e metti una piccola pietra per cuscino, e prepara così il giaciglio sul quale ti sdraierai.»[177]

Qui lascia la scelta libera. Si potrebbe andare tranquillamente a riposare. Ma per non perdere quello spirito che si è creato con la «presa in rassegna» e con l’esame di coscienza, per non raffreddare il cuore appena riscaldato, per non disperdere i beni faticosamente accumulati con il lavoro spirituale appena svolto, anzi per sfruttare «l’onda» del cuore caldo che potrebbe portare verso il «mare aperto», non ordina, ma come vero padre consiglia un concreto metodo della penitenza con la propria struttura e forma. Simeone chiama questo metodo τρόπος τῆς μετανοίας – il «modo» o la «maniera della penitenza».

Il suo consiglio si appoggia su un argomento teologico-spirituale, perché secondo lui ci sono coloro che non hanno bisogno di fare la penitenza:

Chi infatti dopo il battesimo si è custodito senza macchia per Dio e ha conservato intatta la conformità all’immagine (τὸ κατ᾽ εἰκόνα διατηρήσας τῷ ποιήσαντι καὶ πλάσαντι ἄχραντον) di colui che lo ha fatto e plasmato, non avrà bisogno d’altro per risalire alla condizione primitiva: poiché egli è in Dio (τυγχάνων ἐν τῷ Θεῷ).[178]

Della consigliatapenitenza –τρόπου πρὸς μετάνοιαν, hanno bisogno invece i peccatori che dopo il battesimo si sono contaminati con «azioni sconvenienti e iniquità (πράξεσιν ἀτόποις καὶ ἀνομίας)» e «con le sue dissolutezze hanno reso il tempio del proprio corpo […] casa di piaceri, di passioni e di demoni (οἶκον ἡδονῶν καὶ παθῶν καὶ δαιμόνων ἀσώτως ἀπεργασάμενος[179]. Perciò il τρόπος τῆς μετανοίας è il modo e maniera per rendere propizio Dio e recuperare ciò che si è perduto con la propria vita peccaminosa, cioè la dignità divina (θεῖον ἀξίωμα).

Tutta questa preparazione serve per fare una penitenza, un grido a Dio con molte lacrime e con poche parole come lo afferma Simeone lo Studita[180]. Simeone il Nuovo Teologo da buon discepolo sviluppa la nozione del suo maestro in modo più ampio e disegna uno schema della preghiera serale nella cella, una preghiera con carattere penitenziale, con il pentimento che avvicina a Dio.

Tout homme en effet, en proportion de sa pénitence (μετανοίας), trouve la franchise et la familiarité correspondantes à l’égard de Dieu, et cela, sciemment et clairement (γνωστῶς καὶ ἐναργῶς), comme un ami auprès d’un ami (τις φίλος πρὸς φίλον) ; il lui parle face à face (προσώπῳ πρὸς πρόσωπον) et le voit nettement avec les yeux de l’intelligence (νοεροῖς ὀφθαλμοῖς καθαρῶς).[181]

3.4. Il contenuto e la struttura della τετυπωμένη εὐχή

Marco l’Eremita, citato dal nostro autore, nella Lettera al Monaco Nicola ci spiega che cosa intende nelle parole «lotta del corpo» quando dice: «Tutto il trasudare della concupiscenza carnale raffreddalo e disseccalo mediante la frugalità, la temperanza nel bere e le veglie di notti intere»[182]. E inoltre conferma che chi vive lontano dagli uomini lotterà più facilmente e percepirà il proprio progresso se «passa il tempo lottando nella preghiera, mangiando con frugalità, bevendo poca acqua e vegliando molto»[183].

Nelle opere di Simeone possiamo notare alcune forme esterne della preghiera personale dalle quali possiamo avere una immagine reale almeno dal punto di vista esterno a seconda che si proseguisse, se si proseguiva, nella cella oppure in un posto solitario per realizzare la preghiera personale chiamata anche la preghiera della regola τετυπωμένη εὐχή[184]. Essa era una regola delle preghiere adeguate ed adatte ad ogni monaco, consultate ed affermate dall’autorità monastica secondo le misure di ognuno e probabilmente prescritte anche nella regola del monastero[185].

Infatti anche nei testi di San Simeone, che esamineremo in questa parte del nostro lavoro, incontriamo l’espressione τετυπωμένη εὐχή – la preghiera della regola. Da testi qui riportati notiamo che la preghiera della regola eseguita fra compieta e mattutino aveva due fasi: la prima era la preghiera dopo la compieta chiamata l’ufficio serale – τῆς ἐσπέρας ἀκολουθία; la seconda – la preghiera prima del mattutino.

3.4.1. L’ufficio serale – ἡ τῆς ἐσπέρας ἀκολουθία

Ora cercheremo di osservare lo sviluppo della struttura della preghiera serale di Simeone dagli inizi della sua vita spirituale fino al diventare monaco e igumeno.

a) La testimonianza sulla preghiera del giovane Giorgio, con la «visione» alla fine (Cat., 22, 62-70, 75-80)

Cominciamo dalla gioventù di Simeone e cioè dall’esperienza del giovane Giorgio. La lettura spirituale del testo di Marco l’Eremita donatogli dal suo padre spirituale Simeone lo Studita – già visto sopra quando abbiamo spiegato la fase preparatoria della preghiera – ha giocato un ruolo importante.

Possiamo dire che il principio d’attivazione della preghiera dell’ufficio serale (ἡ τῆς ἐσπέρας ἀκολουθία)[186] per il giovane Giorgio, era il testo di Marco l’Eremita «sulla coscienza». Il giovane Giorgio doveva pregare la sera ancora prima di andare a dormire, lasciandosi istruire dalla propria coscienza:

Se la coscienza (συνειδήσεως) gli diceva: “Su, fa’ altre metanìe, aggiungi altri salmi[187], di’ ancora il ‘Kyrie eleison’: lo puoi!”, egli ubbidiva (ὑπήκουε)[188] con ardore (προθύμος) e senza esitazione (ἀδιστάκτως), eseguiva tutto come se gli venisse detto da Dio stesso. E da allora non si addormentò mai lasciando che la coscienza potesse muovergli rimprovero e dirgli: “Perché non hai fatto questo?”. Egli dunque la seguiva senza nulla trascurare, ed essa aggiungeva ogni giorno qualcosa alle sue domande, cosicché in pochi giorni il suo ufficio della sera (ἡ τῆς ἐσπέρας ἀκολουθία) si allungò di molto.[189]

Questo caso è assai speciale perché non si tratta del monaco, ma semplicemente di un giovane ragazzo che vivendo nel mondo cerca di eseguire la preghiera personale serale; la sua preghiera non era stabile dal punto di vista della struttura, poiché la eseguiva con libertà ascoltando la propria coscienza e perciò si può ammettere che non era uguale per tutte le sere. Infatti, si nota che la sua preghiera in pochi giorni era cresciuta e si era allungata molto in modo tale che si prolungava fino a tardi, probabilmente persino fino alla mezzanotte oppure fino alla mattina.

Di ciò che si è detto (Cat., 22, 62-70) possiamo affermare almeno i seguenti punti quanto alla struttura:

– le diverse metanìe – ἑτέρας μετανοίας

– altri salmi – ἅλλους ψαλμούς

Κύριε ἐλέησον.

Qualche versetto più avanti, Simeone aggiunge i dettagli e le precisazioni della stessa preghiera del giovane Giorgio (Cat., 22, 75-87) e specifica anche le circostanze:

-le genuflessioni – γονυκλισίαι (difatti le metanìe)

– le preghiere – εὐχαί:

   salmi – ψαλμοί

   Κύριε ἐλέησον

   le preghiere allaMadre di Dio[190]

   «Dio sii propizio a me peccatore» – Θεός, ἱλάσθητί μοι τῷ ἁμαρτωλῷ[191]

– la «visione».

Rispetto allo schema precedente, il nuovo elemento che possiamo osservare è la preghiera alla Madre di Dio recitata con «impegno, con gemiti e lacrime». Le metanìe si facevano gettandosi per terra «come se il Signore fosse corporalmente presente». L’orante prendeva su di sé il ruolo del cieco, stando in piedi, piuttosto con l’intelletto (τῷ νοΐ) che con la bocca (τῷ στόματι) «gli chiedeva di ottenere misericordia e di riacquistare la vista spirituale»[192]. Simeone osserva che la preghiera era accompagnata da tante lacrime (δάκρυα).

Il caso della preghiera del giovane Giorgio è speciale, perché una volta praticando la preghiera in questo ordine, mentre interiormente esprimeva «Dio sii propizio a me peccatore», fu portato alla «visione» di Dio e, dopo essere ritornato in se stesso, fu riempito di «gioia (χαρά) e stupore (ἔκπληξις)» e «piangeva di cuore» e «le lacrime erano accompagnate dalla dolcezza (γλυκύτης[193].

Nella tabella seguente riportiamo ambedue le strutture della preghiera del giovane Giorgio. La parte seconda della tabella ci interessa di più per il motivo che mostra la struttura più sviluppata. La useremo per la comparazione finale.

Tab. 1[194]

(Cat., 22, 62-70)   1. le diverse metanìe – ἑτέρας μετανοίας   2. altri salmi – ἅλλους ψαλμούς 3. Κύριε ἐλέησον  —  —  — (Cat., 22, 75-87)   1. le genuflessioni – γονυκλισίαι le preghiere – εὐχαί: 2. salmi – ψαλμοί 3. Κύριε ἐλέησον -le preghiere allaMadre di Dio Θεός, ἱλάσθητί μοι τῷ ἁμαρτωλῷ -la«visione»

Possiamo affermare che il giovane Giorgio faceva tanto uso della preghiera serale ancora prima di cominciare la vita monastica e, certamente in questo concreto caso non c’è dubbio che fosse influenzato da Simeone lo Studita, suo padre spirituale. Più tardi, entrando nel monastero, egli prolungava la sua pratica personale che, già prima di diventare monaco, di per sé assomigliava alla pratica monacale per la sua lunghezza, intensità, impegno. Il giovane Giorgio non essendo ancora monaco pregava già come se fosse monaco.

b) La «visione» del giovane Giorgio nello Stoudios (Vie, 19)

L’altra testimonianza riportata dal suo biografo riguarda il periodo in cui era già entrato nello Stoudios. Con essa possiamo renderci conto che non si menziona nessuna preghiera, né salmo, né metanìa o qualche cosa di ciò che abbiamo visto fino ad ora. Niceta Stetato descrive soltanto ciò che con Simeone è successo nel momento della «visione estatica».

Circa verso l’ora terza della notte, il giovane Giorgio parla con Simeone il Pio, esprime il suo desiderio di ottenere la grazia di Dio e il padre spirituale a sua volta lo incoraggia contro gli assalti demoniaci. Simeone, dopo essersi ritirato in cella, all’improvviso ha una esperienza mistica nella quale osserva che la mente (τοῦ νοός) era stata afferrata e riempita di gioia dolcissima (ἡδυτάτης εὐφροσύνης), l’anima (τὴν ψυχήν) era rapita all’amore divino (πρὸς ἔρωτα θεοῦ), lo spirito ribolliva, il cuore era contrito e si rende conto che «si prostra davanti a Dio (τῇ ζέσει τοῦ πνεύματος ἐν συντετριμμένῃ καρδίᾳ προσπίπτει[195] θεῷ)», si trova a terra e piange, ed esprime il rendimento di grazie (τὴν εὐχαριστίαν ἐξομολογούμενος ἀπονέμει)[196].

Osserviamo che prima dell’inizio della preghiera, al posto della lettura di un brano spirituale c’è il discorso reciproco con il suo padre spirituale sulla materia spirituale di cui attualmente è preso e che probabilmente lo ha riscaldato spiritualmente in modo tale che lo ha svincolato per la grazia della «visione». Subito dopo la «visione», che dal giovane Giorgio non era né progettata e né programmata, segue una spontanea, semplice e profonda prostrazione davanti al Signore che trabocca con le lacrime di gioia e il rendimento di grazie.

c) La «visione» del giovane Giorgio nello Stoudios (Cat., 16, 78-151)

Simeone stesso nella Catechesi 16, 78-151, testimonia la sua seconda grande esperienza mistica accaduta durante il suo primo anno nel monastero di Stoudios e di ciò che accaddè prima e subito dopo di essa.

Dopo che il giovane Giorgio, insieme con il suo padre spirituale San Simeone il Pio avevano trascorso una giornata impegnativa nella città di Costantinopoli, fuori dal monastero, a motivo dell’accompagnamento spirituale, insieme erano tornati nel monastero, avevano mangiato e parlato sulle cose spirituali e Giorgio, il giovane candidato, aveva ottenuto da Simeone il Pio il consiglio di pregare soltanto il Trisagion[197], e poi di andare subito a dormire. Sembra che il tempo fosse già dopo la compieta.

Simeone entrò (εἰσελθών) dunque «dove era solito pregare e cominciò a dire “Santo Dio”». Non sappiamo se continuava a pregare tutte le preghiere del Trisagion secondo il solito elenco. Probabilmente no, perché lui stesso testimonia che subito fu «mosso alle lacrime e a un trasporto tale di amore divino» che la gioia che provava non si può neanche descrivere con le parole. Quello che si può notare è, che lui, in quello stesso momento è caduto prostrandosi con la faccia a terra(πρηνὴς πεσών). Secondo noi, da parte di Simeone era un movimento non consapevole e piuttosto provocato da quello che in quel momento gli stava succedendo e, dunque, fisicamente ha perso il controllo su di sé. Infatti, come spiega più avanti, era entrato nella «visione» estatica della luce. A livello fisico la «visione» era seguita parallelamente da una prostrazione corporale. Molto interessante è il fatto che quando ha ripreso coscienza era consapevole che gridando pronunciava ripetutamente le parole Kyrie eleison[198], ma non poteva capire come avesse potuto pronunciare queste parole o chi gli muovesse le labbra.

Quel Kyrie eleison ripetuto, ci sembra, fosse la conseguenza del grande timore davanti al Signore, davanti alla sua grandezza e santità, che il giovane Giorgio, durante e subito dopo la «visione» provava. Infatti, Kyrie, manifesta la gloria al Signore e eleison, esprime la propria debolezza e la piccolezza nei confronti del Signore stesso. Essa è la preghiera, la via dell’unione fra Dio e l’uomo oppure l’uomo e Dio.

Il fatto per noi importante è che questo testo ci dà la testimonianza che la parte della sua preghiera personale, recitata nella cella in piena coscienza prima di avere la «visione», era il Trisagion e dopo la «visione» era l’invocazione del Kyrie eleison che continuava a ripetere.

La prima testimonianza riportata da Stetato si concentra sulla «visione» stessa. La seconda, di Simeone, invece descrive anche gli elementi della preghiera sua personale che accompagnavano la «visione» prima e dopo. Nella tabella seguente riportiamo ambedue testimonianze messe insieme.

Tab.2

(Vie, 19)   — 1. la «visione» (in prostrazione) Τὴν εὐχαριστίαν ἐξομολογούμενος (Cat., 16, 78-151)   –Τρισάγιον 1. la «visione» (in prostrazione)  Κύριε ἐλέησον  

Questi due casi (Cat., 22, 62-70 e Cat., 16, 78-151/Vie, 19) testimoniano i «semi» di certi modi della preghiera all’inizio della vita spirituale e monastica di Simeone, che porteranno a uno sviluppo della sua preghiera personale nel futuro. Allo stesso tempo testificano la libertà nel modo di eseguire la preghiera, corrispondendo a ciò che Simeone ha letto in Marco l’Eremita, cioè che la preghiera personale dipende «dall’amore (ἀγάπῃ) e dal desiderio (ἐπιθυμίᾳ)» verso il Signore e dalla «coscienza (συνειδήσεως) curata»[199].

d) Il consiglio della «preghiera della regola» (Cat., 30, 147-184)

Troviamo una descrizione assai dettagliata della preghiera personale prima di tutto nella Catechesi 30. Possiamo dire che Simeone propone ai suoi monaci una struttura con passi precisi della preghiera personale e il modo di condurla, stando nella propria cella la sera. Si tratta di una preghiera a carattere penitenziale.

Nel testo della Catechesi 30 si propone al monaco ciò che segue:

mettiti in piedi (στῆθι) per la preghiera […]. Prima recita (ποίησον) il Trisagio, poi di’ il “Padre nostro” […]. Quando poi arriverai a dire il Kyrie eleison […] gemi (στενάξας) dal fondo (ἐκ βάθους) dell’anima (ψυχῆς) e di’ con voce lamentevole: “Abbi pietà di me peccatore e indegno di vivere, degno piuttosto di ogni castigo (Ἐλέησόν με τὸν ἁμαρτωλὸν καὶ ἀνάξιον τοῦ ζῆν, ἄξιον δὲ πάσης ὄντως κολάσεως),” e di’ quanto altro la grazia di Dio ti possa far dire. […] e sta’ in piedi supplicando Dio (ἵστασο δεόμενος[200] τοῦ Θεοῦ) […] Di’ due o tre salmi (ψαλμούς) con attenzione e fa’ quante prostrazioni (προσκυνήσεις) penserai di poter fare; […] sta in piedi raccolto e passa in rassegna (ἀναλογισάμενος) dentro di te […]. Detto ciò, rendi grazie, segnati la fronte, il petto e tutto il corpo con il segno della preziosa croce (σταυροῦ), poi mettiti sulla tua stuoia e coricati.[201]

Ricapitolando questa testimonianza, si nota la seguente struttura della preghiera:

– Trisagio– Τρισάγιον (fino a Πάτερ ἡμῶν)

– Kyrie eleison Κύριε ἐλέησον (con successiva rassegna del ricordo delle proprie colpe)

– la preghiera: «Abbi pietà di me peccatore e indegno di vivere, degno piuttosto di ogni castigo» – Ἐλέησον με τὸν ἁμαρτωλὸν καὶ ἀνάξιον τοῦ ζῆν, ἄξιον δὲ πάσης ὄντως κολάσεως (questa preghiera viene detta con libertà e possibili variazioni, a seconda che la grazia di Dio istruisca e ispiri)

– lasupplicadi Dio – δέησις (il possibile testo della supplica non è specificato)

i salmi (due o tre)– ψαλμούς (non viene detto quali)

– leprostrazioni – προσκυνήσεις (la quantità dipende dalle possibilità personali di ognuno)

– la rassegna – ἀναλογισάμενος (accompagnata possibilmente con le lacrime)

– il rendimento di grazie – εὐχαριστήσας (non specificato il modo)

– il segno della croce – σταυροῦ (sulla fronte, sul petto e su tutto il corpo).

Simeoneci parla della preghiera dopo l’apodeipnon anche nel testo dell’Epistola:

In the evening after apodeipna, get somewhere by yourself, and recite the Trisagion, and Psalm 50, and “Lord have mercy (Κύριε ἐλέησον)” fifty times, “Lord, pardon me a sinner (Κύριε συγχώρησόν[202] μοι τῷ ἁμαρτωλῷ)” fifty times, then Psalm 6, “Lord, rebuke me not in thine anger (Κύριε μὴ τῷ θυμῷ σου ἐλέγξῃς με)”, “Lord, pardon me for whatever I have sinned by deed and word and in thought (Κύριε ὅσα ἐν ἔργῳ καὶ λόγῳ καὶ κατὰ διάνοιαν ἥμαρτον συγχώρησόν μοι)” fifty times, and perform twenty-five prostrations (μετανοίας).[203]

Schematizzando la citazione otteniamo questa struttura:

– Trisagio– Τρισάγιον

Salmo 50

– Kyrie eleison Κύριε ἐλέησον (50x)

– la preghiera: «Signore perdona me peccatore» – Κύριε συγχώρησόν μοι τῷ ἁμαρτωλῷ (50x)

Salmo 6: «Signore non correggermi nella tua ira» – Κύριε μὴ τῷ θυμῷ σου ἐλέγξῃς με

– la preghiera: «Signore, perdonami quanto ho peccato in azione, parola e pensiero» – Κύριε ὅσα ἐν ἔργῳ καὶ λόγῳ καὶ κατὰ διάνοιαν ἥμαρτον συγχώρησόν μοι (50x)

– le metanìe – μετανοίας (25x).

La struttura della preghiera personale riportata nell’ Epistola è arricchita, rispetto alla Catechesi 30, di un nuovo elemento che non abbiamo ancora menzionato: le ripetizioni delle preghiere. Simeone nota che le preghiere e le metanìe vanno ripetute con una certa e precisa quantità. Il motivo è spirituale e approvato dalla tradizione[204]: quando aumentano le tentazioni, gli attacchi dei pensieri cattivi e gli insulti dei demoni, devono di nuovo in modo crescente aumentare anche le invocazioni, le recitazioni del Kyrie eleison oppure delle altre preghiere brevi, preferibilmente con il nome di Gesù. Le ripetizioni sono così un modo efficace contro le prove. Anche Simeone nella pratica delle sue preghiere personali li realizza in abbondanza.

Adesso mettiamo in evidenza la struttura della preghiera serale di tutte e due le testimonianze di Simeone:

Tab. 3

Ep., 2, 81-85   1. Τρισάγιον 2. Salmo50 3.Κύριε ἐλέησον (50x) – preghiera: Κύριε συγχώρησόν μοι τῷ ἁμαρτωλῷ (50x)     4. Salmo 6: Κύριε μὴ τῷ θυμῷ σου ἐλέγξῃς με […] preghiera: Κύριε ὅσα ἐν ἔργῳ καὶ λόγῳ καὶ κατὰ διάνοιαν ἥμαρτον συγχώρησόν μοι (50x) 5. μετανοίας (25x)       6. […]   Cat., 30, 147-184   1. Τρισάγιον (fino a Padre nostro) 2. […] 3.Κύριε ἐλέησον – preghiera: Ἐλέησον με τὸν ἁμαρτωλὸν καὶ ἀνάξιον τοῦ ζῆν, ἄξιον δὲ πάσης ὄντως κολάσεως – δέησις 4. ψαλμοί (due/tre)         5. προσκυνήσεις/μετανοίας (una quantità) ἀναλογισάμενος εὐχαριστήσας 6. σταυροῦ –il segno della croce  

In queste due testimonianze possiamo notare gli elementi fissi della preghiera serale del monaco proposta da Simeone che sono uguali oppure simili in ambedue testi: Trisagion, Salmo 50, Kyrie eleison, Salmo 6 o altri salmi penitenziali, inchini e alla fine il segno della croce. Osserviamo che nella parte centrale della preghiera stessa – dopo Kyrie eleison e prima delle metanìe– questi elementi fissi sono intrecciati con un altro elemento che sembra più libero: con le preghiere brevi giaculatorie che possono avere una certa varietà e, che, a nostro avviso, danno alla preghiera serale proprio un’impronta ancora più personale.

3.4.2. La preghiera della regola prima del mattutino

Come abbiamo già accennato, anche la preghiera prima del mattutino faceva parte della cosiddetta τετυπωμένη εὐχή. Il monaco «deve alzarsi nel mezzo della notte prima dell’orthros e fare la preghiera della regola (τετυπωμένην εὐχήν). Solo dopo si alzerà per l’ufficio di lode(δοξολογία[205]. Troviamo scarse indicazioni su questa preghiera.

Quando ti svegli non voltarti dall’altra parte ma subito alzati (εὐθὺς ἀναστάς) e di nuovo prega come si è detto (εὖξαι τῷ προειρημένῳ τρόπῳ), non riaddormentarti ma persevera nella preghiera e nella lettura (εὐχῇ καὶ ἀναγνώσει καρτέρησον) fino al suono del simandro (τὸ ξύλον κρούσει), e allora vai alla sinassi con tutti gli altri. Nel tempio tieniti in piedi (καὶ στῆθι ἐν τῷ ναῷ).[206]

Vediamo che dopo il riposo notturno e prima di andare al mattutino, vi sono la preghiera e la lettura spirituale che fanno parte del programma «privato» dell’orante. Della lettura – ἀνάγνωσις, abbiamo già parlato in precedenza e ora dovremmo soffermarci sulla preghieraεὐχή, ma, a onor del vero, non c’è molto di più da dire perché Simeone non menziona da nessuna parte dei suoi scritti un ordine delle preghiere prima del mattutino, come, invece, ha fatto qualche riga prima spiegando la preghiera serale.

Simeone rimanda a ciò che già «si è detto» cioè all’ordine delle preghiere serali e insiste sulla perseveranza nell’adempiere preghiere e letture.

3.4.3. La preghiera della regola dopo il mattutino

San Simeone da giovane monaco praticava la regola della preghiera anche dopo il mattutino come testimonia la sua vita.

Au son de la simandre (τοῦ ξύλου[207]), la septième heure de la nuit[208], il se levait de terre, où il s’était étendu pour prendre un très léger repos; il s’acquittait avec ses frères des hymnes du matin envers Dieu et restait debout tout le temps qu’ils duraient; […]. Quand l’acolouthie (ἀκολουθίας) du matin était achevée, seul, derrière tout le monde, il sortait silencieusement du temple et retournait dans sa cellule, où il se remettait à ses saints combats (εἴχετο τῶν ἱερῶν ἀγώνων αὐτοῦ).[209]

Egli, perciò, sulla base della propria esperienza, poteva istruire i suoi monaci affinché lavorassero soltanto dopo aver dedicato tempo alla «preghiera solitaria nella cella (μετὰ τὸ εὔξασθαι καταμόνος ἐν τῷ κελλίῳ)» chiamata la preghiera di regola – τετυπωμένη εὐχή, «fatta con lacrime (ἐν δάκρυσι) e grande attenzione (πολλῇ προσοχῇ[210].

Per quanto riguarda la preghiera stessa nel tempo libero dopo il mattutino, vale ciò che abbiamo appena menzionato in riferimento al tempo prima del mattutino.

Con l’espressione i «suoi santi combattimenti» – ἱερῶν ἀγώνων αὐτοῦ, menzionati nella Vie, possono intendersi le pratiche ascetiche fisiche come quelle spirituali insieme. Perciò risulta che nella pratica personale si riprendeva probabilmente lo stesso programma della preghiera tardo-serale che era possibilmente adeguata alle condizioni del tempo e alle circostanze che il tempo dopo il mattutinooffriva ai monaci per pregare.

Per concludere la terza parte del capitolo sulla preghiera nella cella facciamo un resoconto con il testo della Catechesi 26 in cui Simeone riassume genericamente tutto quanto abbiamo visto sopra:

rientra in silenzio nella tua cella […]. Chiudi la porta e […], prendi il tuo libro. Leggine due o tre pagine attentamente e poi alzati per pregare: salmeggia nella quiete e prega Dio mentre nessuno ti ode. Sta’ in piedi raccogliendo i tuoi pensieri e non permettere loro di andare in giro altrove. Giungi le mani, unisci ugualmente i piedi: immobili su un solo piano. Chiudi gli occhi perché non guardino a nient’altro e non facciano dissipare la mente. La tua mente, invece, come pure tutto il tuo cuore, elevali ai cieli e a Dio e, con lacrime e gemiti, invoca di lassù la misericordia. I salmi, stabiliti dal tuo padre spirituale, contengano parole di pentimento e di compunzione, e siano quanti bastano alla tua possibilità e al tuo proposito. Poiché devi misurare alla tua forza e al tuo coraggio il canto dei salmi e la quantità delle genuflessioni e il tempo da passare in piedi, perché la tua coscienza non debba muoverti rimprovero e dirti: “Eri ancora capace di stare in piedi per inneggiare a Dio e celebrarlo”. Inoltre, abbi anche delle preghiere stabilite per il mattino e per la sera che contengono una confessione a Dio. Terminata la preghiera, leggi ancora un poco, poi prendi il tuo lavoro manuale e veglia ancora.[211]

Sulla base di questa citazione, che è un riassunto di tutta l’esperienza di Simeone colta fin dalla giovinezza ed espressa qui nella forma del consiglio per i principianti, si potrebbe affermare che la preghiera conteneva tre parti principali:

1. la fase preparatoria

2. la preghiera stessa: un insieme di salmi, preghiere corte e ripetitive, le metanìe e le preghiere con confessioni a Dio

3. la fine della preghiera

Certamente qui Simeone descrive solamente una parte limitata di tutto il tempo libero che il monaco aveva a disposizione, cominciando dalla fine dell’apodeipnon fino all’ora terza della notte cioè all’inizio dell’amomos. A nostro avviso però, la struttura della preghiera di questo piccolo blocco, si poteva semplicemente applicare a tutti i momenti liberi trascorsi nella cella dal monaco studita: dalla fine dell’apodeipnon fino all’inizio della giornata lavorativa; cioè dall’apodeipnon fino all’amomos, prima dell’inizio del mattutino, fra la fine del mattutinofino all’inizio della divina liturgiae ancora dalla fine della divina liturgia fino all’inizio della giornata lavorativa. La preghiera della regola τετυπωμένη εὐχή si realizzava nello spirito libero dei Figli di Dio, salvaguardando la disposizione personale dell’orante e le indicazioni del padre spirituale utili al figlio spirituale, certamente tenendo presente la salvezza dell’anima.

La liturgia delle ore, come tutta la liturgia cristiana, è una proclamazione escatologica della salvezza ricevuta in Cristo e una glorificazione e un rendimento di grazie a Dio per tale dono. In questo senso originale e primitivo la liturgia delle ore – anzi tutta la liturgia – è oltre il tempo. Per il cristiano non c’è realmente nessuno spazio sacro, nessuna persona e tempi sacri: tutti sono redenti in Cristo, per cui solo Dio è Santo e coloro ai quali egli ha dato la sua santificazione, i suoi santi – cioè il suo popolo.[212]

In questo contesto anche il tempo «privato», del monaco fa parte dello spazio escatologico nel quale egli possa essere in unione con Cristo che dona la salvezza. Non è fuori dalla lode di tutto il cosmo. Anzi, l’uomo come macrocosmo[213], cioè il credente-monaco in cui il paradiso è restaurato e la comunione con Dio ristabilita[214], è responsabile del fatto che la lode si elevi in ogni ora.

Perseverando nell’impegno personale della preghiera, che è l’opera della penitenza e va compiuta con amore (ἀγαπήσης τὴν μετάνοιαν), progressivamente passo dopo passo e con l’aiuto della grazia stessa del Signore, «il Signore non tarderà a farti misericordia», afferma il nostro autore. Simeone stesso si fa garante di Dio Misericordioso, Amico degli uomini; importante è portare avanti le fatiche ascetiche proprie del monaco e farle senza dubitare che Dio sia misericordioso[215]. Dubitare di ciò creerebbe già una divisione nell’anima che significherebbe non dare sé stesso interamente alla morte per il regno dei cieli.

Vogliamo finire la parte sulle preghiere nella cella con le parole di constatazione di Simeone che esprimono l’augurio d’amore dall’igumeno-padre al monaco-figlio, l’augurio personale, tête à tête:

Ecco, o fratello diletto (ἀγαπητὲ ἀδελφέ), noi ti abbiamo detto come ci si debba accostare a Dio (ὅπως προσελθεῖν σε δεῖ τῷ Θεῷ) e quale sia la penitenza (ἐπιδείξασθαι τὴν μετάνοιαν) di cui bisogna dar prova davanti a lui. Non ritirartene (μὴ ἀποστῇς) dunque fino al tuo ultimo respiro e non dimenticare il buon consiglio (μηδὲ ἐπιλάθῃ τῆς καλῆς συμβουλῆς) che ti viene da me, peccatore (ἁμαρτωλοῦ).[216]

4. I movimenti spirituali dell’anima

4.1. Gioia ed esultanza spirituale

Nella Catechesi 30, Simeone, dopo aver spiegato tutto il percorso per fare penitenza e come pentirsi, che abbiamo già visto sopra, semplicemente menziona quello che ne consegue dicendo: «giungi le mani davanti e sta’ ritto con l’anima gioiosa (στῆθι ἐν ἱλαρᾷ τῇ ψυχῇ[217].

Da dove allora arriva la gioia? Come ottenerla? Che cosa è necessario per appropriarsi di essa? Quali sono i pericoli che possono spingerla fuori dall’anima?

Simeone nei Capitoli risponde così:

A tout homme qui commence à vivre selon Dieu, la crainte du châtiment (ὁ τῆς κολάσεως φόβος)[218] et la peine qu’elle engendre (ὁ πόνος ὁ τικτόμενος ἐξ αὐτοῦ) sont bien utiles. […] En effet cette peine est la source de presque toute joie (Ὁ γὰρ πόνος οὗτος ὅσον οὔπω πᾶσαν χαρὰν ἀποτίκτει), ce lien brise les liens de tous les péchés et des passions, ce bourreau donne non la mort mais la vie éternelle.[219]

Agli inizi della vita con Dio, e ciò vale anche per i monaci, è utile avere il timore del giudizio eterno, perché è da esso che nasce la pena.

Lapena[220] – anche se al primo sguardo sembra una cosa negativa e ripugnante da cui sfuggire – non è un prodotto finale nel senso che il monaco sulla strada per ottenere la gioia, non deve soffermarsi su di essa poiché essa è un passaggio e, come tale va accolto: «Celui qui n’aura pas cherché à éviter et à fuir la peine provoquée par la crainte du châtiment éternel (τοῦ φόβου τῆς αἰωνίου κολάσεως), mais l’aura embrassée de gaîté de cœur et aura plutôt resserré ses liens autour de soi, celui-là avancera plus rapidement en proportion et parviendra en présence du roi des rois»[221].

La pena ci interessa, perché secondo Simeone, è per mezzo di essa che scaturisce ogni gioia. Prima però serve come un velo per coprire la nascita della gloria di Dio, che pian piano si svela nel cuore. In quel momento, la pena e il dolore che per l’anima possono sembrare ripugnanti – e infatti lo sono per i principianti – perdono la loro pesantezza e l’orrore, e i loro legami cominciano a sciogliersi ed essa pian piano si allontana e lo spazio inizia a riempirsi di gioia: «dans son cœur la peine se changera en joie (ὁ ἐν τῇ καρδίᾳ αὐτοῦ πόνος τραπήσεται εἰς χαρᾶν)».

La gioia porta con se altri frutti importanti per l’anima. Da essa scaturiscono a livello dei sensi (αἰσθητῶς): «l’inesauribile fiume delle lacrime (δάκρυα ποταμηδὸν ἀενάως)» e, a livello dell’intelligenza (νοητῶς): «la pace (γαλήνην)», «la mitezza (πραότητα)», «la tenerezza indicibile (ἄφραστον γλυκασμόν)», e anche «la forza e libertà di eseguire i comandamenti di Dio (ἔτι δὲ ἀνδρείαν καὶ τὸ πρὸς πᾶσαν ὑπακοὴν ἐλευθερίως καὶ ἀνεμποδίστως τρέχειν τῶν ἐντολῶν τοῦ Θεοῦ)». Questi frutti insieme alla gioia, sono un dono dello Spirito[222], e in un certo senso anche un «privilegio (προκοπή)», cioè il segno di un progresso e un emblema di coloro che sono a metà strada del progresso spirituale e della famigliarità con Dio.

Per i perfetti invece, la gioia diventa una sorgente della luce (φῶς), e sorgente della conversione (ἀλλοιουμένης) e della trasformazione (ματαβαλλομένης) del cuore[223].

La pena è efficace anche da un altro punto di vista, perché il dolore del πένθος a sua volta aiuta a spegnere l’ira del cuore (τὸν θυμὸν τῆς καρδίας)[224] e così a sciogliere tanti peccati. Anche se causa tanto combattimento nella persona – viene chiamato infatti carnefice – senza di essa, come sottolinea Simeone, è impossibile costruire le vere «fondamenta per la casa».

La sorgente da cui comincia a germogliare la gioia è il φόβος, esso fa nascere il πόνος – il mezzo dal quale alla fine scaturisce laχαρά. La gioia è importante per Simeone, perché essa è una garanzia di una certa stabilità e di equilibrio interno.

Essa serve come predisposizione per l’inabitazione del Signore e dello Suo Spirito, poiché il Signore è colui che è la gioia: «Sei tu, o Cristo, […] la gioia (χαρά)[225] e il riposo, sei tu l’abbondanza festosa (τρυφή) e la gloria, sei tu l’esultanza (ἡ ἀγαλλίασις) e sei tu l’allegrezza (ἡ εὐφροσύνη) […].»[226] Sicuramente è anche per questa ragione che Simeone nella sua Preghiera mistica chiede la venuta dello Spirito di Dio che è la gioia eterna: «Viens, joie éternelle (Ἔλθε ἡ αἰώνιος χαρά[227].

Dunque, il Signore, è colui che è la gioia,

il […] ne supporte pas d’entrer dans une maison de deuil (θλιβομένων) et de tristesse (λυπουμένων), pas plus que l’abeille diligente ne supporte d’entrer dans une maison enfumée; mais si, sans inquiétude (ἀμεριμνίᾳ)[228] et dans la joie (ἀγαλλιάσει), tu te tiens prêt, il se trouvera de nouveau au-dedans de toi; laisse alors le Maître, sans l’importuner, se reposer sur ton âme comme sur un lit.[229]

La casa del cuore, dove vuole venire ad abitare il Signore-gioia, come appena abbiamo visto, dovrebbe essere «piena di gioia», cioè piena di intesa esultanza, calorosa e fervente e «senza inquietudine». Se il monaco sta attento a questo il Signore presto verrà.

Una volta raggiunto il Signore stesso e con la Sua presenza, la gioia al posto della tristezza, non si parla più delle lacrime della penitenza. Le lacrime della penitenza e della purificazione hanno il fine di preparare il posto al Signore. Ora, se il Signore si è fatto presente le lacrime sono inutili.

Et ne commence pas non plus à dire en toi-même: “Si je ne pleure pas en sa présence, il se détournera de moi en pensant que je le méprise.” S’il avait voulu que tu pleures après avoir atteint la perfection, comme si tu étais encore pénitent, c’est plutôt en se faisant voir de loin, en se cachant, ou même en t’illuminant, qu’il t’aurait accordé de le faire pour purifier et orner ta maison; mais après ta pénitence (μετὰ τὴν μετάνοιαν) et ta purification par les larmes (τὴν διὰ δακρύων σου κάθαρσιν), il est venu t’accorder le repos de tes peines et de tes gémissement, la joie (χαράν) et l’allégresse (εὐφροσύνην) au lieu de la tristesse (λύπης).[230]

Abbiamo già visto sopra che è nella preghiera serale che sopraggiunge il momento cruciale, dopo avere compiuti i gesti della penitenza, quando si sta in piedi. Simeone parla della «gioia del perdonato». Questa gioia nell’anima si esprime con il gesto delle mani stese in avanti. In questo stato non si fanno più i gesti della penitenza. Anzi si dicono soltanto «due o tre salmi» – anche se il testo non riporta quali siano, ma comunque secondo il nostro parere dovrebbero essere i salmi non imprecativi ma piuttosto dell’ esultanza e del ringraziamento, perché si sta alla presenza di Dio e insieme a Lui, che è presente nel cuore.

Malgrado la gioia nel cuore in cui si dovrebbe cercare di rimanere, Simeone subito avverte di stare attenti e vigilanti[231]. Il motivo è molto chiaro: non bisogna offrire l’occasione alla rilassatezza. La giusta attenzione equilibra l’anima che gioisce ed aiuta ad essere sobri spiritualmente, cioè vigilanti.L’attenzione così va di pari passo con la gioia per raccogliere e non trascurare ciò che il Signore comunica perché, infatti, il Signore è colui che entra nella relazione e vuole comunicare qualcosa. Dice: «tiens-toi dans la joie éclatante de ton âme (στῆθι ἐν ἀγαλλιάσει ψυχῆς); contente-toi de voir ton Maître […]. Sois stupéfait, réjouis-toi (χαῖρε) et exulte (ἀγαλλία) avec des tressaillements de joie spirituelle, pieusement attentif (προσέχων ἐν εὐλαβείᾳ) à faire et à dire ce qu’il t’ordonnera.»[232]

Il fatto importante è fare attenzione a ciò che dice il Signore nella profondità della persona per non rendere vano ciò che si è fatto fin ad ora. Ascoltarlo attentamente significa accettarlo e riceverlo con onore, fargli spazio creando il silenzio – l’esichia. Sono circostanze necessarie per poter intenderlo, sentirlo, percepire le sue ricchezze che Egli vuole condividere.

Il est absolument sans besoin et ce n’est qu’après avoir enrichi ses serviteurs qu’il se présente dans leur maison. Ainsi, puisqu’il est sans besoin, come j’ai dit, et qu’il t’a enrichi en t’affranchissant du besoin par sa présence, sois attentif à ce que dira en toi celui qui, venu de si haut (πρόσεχε τί λαλήσει ἐν σοὶ ὁ τοσούτου ὕψους […] ἐξελθών), sort du sein béni de son Père sans se séparer de lui et descend des cieux jusqu’à ta bassesse. Car jamais tu ne saurais trouver qu’il a fait cela en vain; au contraire, pour le salut de beaucoup d’autres également, c’est ainsi que notre bon Maître ami des hommes agit toujours à son habitude. […] si tu le reçois (ἀποδέξῃ) avec honneur (τιμήσεις), si tu lui fais place (δώσεις τόπον) et que tu lui procures (παράσχῃς αὐτῳ) le silence (ἡσυχίαν), sache-le bien: tu entendras (ἀκούσεις) les secrets qui viennent du trésor de l’Esprit, […] tu deviendras un instrument qui sous les doigts rend des sons plus harmonieux que n’importe quelle musique.[233]

Ma ci sono anche i pericoli che potrebbero far perdere la gioia. Infatti, Simeone esorta ad essere attenti a non perdere il Signore, o meglio, a non fare ciò che potrebbe allontanarlo dalla persona:

Mais prends garde, […] toi qui as obtenu à demeure en toi-même Dieu tout entier (ὁ ἔνοικον κτησάμενος ὅλον ἐν σεαυτῷ τὸν Θεόν), de ne faire, ni de proférer de tes lèvres rien d’indigne de sa volonté (μήποτε ἀνάξιόν τι τοῦ θελήματος αὐτοῦ); sinon tu perdras aussitôt le trésor caché en toi, car lui, il se sera éloigné de toi (ἀπαναστάντος αὐτοῦ ἀπὸ σοῦ). Honore-le de toutes tes forces et n’introduis dans ta maison rien de ce qui lui déplaît et qui répugne à sa nature.[234]

Nel testo di Eth., 11, 260-360, Simeone descrive i vari tipi di pericoli contro il Signore e la sua presenza nel cuore e nell’anima, che scacciano la gioia. Menzioniamo qui alcuni di essi.

Simeone confessa che appena la gioia (χαρά) se ne va dal cuore, è la tristezza – λύπη, che subito cerca di entrare e d’impadronirsi di esso. Questa sembra mettere in moto tutta una catena di altri vizi che danneggiano il cuore del monaco.

Appena si allontana la mitezza – πρᾷος e la calma – γαληνός, subentrano la rabbia –θύμος, l’ira e la furia –ὀργή.

L’amore – ἀγάπη fugge e diventa invisibile per mezzo dell’odio verso le persone – μῖσος, del disgusto delle persone – ἀηδία, della gelosia della fortuna altrui – φθόνος, della lotta, delle contese e del litigio – ἔρις.

Molto pericolose sono la πονηρία – la malvagità, la ποικιλία – l’astuzia e la περιεργία – l’indiscrezione. Sono pericolose per il fatto che se non ci si rende conto della loro presenza e non si lotta contro di esse con l’ὀργή – una certa impulsività e la rabbia in senso positivo, che ha la capacità di cacciarli, si rimane nell’incoscienza di esse. Simeone dà un consiglio per evitarle dicendo che per non farle entrare è meglio rimanere nel pieno silenzio – ἡσυχίαν πᾶσαν.

Ci sono anche i piaceri – ἡδοναί, che vogliono aggirare l’anima per attaccare la presenza di Colui che è Santo e così ingannare la persona. Fra questi: [ἡδονὴ] βρώσεως – il piacere del cibo,πόσεως – il piacere del bere,ἐνδύματος – il piacere degli abiti,ὄψεως εὐειδοῦς – il piacere degli spettacoli, χρυσίου – il piacere dell’oro,ἀργυρίου – il piacere dei soldi.

Simeone poi passa a confessare la propria preoccupazione personale ed esprime un certo timore (φοβοῦμαι) che la sua stessa persona non sia dominata dalla carne (τῆς σαρκός), e non sia preda di ὑπερηφανία – arroganza,φειδωλία – avariziae φιλαργυρία – amore dei soldi.

Senza dubbio, è dalla propria esperienza che Simeone constata che c’è il pericolo degli ἡδοναί – vari piaceri che possono sedurre. Ci può essere il pericolo della μέριμνα – l’inquietudine, cioè delle varie preoccupazioni che hanno la capacità di oscurare, c’è il pericolo del favorire quelli che significano qualcosa che possa contrapporre al bene; c’è il pericolo del potere che può mettere contro i fratelli; c’è il pericolo della τροφή – la golosità edella μέθη –l’ubriachezza, che possono allontanare dalla corretezza; c’è il pericolo delle ἀπειλαὶ ἀνθρώπων –delle minacce umane che possono spingere a trasgredire i comandamenti; c’è il pericolo dell’ἁδικίας – delle assemblee istigative dei potenti e dei suoi amici che possono spingere alla ingiustizia.

Nell’Inno 55, Simeone parla ancora di un altro tipo di dolore, di un dolore che è distruttivo. Confessa che il dolore insopportabile e irresistibile (πόνος ὁ ἀφόρητος) pervade il suo cuore e nelle proprie tenaglie tiene fortemente anche il suo corpo, in modo tale da star male. Esso è provocato dalla vergogna, dal disonore e dall’umiliazione dei propri vizi, trasgressioni e peccati che ha ben presenti davanti a sé. Questo dolore non crea il πένθος – l’afflizione costruttiva che conduce a Dio, ma la θλῖψις[235] – l’afflizione e oppressione negativa, che produce la rovina, che tende a privare della gioia. Egli la identifica con i λογισμοί, e viene cacciata soltanto dalla luce del volto del Signore, che risplende misteriosamente sulla persona (τὸ φῶς σου λάμψαν μοι μυστικῶς τοῦ προσώπου). Dunque, la contemplazione del volto di Dio è gioia: «χαρὰ γὰρ τοῦ προσώπου σου ἡ θεωρία ἔστιν» (14), e ha una potenza talmente forte da introdurre nella persona di nuovo la gioia[236], che, se pure era stata travagliata dall’afflizione distruttiva, si purifica mediante la penitenza.

Alla fine di questa parte possiamo affermare che la gioia presente nella vita del monaco, per Simeone è una caratteristica, uno stato che ha più grande valore del pentimento e va oltre. «Rallegrati (χαῖρε) ed esulta (ἀγαλλία), raccogliendo con gioia (μετὰ χαρᾶς συλλέγων) ciò che hai seminato con pena (κόπῳ) e fatica (πόνῳ[237]. La gioia spiritualmente provata è un passo in avanti nel confronto con le fatiche e le pene della vita ascetica, e rende ancora più forte la relazione del monaco con il Signore, perché riveste l’anima di Cristo. Perciò ci vuole la misericordia verso se stessi, verso la propria anima.

4.2. Misericordia verso se stessi

Simeone dopo aver spiegato e aver proposto il modo di come accostarsi a Dio e cioè in che modo fare la penitenza, alla fine della Catechesi 30 pone la domanda: «E che cos’è ciò che io e tutti dobbiamo rivestire per non essere ritrovati nudi?»[238]. Questa domanda ci svela il punto di partenza e punto d’arrivo di tutta la Catechesi 30, cioè il motivo per il quale Simeone sta rivolgendo la sua proposta che abbiamo visto: il suo «come accostarci a Dio», il metodo come eseguire la penitenza personale, lo stile di vita del monaco in cui profondamente si nasconde il desiderio di avvicinarsi al Signore. Il motivo è «il Cristo, e Dio» che il monaco dovrebbe cercare di rivestire, per non trovarsi spogliato e perciò è necessario che, oltre la preghiera personale e penitenziale, il monaco operi prima di tutto la misericordia (ἔλεος) verso se stesso, verso la propria anima[239] sulla base delle parole del Vangelo: «Che gioverà all’uomo guadagnare anche il mondo intero se poi perde la propria anima?» (Mt 16, 26).

Risulta che oltre il metodo della preghiera personale, che è la strada di come accostarci a Dio, serve ancora qualcosa per rivestire il Signore, per non rimanere nudi. Avere la misericordia verso la propria anima non è altro che sorvegliare se stessi (ἐπισκέπτομαι)[240], che è il modo migliore di come avere carità vera verso la propria anima.

Se dunque tu – fratello e membro di Cristo (ἀδελφοὶ Χριστοῦ) – onori ospiti e curi tutti gli altri, ma trascuri te stesso (σεαυτὸν δὲ παρίδῃς) e non lotti in tutti i modi […], abbandonando la tua anima alla carestia della pigrizia o alla sete dell’indolenza […] abbandonandola come morta, giacente fra la sozzura e la sporcizia, nella tenebra più profonda, […] non hai oltraggiato (ἐνυβρίσας) il fratello di Cristo? Non lo hai abbandonato (κατέλιπες) […]? Non hai forse trascurato di visitarlo (οὐκ ἐπεσκέψω) […]? E così proprio per questo ti sentirai dire: “Tu non hai avuto pietà di te stesso e quindi non troverai pietà (Σεαυτὸν οὐκ ἠλέσας, οὐκ ἐλεηθήσῃ)”.[241]

Simeone personalizza l’anima umana e la chiama «fratello di Cristo» che viene trascurato, oltraggiato, abbandonato e non visitato. Avere pietà di sé equivale ad avere pietà di Cristo stesso. Avere cura di sé stesso equivale ad avere cura di Cristo che abita nel cuore, anzi, ancora di più, perché le sue membra siamo noi.

J’ai habité en toi (ἐνοικήσαντα ἐν σοί), […] j’ai patienté tant d’années dans l’attente de ton repentir […], tu as refusé de me chercher […]. Va-t’en donc loin de moi (Mt 25, 41) […]; car j’ai eu faim de ta conversion et de ton repentir […]; j’ai eu soif de ton salut […]; j’étais nu sans tes pratiques vertueuses […]; j’étais dans la prison très étroite fétide et obscure, de ton cœur […]; tu me savais gisant dans la maladie de ta négligence et de ton inaction […]. Alors, va-t’en loin de moi (ἄπελθε ἀπ᾽ἐμοῦ).[242]

Cristo si presenta come colui che abita nell’anima ed è affamato ed assetato di conversione, è bisognoso di essere rivestito delle virtù, ha bisogno di essere visitato nell’oscurità del cuore e portato alla luce, è desideroso dell’attenzione delle opere buone. Agendo così per la nostra anima, l’attenzione si dà a Lui che vi è presente. «Abbiate dunque pietà di voi stessi (Ἐλεήσατε οὖν ἑαυτούς)», in altre parole Simeone desidera che ognuno curi la propria salvezza, ma non solo, e anche «noi che vi amiamo e spesso per voi gemiamo e versiamo lacrime – poiché così vuole che facciamo il Dio compassionevole (ὁ συμπαθὴς) e misericordioso (ἐλεήμων Θεός[243].

Avere misericordia e pietà verso di sé e la propria anima spinge alla responsabilità e aiuta a mettere in ordine la gerarchia dei veri valori. Al primo posto sta la salvezza della propria anima. «Non distruggere la tua casa per edificare quella del vicino; dopo aver iniziato calcola la fatica e la difficoltà di quest’opera, per paura che tu non abbia a distruggere la tua casa e che tu non sia in grado di edificare quella del vicino.»[244] Parafrasando le parole di Simeone si potrebbe dire la stessa cosa al rovescio e in modo positivo, cioè costruendo la propria casa si edifica anche la casa degli altri.

Il Signore stesso in un lungo dialogo raccomanda a Simeone: «Impegnati a conoscere soltanto quello che ti riguarda o piuttosto a conoscere meglio te stesso (Γνῶθι δὲ μόνον τὰ σαυτοῦ)[245]». Questa conoscenza consiste nel fatto che il Signore è irraggiungibile (ἀκατάληπτος) con le forze umane per cui non resta altro che concentrarsi ad amarlo (φιλέω), e ricordarsi (μιμνήσκω) con fervore i suoi comandamenti e saper scegliere (προκρίνω) le cose che non passano. Riguardo a coloro che lo fanno il Signore afferma: «conoscerai che io sto soltanto con quelli (ὡς ἐγὼ μόνοις συνών), amo soltanto quelli che mi amano (μόνους φιλῶν τοὺς ἐμὲ ἀγαπῶντας)[246] […]. Con loro starò in compagnia (οἷς ὁμιλῶν συνέσομαι) ora e per i secoli»[247].

Conoscere se stessi per Simeone significa saper valutare in modo giusto ciò che è buono e cattivo dentro la persona – «concentra la tua mente (σύναξον τὸν νοῦν), rifletti su te stesso (σεαυτὸν κατανόει) o piuttosto disserta su ciò che tu hai e su ciò che tu sei (τὰ σὰ καὶ σεαυτὸν φιλοσοφεῖ)» – e nei suoi d’intorni, cioè «in tutto ciò che vedi possa trovare»[248] e esaminare tutto ciò alla presenza del Signore e nella prospettiva escatologica cioè della salvezza. Simeone propone di osservare e di guardare bene la creazione e imparare dai «singoli maestri» le virtù, le emozioni cattive dei vizi, la sapienza di Dio e la battaglia spirituale. E’ difatti una proposizione d’umiltà poiché nel discernimento si cerca di dare attenzione alla sorgente della vita stessa cioè a Cristo che è amore e, così, vedere tutto dalla sua prospettiva e lasciarsi soggiogare.

Simeone è l’igumeno dei monaci, è il pastore del gregge a lui affidata. L’Inno 43 contiene un dialogo con Cristo in cui Simeone è preoccupato degli altri, dei confratelli a lui affidati[249] e per la loro salvezza.

Il Signore lo ascolta e alla fine lo tranquillizza e gli risponde: «nessuno, se non lo vuole, si salva (οὐδεὶς μὴ θέλων σῴζεται); non cercare al di là di questo, ma datti da fare per salvare te stesso e quelli che ti ascoltano (σπούδασον σῶσαι δὲ σαυτὸν καὶ τοὺς ἀκούοντάς σου[250]. Infatti, non si può salvare l’uomo, contro la sua volontà.

Nel contesto della cura di se stessi, cioè nel contesto di occuparsi della salvezza della propria anima e nello stesso tempo di avere l’attenzione verso Cristo che ne abita con l’amore, in questo contesto, custodire e sorvegliare se stessi ha per Simeone un ruolo molto importante.

Custodisciti (ἀσφαλίζου σεαυτόν) e impegnati sempre a vedermi dentro di te in modo puro e chiaro, come il sole nell’acqua limpida, e dopo ciò – come ti ho detto – otterrai di vedermi anche dopo la morte. Altrimenti, a nulla ti gioverà tutto l’insieme delle tue opere, fatiche e parole; anzi, esse saranno a tua più grave condanna e procureranno maggiore afflizione.[251]

Il modo con cui il monaco ha la possibilità di custodire se stesso (ἀσφαλίζω)[252] è proprio sorvegliare se stesso (ἐπισκέπτομαι), cioè essere attento a se stesso (τὸ προσχεῖν ἕκαστον ἑαυτῷ). Tutta la Catechesi 31 è dedicata a spiegare in che cosa consiste sorvegliare se stessi.

4.3. Badare/sorvegliare se stesso

La Catechesi 31 è un prolungamento della catechesi precedente e descrive l’importante attività interiore dell’orante per non restare nudo, pur facendo la preghiera penitenziale descritta sopra.

Il lavoro su «badare a se stesso (τὸ προσχεῖν ἕκαστον ἑαυτῷ)» e «sorvegliare (ἐπισκέπτεσθαι) se stesso» sta nel porsi delle domande che nascono dall’ascolto della Scrittura. Due attività, cioè sorvegliare e badare a se stessi e l’ascolto della Scrittura, vanno insieme e non possono essere distaccate.

Nel caso di «badare a se stesso (τὸ προσχεῖν ἕκαστον ἑαυτῷ)» si tratta del radicalismo evangelico basandosi sulla lettera di San Giacomo: «Poiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto» (Gc2, 10). La domanda di San Simeone suona così: «Non sarò forse in preda a qualche passione? Poiché sento leggere nelle divine Scritture che chi ha anche solo una passione non entra nel regno dei cieli»[253]. La domanda si concentra nella fedeltà ai comandamenti di Dio, senza tralasciarne neppure uno. Perché se si comincia a trascurare un comandamento (μιᾶς ἀμελῶν ἐντολῆς κατὰ μικρόν), pian piano si allontanerà anche degli altri (τῶν ἄλλων ἁπασῶν ἐκπίπτει). Infatti, secondo le parole di Simeone[254], che confermano quelle di San Paolo (Rm 5, 12), ogni peccato porta alla morte (ἔστιν οὖν πᾶσα ἁμαρτία πρὸς θάνατον) e alla tenebra e la persona diventa schiavo del peccato.

Similmente, anche «sorvegliare se stessi (ἐπισκέπτεσθαι)» consiste nel porsi delle domande sulla base del Vangelo (Mt 5, 17-18): «Non ho mai trascurato questo o quel comandamento? O forse lo tratto con negligenza e disprezzo, e quest’altro non lo metto in pratica?»[255]. Le domande hanno lo scopo di dare la possibilità di vedere come sono state trascorse le giornate e anche di dare la spinta alla possibile penitenza se essa è necessaria.

Per i primi cristiani e per i Padri della Chiesa l’uomo, nella sua vita terrestre, ascende[256] verso la beatitudine del regno dei cieli. Le Beatitudini evangeliche vi sono per loro le scale.

Simeone usa le Beatitudini[257], come complemento alle domande precedenti. Infatti, dal versetto 27 fino al 143 della Catechesi 31 Simeone sulla base delle Beatitudini propone un vero specchio delle virtù[258]. Perciò anche noi cercheremo di soffermarsi soltanto sui punti importanti riguardanti il badare e sorvegliare se stessi.

«Beati i poveri in spirito (πτωχοὶ τῷ πνεύματι), poiché di essi è il regno nei cieli». La prima virtù mostrata dalle Beatitudini è l’umiltà – ταπείνωσις. Essa è importante per il monaco perché aiuta a vedere se stesso e le proprie reazioni nelle situazioni sfavorevoli, p. e.: offese, disonore, disprezzo ecc. I sentimenti della tristezza (λύπη) e dell’abbattimento (βάρος), cioè depressione nel cuore, testimoniano che l’umiltà era stata colpita e occorre che il monaco colpito si rattristi (λυπεῖται)[259] e pianga (κλαίει), si prostri e confessi a Dio (οὔτω προσπίπτων τῷ Θεῷ ἐξομολογεῖται) nella profondità dell’anima.

«Beati gli afflitti (πενθοῦντες)». La seconda virtù èl’afflizione (πένθος). Secondo Simeone non si tratta dell’afflizione nel passato o nel futuro ma nel tempo presente: l’afflizione è uno stato di ogni giorno. Perciò per il monaco è importante esaminare se l’afflizione è presente ogni giorno nella sua vita. Se le lacrime (δάκρυα), l’afflizione e la compunzione (κατάνυξις) sono presenti ogni giorno e notte, significa che la penitenza si esegue nel modo giusto.

«Beati i miti (πραεῖς)». Essere i miti va di pari passo con l’afflizione. L’afflizione continua a spegnere il movimento irascibile nell’anima (ἐλθεῖν τὸ θυμικὸν τῆς ψυχῆς)[260]. Simeone, nell’esaminare se stessi, mette in rilievo l’attenzione ai segni veritieri della persona mite: se alla persona fa male vedere qualsiasi peccato e la trasgressione dei comandamenti e se piange per i peccatori.

Nello stesso modo si deve essaminare bene «la fame e la sete della giustizia di Dio (τὴν δικαιοσύνην πεινᾷ καὶ διψᾷ τοῦ Θεοῦ)» cioè di Dio stesso. Il compiacimento degli onori umani è la misura di cui si ha fame. Più grande è la sete e la fame di Dio nell’anima, meno sensazioni gli onori umani suscitano in essa.

«Beati i misericordiosi (ἐλεήμονες)». La misericordia (ἔλεος) umana, secondo Simeone, non consiste principalmente nel dare delle cose materiali ma piuttosto nella capacità di condividere spiritualmente. Perciò non si dimenticano i bisognosi – le vedove, gli orfani, i malati e si compatisce con loro (συμπαθοῦντες τούτοις). Se c’è la possibilità dell’aiuto materiale, esso dovrebbe eseguirsi nella gioia (ἐν ἱλαρότητι). La capacità di compatire e la gioia nel dare sono i veri segni della misericordia che porta alla purezza dell’anima.

«Beati i puri di cuore (καθαροὶ τῇ καρδίᾳ), perché vedranno Dio».La purezza (καθαρότης) del cuore è un altro gradino collegato ai precedenti. Per Simeone è la capacità di contemplare nel proprio cuore il volto di Dio in modo puro. La purezza del cuore diventa una spinta per l’anima a vedere Dio in tutto e riconciliarsi con Lui, essa ristabilisce la pace fra il Creatore e l’anima e in quanto pura e con la capacità di operare la pace (εἰρηνοποιός).

«Beati i pacifici (εἰρηνοποιοί) perché saranno chiamati figli di Dio». Si tratta della riconciliazione cosciente (γνωστῶς) dell’anima con il Signore. Sono tre realtà collegate in relazione fra di loro: si è puri di cuore, si vede il Signore e si è riconciliati con Lui. Ma poiché Dio non si vede e il prossimo si vede, allora la volontà (βούλομαι) di amare (ἀγαπάω) i vicini che vediamo è la prova che queste tre realtà sono presenti.

«Beati i perseguitati a causa della giustizia (δεδιωγμένοι ἕνεκεν δικαιοσύνης)». Chiunque osserva i comandamenti e vuole vivere in Cristo (ἐν Χριστῷ θέλουσι ζῆν) sarà perseguitato. Allora le persecuzioni sono la prova dell’osservanza dei comandamenti e della volontà di vivere in Cristo.

«Beati siete quando vi oltraggeranno, vi perseguiteranno e diranno, mentendo, ogni male contro di voi a causa mia. Rallegratevi ed esultate (Χαίρετε καὶ ἀγαλλιᾶσθε), perché la vostra ricompensa è grande nei cieli». Nell’ultima Beatitudine, secondo Simeone, il Signore innalza i perseguitati e oltraggiati, cioè quelli che si sono sottoposti a tutte le Beatitudini cominciando dal «dare la prova di una degna penitenza per le proprie mancanze» fino a sopportare le persecuzioni, oltraggi, insulti e offese. E’ soltanto con la gioia (χαρᾶς) e l’esultanza (ἀγαλλιάσεως) si può realizzare il cammino delle Beatitudini. Senza di esse si rischia di rimanere ἀμνησικάκως[261], cioè pieno del rancore e dei sentimenti cattivi.

Simeone alla fine riassume tutte queste caratteristiche virtuose dell’uomo, del monaco, per fare un giudizio di se stesso. Risulta che monaco è colui che

ha dato la prova di una degna penitenza per le sue mancanze, ed è perciò divenuto umile […], è giudicato degno di affliggersi ogni giorno, diviene mite, dal fondo dell’anima ha fame e sete del sole di giustizia, è reso misericordioso e compassionevole, così da attribuire a se stesso le passioni, le afflizioni e le debolezze di tutti; e piangendo e purificandosi, egli vede Dio, si riconcilia con lui e diviene veramente pacifico, degno di essere chiamato figlio di Dio. Un uomo simile è anche in grado – quando venga perseguitato, battuto, oltraggiato, insultato e offeso – di sopportare con gioia e con inesprimibile esultanza.[262]

Invece di ingannare se stessi restando sulla superficie della vita anche se trascorsa in monastero, proprio l’impegno ascetico personale praticato nel modo che Simeone ha descritto e proposto, è la strada per arrivare alla «conoscenza dei misteri ancora maggiori (κατ᾽ ὀλίγον αὐτὸς σὺ νοήσειας ἔτι μείζονα ἄλλα μυστήρια)» e questa, in fin dei conti, sarebbe la strada dell’esperienza mistica. Non solo, essa viene accompagnata anche dalla «fonte di lacrime (δακρύων πηγή)» – segno dell’afflizione e della compunzione, poi dall’«affrancamento da tutte le passioni (πάντων παθῶν διὰ τῶν τοιούτων πράξεων ἀλλοτρίωσις)» che si può raggiungere già durante il percorso della pratica della preghiera, e alla fine si aggiunge anche la «partecipazione dello Spirito Santo» – che fa l’orante simile «ai grandi Padri, quali Antonio, Saba, Eutimio»[263], lo innalza al loro livello e lo mette a loro pari.

Conclusione

Siamo giunti alla fine del nostro lavoro e vogliamo fare un riassunto di tutto ciò che abbiamo messo sotto la nostra attenzione.

Nella prima parte del nostro lavoro abbiamo visto la creazione dell’uomo, che cosa il peccato ha causato e infine l’opera della redenzione dell’uomo così come la vedeva e percepiva il nostro autore.

L’uomo era creato nel paradiso come una creatura integrale e la sua caratteristica scaturiva dalla trilogia: Dio, corpo, anima e per analogia anche Dio, uomo, donna. L’uomo aveva la memoria viva di Dio e gli rendeva grazie con gioia, ed era una creatura eucaristica e grazie al lavoro spirituale, vedeva, contemplava e lodava il Signore.

Il peccato consumato dall’uomo, ha attaccato per primo la donna e analogicamente, parlando con il linguaggio di San Simeone, ha attaccato l’anima, la parte più profonda e più nascosta dell’uomo estendendosi poi fino al corpo e coinvolgendo così tutta l’umanità. Anche la salvezza segue la stessa logica: Dio nasce dalla donna, Maria, e così in modo ascendente la salvezza avvolge tutta l’umanità. La Madre di Dio concepisce dallo Spirito e perciò per Simeone è lo Spirito che riveste tanta importanza nella sua visione antropologica dell’uomo e del monaco, perché è lo Spirito che ravviva tutta l’umanità e dunque anche il monaco.

Abbiamo visto che l’immagine divina dell’uomo, secondo Simeone, consiste nell’unità delle parti spirituali: anima-psyche, intelligenza-nous e ragione-logos, cui aggiunge anche i sensi corporali in modo tale che Dio, contemplato dall’uomo, viene concepito come una unità organica.

Anche la triplicità interiore dell’anima, cioè la parte irascibile, razionale e concupiscibile, è un’immagine della Trinità e l’equilibrio e l’armonia fra di esse era stato introdotto nella creazione umana proprio per far gioire l’uomo creato.

Il peccato di Adamo, secondo il nostro autore, consisteva nella dimenticanza di Dio, nel disprezzoe nella trasgressione del comandamento del Signore. A livello dell’anima i segni della morte sono la perdita della gioia paradisiaca, la perdita della visione e dell’ascolto spirituali e la perdita della percezione della gloria di Dio ed essi segnano la decadenza dalla vita angelica. A livello corporale come segni della morte, si presentano le fatichee idoloriecc., e infine la morte fisica che testimonia la perdita del paradiso.

Per mezzo della storia della Torre di Babele, la disgregazione interiore viene manifestata anche a livello esteriore come divisione fra le diverse etnie. Non solo l’uomo ma tutta la creazione è sottoposta alla corruttibilità a causa del peccato umano e attende la spiritualizzazione-redenzione.

La prima conseguenza del peccato è la morte dell’anima seguita poi dalla morte corporale.

Simeone sottolinea che la tragedia relativa alla caduta umana non sarebbe successa se l’uomo si fosse pentito. Dio con la domanda: «Adamo dove sei…?» ha proposto la penitenza all’uomo ma l’uomo, rifiutandola, ha reagito con l’accusa contro la donna, cioè contro se stesso e ha perso la pace interiore continuando a combattere e a distruggere se stesso.

Simeone sostiene che la penitenza e l’umiltà dopo il peccato sono gli strumenti per unire a Dio tutte le sensazioni dell’uomo (udire, ascoltare, sentire, vedere, sperimentare, percepire, intendere, imparare, apprendere) come una unica facoltà. La «visione», l’«ascolto», la «contemplazione», la «rivelazione», infatti, erano state capacità dell’uomo legate alla concezione primordiale dell’uomo creato da Dio e perdute dopo il peccato. Oggi è la fede in Cristo, nuovo paradiso, che si dimostra nell’obbedienza ai suoi comandamenti e nella penitenza che sono segni della filantropia di Dio.

Simeone concepisce in modo positivo la permanenza dell’uomo fuori dal paradiso come punto di partenza verso la prospettiva futura perché è proprio nella dimensione dopo la caduta, che inizia l’economia della salvezza.

L’umanità ottiene la rigenerazione della propria natura decaduta ricevendo lo Spirito Santo che assume un ruolo cruciale nell’impostazione antropologico-spirituale di Simeone in generale e, specialmente, come abbiamo visto, nella sua concezione monastica.

Lo Spirito Santo inizia l’incarnazione di Cristo in modo tale che dalla donna Maria, nuova Eva, e per analogia anche dall’anima, inizia la rigenerazione dell’uomo creato e di tutta l’umanità.

Non si torna indietro ma in un processo dinamico si parte verso le nuove prospettive escatologiche, verso l’unità finale tra Dio e l’uomo, cominciando dal momento presente, da qui e da ora, hic et nunc.

Le caratteristiche dell’uomo redento sono, infatti, la capacità di riconoscere e conoscerecoscientemente il Signore e di udirlo interiormente, di avere con il Dio vivo una relazione profonda e personale, in altre parole, per mezzo della redenzione, l’uomo ha nuovamente la capacità della completa percezione interiore di Dio che diventa così strumento di fede.

Hausherr, nella vita di San Simeone[264], afferma che il pensiero di Simeone è come una specie di muro circolare: il suo insegnamento, cioè, ha un centro di coesione attorno al quale costruisce tutti i suoi argomenti che sono così interamente legati fra di loro e con il centro e che stanno compattamente insieme, pur se a prima vista pare non abbiano sistematicità.

Nella concezione simeoniana della vita monastica, del monaco e della sua relazione con Dio, su cui abbiamo posto il nostro sguardo nella seconda parte del nostro lavoro, abbiamo dunque di nuovo incontrato i concetti antropologici di base e che più volte si incontrano come un ritornello.

Abbiamo visto che il monaco, uomo redento, è colui, che ha una appropriata, buona e sana relazione con Dio e, nello stesso tempo, con il mondo; egli non è più colui che fugge da Dio ma colui che lo cerca.

La vita del monaco caratterizza un equilibrio coordinato dalla «pericoresi» fra sensibilità e insensibilità. Il mondo per Simeone evoca il peccato, l’attaccamento alle cose, le passioni e conseguentemente anche la disgregazione in tutti i livelli. Essi provocano le malattie spirituali come l’ignoranza, la cecità spirituale e la dimenticanza di Dio e dei suoi comandamenti e, perciò, è necessario essere insensibili al mondo per non cadere nell’errore di Adamo.

Il monaco, del resto, è colui, che rafforza la relazione con Dio. Per primo per mezzo della carità, elemento cristocentrico – infatti Cristo è la carità realmente presente nel cuore e si vede e si incontra anche nelle persone. Poi per mezzo del dono dello Spirito Santo, cioè per mezzo della penitenza, elemento pneumatologico, che però se è svuotato della consapevolezza dell’azione dello Spirito Santo e non ha la forza per attirare il perdono. Infine, per mezzo della preghiera, elemento escatologico con cui già hic et nunc il monaco ha la possibilità di pregustare qualcosa della pienezza dell’eschaton, del paradiso celeste, della Nuova Gerusalemme.

In tutto ciò Dio risponde al monaco e si mostra. La «visione» di Dio è, per Simeone, un’espressione dell’unione dell’uomo con Dio e di Dio con l’uomo e perciò tutti i cristiani e non soltanto i monaci sono ad essa chiamati. Essa non è una realtà straordinaria ma è una caratteristica dell’uomo redento, monaco o laico che sia.

A Simeone non interessa la conoscenza naturale di Dio, ma piuttosto un’altra conoscenza: la conoscenza per mezzo della fede che porta alla visione di Dio e che conduce alla percezione della Sua presenza nell’anima. Dio si fa conoscere per mezzo della luce che trasforma e purifica il soggetto che contempla. Il fine non è la luce ma Cristo, cioè colui che è la luce vera: proprio Lui è per il monaco la meta della visione, dell’incontro e dell’unione. Per non cadere nella deviazione serve un maestro, una guida che accompagni e che abbia l’esperienza personale di Dio. Il monaco è colui che, per tenersi nella graziadella visione, dell’unione e della relazione con il Dio vivo, pur essendo nell’ambiente monastico entra nella solitudine della propria cella, che nella concezione simeoniana è il posto privilegiato per il monaco che si sottopone alla fatica e a tanti sforzi ascetici. La preghiera personale è per il monaco il modo di tenersi accostato a Dio.

Nella terza parte ci siamo immersi nella preghiera personale del monaco studita, che per Simeone è il metodo per accostarsi a Dio. Simeone propone l’esperienza personale. La sua opera è, prima di tutto, un’opera basata sulla propria esperienza personale. Egli tratta i vari argomenti della preghiera sulla base della sua esperienza e del suo zelo. L’autore ha una sua logica interna dipendente dal suo sentire personale dell’oggetto che tratta e dalle circostanze nelle quali sta trattando l’argomento.[265]

Abbiamo visto che la preghiera personale, secondo Simeone, è una conversazione reciproca e viva con l’interlocutore divino il quale risponde verbalmente alle domande dell’orante; perciò anche il momento centrale della vita del monaco è proprio l’incontro personale con Cristo che si rivela nella luce. Sulla base dell’esperienza personale del dialogo reciproco con il Signore, entrando nella profondità della vera dinamica interiore, cresce anche la conoscenza di Lui e della Sua volontà.

L’accidia è ostacolo alla preghiera personale e la si deve combattere, altrimenti il monaco rischia di cadere dallo stato eucaristico allo stato acaristico. Infatti, a livello esterno, l’accidia conduce il monaco alla trascuratezza dei comandamenti e al livello interno fa nascere i pensieri, logismoi, persino contro il Signore. Secondo Simeone, l’unico rimedio per combatterla è entrare nella preghiera personale, nella profonda relazione con il Signore, nel colloquio con Lui e cominciare alla Sua presenza a sperimentare la filantropiadivina.

Simeone consiglia di passare il tempo serale e notturno nell’esichia della propria cella, in preghiera, con un concreto contenuto, struttura e modo di pregare. Abbiamo scoperto che egli, in genere, propone più o meno la seguente struttura della preghiera personale: la preparazione alla preghiera, la preghiera stessa e il termine della preghiera.

 La fase preparatoria della preghiera personale, cioè la lettura spirituale e l’esame di coscienza, si fa seduti passando in rassegna la giornata e esaminando se stessi. Per la preghiera vera e propria si sta ritti, in piedi. Si eseguono: Trisagion, Salmo 50, Kyrie eleison, preghiere corte ripetitive con qualche variazione (sembra che Simeone dalla sua giovinezza preferisse la cosiddetta preghiera di Gesù senza il nome di Gesù, cioè la preghiera del pubblicano Θεός/Κύριε, ἱλάσθητί/συγχώρησόν μοι τῷ ἁμαρτωλῷ), salmi, metanìe. La preghiera personale finisce semplicemente con il piccolo ringraziamento e con il segno della croce. Poiché la preghiera serale e notturna ha un carattere penitenziale, ne fanno parte tante prostrazioni, inchini con varie posizioni delle mani che esprimono lo stato interno dell’orante.

Nel monastero cenobitico, secondo la concezione di Simeone, la cella diventa per il monaco un posto quasi eremitico del tête-à-tête con Dio. Abbiamo visto, infatti, la capacità di Simeone di collegare coraggiosamente due diversi modi di vita monastica: la vita cenobitica studita regolata e prescritta dalle regole cenobitiche e la vita eremitica caratterizzata dall’impostazione sinaita, che è opposta al cenobitismo e come tale combattuta anche da San Teodoro Studita.

Simeone parla in modo particolare dell’anima gioiosa ed esultante del monaco orante e spiega che è necessario fare il possibile per non perdere questo stato interiore; il modo migliore per ottenere ciò è il possedere la vera misericordia verso se stessi, verso la propria anima, in sostanza verso Cristo stesso che abita nella profondità umana. Il cristocentrismo di Simeone qui è fortissimo. E’ a motivo della presenza di Cristo nell’anima che il monaco è attento nel custodire se stesso e nel badare a se stesso sulla base delle Beatitudini. Così facendo, il monaco sorveglia la presenza di Cristo e la sua relazione con Cristo, una relazione viva e che dà la vita.

E’ nostro intento, con il lavoro presentato, fare una lettura teologico-spirituale dell’insegnamento pratico del santo monaco studita sulla vita monastica rivolto ai suoi monaci studiti. Abbiamo fatto questo per offrire un aiuto per trarre una proposta, un insegnamento, un approfondimento per «capire», «rivedere» meglio, come San Simeone il Nuovo Teologo abbia vissuto, visto e proposto spiritualmente e praticamente la vita monastica e come noi oggi possiamo ispirarsi a lui, alla sua esperienza, al suo insegnamento per realizzare lo stesso ideale di vita monastica.

E’ nostra speranza che l’analisi dell’insegnamento qui scelto possa essere un aiuto a tutti coloro che percorrono la vita monastica in generale e quella studita in particolare, prendendo in considerazione tutto ciò che oggi può qualificare la vita monastica stessa. Riteniamo di aver proposto un aiuto per mettere in pratica la sequela Cristi in modo più profondo, più bello, e nello stesso tempo per rimanere nella linea dei santi Padri teofori.

Infine ascoltiamo le parole di Cristo rivolte per bocca di San Simeone ai monaci:

“E tu, folla intera del mio popolo santo (τοῦ ἱεροῦ μου ἡ πληθὺς λαοῦ πᾶσα) (monaci), vieni, con l’impegno, a me, che sono il tuo Signore! […], afferra nel tuo cuore il vivo desiderio delle mie ricchezze, dei beni eterni, che incarnandomi, ti ho preparati come per un amico (φίλῳ), affinché tu sia sempre il mio commensale alla tavola del mio Regno (ἵν᾽ᾖς μοι ἀεὶ συνδαιτυμὼν ἀφράστως ἐν τῇ τραπέζῃ τῆς ἐμῆς βασιλείας), del Regno che sta nei cieli, insieme a tutti i santi (μετά πάντων ἁγίων). Conosci dunque te stesso (Γνῶθι γὰρ σαυτόν), che sei mortale e corruttibile […]. Renditi conto del carattere corruttibile e precario che hanno tutte le cose, lascia quelle di quaggiù, vieni quassù; io ti chiamo presso di me (καλῶ σε πρός με τὸν Θεόν), io, il Dio dell’universo, il Salvatore, affinché per i secoli dei secoli tu viva effettivamente (ζήσῃς ὄντως), godendo copiosamente dei miei beni, che ho preparati per quelli che mi amano (ὧν ἡτοίμασα τοῖς ἐμὲ ἀγαπῶσιν), sempre e adesso”.[266]

Insieme, con San Simeone il Nuovo Teologo, anche noi diciamo: Amen per tutti i secoli!

Sigle e abbreviazioni

Aevum     Aevum. Rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche, Milano 1927-.

alaltri

AnBoll    Analecta Bollandiana, Bruxelles 1882-.

Anton.     Antonianum. Periodicum philosophico-theologicum trimestre, Roma 1926-.

AT Antico Testamento

BBTT      Belfast Byzantine Texts and Translations. Belfast 1991-.

BSS         Bibliotheca Sanctorum. Istituto Giovani XXIII nella Pontificia Università Lateranense, I-XII + Index + II Appendici, Roma 1961-2000.

ByF         Byzantinische Forschungen, Amsterdam 1966-.

BySl        Byzantinoslavica. International journal of Byzantine studies, Praha 1929-.

ByZ         Byzantinische Zeitschrift, Leipzig 1892-.

Byzantium        The Oxford Dictionary of Byzantium. Prepared at Dumbarton Oaks, A.P. Kazhdan – al., ed., I-III, New York-Oxford 1991.

c.   circa

cf.  confronta

Colloquia Mediterranea      Colloquia Mediterranea. Rivista della Fondazione Giovanni Paolo II, Firenze 2011-.

Contacts Contacts: revue orthodoxe de théologie et de spiritualité, Paris 1955-.

DACL     Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, F. Cabrol – H. Leclercq, ed., I-XV, Paris 1907-1953.

DEdOC  Dizionario enciclopedico dell’Oriente cristiano, E.G. Farrugia, ed., Roma 2000.

DES        Dizionario Enciclopedico di Spiritualità, E. Ancilli, ed., I-III, Roma 1990.

DH H. Denzinger, Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, P. Hünermann, ed., Bologna 200940.

Diakonia Diakonia: Dedicated to promoting a knowledge and understanding of Eastern Christianity, Scranton 1966-.

DIM        Dizionario di mistica, L. Boriello – al., ed., Città del Vaticano 1998.

DOP       Dumbarton Oaks papers, Cambridge Mass. 1941-.

DOS       Dumbarton Oaks studies, Cambridge Mass. 1950-.

DSp        Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique, doctrine et histoire, M. Viller – al., ed., I-XVI + Tables générales, Paris 1937-1995.

DThC     Dictionnaire de théologie catholique, I-XV + I-III, Paris 1902-1972.

ecc.         et cetera

EkTh       Ekklesia kai theologia, Church and theology, London 1980-.

EOr        Échos d’Orient, Bucarest 1897-1943.

EPHE     École pratique des hautes études. Section des sciences religieuses, Paris 1872-2007.

Fs. Festschrift

Ibid.        Ibidem

Id. Idem

IDB         The Interpreter’s dictionary of the Bible, I-IV, New York 1962 + Suppl. 1976.

IJOT       International Journal of Orthodox Theology, Bamberg: Univ. 2010-.

Il Regno  Il Regno: quindicinale d’attualità e documentazione cattolica, Bologna 1956-.

Irén.        Irénikon, Chevetogne 1926-.

ISBE       The International standard Bible encyclopedia, G.W. Bromiley – al., ed.,I-IV, Michigan 1981-19883.

Lat.         Latino

LSJ Liddell, H.G., – al., A Greek and English Lexicon. A Simplified Edition, D. Fontaine, ed., Oxford 1940.

LXX        Septuaginta

MEPR     Messager de l’Exarchat du Patriarche Russe en Europe Occidentale. Vestnik Russkogo Zapadno-Evropejskogo Patriaršego Ekzarchata, Paris 1950-.

Misc.       Miscellanea

n.   nota/e

NA27       Aland, K. – al., The Greek New Testament. Fourth revised Edition, Stuttgart 1998.

NDPAC   Nuovo dizionario patristico e di antichità cristiane, A. Di Berardino, ed., I-III, Genova-Milano 2006-2008.

NJBC      The New Jerom Biblical Commentary, R.E. Brown, S.S., – al., ed., Englewood Cliffs (NJ) 1990.

NT Nuovo Testamento

OC Orientalia Christiana, Roma 1923-1936.

OCA       Orientalia Christiana analecta, Roma 1935-.

OCP       Orientalia Christiana periodica, Roma 1935-.

OrChr     Oriens Christianus, Roma 1901-.

OrSyr      Orient syrien, Paris 1956-1967.

OS Ostkirchliche Studien, Würzburg 1952-.

p.e. per esempio

PG Patrologiae cursus completus… Series Graeca, graeca. J.-P. Migne, ed., Paris 1857-1866.

PGL        Patristic Greek lexicon, G. W. H. Lampe, ed., Oxford 1961.

Pro Ecclesia      Pro Ecclesia. A Journal of Catholic and Evangelical Theology, Washington D.C. 1993-.

Prof.       Professore

RAMi      Rivista di ascetica e mistica, Firenze 1956-.

REByz     Revue des études byzantines, Paris 1946-.

RSBS      Rivista di Studi Bizantini e Slavi, Bologna 1981-1985 (1989).

Sandalion                  Sandalion: quaderni di cultura classica, cristiana e medievale, Sassari 1978-.

SC Sources chrétiennes, Paris 1941-.

Scrinium Revue de patrologie, d’hagiographie critique et d’histoire ecclésiastique, St. Petersburg 2005-.

SEAug.   Studia ephemeridis «Augustinianum», Roma 1967-.

Sob.        Sobornost’. Fellowship of St. Alban and St. Sergius, London 1979-.

Špidlik    T. Špidlik, La Spiritualité de l’Orient Chrétien, OCA 206, 230, I-II, Roma 1978-1988. Con M. Tenače – R. Čemus, Questions monastique en Orient, OCA 259, Roma 1999.

SpOr       Spiritualité orientale, Bégrolles-en-Mauges 1985-.

SSAM     Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1953-.

StMon     Studia Monastica, Montserrat 1959-.

StPatr     Studia Patristica. Papers presented to (Papers of) the International Conference on Patristic Studies, Berlin 1957-.

StT Studi e testi. Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1900-.

SVTQ      St. Vladimir’s Theological quarterly, New York 1969-.

tab.         tabella

Theotokos                  Theotokos: ricerche interdisciplinari di mariologia. Rivista semestrale dell’Associazione Mariologica Interdisciplinare Italiana, Roma 1993-.

tr.   traduttore

trad. it.    traduzione italiana

Bibliografia

Fonti principali

Simeone il Nuovo Teologo

Cap.       Chapitres théologiques gnostiques et pratiques, J. Darrouzès, ed., SC 51, Paris 1957.

      Chapitres théologiques gnostiques et pratiques, J. Darrouzès – L. Neyrand, ed., SC 51bis, Paris 1996.

      trad. it., La visione della luce, R. D’Antiga, ed., Padova 1992.

Cat.        Catéchèses 1-5, B. Krivochéine – J. Paramelle, ed., SC 96, Paris 1963.

      Catéchèses 6-22, B. Krivochéine – J. Paramelle, ed., SC 104, Paris 1964.

      Catéchèses 23-34, B. Krivochéine – J. Paramelle, ed., SC 113, Paris 1965.

      trad. it., Le Catechesi. Dal testo stabilito da Basil Krivochéine, U. Neri, ed., Roma 1995.

Ep. The Epistles of St Symeon the New Theologian. On the basis of the Greek text established by J. Paramelle, H.J.M. Turner, ed., Oxford 2009.

Eth.         «Traités étiques (1-3)», in J. Darrouzès, ed., Traités théologiques et éthiques, I, SC 122, Paris 1966, 170-441.

      «Traités étiques (4-15)», in J. Darrouzès, ed., Traités théologiques et éthiques, II, SC 129, Paris 1967.

Euch.      «Action de grâces (1-2)», in B. Krivochéine – J. Paramelle, ed., Catéchèses 23-34, SC 113, Paris 1965, 306-357.

      trad. it., «Le due “Preghiere di ringraziamento a Dio”», in  U. Neri, ed., Inni e preghiere. Autobiografia mistica, Roma 1996, 45-79.

Hymn.     Hymnes 1-15, J. Koder – J. Paramelle, ed., SC 156, Paris 1969.

      Hymnes 16-40, J. Koder – J. Neyrand, ed., SC 174, Paris 1971.

      Hymnes 41-53, J. Koder – J. Paramelle – J. Neyrand, ed., SC 196, Paris 1973.

      trad. it., Inni, F. Trisoglio, ed., Roma 2014.

Prière mystique «De notre Père saint Syméon prière mystique: Invocation au Saint-Esprit, par celui qui déjà le voit», in J. Koder – J. Paramelle, ed., Hymnes 1-15, SC 156, Paris 1971, 150-154.

Théol.     «Traités théologiques (1-3)», in J. Darrouzès, ed., Traités théologiques et éthiques, I, SC 122, Paris 1966, 96-169.

Simeone lo Studita

      Discours Ascétique, H. Alfeyev – L. Neyrand, ed., SC 460, Paris 2001.

      trad. it., Padri e figli nello Spirito. Discorso ascetico, Magnano 2002.

Niceta Stetato

Du paradis       Contemplation du paradis, in Opuscules et lettres, J. Darrouzès, ed., SC 81, Paris 1961, 154-227.

Vie Vie de Syméon le Nouveau Théologien (949-1022). Un grand mystique byzantin, I. Hausherr – P.G. Horn, ed., OC 12 (1928) 1-229.

      trad. it., Vita di Simeone il Nuovo Teologo. Un grande mistico bizantino, Seriate (BG) 2015.

Fonti secondari

Basilio Magno

Ascet. 1-2 Sermones ascetici, PG 31, 869.

Ascet. disc.        Sermo de ascetica disciplina, PG 31, 647.

      trad. it., «Discorso sull’ascesi», in L. Coco, ed., Sentenze spirituali, Roma 2011, 51-56.

Ep. Epistulae, PG 32, 220.

Hom.      Homiliae variae (1-21, 23-24), PG 31, 164.

Reg. br.   Regulae brevius tractatae, PG 31, 1052.

      trad. it., «Regole brevi», in L. Cremaschi, ed., Le regole. Regulae fusius tractatae. Regulae brevius tractatae, Magnano 1993, 215-422.

Reg. fus.  Regulae fusius tractatae, PG 31, 889.

      trad. it., «Regole diffuse», in L. Cremaschi, ed., Le regole. Regulae fusius tractatae. Regulae brevius tractatae, Magnano 1993, 61-211.

Diadoco di Fotica

Perf.        «Cent Chapitres sur la perfection spirituelle (Capita centum de perfectione spirituali)», inÉ. des Places, ed., Œuvres spirituelles, SC 5bis, Paris 1943, 84-164.

Doroteo di Gaza

Doct.       Doctrinae diversae, PG 88, 1617; Œuvres spirituelles, Dom L. Regnault – J. de Préville, ed., SC 92, Paris 1963.

Evagrio Pontico

Or. De oratione, PG79, 1165; Les leçons d’un contemplatif. Le Traité de l’Oraison d’Évagre le Pontique, I. Hausherr, ed., Paris 1960.

Pr. «Practicos (Traité pratique)», in A. Guillaumont – C. Guillaumont, ed., Traité pratique ou le moine, I-II, SC 170-171, Paris 1971.

Giovanni Climaco

Scal.       Scala paradisi, PG88, 632.

      trad. it., La scala. L. D’Ayala Valva – J. Chryssavgis, ed., Magnano 2005.

Giovanni Crisostomo

Serm. 1-9 in Gen.       Sermones in Gen., PG54, 581; Semons sur la Genèse, L. Brottier, ed., SC 433, Paris 1998.

Giovanni Damasceno

Hom. 7    Homiliae in nativitatem BMV, PG 96, 680; «Homélies sur la Nativité», in  P. Voulet, ed., Homélies sur la Nativité et la Dormition, SC 80, Paris 1961, 46-79.

Gregorio di Narek

Prières    Prières (Élégies sacrées), in I. Kéchichian, – J. Mécérian, ed., Le Livre de prière, SC 78, Paris 1961.

      trad. it., La spiritualità armena : il libro della lamentazione di Gregorio di Narek, B. L. Zekiyan, ed., Roma 1999.

Gregorio di Nazianzo

Or. 1-26, 32-45 Orationes, PG 35, 396; PG36, 173; Discours 1-3, J. Bernardi, ed., SC 247, Paris 1978; Discours 20-23, J. Mossey – G. Lafontaine, ed., SC 27O, Paris 1980; Discours 38-41, G. Moreschini – P. Gallay, ed., SC 358, Paris 1990.

      trad. it., Tutte le orazioni, C. Moreschini, ed., Milano 2000.

Or. 27-31 Orationes theologicae, PG 36, 12; Discours 27-31 (Discours théologiques), P. Gallay – M. Jourjon, ed., SC 250, Paris 1978.

Gregorio di Nissa

Virg.        De virginitate, PG 46, 317; Traité de la Virginité, M. Aubineau, ed., SC 119, Paris 1966.

      trad. it., La verginità, S. Lilla, ed., Roma 1976.

Pss. titt.   Psalmorum tituli, PG44, 432; Sur les titres des psaumes, J. Reynard, ed., SC 466, Paris 2002.

Hom. 1-15 in Cant.     Homiliae in Cant., PG 44, 756.

      trad. it., Omelie sul Cantico dei cantici, V. Bonato, ed., Bologna 2015.

Hom. opif.        De hominis opificio, PG 44, 125; La création de l’homme, J. Laplace, – J. Daniélou, ed., SC 6, Paris 2011.

Marco l’Eremita

Bapt.       «Le Baptême (De baptismo)», inG.-M. de Durand, ed., Traités, I, SC 445, Paris 1999, 296-397.

Consult.  «Dialogue de l’intellect avec sa propre âme (Consultatio intellectus cum sua ipsius anima)», in G.-M. de Durand, ed., Traités, I, SC 445, Paris 1999, 398-415.

Justif.      «La Justification par les oeuvres (De his qui putant se ex operibus justificari)», inG.-M. de Durand, ed., Traités, I, SC 445, Paris 1999, 130-201.

Leg.        «De lege spirituali (De lege spirituali)», in G.-M. de Durand, ed., Traités, I, SC 445, Paris 1999, 74-129.

Nic.         «A Nicolas (Ad Nicolaum praecepta animae salutaria)», in G.-M. de Durand, ed., Traités, II, SC 455, Paris 2000, 106-155.

      trad. it., «Lettera al Monaco Nicola», in M. B. Artioli – M. F. Lovato, ed., La Filocalia, I, Torino 1982, 212-227.

Paen.      «La Pénitence (De paenitentia)», in G.-M. de Durand, ed., Traités, I, Paris 1999, 214-259.

Massimo il Confessore

Ambig.    Ambiguorum liber, PG 91, 1032.

Carit. 1-4 Capitum de caritate quattuor centuriae, PG90, 960; Centuries sur la Charité, J. Pegon, ed., SC 9, Paris 1943.

Qu. Thal. Questiones ad Thalassium de scriptura, PG 90, 244; Questions à Thalassios, I, J.-C. Larchet – F. Vinel, ed., SC 529, Paris 2010; Questions à Thalassios, II, F. Vinel – J.-C. Larchet, ed., SC 554, Paris 2012.

Origene

Hom. 1-16 in Gen.      Homiliae in Gen. (Lat.), PG 12, 145; Homélies sur la Genèse, L. Doutreleau, – P. Henri de Lubac, ed., SC 7bis, Paris 1976.

Hom. 1-14 in Ezech.   Homiliae in Ezech. (Lat.), PG 13, 665; Homélies sur Ézéchiel, M. Borret, ed., SC 352, Paris 1989.

Hom. 1-26 in Jos.       Homiliae in Jos. (Lat.), PG12, 825; Homélies sur Josué, A. Jaubert, ed., SC 71, Paris 1960.

Ps.-Dionigi Areopagita

C.h.        De caelesti hierarchia, PG 3, 120; La Hiérarchie céleste, R. Roques – G. Heil – M. de Gandillac, ed., SC58bis, Paris 1970.

D.n.        De divinis nominibus PG 3, 585.

E.h.         De ecclesiastica hierarchia, PG 3, 369.

      trad. it., Tutte le opere: Gerarchia celeste. Gerarchia ecclesiastica. Nomi divini. Teologia mistica. Lettere, P. Scazzoso – E. Bellini, ed., Milano 1981.

Ps.-Macario

Hom. 1-50        Homiliae spirituales, PG 34, 449; Œuvre Spirituelles I. Homélies propres à la Collection III, V. Desprez, ed., SC 275, Paris 1980.

Teodoro Studita

Constitutiones studitanae     Descriptio constitutionis monasterii Studii, PG99, 1713-1790;

      trad. inglese, «Stoudios: Rule of the Monastery of St. John Stoudios in Constantinople», in J.T. Thomas – A.C. Hero – G. Constable, ed., Documents : a complete translation of the Surviving Founders’ Typika and Testaments, DOS 35, Washington, D.C., 2000, 84-119.

Epp.        Epistularum libri duo, PG99, 904.

Test.        Testamentum, PG 99, 1813;

      trad. inglese, «Theodore Studites: Testament of Theodore the Studite for the Monastery of St. John Stoudios in Constantinople», in J.T. Thomas – A.C. Hero – G. Constable, ed., Documents : a complete translation of the Surviving Founders’ Typika and Testaments, DOS 35, Washington, D.C., 2000, 67-83.

STUDI

Adnès, P., «Hésychasme», DSp 7.1 (1969) 381-399.

—————, «Vision de Dieu», DSp 16 (1994) 949-1002.

Alfeev, I., La Chiesa ortodossa: 2. Dottrina, Bologna 2014.

—————, «Symeon the New Theologian and Holy Scripture», Stud. Monast. 38 (1996) 25-55.

—————, St. Symeon the New Theologian and Orthodox Tradition, New York 2000; trad. russ., Преподобный Симеон Новий Богослов и православное предание, Санкт-Петербург 20012.

Ancilli, E., «Presenza di Dio», DES 3, Roma 1990, 2033.

Artioli, M.B., ed., Anthologhion di tutto l’anno, I-IV, Roma 1999-2000.

Bacht, H., «Logismos», DSp 9 (1975) 955-958.

Bardy, G., «Discernement des esprits. Chez les Pères», DSp 3 (1957) 1247-1254.

Bazelaire, L., de, «Connaissance de soi», DSp 2.2 (1953), 1511-1543.

Beatrice, P.F., «Tuniche di pelle», NDPAC 3, Genova-Milano 2008, 5489-5490.

Bergeron, H., «Le Sens de la Lumière chez Syméon le Nouveau Théologien. Ses aspects ascétiques et pédagogiques», Contacts 38 (1986) 16-32.

Bianco, M.G., «Cenobio, cenobita», NDPAC 1, Genova-Milano 2006, 984-986.

Bitton-Ashkelony, B., «Personal Experience and Self-Exposure in Eastern Christianity : From Pseudo-Macarious to Symeon the New Theologian», in B. Bitton-Ashkelony – L. Perrone, ed., Between Personal and Institutional Religion : self, doctrine, and practice in Late Antique Eastern Christianity, Turnhout 2013, 99-128.

Borriello, L., «Esperienza mistica», DIM, 463-476.

Boularand, Ê., «Crainte», DSp 2.2 (1953) 2463-2511.

Bouyer, L., «La spiritualité byzantine», in La spiritualité du Moyen Age, Paris 1961, 647-696.

—————, La spiritualità bizantina e ortodossa, Paris 1961.

—————, La spiritualité du Nouveau Testament et des Pères, Paris 1960.

Bunge, G., Vasi di argilla. La prassi della preghiera personale secondo la tradizione dei santi Padri, Magnano (BI) 1996.

Cabrol, F., «Kyrie eleison», DACL 8.1 (1930) 908-916.

Canévet, M., «Sens Spirituel», DSp 14 (1990) 598-617.

Carr, A.W., «Deesis», Byzantium 1, New York-Oxford 1991, 599-600.

Chialà, S., «Introduzione», in Isacco di Ninive, Discorsi ascetici: terza collezione, Magnano (BI) 2004, 9-42.

Cignitti, B., «Mama (Mamante, Mammas, Mammete)», BSS 8 (1966) 592-612.

Clément, O., Il canto delle lacrime : saggio sul pentimento, Milano 1983.

—————, The Roots of Christian Mysticism: text and commentary, New York 20006.

Clément, O., – Rupnik, M.I., «Anche se muore vivrà». Saggio sulla risurrezione dei corpi, Roma 2002.

Clugnet, L., Dictionnaire grec-français des noms liturgiques en usage dans l’Église grecque, Paris 1895.

Costacurta, B., La vita minacciata : il tema della paura nella Bibbia Ebraica, Roma 1988.

Croke, B., «Hour», Byzantium 2, New York-Oxford 1991, 952.

Crouzel, H., «L’anthropologie d’Origène: de l’archè au telos», in Arché e Telos. L’antropologia di Origene e di Gregorio di Nissa. Analisi storico-religiosa. Atti del Colloquio Milano, 17-19 maggio 1979, U. Bianchi – H. Crouzel, ed., Milano 1981, 36-57.

—————, Théologie de l’image de Dieu chez Origène, Paris 1956.

D’Antiga, R., «Introduzione alla vita e alle opere di San Simeone il Nuovo Teologo», in Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce, Padova 1992, 7-41.

D’Ayala Valva, L., «Glossario», in Giovanni Climaco, La scala, Magnano 2005, 515-523.

Daniélou, J., «Terre et Paradis chez les Pères de l’Église», in Extraite de «Eranos-Jahrbuch XXII», Zürich 1954, 433-472.

—————, Platonisme et théologie mystique: essai sur la doctrine spirituelle de Saint Grégoire de Nysse, Paris 1944.

Darrouzès, J., «Introduction», in Syméon Le Nouveau Théologien, Traités théologiques et éthiques, I, SC 122, Paris 1966, 7-87.

—————, «Introduction», in Syméon Le Nouveau Théologien, Traités théologiques et éthiques II, SC 129, Paris 1967.

Day, P. D., The liturgical dictionary of Eastern Christianity, Collegeville 1993.

Dayton, H., Katanuxis as a Way of Healing in Symeon the New Theologian and Nicetas Stethatos and in their Medieval Church Slavonic Translations (in STSL), Romae 2014.

Delehaye, H., «Stoudion – Stoudios», AnBoll 52 (1934) 64-65.

Delouis O., «L’igumeno come padre spirituale nella tradizione studita», in La paternità spirituale nella tradizione ortodossa: Atti del XVI Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, Bose, 18-21 settembre 2008, S. Chialà – al., ed., Magnano 2009, 147-172.

Denzinger, H., Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, Bologna 2009.

Déroche, V., «L’autorité religieuse à Byzance, entre charisme et hiérarchie», in D. Aigle, ed., Les autorités religieuses entre charismes et hiérarchie. Approches comparatives, Turnhout 2011, 53-62.

Dimitrij (Tuptalo), Runo orošennoe Prečistaja i Preblagoslovennaja Deva Marija, ot ejaže Čudotvornogo Černigovskogo Obraza …, Černigov 1702.

Dmitrievskij, A.A., Opisanie liturgičeskix rukopisej, xranjaščixsja v bibliotekax pravoslavnogo vostoka, vol. 1: Typika, pt. 1, Kiev 1895.

Dobner, C., «L’apax dell’Anastasis e i Philosophische Kinder», Colloq Mediterr 4.2 (2014) 233-247.

Erickson, J.H., «Oikonomia», DEdOC, 539-541.

Evdokimov, P., L’ortodossia, Bologna 1981.

Farrugia, E.G., «Soteriologia», DEdOC, 719-720.

Fausti, S., Ermeneutica teologica. Fenomenologia del linguaggio per una ermeneutica teologica, Bologna 1973.

Fraigneau-Julien, B., Les sens spirituels et la vision de Dieu selon Syméon Le Nouveau Théologien, Paris 1985.

Giraudo, C., «Anafora», DEdOC, 32-35.

Goar, J., Euchologion sive Rituale graecorum : complectens ritus et ordines Divinae Liturgiae, officiorum, sacramentorum, consecrationum, benedictionum, funerum, orationum … cum selectis Bibliothecae Regiae, Barberinae, Cryptae-Ferratae, Sancti Marci Florentini, Venetiis 17302.

Golitzin, A., «Il corpo di Cristo: Simeone il Nuovo Teologo sulla vita spirituale e la chiesa gerarchica», in S. Chialà – L. Cremaschi, ed., Simeone il Nuovo Teologo e il monachesimo a Costantinopoli. Atti del X Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa sezione bizantina. Bose, 15-17 settembre 2002, Magnano 2003, 255-288.

—————, St. Symeon the New Theologian. On the Mystical Life: The Ethical Discourses Vol. 3: Life, Times and Theology, Crestwood, N.Y. 1997.

—————, «Liturgy and Mysticism: The Experience of God in Orthodox Christianity», Pro Ecclesia 8 (1999) 159-186.

—————, St Symeon the New Theologian. On the Mystical Life: the ethical discourses. Vol. 3: Life, Times and Theology, New York 1997.

—————, «The Body of Christ: Saint Symeon the New Theologian on Spiritual Life and the Hierarchical Church», Scrinium 3 (2007) 106-127.

Gougaud, L., «Cellule», DSp 2.1 (1953) 396-400.

Gouillard, J., ed., Piccola Filocalia della preghiera del cuore, Milano 1990.

—————, «Syméon le Jeune, le Théologien ou le Nouveau Théologien», DThC, 14.2 (1941) 2941-2959.

Graef, H., Histoire de la mystique, Paris 1972.

Gribomont, J., «Esicasmo», NDPAC 1, Genova-Milano 2006, 1763.

—————, «Gregorio di Nazianzo», NDPAC 2, Genova-Milano 2007, 2461-2466.

—————, «Le renoncement au monde dans l’idéal ascétique de saint Basile», Irénikon 31 (1958) 282-307, 460-475.

—————, «Marc le moine», DSp 10 (1977), 274-283.

Grossi, V., «Antropologia», NDPAC 1, Genova-Milano 2006, 370-378.

Grumel, V., «Chronologie patriarcale au Xe siècle. Basile Ier Scamandrénos, Antoine III Scandalios le Studite, Nicolas II Chrysobergès», REByz 22 (1964) 45-71.

Guillaumont, A., «Introduction. Étude historique et doctrinale», in Traité pratique ou le moine, I, SC 170, Paris 1971, 21-112.

—————, «Le dépaysement comme forme d’ascèse, dans le monachisme ancien», EPHE 76 (1967) 31-58.

Guillaumont, A. et C., «Évagre le Pontique», DSp 4.2 (1960) 1731-1744.

Hamman, A., «Eucharistie», DSp 4.1 (1960) 1553-1586.

—————, «Phos hilaron», NDPAC 3, Genova-Milano 2008, 4063.

Hausherr, I., «Introduction», in Nicétas Stéthatos, Vie de Syméon le Nouveau Théologien (949-1022). Un grand mystique byzantin, I. Hausherr, – P.G., Horn, ed., OC 12 (1928) 4-74.

—————, «L’hésychasme. Etude de spiritualité», OCP 22 (1956) 5-40, 247-285.

—————, «Noms du Christ et voies d’oraison», OCA 157, Roma 1960.

—————, «Penthos. La doctrine de la componction dans l’Orient chrétien», OCA 132, Roma 1944.

—————, Penthos : la dottrina della compunzione nell’Oriente cristiano, Abbazia di Praglia 2013.

—————, «Saint Théodore Studite. L’homme et l’ascète (d’après ses Catéchèses)», OC 6 (1926) 1-86.

—————, «Jean le Solitaire (Pseudo-Jean de Lycopolis). Dialogue sur l’âme et les passions des hommes», OCA 120, Roma 1939, 5-106.

—————, «La méthode d’oraison hésychaste», OC 9 (1927) 101-209.

—————, «Les grands courants de la spiritualité orientale», OCP 1 (1935) 114-138.

—————, ed., Les leçons d’un contemplatif. Le Traité de l’Oraison d’Évagre le Pontique, Paris 1960.

—————, ed., Le traité de l’oraison d’Évagre le Pontique (Pseudo Nil). Traduction française et commentaire d’après les autres écrits d’Évagre. Toulouse 1934.

Hôrologion, Roma 19372.

Hussey, J.M., Church and Learning in the Byzantine Empire : 867-1185, London 1937.

—————, The Orthodox Church in the Byzantine Empire, Oxford 1990.

Isacco di Ninive, Discorsi ascetici : terza collezione, S. Chialà, ed., Magnano (BI) 2004.

Ivancso, P.I., «L’attività sociale della Chiesa e la Liturgia» [accesso: 06.07.2016], www.unifr.ch/cti/assets/files/Ivancso_Liturgia.doc.

Janeras, V.-S., «Le Trisagion: une formule brève en liturgie comparée», in R. F. Taft – G. Winkler, ed., Acts of the  International Congress Comparative Liturgy fifty Years after Anton  Baumstark (1872-1948), Rome, 25-29 September 1998, OCA 265, Roma 2001, 495-562.

—————, Les byzantins et le trisagion christologique. Estratto da: Miscellanea Liturgica in onore di Sua Eminenza il Card. Giacomo Lercaro, II, Roma 1967.

Janin, R., Constantinople byzantine. Développement urbain et répertoire topographique. Deuxième édition, Paris 1964.

—————, «La région occidentale de Constantinople. Etude de topographie», REByz 15 (1957) 89-103.

—————, Le Siège de Constantinople et le Patriarcat oecuménique : les églises et les monastères, III, Géographie ecclésiastique de l’Empire byzantin, Paris 19692.

Jaoudi, M.M., God-consciousness in Simeon the New Theologian, New York 1992.

Jeffreys, E.M., – Talbot, A.-M., – Cutler, A., – Kazhdan, A., «Kathisma», Byzantium 2, New York-Oxford 1991, 1116.

Jiménez, F.M.F., El humanismo bizantino en San Simeón el Nuevo Teólogo. La renovación de la mística bizantina, Madrid 1999.

Jugie, M., La mort et l’assomption de la Sainte Vierge: étude historico-doctrinale, StT 114 (1944).

Kannengiesser, Ch., «Concilio del 325», NDPAC 2, Genova-Milano 2007, 3487-3489.

Kazhdan, A., «Fear (φόβος)», Byzantium 2, New York-Oxford 1991, 780-781.

—————, «Предварительные замечания о мировоззрении византийского мистика X-XI вв. Симеона», BySl 28 (1967) 1-38.

Keselopoulos, A.G., Man and the Environment. A Study of St. Symeon the New Theologian, New York 2001.

Kirchmeyer, J., «Grecque (Église)», DSp 6 (1967) 812-822.

Koder, J., «Index des mots grecs», in Syméon Le Nouveau Théologien, Hymnes 41-58, SC 196, Paris 1973, 331-392.

Krausmüller, D., «The monastic communities of Stoudios and St Mamas in the second half of the tenth century», in A. Kirby – M. Mullet, ed., The Theotokos Evergetis and Eleventh-Century Monasticism : papers of the third Belfast Byzantine international colloquium, 1-4 May 1992, BBTT, 6.1, Belfast 1994, 67-85.

—————, «The Vitae B, C, and A of Theodore the Stoudite. Their Interrelation, Dates, Authors and Significance for the History of the Stoudios Monastery in the Tenth Century», AnBoll 131 (2013) 280-298.

Krivocheine, B., Dans la lumière du Christ. Syméon le Nouveau Théologien. Vie, Spiritualité, Doctrine, Chevetogne 1980.

—————, «Date du texte traditionnel de la “Prière de Jésus”», MEPR 7-8 (1951) 55-59.

—————, «Introduction», in Syméon Le Nouveau Théologien, Catéchèses 1-5, SC 96, Paris 1963, 15-221.

—————, «Prepodobnyj Simeon Novyj Bogoslov i ego otnošenie k sociaľno-političeskoj dejstviteľnosti svoego vremeni», in Krivošein, V., Bogoslovskie trudy 1952-1983 gg. : stat’i, doklady, perevody, Nižnij Novgorod 1996.

—————, «Saint Syméon le Nouveau Théologien à travers les âges (XIe-XXe siècles)», MEPR 101-104 (1979) 27-32.

—————, «The Holy Trinity in Greek Patristic Mystical Theology», Sob. 21, 22 (1957) 462-469, 529-537.

—————, «The Most Enthusiastic Zealot. St. Symeon the New Theologian as about and spiritual instructor», OS 4 (1955) 108-128.

—————, «The Writings of St. Symeon the New Theologian», OCP 20 (1954) 298-328.

—————, «Vision de Lumière chez St. Syméon le Nouveau Théologien», MEPR 93-96 (1976) 15-37.

—————, «“Ὁ ἀνυπερήφανος Θεός” St. Symeon the New Theologian and early Christian popular piety», StPatr 2 (1957) 485-494.

—————, «“Братолюбивый нищий.” Мистическая автобиография Пр. Симеона Нового Богослова (949-1022)», MEPR 16 (1953) 223-236.

—————, «Дух Святой в христианской жизни по учению преподобного Симеона Нового Богослова», MEPR 91-92 (1975) 171-192.

—————, Преподобный Симеон Новый Богослов (949-1022), Paris 1980.

Laurent, V., «La chronologie des patriarches de Constantinople de 996 à 1111», EOr 35 (1936) 67-82.

Leclercq, J., Aux sources de la spiritualité occidentale, Paris 1964.

—————, «Cloche, clochette. Chez les grecs», DACL 3.2 (1914) 1970-1976.

—————, Études sur le vocabulaire monastique du moyen âge, Romae 1961.

—————, «Kathisma», DACL 8.1 (1930) 686.

—————, «“Sedere”. A propos de l’hèsychasme en Occident», in Millénaire du Mont-Athos (963-1963): études et mélanges. Actes du «Convegno internazionale di studio» à la «Fondazione Giorgio Cini» (3-6 septembre 1963 à Vénice), I, Chevetogne 1963, 253-264.

Lee, G.A., «Fear», ISBE 2, Michigan 1982, 289-292.

Lemaître, J., «Contemplation chez les Grecs et autres orientaux chrétiens», DSp 2.2 (1953) 1762-1872.

Lemaître, J., – Roques, R., – Viller, M., «Contemplation chez les Grecs et autres orientaux chrétiens. Évagre le Pontique (+399)», DSp 2.2 (1953) 1775-1785.

Leroy, J., Études sur les Grandes Catéchèses de S. Théodore Studite, O. Delouis – J. Voicu, ed., Città del Vaticano 2008, 25-37.

—————, «La Réforme studite», SpOr 85 (2007) 155-192.

—————, «La Vie quotidienne du moine studite», Irénikon 27 (1954) 21-50.

—————, «Le monachisme studite», in Théodore Stoudite, Les Grandes Catéchèses (Livre I). Les Épigrammes (I-XXIX). Précédées d’une étude de Julien Leroy sur le monachisme stoudite, F. Montleau, ed., Bégrolles-en-Mauges 2002, 39-116.

—————, «L’influence de saint Basile sur la réforme studite d’après les Catéchèses», Irénikon 52 (1979) 491-506.

—————, «Saint Théodore Studite (756-826)», in O. Delouis, ed., Études sur le monachisme byzantin, Bégrolles-en-Mauges 2007, 193-210.

Lialine, C., «Érémitisme», DSp 4 (1960) 936-953.

Lossky, V., La teologia mistica della Chiesa d’Oriente. La visione di Dio, Bologna 1967.

Mahé, J.-P., – Zekiyan, B.L., ed., «Saint Grégoire de Narek, théologien et mystique : colloque international tenu à l’Institut Pontifical Oriental … 20-22 janvier 2005», OCA 275, Roma 2006.

Marani, G., «L’azione e la contemplazione», Il Regno 1 (2007) 54-64.

Marani, G., Trasfigurare la terra. Identità e missione del monachesimo orientale. Linee per un Instrumentum laboris per la Commissione preparatoria del Sinodo «Monaci e monache ieri, oggi e domani in Ucraina», Roma 2006.

Martynyuk, T.T., Caratteristica giuridica dei gradi della consacrazione monastica : il Tipico generale dei monasteri studiti nel contesto della tradizione monastica e del CCEO, Leopolis 2010.

Mateos, J., La célébration de la Parole dans la liturgie byzantine. Étude historique, OCA 191, Roma 1971.

—————, «L’office monastique à la fin du IVe siècle : Antioche, Palestine, Cappadoce», OrChr 47 (1963), 53-88,

—————, «Office de minuit et office du matin chez s. Athanase», OCP 28 (1962) 173-180.

—————, «Prières initiales fixes des offices syrien, maronite et byzantin», OrSyr 11 (1966) 489-498.

—————, «Quelques anciens documents sur l’office du soir», OCP 35 (1969) 347-374.

McGuckin, J.A., «Symeon the New Theologian (d.1022) and Byzantine monasticism», in A. Bryer – M. Cunningham, ed., Mount Athos and Byzantine Monasticism : papers from the Twenty-eighth Spring Symposium of Byzantine Studies, Birmingham, March 1994, Aldershot 1996, 17-35.

Matsoukas, N., «Le teofanie nella storia di Israele e della Chiesa come fonte di contemplazione e di conoscenza di Dio», in Y. Spiteris – B. Gianesin, ed., Vedere Dio. Incontro tra Oriente e Occidente, Bologna 1994, 115-128.

Meester, P., de, Liturgia bizantina. Libro II, parte VI: Rituale-Benedizionale bizantino, Roma 1930.

Meloni, P., «Le Beatitudini evangeliche nella visione dei Padri della Chiesa», Sandalion 32-33 (2009) 173-180.

Meyendorff, J., Byzantine Theology: Historical Trends and Doctrinal Themes, New York 1983; trad. it., La teologia bizantina. Sviluppi storici e temi dottrinali, Casale Monferrato 1984.

—————, Cristologia ortodossa, Roma 1974.

—————, Introduction à l’étude de Grégoire Palamas, Paris 1959.

—————, St. Grégoire Palamas et la mystique orthodoxe, Paris 1959.

Miquel, P., «Gloire (Vaine gloire)», DSp 6 (1967) 494-502.

—————, «La conscience de la grâce selon Syméon le Nouveau Théologien», Irénikon 42 (1969) 314-342.

—————, Lessico del deserto. Le parole della spiritualità, Magnano 1998.

—————, «Paradis», DSp 12.1 (1984) 187-197.

—————, «Signification et motivations du monachisme», DSp 10 (1980) 1547-1557.

Moody, D., «Shekinah», IDB 4, New York 1962, 317-319;

Moreschini, C., I Padri cappadoci, Roma 2008.

—————, «Mondo», NDPAC 2, Genova-Milano 2007, 3333-3338.

Morris, R., Monks and laymen in Byzantium, 843-1118, New York 1995.

—————, «The Political Saint of the Eleventh Century», in S. Hackel, ed., The Byzantine Saint: University of Birmingham Fourteenth Spring Symposium of Byzantine Studies. A special number of Sobornost incorporating Eastern Churches Review [Studies Supplementary to Sobornost 5], London 1981, 43-50.

Nellas, P., Voi siete dèi : antropologia dei Padri della Chiesa, Roma 1993.

Neri, U., Fondatori del monachesimo, Casale Monferrato 1998.

—————, «Introduzione», in Simeone il Nuovo Teologo, Catechesi. Dal testo stabilito da Basil Krivochéine, Roma 1995, 13-95.

Nin, M., «Apodeipnon», DEdOC, 59.

Nin, M., – Ceccarelli Morolli, D., «Typikon», DEdOC, 783-784.

Oltean, D., «Le rituel monastique byzantin du πρόσχημα. Histoire d’une évolution inattendue», OCP 82 (2016) 41-66.

Onasch, K., Lexikon Liturgie und Kunst der Ostkirche: unter Berücksichtigung der Alten Kirche, Berlin-München 1993.

Ostrogorsky, G., L’Histoire de l’état byzantin, Paris 1956.

—————, Storia dell’impero bizantino, Torino 1968.

Panagiôtês Martinês, S., Hê Monê tou Stoudiou : hagioi kai logioi stoudites monachoi, Patrai 2015.

Papadakis, A., «Hesychasm», Byzantium 1, New York-Oxford 1991, 923-924.

Parenti, S., – Velkovska, E., ed., L’Eucologio Barberini gr. 336, Roma 20002.

Parrinello, R.M., «Agiografia studita e direzione spirituale: modelli di padri spirituali a confronto», in M. Catto – I. Gagliardi – R.M. Parrinello, ed., Direzione spirituale e agiografia. Dalla biografia classica alle vite dei santi dell’età moderna, Alessandria 2008, 165-204.

Patlagean, E., «Les Stoudites, l’empereur et Rome: figure byzantine d’un monachisme réformateur», SSAM 34 (1988) 429-460.

Pătraşcu, M., Lo scioglimento del vincolo matrimoniale nella legislazione civile e canonica dell’Impero bizantino (sec. VI-X), Roma 2001.

Petrà B., «Cristo, secondo Adamo “Figlio di Dio e non di una donna, Figlio di Adamo”. Sul pensiero mariologico di Simeone il Nuovo Teologo», Theotokos 17 (2009) 123-138.

—————, «Simeone il Nuovo Teologo. Profilo biografico e spirituale», RAMi 62 (1993) 264-298

Pétridès, S., «Apodeipnon», DACL 1 (1907) 2579-2589.

Places, E., des, «Diadoque de Photicé», DSp 3 (1957) 817-834.

Podskalsky, G., «Energy», Byzantium 1, New York-Oxford 1991, 968.

Price, J.R., «Mystical Transformation of Consciousness in Symeon the New Theologian», Diakonia 19 (1984) 6-16.

Quasten, J., Patrologia. Dal Concilio di Nicea a quello di Calcedonia, II, Genova-Milano 2007.

Ract J., Lieux Chrétiens d’Istanbul. Introduction de Mgr. Louis Pelâtre. Prologue et notice historique de Rinaldo Marmara, Istanbul 2006.

Renczes, P.G., Agire di Dio e libertà dell’uomo. Ricerche sull’antropologia teologica di San Massimo il Confessore, Roma 2014.

Rentel, A., «Byzantine and Slavic Orthodoxy», in G. Wainwright – B. Karen Westerfield Tucker, ed., The Oxford History of Christian Worship, New York 2006, 254-306.

Rey, B., «L’homme “dans le Christ”», DSp 7.1 (1969) 622-637.

Reypens, L., «Ame. Son fond, ses puissances et sa structure d’après les mystiques», DSp 1 (1937) 433-469.

Rigo, A., «Le tecniche d’orazione esicasta e le potenze dell’anima in alcuni testi ascetici bizantini», RSBS 4 (1984) 75-115.

Rossi, L., I filosofi greci padri dell’esicasmo. La sintesi di Nikodemo Aghiorita, Torino 2000.

Rossum, J., van, «Priesthood and Confession in St. Symeon The New Theologian», SVTQ 20 (1976) 220-228.

Sainte Marie, J., de, «Mondo», DES 2, Roma 1990, 1653-1663.

Sauget, J.-M., «Marina (Margherita)», BSS 8 (1966) 1150-1160.

Schmemann, A., Introduction to Liturgical Theology, New York 20035.

—————, Per la vita del mondo. Il mondo come sacramento, Roma 2012.

Sferlea, O., «Syméon le Nouveau Théologien comme témoin de la tradition spirituelle de Grégoire de Nysse», StMon 54 (2012) 235-251.

Sieben, H.J., «Μνήμη Θεοῦ», DSp 10 (1980) 1407-1414.

Simonetti, M., «Alcune osservazioni sull’interpretazione origeniana di Genesi 2,7 e 3,21», Aevum 5 (1962) 371-381.

—————, «La crisi ariana nel IV secolo», SEAug 11 (1975).

Solignac, A., «Homme intérieur», DSp 7 (1969) 650-658.

—————, «Théologie», DSp 15 (1991) 463-487.

—————, «Vérité. Des Grecs au Moyen Âge», DSp 16 (1994) 427-444.

—————, «“Νους” et “Μens”», DSp 11 (1981) 459-469.

Špidlík, T., – Gargano, I., La spiritualità dei Padri greci e orientali, Roma 1983.

Špidlík, T., – Rupnik, M.I., Una conoscenza integrale. La via del simbolo, Roma 2010.

Špidlík, T., – Tenace, M., – Čemus, R., Il monachesimo secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, Roma 2007.

Špidlík, T., «Accidia», DEdOC, 8.

—————, «Il dono delle lacrime nella tradizione della chiesa orientale», Misc. Tomáš Špidlík 5 (1991) 193-207.

—————, «Il metodo esicastico», Misc. Tomáš Špidlík 3 (1991) 296-314.

—————, «Il monachesimo bizantino sul crocevia fra lo studitismo e l’esicasmo», Misc. Tomáš Špidlík 5 (1991)134-147.

—————, La Spiritualité de l’Orient Chrétien. Manuel systématique, OCA 206, Roma 1978; trad. it., La spiritualità dell’Oriente cristiano. Manuale sistematico, Milano 1995.

—————, «Superiore-padre: l’ideale di san Teodoro Studita», Misc. Tomáš Špidlík 8 (1991) 175-193.

—————, «Syméon le Nouveau Théologien», DSp 14 (1990) 1387-1401.

Spicq, C., Theological Lexicon of the New Testament, I-III, J.D. Ernest, ed., Peabody (MA) 1994.

Spiteris, Y., «La conoscenza “esperienziale” di Dio e la teologia nella prospettiva orientale», Anton. 72 (1997) 365-426.

—————, Salvezza e peccato nella tradizione orientale, Bologna 2000.

Studer, B., «Illuminazione», NDPAC 2, Genova-Milano 2007, 2530-2531.

—————, «Rivelazione», NDPAC 3, Genova-Milano 2008, 4564-4573.

Sudbrack, J., «Estasi», DIM, 477-479.

Szeptycky, A. et C., Typicon auctoribus servis Dei metropolita Andrea et archimandrita Clemente Szeptycky Studitis, Romae 1964.

Taft, R.F., «Apodeipnon», Byzantium 1, New York-Oxford 1991, 133.

—————, «Hours», Byzantium 2, New York-Oxford 1991, 952.

—————, La liturgia delle ore in oriente e occidente. Le origini dell’ufficio divino e il suo significato per oggi, Roma 2001.

—————, «Liturgical Veneration of the Mother of God in the Byzantine Orthodox and the Roman Catholic Traditions», in J. Figel, ed., We Are all Brothers 3: a collection of essays in honor of Archbishop Vsevolod of Scopelos, Virginia 2007, 87-110.

—————, Oltre l’oriente e l’occidente. Per una tradizione liturgica viva, Roma 1999.

—————, «Orthros», Byzantium 3, New York-Oxford 1991, 1539.

—————, «Stoudite Typika», Byzantium 3, New York-Oxford 1991, 1961.

—————, «Vespers», Byzantium 3, New York-Oxford 1991, 2161-2162.

Talbot, A.-M., «Schema», Byzantium 3, New York-Oxford 1991, 1849.

Toniolo, E.M., «La presenza di Maria nell’Ufficio quotidiano e settimanale del rito bizantino», in E.M. Toniolo, ed., La Vergine Madre dal secolo VI al secondo millennio. Atti del 17° Convegno mariano per operatori pastorali (Roma, 28-30 dicembre 1996), Roma 1998, 242-279.

Trisoglio, F., San Gregorio di Nazianzo. Teologia e dogmatica, Grottaferrata 2009.

Tsakiridou, C.A., «Theophany and Humanity in St. Symeon the New Theologian and in Abū Hamid Al-Ghāzāli», IJOT 2.3 (2011) 167-187.

Tsirpanlis, C.N., «The Trinitarian and Mystical Theology of St Symeon the New Theologian», EkTh 2 (1981) 507-544.

Turner, H.J.M., «“A care-free and painless existence”? Observations of St Symeon the New Theologian on the monastic life», Sob. 12 (1990) 40-46.

—————, St. Symeon the New Theologian and spiritual fatherhood, Leiden (NY) 1990.

Vaccaro, A., Dizionario dei termini liturgici bizantini e dell’Oriente cristiano, Lecce 2010.

Vangemeren, W.A., «Shekinah», ISBE 4, Michigan 1988, 466-468

Ware, K., «La deificazione in Simeone il Nuovo Teologo», in S. Chialà – L. Cremaschi, ed., Simeone il Nuovo Teologo e il monachesimo a Costantinopoli. Atti del X Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa sezione bizantina. Bose, 15-17 settembre 2002, Magnano 2003.

—————, «The Mystery of God and Man in St. Symeon the New Theologian», Sob. 6 (1972) 227-236.

—————, «The Spiritual Father in St John Climacus and Symeon the New Theologian», StPatr 18 (1989) 299-316.

Wenger, A., «Ciel ou paradis. Le séjour des âmes, d’après Philippe le Solitaire, Dioptra, livre IV, chapitre X», ByZ 44 (1951) 560-569.

Wevers, J.W., ed., Septuaginta: vetus testamentum Graecum. Auctoritate Academiae Scientiarum Gottingensis editum, II.1, Exodus, Göttingen 1991.

Yannaras, Ch., «The Distinction between Essence and Energies and its Importance for Theology», SVTQ 19 (1975) 232-245.

Yiannias, J.J., «The Elevation of the Panaghia», DOP 26 (1972) 225-236.

Zekiyan, B. L., La spiritualità armena : il libro della lamentazione di Gregorio di Narek, Roma 1999.

Мицько, І., Святоуспенська Лавра в Уневі (кінець ХІІІ ст.-кінець ХХ ст.), Львів 1998.

Пишкович, М., Історія Свято-Успенської Унівської Лаври і студійського монашества, Львів 2005.

Рудейко, В., Часослов за каноном лаври святого отця нашого Сави: Впровадженя. Переклад. Коментарі, Львів 2016.

Скабаллановичъ, М., Толковый типиконъ. Объяснительное изложеніе Типикона съ историческимъ введеніемъ. Выпускъ I, Кіевъ 1910.


[1] Dal IX sec. la vita monastica cenobitica nei monasteri studiti era regolata dalle Costituzioni studite oppure l’Hypotyposis studita(cf. Teodoro Studita, Constitutiones Studitanae, PG 99, 1703-1720) – il Typikon/la Regola. E’ una sintesi della disciplina del monachesimo palestinese e delle usanze liturgiche costantinopolitane nello Stoudios riformato da San Teodoro Studita nel 799. La forma finale di essa è stata composta dai suoi discepoli dopo la sua morte (826). Questo regolamento è di poco posteriore a San Teodoro e salvo poche eccezioni minori, esso è la codificazione delle pratiche che si sono stabilite nei suoi monasteri. Dalla fine del IX sec. l’Hypotyposis ha avuto un grande influsso sulle comunità cenobitiche a Bisanzio e nel mondo slavo. Esso fu adottato, con qualche modifica, nella Diatyposis di sant’Atanasio l’Atonita sul Monte Athos, quando nel 962 vi fondò la Grande Lavra; e nella Rus’ di Kiev, quando all’inizio del secondo millennio San Teodosio introdussel’Hypotyposis, redatto da Alessio, patriarca di Costantinopoli, nella Lavra delle Grotte di Kiev. Cf. R.F. Taft, «Stoudite Typika», 1961; la prima edizione dell’Hypotyposis era stata fatta da Dmitrievskij: cf. A.A. Dmitrievskij, Opisanie liturgičeskix rukopisej, xranjaščixsja v bibliotekax pravoslavnogo vostoka, vol. 1: Typika, pt. 1, 224-238. Per le origini e la nascita del monachesimo nella Rus’ di Kiev: cf. G. Marani, «L’azione e la contemplazione», 54-57. L’edizione recente della Regola tradotta in inglese: cf. «Stoudios: Rule of the Monastery of St. John Stoudios in Constantinople», 84-119.

[2] J. Leroy, «La réforme studite», 175-176.

[3] Cf. J. Leroy, «Le monachisme studite», 52-66; Id., «Saint Théodore Studite (759-826)»; I. Hausherr, «Saint Théodore Studite», 19-67; «Theodore Studites: Testament», 67-83. Si può affermare che la maggior parte degli usi cenobitici dei monasteri bizantini dal IX al XV sec. provengono dal monastero di Stoudios. Essi sono testimoniati dalla fedeltà con cui hanno mantenuto le linee essenziali della spiritualità studita. Cf. J. Leroy, «La vie quotidienne du moine studite», 23-27.

[4] Cf. O. Delouis, «L’igumeno come padre spirituale nella tradizione studita». Cf. E. Patlagean, «Les Stoudites, l’empereur et Rome: figure byzantine d’un monachisme réformateur», 445-459. Per uno studio comparativo della paternità spirituale dei vari monaci studiti di quell’epoca: Cf. R.M. Parrinello, «Agiografia studita e direzione spirituale: modelli di padri spirituali a confronto», 165-204.

[5] Cf. R.F. Taft, La liturgia delle ore, 423.

[6] Apodeipnon (ὰπόδειπνον), cioè la preghiera che segue dopo la cena. È una duplicazione monastica del vespro. È l’ultima parte tardo-serale dell’ufficio liturgico bizantino. È recitato dopo la cena. Esso corrisponde alla compietadell’ufficio liturgico latino e completa il giorno monastico con la preghiera per una notte tranquilla e libera dal peccato. Si distinguono il grande apodeipnon – recitato durante la Quaresima e nelle veglie delle grande feste – e, il piccolo apodeipnon, con un numero ridotto di salmi, recitato durante l’anno e nei giorni di sabato e domenica durante la Quaresima. Cf. R.F. Taft, «Apodeipnon», 133; M. Nin, «Apodeipnon», 59.

[7] Cf. R.F. Taft, La liturgia delle ore, 431.

[8] Cf. I. Hausherr, «Introduction», 12. I lavori di Simeone influenzarono in modo speciale la controversia esicasta del XIV secolo.

[9] Niceta Stetato afferma, che la prima lettura data a leggere a Simeone il Nuovo Teologo da Simeone lo Studita era quella di Marco e Diadoco. Secondo Hausherr, Niceta ha fatto qui un errore e a causa della distrazione ha confuso Marco l’Eremita con Marco Diadoco e alla fine è diventato Marco e Diadoco, ma in realtà si trattava di De lege spirituali di Marco l’Eremita. Cf. Vie, 4, n. 3. La persona del monaco Marco si può incontrare sotto i nomi di Marco l’Eremita oppure Marco l’Asceta, Marco l’Anacoreta o semplicemente come il monaco Marco; si tratta sempre della stessa persona. Cf. J. Gribomont, «Marc le moine», 274-283. Marco l’Eremita nella letteratura ascetica viene notato come un testimone di base per la «preghiera di Gesù». Cf. B. Krivocheine, Dans la lumière du Christ, 90.

[10] Cf. A. et C. Guillaumont, «Évagre le Pontique», 1739; cf. J. Lemaitre – R. Roques – M. Viller, «Contemplation. Évagre le Pontique»; cf. I. Hausherr, Le traité de l’oraison d’Évagre (Pseudo Nil), 21, 25, 26.

[11] Nel trattato di Nilo di Ancira De oratione qui citato da Hausherr, egli stesso afferma che ogni particolare del pensiero e dello stile riflette la personalità di Evagrio. Quasten conferma che è stato dimostrato in modo certo che questo trattato appartiene a Evagrio e non a Nilo di Ancira. Cf. J. Quasten, Patrologia, II, 506.

[12] Si tratta della ripetizione, per un tempo ed un numero di volte indefinito, di una frase breve, caratterizzata tipicamente dalla presenza del nome divino e di un’invocazione. Ancilli nota che, la monologia «abbia un potere psicologico assai grande» proprio «in quanto invocazione di un nome e quindi di una presenza». Cf. E. Ancilli, «Presenza di Dio», 2033.

[13] Cf. I. Hausherr, «Les grands courants de la spiritualité orientale», 128.

[14] Cf. В. Кривошеин, «“Братолюбивый нищий.”», 228. Si nota che in centro della contemplazione mistica della Trinità da Simeone si trova l’incarnazione di Cristo perciò, nei dialoghi mistici i suoi interlocutori sono: Cristo incarnato (Euch., 1, 91-92) e il Santo Spirito (Theol., 3, 38-51). Cf. B. Krivocheine, «The Holy Trinity in Greek Patristic Mystical Theology», 532-535. Di sottofondo il punto della conoscenza personale: T. Špidlík – M.I. Rupnik, Una conoscenza integrale. La via del simbolo.

[15] Cf. M.M. Jaoudi, God-consciousness in Simeon the New Theologian, 126-127.

[16] Simeone il Nuovo Teologo, Inni, 229; cf. Hymn., 49-55.

[17] Cf. Hymn., 8, 44.

[18] Cf. Hymn., 48, 109.

[19] Cf. O. Sferlea, «Syméon le Nouveau Théologien comme témoin de la tradition spirituelle de Grégoire de Nysse», 246-247.

[20] Simeone il Nuovo Teologo, Inni, 25-26; cf. Hymn., 1, 168-179.

[21] Simeone il Nuovo Teologo, Inni, 26; cf. Hymn., 1, 180-190.

[22] Quello che dice Simeone è molto simile a quello che dice San Basilio nelle sue Reg. br., 113-115 (PG, 31, 1158C-1163A). San Basilio cerca di risolvere il problema della missione dei monaci nel mondo e dischiude quando il monaco è pronto per andare nel mondo: per la missione vi è il tempo e lo spazio, la missione dovrebbe svolgersi nell’obbedienza, essa deve coincidere col il comandamento dell’amore fraterno (Mc 10, 44-45) oppure almeno contribuire ad esso. Cf. Cf. Basilio Magno, Le regole. Per il problema nel monachesimo fra «rimanere nel monastero» e «ritornare nel mondo» a causa dell’apostolato: Cf. T. Špidlik – M. Tenace – R. Čemus, Il monachesimo secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, 190-193, 233-246.

[23] Proprio dal periodo di San Simeone in poi abbiamo casi di monaci studiti che sono diventati vescovi con un incarico pastorale nella chiesa. Si tratta di quattro patriarchi: 1. Antonio III (X sec.), patriarca di Costantinopoli; 2. Alessio lo Studita (XII sec.), patriarca di Costantinopoli; 3. Dositeo I (XII sec.), patriarca di Gerusalemme e di Costantinopoli; 4. Eusebio II (XIV-XV sec.), patriarca di Costantinopoli. Nel periodo precedente a San Simeone anche un altro monaco studita è diventato arcivescovo – San Giuseppe lo Studita (VIII-IX sec.), arcivescovo di Thessaloníki e, alla fine San Damaso lo Studita (XVI sec.), vescovo di Lepanto (Naupactus). Cf. S. Panagiôtês Martinês, Hê Monê tou Stoudiou : hagioi kai logioi stoudites monachoi. Della Vie sappiamo che anche a Simeone proponevano di diventare vescovo, però come una possibilità «degna» al posto dell’esilio (103, 15-20). Egli ha rifiutato e perciò si è recato in esilio (107). Simeone è critico nei confronti  dell’esercizio del sacerdozio. Non nega l’importanza dell’ordinazione sacerdotale ed episcopale ma afferma che indegnamente accede a un carico gerarchico della chiesa colui che prima non ha avuto la visione di Dio e l’illuminazione dello Spirito Santo. Cf. J. Darrouzès, «Introduction», 31-35; cf. V. Déroche, «L’autorité religieuse à Byzance, entre charisme et hiérarchie», 53-62.

[24] Cf. Éth., 11, 326-338.

[25] Cf. Éth., 11, 340-386.

[26] Questa espressione greca evoca l’inno vespertino Φῶς ἱλαρόν, che si rivolge a Cristo che è la «luce gioiosa (φῶς ἱλαρόν)» e «senza tramonto (ἀνέσπερον)»: Cf. J. Goar, Euchologion, 31. Per la teologia e storia di questo inno: A. Hamman, «Phos hilaron», 4063. Cf. R.F. Taft, Oltre l’oriente, 185-193. Rimandiamo alla parte seconda del nostro lavoro, dove abbiamo già parlato della luce.

[27] Cf. Éth., 11, 585-600.

[28] Cf. Éth., 1, 10, 111-114.

[29] L’ἀκηδία in genere si definisce come la stanchezza fisica, l’esaurimento, l’inerzia, l’ansia, la perdita di speranza, la disperazione causata da attacchi di concupiscenza e di tristezza (cf. PGL, 61, A1-5). Nell’ambiente monastico, per i monaci e gli eremiti, ma anche per gli altri che si dedicano alla vita di preghiera, è una tentazione speciale vista come la svogliatezza, il torpore, la noia, con le proprie cause, effetti e i rimedi (cf. PGL, 62, B1-5). L’accidia, secondo Evagrio è uno degli otto pensieri maligni: golosità (γαστριμαργία), fornicazione (πορνεία), avarizia (φιλαργυρία), tristezza (λύπη), collera (ὀργή), accidia (ἀκηδία), vanagloria (κενοδοξία), orgoglio (ὑπερηφανία).Cf. A. Guillaumont, «Introduction», 63-64; Evagrio è il primo che identifica la tentazione dell’accidia col «demone del mezzogiorno» e la considera come pericolosa per motivo che si oppone alla perseveranza nella cella. Il rimedio contrario lo vede nello spirito di penitenza. Cf. T. Špidlik, «Accidia», 8.

[30] Evagrio parla del demone dell’accidia e lo nomina come il più pesante – βαρύτατος – di tutti. Cf. Evagrio Pontico, Pr., 12.

[31] Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce, 118; cf. Cap., 1, 34.

[32] Simeone usa la parola ἀργία nel senso negativo dell’astenersi dal fare o dal lavoro, dell’abbandono o arresto dell’attività. Il suo significato positivo si collega invece con il riposo sabbatico del giorno santo. Cf. PGL, 223, 1-3.

[33] Il significato della parola ἡσυχία, secondo Lampe, ha tre contesti in cui si usa: 1. il silenzio di Dio prima della rivelazione dei suoi misteri (A); 2. il silenzio, la tranquillità, la calma, la quiete, come lo stato d’animo necessario per la contemplazione (B); 3. la solitudine dei monaci oppure la vita solitaria chiamata anche esicasta, temporaneamente o definitivamente accordata ai monaci, dopo aver trascorso un certo tempo nella comunità (C). Cf. PGL, 609-610. L’esicasmo è un termine convenzionale per il metodo psico-somatico della preghiera e contemplazione monastica dei solitari – esicasti, più noto nel collegamento con il movimento monastico del XIV sec. conosciuto come palamismo. Cf. I. Hausherr, «L’hésychasme», 5-40, 249-285; P. Adnès, «Hésychasme», 381-399; J. Gribomont, «Esicasmo», 1763; A. Papadakis, «Hesychasm», 923-924; J. Meyendorff, Byzantine Theology, 76-78.

[34] Da σιωπάω – «essere silenzioso», «non parlare», si può riferire al silenzio divino oppure al silenzio umano, all’assenza del parlare come nel nostro caso. Cf. PGL, 1234.

[35] Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce, 141; cf. Cap., 1, 95.

[36] L’accidia secondo Climaco «è paralisi dell’anima, infiacchimento della mente, trascuratezza dell’ascesi», che praticamente è collegata con l’accusa nei confronti di Dio «di essere senza misericordia e senza amore per gli uomini» e provoca «astenia nella preghiera». Si collega piuttosto con gli esicasti che non con i cenobiti. Cf. Giovanni Climaco, La scala, 237-241.

[37] Cf. P. Miquel, Lessico del deserto, 21-22.

[38] Cf. Éth., 2, 1, 50-55.

[39] Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce, 129; cf. Cap., 1, 66. Con l’espressione «ritorna dove abitualmente preghi», secondo noi si potrebbe affermare che per San Simeone il monaco cenobita, nei momenti della preghiera personale e specialmente in quella eseguita nella cella, prende su di sé il ruolo di un esicasta.

[40] Interessante è confrontare l’unico consiglio di Simeone – la preghiera – con quello di Evagrio che propone tre rimedi con i quali si può combattere l’accidia: 1. le lacrime (μετὰ δακρύων). 2. restare (κάθημαι) nella cella, perseverare (ὑπομένω) e accogliere (δέχομαι) con la veglia quelli che assalgono, specialmente il demone dell’accidia e non disertare (καταλιμπάνω) (cf. LXX: Gn 39, 16) dalla cella. 3. essere pronto (παρασκευάζω) a morire all’indomani e, nello stesso tempo, a vivere tanti anni ancora. Cf. Evagrio Pontico, Pr., 27-29.

[41] La filantropia, condiscendenza e pietà del Signore Gesù verso gli uomini è così grande, piena di umiltà e ha un ruolo così importante per Simeone che osa rivolgersi a Dio per mezzo di un’espressione solitamente usata verso gli uomini piuttosto che verso il Signore. Si rivolge così: «ὁ ἀνυπερήφανος Θεός μου καὶ Κύριος», che sarebbe «o mio Dio, senza orgoglio e, Signore». Cf. Euch., 1, 158; 2, 138. Come afferma Krivocheine, tale espressione applicata al Signore si nota soltanto nella letteratura cristiana popolare antica e in Simeone. Questa espressione si incontra anche nella letteratura patristica ma applicata all’uomo e non a Dio. Cf. B. Krivocheine, «Ὁ ἀνυπερήφανος Θεός St. Symeon the New Theologian and early Christian popular piety», 485-494.

[42] Cat., 34, 36. Su questo argomento rimandiamo a: В. Кривошеин, «“Братолюбивый нищий.”».

[43] Possiamo dire che Simeone da buon discepolo ha mutuato il concetto della cella prima di tutto dal suo padre spirituale, che già all’inizio del suo cammino spirituale nel monastero Stoudios, lo esortava di «ne pas courir de cellule en cellule» (Vie, 11, 16). Simeone il Pio in genere parla della cella come del posto par excellence della preghiera personale. Cf. Simeone lo Studita, Discours Ascétique, 16; 29; 30; 31.

[44] Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce, 131-132; cf. Cap., 1, 71.

[45] Cf. PGL, 1486, A3a. I Padri greci elevano il timore di Dio al rango delle virtù. Essi pongono l’accento sul suo valore educativo e sul suo effetto salutare che sono necessari per l’osservanza dei comandamenti e per la pratica delle virtù. Qualcuno vede nel timore una meta finale mentre la sua funzione propria è condurre alla penitenza e alla speranza e, attraverso queste, alla carità. Il timore di Dio non è per altro se non per amare di più il Signore. Cf. Ê. Boularand, «Crainte», 2475-2482. L’espressione ὁ φόβος τοῦ Θεοῦ in Simeone ha il significato di una sottomissione completa e volontaria a Dio, l’abnegazione e la trasformazione di se stessi in uno schiavo di Dio. Cf. A. Kazhdan, «Fear (φόβος)», 781.

[46] Cf. J. Koder, «Index des mots grecs», 386.

[47] L’espressione del Simeone: «Ὁ φοβούμενος τὸν Θεὸν δαιμόνων ὁρμὰς οὐ φοβεῖται οὐδὲ τὰς ἀσθενεῖς ἐφόδους αὐτῶν ἀλλ᾽οὐδὲ ἀνθρώπων πονηρῶν ἀπειλάς» (cf. Cap., 1, 68; Hymn., 17, 113-119) è esemplare perchè con il φόβος spiega due realtà opposte cioè, che con il timore si combatte la paura.

Nell’AT il timore e la pauradi Dio, espresse in ebraico con due parole, sono due cose diverse. Il timore è equivalente a coloro che hanno la vera religione: il vero credente è colui che ha timore di Dio e dunque il rispetto, il riguardo, la considerazione, la devozione, l’omaggio, la soggezione, l’adorazione, la venerazione verso Dio. Dall’altra parte la paura del profeta Isaia o il terrore di Dio e del suo giudizio, si usano nel contesto dell’opposizione tra la santità di Dio e la peccaminosità dell’uomo. Il NTusa la sola parola φόβος con due significati cioè il timoree lapaura. La Madre di Dio, come vera credente, ha il timoredi Dio (Lc 1, 50: τοῖς φοβουμένοις αὐτόν) con la εὐλάβεια – riverenza, pietà e con il δέος – soggezione; Dio dà la ricompensa ai servi, ai profeti, ai santi e a quanti temono suo nome (Ap 11, 18). Dall’altra parte c’è anche φόβος – paura davanti all’uomo che fa male al corpo e davanti al diavolo che fa perire l’anima (Mt 10, 24), davanti a una fantasma (Mt 14, 26-27) ma anche davanti alla persona di Gesù (Mt 17, 7) e davanti la realtà sconosciuta della Trasfigurazione del Signore (Lc 9, 34). Cf. G.A. Lee, «Fear», 289-292. Per la problematica del timore e della paura nella Bibbia, cf. B. Costacurta, La vita minacciata : il tema della paura nella Bibbia ebraica.

[48] Cf. Cap., 1, 70.

[49] I costumi cenobitici dei monasteri bizantini dal IX sec. a XV sec., provengono dal monastero Stoudios, e anche nelle linee essenziali della loro vita si può osservare la spiritualità studita. Nel monastero di Stoudios i monaci non avevano celle personali. Secondo il principio cenobitico di allora si dormiva in comune in una grande stanza, una specie di dormitorio cenobitico nelle cosiddette κοιτάριαcubiculi. Negli scritti di San Teodoro Studita non si menzionano le celle individuali dei monaci. Cf. J. Leroy, «La vie quotidienne du moine studite», 28-31. Nel periodo di San Simeone lo Studita (nato nel 917c.-986c.), i monaci dello Stoudios abitavano probabilmente già nelle celle, perché lo Studita avverte il giovane Simeone di non «courir de cellule en cellule» (Vie, 11, 16). Cf. Simeone lo Studita, Discours Ascétique, 16; 29; 30; 31.

[50] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 451; cf. Cat., 30, 108. Simeone usa il verbo εἰσελθών, participio aoristo di εἰσέρχομαι con il significato di «entrare» fisicamente in un posto. Cf. PGL, 423. Lo stesso verbo si trova nel Nuovo Testamento di Mt6, 6: «Tu invece quando preghi, entra nella tua camera (εἴσελθε εἰς τὸ ταμεῖόν σου». Cf. NA27, 18. Cristo comanda di ritirarsi nella «camera» più segreta della propria casa, perché la preghiera è nella sua essenza più profonda un colloquio con Dio, durante il quale la presenza degli altri può essere causa di distrazioni. Cristo stesso e anche alcuni padri lo praticavano nel tempo idoneo soprattutto la notte in cui un luogo, la cella, «camera segreta» diventa il luogo deserto adatto per colloquio personale con Dio. Cf. G. Bunge, Vasi di argilla, 53-57.

[51] Questi tre periodi della vita di San Simeone voluti dal suo biografo N. Stetato potrebbero rispecchiare la triade del progredire nella vita spirituale tanto amato dai Padri della chiesa. Cf. T. Špidlík – I. Gargano, La spiritualità dei Padri greci e orientali, 55-58; 149-151; 164-166. Anche Simeone è nella linea patristica. Egli, prendendo lo stesso argomento probabilmente da Marco l’Eremita, afferma che Cristo è «il solidissimo fondamento di chi è all’inizio (ἀρχομένοις)» –i principianti (ἀρχομένοις), la «speranza che non confonde di chi si trova a metà (μεσάζουσιν) del cammino» – i proficienti (μέσοις), e la «carità insaziabile e vita senza fine di chi giunge al termine (τελειοῦσιν)» – perfetti (τελείοις). Cf. Cat., 20, 26-29; 17, 119-121; cf. Marco l’Eremita, Paen., 7, 13-14.

[52] Cf. Vie, 4.

[53] Cf. Vie, 4.

[54] Cf. Vie, 5. Della «visione interiore» e della «luce» abbiamo già parlato nella seconda parte del nostro lavoro e perciò qui non ci soffermiamo sull’argomento.

[55] Niceta Stetato, Vita di Simeone il Nuovo Teologo, 13; cf. Vie, 6, 25-28. Era nell’anno 976 quando ebbe questa missione affidatagli al servizio dell’imperatore. Cf. U. Neri, «Introduzione», 26-39.

[56] Interessante è che la parola νέος, cioè nuovo, giovane che usa N. Stetato (Vie, 10-12), per indicare il giovane Simeone appena entrato nel monastero di Stoudios (I. Hausherr traduce come la lingua francese usa «novice», cioè novizio, che però non corrisponde alla realtà del monachesimo bizantino, nel quale non esiste nemmeno il concetto di noviziato). Ci sono tre gradi nella vita monastica bizantina: 1. arcari o rasofori, 2. stavrofori o microschimi, 3. megaloschimi. A questi tre gradi monastici precede il periodo di prova nel quale il candidato per un periodo stabilito aspettava il momento della vestizione dell’abito monastico. Cf. T.T. Martynyuk, Caratteristica giuridica dei gradi della consacrazione monastica : il Tipico generale dei monasteri studiti nel contesto della tradizione monastica e del CCEO, 37-47; cf. P. de Meester, Liturgia bizantina, 16-26. Risulta che Simeone in quel momento era semplicemente un laico, un candidato alla vita monastica, e come tale, secondo le tradizioni monastiche bizantine doveva passare un tempo stabilito di aspettativa prima di vestire il primo abito monastico che già lo faceva monaco. Dalla Vie di San Simeone, abbiamo due testimonianze dei monasteri studiti, quello di Stoudios (Vie, 11), e quello di San Mama (Vie, 45) che ci parlano della pratica della consegna della cosiddetta «veste d’obbedienza (σάκκον αὐτῷ τῆς γυμνασίας τῶν ἀρετῶν/τὴν τῆς δουλείας σάκκον)» ai candidati, cioè un tipo di vestito del servizio che indossavano i candidati nel tempo di aspettativa per la tunica monastica (τὸν χιτῶνα). Cf. D. Krausmüller, «The monastic communities of Stoudios and St Mamas in the second half of the tenth century», 74-75.

[57] Cf. Vie, 11.

[58] Cf. Vie, 14.

[59] Cf. Vie, 19.

[60] Si tratta praticamente della tonsura monastica oppure dell’abito monastico che ha avuto due forme: mikron schima e mega schima. Il secondo corrispondeva al livello più alto della professione monastica. L’abito dei megaloschimos differiva da quello dei mikroschimos per il coucoulion (cappuccio) e l’analabos (scapolare). Dall’ VIII al XIII sec., partendo da San Teodoro Studita, nei monasteri studiti si praticava un unico schima monastico. Cf. A.-M. Talbot, «Schema», 1849. Per lo sviluppo della distinzione tra piccolo e grande schima nel monachesimo bizantino: Cf. T.T. Martynyuk, Caratteristica giuridica dei gradi della consacrazione monastica, 34-37; D. Oltean, «Le rituel monastique byzantin du πρόσχημα. Histoire d’une évolution inattendue».

[61] Cf. Vie, 25, 7-8; 26, 19-20; 27, 9.

[62] Cf. Eth., 7, 231. 265. 480.

[63] Vie, 25, 7-8; 26, 6-13; 145, 17.

[64] Cf. Ibid., 27, 82; 13, 64; 17, 319; 28,1; cf. Hymn., 17, 319-320; 40, 11.

[65] Cf. J. Leroy, «La vie quotidienne du moine studite», 30-49. Si deve prendere in considerazione ancora il fatto che la lunghezza dell’intervallo variava a seconda del periodo solare dell’anno. Così per esempio il tempo del riposo notturno poteva durare da quattro fino a otto ore. L’eccezione erano le feste grandi oppure le domeniche, quando nei monasteri studiti non si lavorava e il tempo dopo la divina liturgia fino al vespro era dedicato alle letture spirituali. I bizantini dividevano la giornata in due parti: dodici ore di giorno e dodici ore di notte. La «prima ora (prote hora)» corrispondeva all’alba, l’«ora terza (trite hora)» alla metà della mattinata, l’«ora sesta (hecate hora)» al mezzogiorno e l’«ora nona (henate hora)» alla metà del pomeriggio. Hespera cominciava un’ora prima del tramonto e l’apodeipnon era il periodo dopo il tramonto. La lunghezza di ogni ora era diversa a seconda del periodo solare dell’anno. Cf. B. Croke, «Hour», 952.

[66] Cf. Cat., 26, 3-4. L’ἀρχάριος non significa novizio, ma «principiante» nella vita monastica e corrisponde al primo grado della vita monastica. Egli già indossava l’abito monastico. Cf. P. de Meester, Liturgia bizantina, 21-24.

[67] Cf. Cat., 26; cf. J.M. Hussey, The Orthodox Church in the Byzantine Empire, 341; Id., Church and Learning in the Byzantine Empire : 867-1185, 195-197

[68] Lὄρθρος – mattutino, la preghiera liturgica mattutina per consacrare il giorno a Dio. Si celebrava nell’ultima parte della notte, nel passaggio all’alba. Insieme con il vesproè la preghiera principale delle oredell’officium nell’uso sia cattedrale sia monastico. Conteneva hexapsalmos – sei salmi: 3, 37, 62, 87, 102 e 142; sticologia(sezione del salterio assegnata per il giorno) con i tropari(unità poetica – la strofa dell’innografia liturgica bizantina) e il canone. Il canonenell’uso dei monaci studiti di Costantinopoli si interrompeva con le letture – ἀναγνώσεις, sia letture dei Padri della chiesa, sia letture del Synaxarion – le vite dei santi. Nei monasteri studiti, nei giorni stabiliti, durante l’orthros si teneva anche la catechesi eseguita dall’igumeno ai suoi monaci. Cf. R.F. Taft, «Orthros», 1539; cf. Cat., 26, 25-30-2; Cat., 22, 114-116.

[69] L’uso di questi termini usati nei vari contesti è descritto in modo più dettagliato da Neri: Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 203, n. 5.

[70] L’ἑσπερινός, la preghiera liturgica serale del ringraziamento per il giorno passato. Insieme all’orthros, era la preghiera più importante della giornata liturgica. Il vesprosi celebrava al calare del sole. Il suo nome alternativo è anche lucernarioλυχνικόν, per il motivo che si celebrava nell’ora in cui si accendeva la lampada con la luce serale, simbolo di Cristo – la luce del mondo. Cf. R.F. Taft, «Vespers», 2161-2162.

[71] L’ἄμωμος – l’immacolato, nome appropriato al Salmo 118, che comincia con le parole μακάριοι οἱ ἄμωμοι ἐν ὁδῷ. Cf. PGL, 94, 6.L’amomos è parte costitutiva della preghiera notturna, cioè di mezzanotte e si chiama μεσονυκτικόν.

[72] La corrispondenza fra i due monasteri studiti è descritta in: D. Krausmüller, «The monastic communities of Stoudios and St Mamas in the second half of the tenth century», 70-75.

[73] Noi sappiamo che nei monasteri studiti vigeva la pratica, presa dal monastero Stoudios, di prendere il cibo ufficialmente soltanto una volta al giorno, dopo il vespro, anche se poteva esserci un rinforzo anche la mattina dopo l’ora terza. Nel tempo pasquale si prendeva cibo anche dopo la divina liturgia. Cf. J. Leroy, «La vie quotidienne du moine studite», 48.

[74] Niceta Stetato, Vita di Simeone il Nuovo Teologo, 30; cf. Vie, 25, 7-8.

[75] L’espressione πρόσεχε σεαυτῷ è una formulazione biblica di Es 23, 21, cf. J.W. Wevers, ed., Exodus; col significato di «prestare attenzione a» e che nei testi patristici ricorre spesso come invito alla vigilanza. Cf. PGL, 1169, 3. Per Simeone è lo strumento spirituale nel combattimento contro la distrazione – per esempio: nella Cat., 11, 126-129 invita alla vigilanza i monaci durante i loro lavori per combattere la distrazione che apre le porte al diavolo. Nella Cat., 26, 73-79 essa è collegata al permanere nella cella e al pasto preso in comune con l’invito al monaco di passare in esse il tempo in modo più qualitativo occupandosi, cioè, di ciò di cui ci si deve occupare, non parlare e raccogliersi nel silenzio. Nella Cat., 30, 190-195 incoraggia ad essa durante la preghiera liturgica in chiesa onde, concentrandosi sui salmi e sui propri peccati senza distrarsi guardando ciò che fanno i confratelli. Essa è anche strumento per non essere ingannati. Nella Cat., 12, 26-30 è il mezzo per non lasciarsi ingannare e avere invece una stima veritiera di sé stessi. Nella Cat., 20, 85-93 spiega che proprio vigilando su se stessi, per mezzo del pensiero sulla morte e occupandosi del modo migliore per glorificare Dio, si sfugge al rischio di poter essere ingannati dai propri occhi, da ciò che vedono. Alla fine, nella Cat., 31, 12-148 spiega che cosa significa «badare a se stessi». Infatti si capisce che per Simeone questo è uno stato dell’esame di coscienza in cui il monaco dovrebbe vivere il più spesso possibile. Di questo argomento parleremo nell’ultima parte di questo capitolo.

[76] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 448; cf. Cat., 30, 12-24.

[77] Nella Vie, 27, si può notare che Simeone si «dedicava al lavoro manuale a trascrivere il testo dei libri divini». Il lavoro, che nello Stoudios si svolgeva nei scrittori, Simeone lo svolgeva nella propria cella. Questo potrebbe spiegare il fatto che egli stava chiuso «per l’intera giornata nella propria cella». Leroy afferma che il lavoro calligrafico non apparteneva ai lavori intellettuali, anche se negli ambienti monastici era tenuto in onore. Fare calligrafia era piuttosto un lavoro psicologicamente molto penoso poiché serviva molta pazienza, accuratezza e concentrazione. Non tutti potevano svolgere questa attività ma solamente i monaci virtuosi, cioè coloro che possedevano le sopraddette virtù. Cf. J. Leroy, «La vie quotidienne du moine studite», 40-41.

[78] Il termine κάθισμα serve per designare una sezione del salterio. Nell’officium della tradizione bizantina il Salterio si divede in venti parti – kathisma e ognuna di esse è divisa ancora in tre staseis e, infine, ogni stasis finisce con una dossologia («Gloria»). Cf. H. Leclercq, «Kathisma», 686. Dal contesto risulta che in questo caso era la preghiera del mattutino per la quale Simeone usciva dalla propria cella poichéil kathisma fa parte integrante della preghiera del mattutino.

[79] Niceta Stetato, Vita di Simeone il Nuovo Teologo, 31; cf. Vie, 26, 6-20.

[80] Da ἀγών, «lotta», «combattimento», «martirio» della vita cristiana, una lotta spirituale nell’intercedere per la salvezza degli altri, ma anche il combattimento ascetico della perfezione (cf. 1Tim 2, 2; Eb 12, 1).Cf. PGL, 25, 1abc.

[81] Niceta Stetato, Vita di Simeone il Nuovo Teologo, 32; cf. Vie, 28, 5-9.

[82] Cf. J. Leroy, «La vie quotidienne du moine studite», 34.

[83] Niceta Stetato, Vita di Simeone il Nuovo Teologo, 31; cf. Vie, 27, 9.

[84] Vie, 28, 8-9.

[85] Cf. Vie, 94-112. Santa Marina è una martire di Antiochia di Pisidia. Cf. J.-M. Sauget, «Marina (Margherita)», 1150-1160.

[86] Questo suo discepolo proveniva dalle alte sfere della società bizantina di allora, un signore e proprietario che si è fatto monaco ed è diventato il discepolo di Simeone. Sappiamo che Simeone è cresciuto a Costantinopoli nell’ambiente dell’alta società e abbastanza presto ha preso la strada della carriera amministrativa. Anche dopo essere entrato nel monastero, Simeone è rimasto in qualche modo in contatto con la società in cui è cresciuto. Il suo biografo afferma che Simeone era padre spirituale di un patrizio, Genesio, e di altri magistrati di Costantinopoli (Vie, 102, 7-8), perciò si potrebbe affermare che Simeone, pur rimanendo nel monastero ed essendo loro padre spirituale godeva anche del loro appoggio e protezione. Cf. A.P. Každan, «Предварительные замечания о мировоззрении византийского мистика X-XI вв. Симеона», 5-10; R. Morris, «The Political Saint of the Eleventh Century», 48-49. Hussey afferma, che i monasteri bizantini sono stati intimamente intrecciati con il mondo laico. Ιl mondo laico nei monasteri bizantini era presente in modo troppo evidente. Malgrado questo fatto i monaci cercavano di vivere secondo i principi monastici. Cf. J.M. Hussey, Church and Learning in the Byzantine Empire : 867-1185, 164-165. McGuckin afferma che questo difetto si trova anche nel monastero di San Mama perché anche codesto monastero prima che Simeone diventasse igumeno, era conosciuto come luogo adatto per l’élite sociale poiché c’era lì presente un gruppo di monaci provenienti dall’alta società. Questo gruppo non era per niente piccolo. Essi consideravano Simeone come uno che voleva ristabilire una certa indipendenza del monastero dalla corte e dal basileus e quindi si ribellavano. La ribellione con varia intensità durò praticamente fino all’esilio di Simeone. Questa situazione era frutto della tensione creatasi nell’ambiente politico-sociale dell’Impero nel periodo degli anni 976-989, con la ribellione di Barda Sclero e di Barda Foca. Simeone inizialmente godeva dell’appoggio del patriarca Nicola II Crisoberge. La ribellione riprese nel 996-998 nel periodo del nuovo patriarca Sisinio II, e infine sotto il patriarca Sergio II, che era influenzato daBasilio II. Simeone sotto gli attacchi del sincello Stefano, confidente dell’imperatore, deve dimettersi nel 1005 e nel 1009 liberamente andò in esilio a Santa Marina vicino a Crisopoli in Asia Minore, seguito da un gruppo di persone dell’alta società bizantina probabilmente proveniente d’Asia Minore, che lo avevano appoggiato fin dal principio. L’autore afferma che, infatti, gli amici e tutta la parentela formano una certa matrice di tutta la sua vita in modo tale che vengono inclusi nel suo programma monastico. Ecco ciò che poteva influenzare la vita monastica a San Mama e a Santa Marina. Cf. J.A. McGuckin, «Symeon the New Theologian (d.1022) and Byzantine monasticism», 17-35. Per lo sfondo politico-sociale-religioso di quell’epoca nell’Impero bizantino e a Costantinopoli: Cf. G. Ostrogorsky, L’Histoire de l’état byzantin, 309-340; R. Morris, Monks and laymen in Byzantium, 843-1118, 95-119; V. Grumel, «Chronologie patriarcale au Xe siècle.», 45-71; V. Laurent, «La chronologie des patriarches de Constantinople de 996 à 1111», 67-74.

[87] Niceta Stetato, Vita di Simeone il Nuovo Teologo, 111-112; cf. Vie, 111, 1-7.

[88] Cf. Vie, 96, 1-5. L’ora nona, che contiene i salmi 83, 84 e 85 seguiti dai tropari e dalle preghiere prescritte è una delle quattro «piccole ore» liturgiche. Insieme con l’orthros, vespro, apodeipnon, mesonyctikon, fanno parte del «ufficio divino», officium dei bizantini. Ci sono anche le ore cosiddette reali o grandi, che si pregano nella vigilia di Natale, Epifania e nel Venerdì Santo prima della Pasqua. Cf. R.F. Taft, «Hours», 952; K. Onasch, Lexikon Liturgie und Kunst der Ostkirche: unter Berücksichtigung der Alten Kirche, 169-170.

[89] Cf. B. Krivocheine, «Introduction», 166.

[90] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 312-313; cf. Cat., 17, 18-29.

[91] Cf. Cap., 1, 66.

[92] Qui, sotto il τόπος, si intende semplicemente un luogo fisico (A). In genere può essere interpretato anche come: il cielo e la Gerusalemme celeste (A2); luogo santo, l’edificio di una chiesa, un santuario (A4-6); luogo di sepoltura (A7); luogo della dimora di Dio (Es 33, 21) (A10); l’anima, dimora dello Spirito Santo (A13); luogo, spiritualmente interpretato, dove si rende il culto a Dio (A15). Cf. PGL, 1396-1397. Il τόπος è legato alla Shekinah – la presenza di Dio, quale nome d’azione che indica la Presenza, i luoghi e i tempi dove il Signore vuole lasciarsi incontrare. Non in termini di onnipresenza ma di immanenza, riferendosi alla sfera del possibile: non vi è luogo che non possa essere contrassegnato dalla presenza di Dio, o ancor meglio in cui non possa venir ospitato. Shekinah è espressione dell’AT il quale spiega la presenza di Dio sulla terra e nel NT si riflette nella fede che Dio è venuto inGesù incarnato. Egli è Shekinah e τόπος per eccellenza, è l’Anastasis che «indica il punto del contatto con il reale, schiuso sulla trasgredenza della pura orizzontalità, magnetizzando tutta la storia intera e tutte le storie delle singole persone in quell’arrivo sabbatico che non demanda più altrove ma chiede di collocarsi nel τόπος stesso. (Cf. S. Fausti, Ermeneutica teologica, 42)» e «supera definitivamente l’atopia della separatezza. […]. L’espressione di Lc24, 6: “οὐκ ἔστιν ὧδε” non significa un non-luogo, ma un’eccellenza: il topos, cui tendeva tutta la storia». Cf. C. Dobner, «L’apax dell’Anastasis», 245-247; D. Moody, «Shekinah», 317-319; W.A. VanGemeren, «Shekinah», 466-468; O. Clement – M.I. Rupnik, Anche se muore vivrà, 24.

[93] Leroy afferma che nei tempi di San Teodoro Studita nello Stoudios i monaci a mezzogiorno, dopo l’ora sesta, nell’intervallo di riposo dal lavoro, trovavano vari posti per riposare: «on se repose sous les arbres ou sous les porches». Cf. J. Leroy, «La vie quotidienne du moine studite», 39. Secondo il nostro parere i posti simili a questi, al tempo di San Simeone il Nuovo Teologo, tranquillamente potevano essere sfruttati e servire anche per la preghiera personale.

[94] Il senso di ἐν μιᾷ γωνίᾳ qui sarebbe «in un angolo», «in uno luogo oscuro» ma anche «in secreto». Cf. PGL, 327.

[95] Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce, 128; cf. Cap., 1, 64

[96] Cf. T. Špidlik, «Il metodo esicastico», 307-308; cf. I. Hausherr, «Noms du Christ et voies d’oraison», 137-141.

[97] Verbo κάθημαι o καθίζω – «essere seduto, sedere» (PGL, 689, 1). Kathisma: Con κάθημαι è collegato anche il termine liturgico κάθισμα – «la sessione». E’ un troparion, un breve inno che viene cantato dopo il kathisma, cioè una sezione del salterio,oppure quello che viene inserito dopo la terza o sesta ode di un canone durante l’orthros e durante il canto in cui è permesso di rimanere seduti. (PGL, 690, 1 e 3c). Cf. E.M. Jeffreys – al., «Kathisma».

[98] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 451; cf. Cat., 30, 109.

[99] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 403-404; cf. Cat., 26, 272-274, 291-294.

[100] Simeone il Nuovo Teologo, Inni, 56-57; cf. Hymn., 13, 63-79.

[101] Nella prima Catechesi, nel discorso inaugurale del giovane igumeno, Simeone afferma che, mentre parlava di carità, fu d’improvviso (αἴφνης) e per un istante rapito in un’estasi (συνηρπάγην). Neri afferma che si trattava di una vera contemplazione estatica. Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 101, n. 9; cf. Cat., 1, 70-80. Per quanto riguarda l’esperienza personale della «visione» della luce da Simeone, rimandiamo alla seconda parte del nostro lavoro, dove abbiamo già trattato quest’argomento.

[102] Cf. P. Miquel, «La conscience de la grâce selon Syméon le Nouveau Théologien», 331; cf. Éth., 7, 118-123, 200-210; Cap., 1, 7.

[103] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 315; cf. Cat., 17, 65-66.

[104] Éth., 11, 211.

[105] Darrouzès, J., «Introduction», 345, n. 2.

[106] E’ stato dimostrato da padre Hausherr, che l’opera intitolata Metodo della preghiera e dell’attenzione, prima da qualcuno attribuita a San Simeone il Nuovo Teologo, non gli appartiene, anzi gli è posteriore (forse l’autore è Niceforo l’Atonita, XIII sec.). Nel Metodo, infatti l’autore spiega il metodo della preghiera esicasta, che Simeone non poteva conoscere. L’edizione critica del testo del Metodo: cf. I. Hausherr, «La méthode d’oraison hésychaste»; R. D’Antiga, «Introduzione alla vita e alle opere di San Simeone il Nuovo Teologo».

[107] I protagonisti del movimento esicasta come per esempio Gregorio Sinaita, Niceforo Monaco, Callisto e Ignazio Xanthopoulos, Pseudo-Simeone, collegano la tecnica psico-somatica con l’orazione del nome di Gesù. Il corpo ha in questo metodo la sua importanza e il suo ruolo. Ci sono varie posizioni del corpo durante la preghiera nei testi della preghiera esicasta: stare in piedi, seduti oppure inginocchiati, che aiutano l’orante a pregare. Essere seduti in modo curvo e umile, su una sedia bassa, con la luce scarsa e il respiro coordinato con le parole della preghiera è la posizione privilegiata nella preghiera esicasta e aiuta alla sobrietà. Qualcuno nella posizione seduta e curvata trova una nostalgia dello stato fetale. Questa posizione comunque aiuta a tranquillizzare e raccogliere i sensi esteriori come anche a raccogliere la mente e aprirla alla conoscenza di Dio, perciò questo modo ha per loro e per la preghiera stessa una grande importanza. Cf. P. Adnès, «Hésychasme»; P. Miquel, Lessico del deserto, 207; J. Leclercq, «“Sedere”. A propos de l’hésychasme en Occident»; I. Hausherr, «La méthode d’oraison hésychaste»; J. Meyendorff, Introduction à l’étude de Grégoire Palamas; L. Rossi, I filosofi greci padri dell’esicasmo. La sintesi di Nicodemo Aghiorita, 158-159; A. Rigo, «Le tecniche d’orazione esicasta e le potenze dell’anima in alcuni testi ascetici bizantini».

[108] Il verbo ἵστημι – «stare in piedi» (PGL, 678, 1a), di solito si riferisce alla preghiera e per se è una posizione caratteristica per la persona orante e fisicamente più sana che stare seduti. Anche Cristo invita i suoi discepoli: «Alzatevi e pregate» (Lc 22, 46). Nello stare in piedi si esprime l’attesa. E’ una prassi generale cominciando da Antonio il Grande che lavora seduto e si alza in piedi per pregare. Per Evagrio è l’unica posizione per pregare che conosce. Spesso viene usata nella liturgia come una acclamazione liturgica dal diacono ai fedeli nei momenti cruciali, come per esempio prima di ascoltare il Vangelo, oppure prima che inizi l’anafora. Essa viene collegata con l’espressione ὄρθιος/ὀρθός – «stare dritti, in piedi» (PGL, 972, A1), cioè in una posizione verticale, che esprime lo stato di essere pronti a elevare i pensieri alle cose divine, ma anche a ricevere i doni divini. Cf. G. Bunge, Vasi di argilla, 151-159.

[109] Cf. Cat., 30, 147-172.

[110] Per l’acclamazione liturgica «σοφία ὀρθοί» alla fine del piccolo ingresso ed anche prima dell’acclamazione del Vangelo della divina liturgia: Cf. J. Goar, Euchologion, 54, 77, 99.

[111] Questa parte della citazione di San Simeone fa risuonare un’altra esclamazione cioè l’invito liturgico del diacono: «τὰς θύρας, τὰς θύρας […] στῶμεν καλῶς, στῶμεν μετὰ φόβου», nella divina liturgia prima e dopo la professione della fede, che è un invito a stare attenti a non far avvicinare le persone che non sono introdotte nei misteri della fede e dall’altra parte stare attenti ai misteri divini che si cominciano a celebrare. Queste parole fanno risuonare anche i Detti dei Padri, di essere attenti alle porte del proprio cuore per non far entrare dei logismoi (cf. Evagrio). Cf. J. Goar, Euchologion, 60, 119-120.

[112] Abbiamo già accennato che l’ἡσυχία è il silenzio, la tranquillità, la calma, la quiete, lo stato d’animo necessario per la preghiera e la contemplazione. Qui vogliamo aiutarci ancora con la spiegazione del ventisettesimo gradino della Scala del Climaco, aggiungendo che «essa però non è pura condizione di passività, ma anche e prima di tutto una continua attività della mente nel vigilare sul cuore e sui pensieri» e presuppone dunque «l’attenzione – προσοχή, la sobrietà/vigilanza – νῆψις, l’assenza di preoccupazioni – ἀμεριμνία e il discernimento – διάκρισις». Anche sulla base della spiegazione di Climaco possiamo meglio rendersi conto che «fare silenzio» e «tenersi nel silenzio» da Simeone è un agire spirituale e attivo. Cf. L. D’Ayala Valva, «Glossario», 518-519.

[113] Éth., 11, 220-230.

[114] Qui si nota l’influenza di Climaco, che riporta come esempio della penitenza lo stare «con i piedi immobili per tutta la notte […], fissare il cielo con uno sguardo […], e con i gemiti e grida invocare da lassù un aiuto». Cf. Giovanni Climaco, La scala, 15, 5c.

[115] Cf. Euch., 30, 150-151.

[116] Cat., 30, 150-151.

[117] Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce, 131-132; cf. Cap., 1, 71. «Alzare le mani» e «lo sguardo» verso il Signore sono due atteggiamenti fondamentali e biblici dell’orante verso il Signore. Esprimono un rapporto personale e fiducioso e sono il segno di pronta attenzione della creatura verso il Creatore. Cf. G. Bunge, Vasi di argilla, 161-173.

[118] Cf. Cap., 1, 71.

[119] Cf. Cat., 30, 159-160.

[120] Cf. Cat., 30, 159-162. Climaco racconta anche su questa posizione penitenziale: «Altri stavano in preghiera con le mani legate dietro la schiena come dei condannati». Cf., La scala, 5, 5d.

[121] Cf. Giovanni Climaco, La scala, 165-183, Discorso 5. Questo capitolo è pieno di azioni ascetiche stravaganti e soprattutto nel 5, 5a-y. D’Ayala Valva spiega che «in questo capitolo è descritta la penitenza degli asceti-penitenti del monastero chiamato Prigione (phylaké), spesso criticata e addita come esempio di estremismo ascetico, ai limiti del masochismo e della patologia mentale. […] Ci inganneremmo se volessimo vedere in queste pagine dei sintomi patologici […], siamo in presenza di una serie di icone della penitenza […]. Climaco vuole mostrarci in questi penitenti l’immagine di un dolore estremo, il dolore per la salvezza perduta che, lungi dal dissociare la personalità, costituisce al contrario un potente fattore di riunificazione interiore, il più efficace forse per coloro che non sono ancora pienamente illuminati dalla grazia dello Spirito. […] In ogni caso, questa pagina di Climaco diventò per molte generazioni dei monaci un vero modello di penitenza.». Cf. L. D’Ayala Valva, «Glossario», 166-167, n. 3.

[122] Cf., Cat., 30, 171-172.

[123] Il gesto devozionale che caratterista la persona orante e che si usa in oriente fino ad oggi è la stazione eretta per pregare, con avambracci espansi e mani aperte e affrontate. Cf. A. Vaccaro, Dizionario dei termini liturgici bizantini e dell’Oriente cristiano, 221.

[124] Cf. Cat., 30, 171-172.

[125] Cf. PGL, 1353.

[126] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 403; cf. Cat., 26, 274-282.

[127] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 394-395; cf. Cat., 26, 28-41; cf. H.J.M. Turner, «“A care-free and painless existence”?», 42-43.

[128] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 453; cf. Cat., 30, 188-201.

[129] Προσκύνησις o προσκύνημα – «adorazione, l’omaggio rituale reso e dovuto solo a Dio (adorazione del vero Dio, adorazione della Croce). La cerimonia dell’adorazione è espressa con la parola proskýnisis (adoratio)che ha preso dai Greci un significato di prostrazione, cioè un significato più ampio della latina adoratio, dunque un ossequio profondo». Cf. A. Vaccaro, Dizionario dei termini liturgici bizantini e dell’Oriente cristiano, 53-54; G. Bunge, Vasi di argilla, 185-191. Il concetto dell’adoratio/προσκύνησις del rituale imperiale caratterizzato come la «cerimonia drammatica», nell’ambiente monastico si è trasformato nello stato spirituale della contrizione, penitenza e ricettività che il monaco cerca di incarnare nel culto liturgico e nella vita stessa. Cf. A. Schmemann, Introduction to Liturgical Theology, 193-196. Uno dei modi della προσκύνησις è l’inchino – μετάνοια (metánia).

[130] Cf. Cat., 30, 172-173.

[131] Cf. Ep., 2, 81-85. Parleremo più tardi in modo dettagliato della struttura e del contenuto dell’«ufficio serale» e della «preghiera della regola».

[132] La μετάνοια – «inchino» è l’inclinazione oppure prostrazione fatta come segno di umiltà e adorazione (davanti alla Croce e alle reliquie dei santi, davanti a una persona di riguardo o alle immagini sacre, oppure a quelle particolarmente venerate, esposte all’entrata della chiesa). Nel NT, l’atto di «inchino» è rivolto sempre a qualcosa di santo o divino, in particolare nei Vangeli (Mt 18, 26; 8, 2; 15, 25; 20, 20; Mc 1, 40; 7, 25; 10, 33, ecc.). Ci sono due metanìe: la μικρὰ μετάνοια è una inclinazione piccola composta da tre momenti – dal corpo eretto si inchina il capo profondamente portando la mano verso la terra, in seguito si prosegue nel segno di croce consueto; la μεγάλη ματάνοια è la grande prostrazione anche essa con tre elementi – dal corpo eretto ci si prostra fino a terra appoggiandosi sulle ginocchia in modo da mettere entrambe le mani a terra, e inginocchiandosi si avvicina la fronte della testa fino alla terra in modo tale che si potrebbe baciare. Ci si rialza segnandosi normalmente con il segno della croce. Cf. L. Clugnet, Dictionnaire grec-français des noms liturgiques en usage dans l’Église grecque, 99; A. Vaccaro, Dizionario dei termini liturgici bizantini e dell’Oriente cristiano, 220-221.

[133] Il digiuno – νηστεία: imposizione del digiuno da parte della Chiesa ai fedeli per la mortificazione della carne; per l’espiazione dei peccati e per elevare lo spirito a Dio. Nella tradizione bizantina ci sono questi digiuni liturgici: μεγάλη νηστεία/τεσσαρακοστήν – il Grande digiuno della Quaresima; ἡ νηστεία τῶν Χριστουγέννων – di quaranta giorni prima delle Natività di Cristo (comincia il giorno dopo la festa del Santo Apostolo Filippo, il 15 di Novembre); Ἡ νηστεία τῶν ἀγίων Ἀποστόλων – degli Apostoli (comincia dal giorno dopo la Domenica di Tutti i Santi e finisce alla vigilia della festa di San Pietro e Paolo, il 29 di giugno); Ἡ νηστεία τῆς Θεοτόκου – della Madre di Dio (dal 1 al 15 di agosto); Ἡ νηστεία τοῦ Σταυροῦ – della Santa Croce (prima della festa dell’Esaltazione della Santa Croce, il 14 di settembre),che si osserva nelle comunità monastiche. Cf. L. Clugnet, Dictionnaire grec-français des noms liturgiques en usage dans l’Église grecque, 107-108; A. Vaccaro, Dizionario dei termini liturgici bizantini e dell’Oriente cristiano, 230; P. D. Day, The liturgical dictionary of Eastern Christianity, 99.

[134] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 453; cf. Cat., 30, 200-210.

[135] Cf. K.T. Ware, «The Mystery of God and Men», 234. Abbiamo discusso la visione antropologica simeoniana dell’uomo nel primo capitolo del nostro lavoro.

[136] Le γονυκλισίαι sono le «genuflessioni». I Greci usano raramente questo gesto corporale. Al posto di essi si usano piuttosto le metanìe. Comunque esiste una cerimonia liturgica chiamata così, propria all’ufficio della sera della domenica di Pentecoste. Essa consiste nella recita delle preghiere lunghe di un sacerdote, durante le quali si sta sulle ginocchia. Cf. L. Clugnet, Dictionnaire grec-français des noms liturgiques en usage dans l’Église grecque, 30.

[137] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 361; cf. Cat., 22, 75-76.

[138] Éth., 11, 195-206.

[139] Sotto ἀνάγνωσις nell’ambiente patristico di solito si intende la lettura della Scrittura biblica (A) eseguita in due modi: 1. letta in privato, seguita dalla preghiera e come tale aveva i sui benefici e effetti: indispensabile per la salvezza, purifica l’anima, difende contro i peccati, santifica, salva dai pensieri malvagi e dalla tristezza. Spesso si riferiva alla pratica monastica; 2. letta in pubblico – parlando della pratica monastica, essa si eseguiva durante i pasti, conteneva le letture e la salmodia. Si poteva trattare anche di qualsiasi altra letteratura di solito spirituale (B). Cf. PGL, 99.

[140] Per quanto riguarda San Simeone e la lettura della Sacra Scrittura e dei scritti dei santi Padri rimandiamo al libro di Alfeev in cui descrive dettagliamente questo argomento: Cf. I. Alfeev, St. Symeon the New Theologian, 43-72-142.

[141] Nella storia della teoria del discernimento spirituale Diadoco di Fotica occupa un posto particolare. Secondo il suo insegnamento gli uomini possono essere animati da due tipi di spiriti, buoni e cattivi. E’ necessario pertanto ordinare i pensieri e non spegnere lo Spirito Santo. Diadoco parla dello spirito maligno cha ha la capacità di trasformarsi in «angelo della luce» e dello Spirito Santo che aiuta l’anima ad attraversare il periodo delle desolazioni spirituali in fondo percepite come benefici per anima di origine divina. Il secondo maestro del discernimento è Giovanni Climaco nel ventiseiesimo grado della Scala. Il discernimento secondo lui nasce dall’umiltà. Ogni percorso spirituale conosce una particolare forma di discernimento, dalla conoscenza di sé alla conoscenza oscura di Dio. Attraverso il pensiero della Scala ci si rende conto che l’origine dei movimenti interni dell’uomo possono essere attribuiti a Dio, al demone oppure alla natura umana. Cf. G. Bardy, «Discernement des esprits. Chez les Pères», 1252-1254; Diadoco di Fotica, Perf.; Giovanni Climaco, La scala.

[142] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 132; cf. Cat., 3, 268-272.

[143] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 134; cf. Cat., 3, 281-286.

[144] Cf. Cat., 30, 198-201.

[145] «Con il termine μελέτη – “meditazione”, i Padri intendono, come già il salmista stesso, un costante ripetere sottovoce determinati versetti o intere pericopi della sacra Scrittura, con lo scopo di coglierne il senso spirituale nascosto». Cf. Bunge, G., Vasi di argilla, 46.

[146] Éth., 12, 1-5.

[147] Cf. Cat., 24, 41-69.

[148] Cf. Cat., 31, 27-33.

[149] Cf. I. Alfeev, «Symeon the New Theologian and Holy Scripture», 31-34.

[150] Cf. Éth., 5, 1-12.

[151] Cf. B. Bitton-Ashkelony, «Personal Experience», 110-112.

[152] Per la lettura spirituale nello Stoudios era a disposizione il tempo tra mattutino ela divina liturgia, l’intervallo dopo la divina liturgia fino all’inizio del lavoro nonché al pomeriggio fra l’ora nona e il vespro. Le domeniche il monaco studita aveva tutto il giorno a disposizione per la lettura spirituale. Cf. J. Leroy, «La vie quotidienne du moine studite», 47-48.

[153] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 403; cf. Cat., 26, 272-273.

[154] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 453; cf. Cat., 30, 187-188.

[155] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 402; cf. Cat., 26, 249.

[156] Cf. Cat., 22, 32-50; Si tratta praticamente della prima grande esperienza mistica di Simeone, che lui stesso riporta sotto il nome di «un giovane Giorgio», che probabilmente è il suo nome da laico. Cf. B. Krivocheine, «Introduction», 18, n. 1; cf. Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 359, n. 7.

[157] Cf. Cat., 22, 31-50. Il suo biografo afferma che il giovane Giorgio da Simeone lo Studita ha ottenuto ancora come lettura spirituale i testi di Diadoco, anche se nei testi di San Simeone il Nuovo Teologo si trovano soltanto le citazioni dirette dai testi di Marco l’Eremita menzionati sotto, e due citazioni di Climaco (Cat., 4, 450-543; 30, 140-142). Cf. Vie, 4, 16. Alfeev afferma che in Simeone si possono incontrare trenta citazioni dirette di Gregorio il Teologo, quindici di Giovanni Crisostomo, tre di Basilio il Grande e allusioni ai testi di Gregorio di Nissa, Massimo il Confessore, Dionigi Areopagita e qualche frammento dei Detti dei Padri. Simeone qualche volta rimanda al suo padre spirituale Simeone lo Studita, però mai cita San Teodoro Studita, né Macario, né Isacco il Siro anche se li conosceva e ci sono influenze. Più precisamente per questa problematica: cf. И. Алфеев, Преподобный Симеон Новий Богослов и православное предание, 213-219.

[158] «Tu cherches un moyen de te guérir ? Aie le souci de ta conscience ; tout ce qu’elle te dit, fais-le et tu trouveras ce qui t’est utile.» : Cf. Marco l’Eremita, Leg., 69.

[159] «Celui qui, avant d’avoir exécuté les commandements, recherche de surcroît les opérations de l’Esprit ressemble à un esclave acheté à prix d’argent et qui, au moment même où on l’achète, se met en quête de son prix et par surcroît d’un écrit d’affranchissement.» : Marco l’Eremita, Justif., 57.

[160] «C’est un aveugle qui déclare à grands cris: “Fils de David, aie pitié de moi.” Sa prière était charnelle et il n’avait pas encore la connaissance spirituelle. Mais l’aveugle d’il y a un instant, quand il eut recouvré la vue et aperçu le Seigneur, l’adore en le confessant non plus fils de David, mais Fils de Dieu.» : Marco l’Eremita, Leg., 11.

[161] Cf. Vie, 26, 21.

[162] Simeone conosce bene la vita di Sant’ Antonio (Cat., 6, 40-65), Sant’ Arsenio (Cat., 6, 71-89), e degli altri santi dell’antichità cristiana (Cat., 5, 637-644) ma anche dei santi più recenti al suo periodo, p.e. Santo Stefano il Nuovo (+764) (Cat., 29, 68-98). Cf. И. Алфеев, Преподобный Симеон Новий Богослов и православное предание, 220-234.

[163] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 452; cf. Cat., 30, 140.

[164] La somiglianza si nota in certi modi, atteggiamenti e comportamenti fisici e corporali che propone anche Simeone. Per esempio: «battersi il petto» 5, 5n (769 A); 5, 5q (772 A); «mani legate dietro la schiena» 5, 5d (765 B -772 B); «metanìe e capelli strappati» 5, 5q (772 A). Cf. Giovanni Climaco, La scala, 165-183.

[165] Il verbo ἀναλογίζομαι – considerare, fare una riflessione, un riassunto mettendo in corrispondenza il passato ed il presente rispetto al futuro. Fare lἀναλογισμός ha il significato di fare un ragionamento per analogia. Cf. PGL, 111; cf. LSJ, 49.

[166] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 451. Leggiamo osservazioni simili sul «rendersi coscienti» anche in Climaco: «Dopo la preghiera, rimani vigilante, e vedrai intere schiere di demoni! […] Siediti e osserva, e vedrai coloro che hanno l’abitudine di rapirci le primizie dell’anima»! (19, 12) e ancora: «Seduto su un’altura, osserva te stesso, se sai farlo, e allora vedrai come, quando, da dove, quanti e quali ladri entrano per rubare i tuoi grappoli d’uva.» (271, 21). Cf. Cat., 30, 109-110; cf. Giovanni Climaco, La scala.

[167] Nella prima parte del rito della vestizione del piccolo abito monastico, il candidato spogliato come il figliuol prodigo chiede di essere ammesso alla vita angelica, «viene introdotto e accompagnato dall’anadoco o dall’ecclesiarca dal nartece fino alla porta santa del santuario facendo le prostrazioni», mentre dei monaci, con le candele e lungo il percorso, cantano il tropario proprio per la circostanza e il canto «Figlio prodigo» con il carattere penitenziale. Cf. P. de Meester, Liturgia bizantina, 45-46.

[168] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 448-449; cf. Cat., 30, 12-107.

[169] Per la struttura e gli elementi dei vari tipi dell’anafora liturgica: Cf. C. Giraudo, «Anafora», 32-35.

[170] Cf. A. Schmemann, Introduction to Liturgical Theology, 133-141.

[171] Simeone è conforme con la tradizione monastica, che esige di fare l’esame di coscienza la sera e la mattina e fare la penitenza dei peccati realmente commessi. Specialmente Basilio il Grande lo afferma in Ascet., 1-2, (PG 31, 881). Cf. Doroteo di Gaza, Doct., 11, 117.

[172] Simeone lo Studita, Padri e figli nello Spirito, 16; cf. Id., Discours Ascétique, 5, 1; In questo caso ἀνακρίνω «esaminare» ha il significato di esaminare e interrogare attentamente. Cf. PGL, 107.

[173] Da verbo κατανοέω «contemplo», che ha piuttosto il significato di osservare bene, capire, apprendere. Cf. PGL, 713.

[174] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 451; cf. Cat., 30, 110-118.

[175] Cf. Cap., 3, 36-38. Su questo tema si è parlato già nel primo capitolo del nostro lavoro, perciò ci soffermiamo soltanto su questa nozione.

[176] «Ho forse giudicato male, insultato, scandalizzato o ucciso qualcuno? Ho guardato qualcuno negli occhi in modo sensuale? Ho disobbedito al responsabile nel mio servizio? E questo ho compiuto con trascuratezza? Mi sono arrabbiato con qualcuno? E quando ero alla sinassi, ho occupato la mia mente in pensieri futili? Trattenuto dalla pigrizia, ho forse saltato l’ufficio in chiesa o la preghiera canonica?» Simeone lo Studita, Padri e figli nello Spirito, 16-17; cf. Id., Discours, 5.

[177] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 451; cf. Cat., 30, 119-121.

[178] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 451; cf. Cat., 30, 129-132.

[179] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 451-452; cf. Cat., 30, 132-140. L’espressione θεῖον ἀξίωμα si capisce come dignità e maestà di Dio, che l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio ha avuto in dono. Cf. PGL, 168, 3a. Su questo argomento abbiamo già parlato nella prima parte del primo capitolo.

[180] «Signore, perdona gli sbagli che ho commesso in azioni, e parole, consapevolmente o inconsapevolmente! (Κύριε, συγχώρησόν μοι ὅσα ἐν ἔργῳ τε καὶ γνώσει καὶ ἀγνοίᾳ ἥμαρτον)». Cf. Simeone lo Studita, Padri e figli nello Spirito, 17; cf. Id., Discours, 5, 19-21.

[181] Éth., 13, 231-235.

[182] Cf. Marco l’Eremita, «Lettera al Monaco Nicola», 219.

[183] Cf. Marco l’Eremita, «Lettera al Monaco Nicola», 224-225.

[184] Cf. Cat., 23-24. Il participio singolare τετυπωμένη proviene dal verbo τυπόω – «caratterizzare», «figurare», «esprimere nella forma esteriore», oppure «specificare», «prescrivere», «definire». Cf. PGL, 1420, B, D. Si può dire che si trattava della preghiera prescritta per pregare nella cella durante un certo tipo di veglia che poteva contenere i vari tipi e quantità delle preghiere orali, le letture e anche vari esercizi ascetici e corporali come metanìe e inchini. Di solito era prescritta dal monastero, dall’igumeno, dal padre spirituale e differiva da monastero a monastero, da persona a persona.

[185] Cf. B. Krivocheine, Dans la lumière du Christ, 82.

[186] Il termine ἀκολουθία si può usare per la formula del rito particolare, oppure l’ufficio della festa o l’ufficio quotidiano. Cf. PGL, 63. Dal punto di vista liturgico in generale si tratta dell’ordo, cioè delle forme esteriori prescritte e regolate dal culto religioso; più precisamente è un insieme di salmi, di letture, inni ecc., che costituiscono le ore canoniche – officium, cioè l’insieme delle preghiere che si recitano successivamente a certe ore sia di giorno, sia di notte. Ne fanno parte: μεσονυκτικόν – preghiera della mezzanotte, l’ὄρθρος – mattutino, le ὧραι – ore, lo ἑσπερινός – vespro, l’ἀποδειπνονcompieta. Cf. L. Clugnet, Dictionnaire grec-français des noms liturgiques en usage dans l’Église grecque, 5.

[187] La norma della preghiera dei monaci egiziani, elaborata da loro stessi nel IV-V sec., consisteva nella recita dei salmi, però, senza un limite preciso. Anche per gli eremiti l’ideale era di recitare tutti i centocinquanta salmi, sia nel corso della giornata sia nel corso della preghiera notturna. La pratica era tale che il monaco recitava finché aveva forze fisiche. Anche la preghiera della mezzanotte dipendeva soltanto dalla resistenza fisica di colui che pregava. Cf. J. Mateos, «Office de minuit et office du matin chez s. Athanase», 180; cf. В. Рудейко, Часослов за каноном лаври святого отця нашого Сави: Впровадженя. Переклад. Коментарі., 128; cf. М. Скабаллановичъ, Толковый типиконъ, 208-209. Qui vogliamo mettere in rilievo la distinzione tra salmodia e preghiera. «Salmodiare non è ancora pregare», queste due categorie secondo i primi Padri appartengono a categorie diverse anche se non separate. Cf. G. Bunge, Vasi di argilla, 43-50.

[188] L’ὑπακοή – «l’obbedienza, l’assogettazione»; questa espressione porta anche un significato tecnico nella liturgia, che indica il tropario messo in certi canoni dopo la terza ode, che si eseguiva da tutti i presenti come la risposta ai tropariprecedenti di solito cantati da un solista.Cf. L. Clugnet, Dictionnaire grec-français des noms liturgiques en usage dans l’Église grecque, 158.

[189] Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 360; Cat., 22, 62-70.

[190] Simeone non menziona quale sarebbe la preghiera alla Madre di Dio. Possiamo soltanto supporlo. A nostro avviso potrebbe essere una preghiera breve e semplice. Per esempio come quella della cerimonia strettamente monacale dell’Elevazione della Panaghia (ἡ ὕψωσις τῆς Παναγίας)che sarebbe: «Παναγία Δέσποινα, Θεοτόκε βοήθει τῷ δούλῳ σου (Tuttasanta Signora Theotokos, vieni in aiuto del tuo servo)». Cf. J. Goar, Euchologion, 681-683; anche se questo rito è conosciuto soltanto dal XV secolo. Cf. M. Jugie, La mort et l’assomption de la Sainte Vierge, 349-352. Oppure la forma più breve che riporta Simeone di Tessalonica: Παναγία Θεοτόκε βοήθει ἡμῖν (Tuttasanta Theotokos, vieni in nostro aiuto). Cf. J.J. Yiannias, «The Elevation of the Panaghia», 225-236. Oppure potrebbe essere il testo della preghiera alla Madre di Dio che fa parte del congedo liturgico dei vespri e del mattutino fino ad oggi: «Ὑπεραγία Θεοτόκε, σῶσον ἡμᾶς (Tuttasanta Madre di Dio, salvaci!)». Cf. Hôrologion., 231; cf. R.F. Taft, «Liturgical Veneration of the Mother of God in the Byzantine Orthodox and the Roman Catholic Traditions», 92-104; cf. E.M. Toniolo, «La presenza di Maria nell’Ufficio quotidiano e settimanale del rito bizantino».

[191] Il testo di questa preghiera è identico al testo della preghiera di Ep., 2, 82-83, che vedremo più avanti, tranne i verbi diversi: ἱλάσθητι l’imperativo dell’aoristo passivo da ἱλάσκομαι, «essere propizio», «avere misericordia», «placare», e συγχώρησον l’imperativo dell’aoristo attivo da συγχωρέω «aderire», «consentire», «accettare», ma anche «perdonare» i peccati e offese. Cf. PGL, 673; 1277, 1-5. La parola ἱλάσθητι è usata anche dal pubblicano nella sua preghiera nel Vangelo di Lc 18, 13. Cf. NA27, 278. Fino all’epoca di San Simeone il Nuovo Teologo la formula della cosiddetta «Preghiera di Gesù» non era affatto prescritta, fissa e senza variazioni. La formula che Simeone qui usa è quella di San Macario e di San Ammonas, cioè la «Preghiera di Gesù» senza usare il nome di Gesù. Sembra che Simeone sia abituato alla preghiera del pubblicano fin dalla sua giovinezza. Cf. I. Hausherr, «Noms du Christ et voies d’oraison», 222-223; B. Krivochéine, «Date du texte traditionnel de la “Prière de Jésus”», 55-59.

[192] Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 361; Cat., 22, 75-87.

[193] Cf. Cat., 22, 110-112.

[194] Nelle tabelle usiamo seguenti segni: (1., 2., ecc.) per segnare l’elemento identico nelle ambedue parti; (-) l’elemento che differisce; ([…]) l’elemento mancante, ma probabilmente identico; (—) mancanza dell’elemento.

[195] Il verbo προσπίπτω esprime un «cadere giù» nella supplicazione davanti alla persona, in questo caso davanti a Dio. Non è semplicemente un «cadere» e subito un «alzarsi», ma piuttosto un «rimanere» nella prostrazione per un certo tempo. Simeone nel testo seguente usa anche la forma πεσών di questo verbocioè il participio aoristo attivo di πίπτω, che significa di «cadere» rapidamente senza controllo, quasi nel senso di «morire», ma nello stesso tempo anche di «essere introdotto profondamente nella preghiera». Cf. PGL, 1181-1182.

[196] Cf. Vie, 19.

[197] Si tratta di un complesso di preghiere fisse cosiddette iniziali, che sono recitate nei tre riti appartenenti alla tradizione siro-palestinese (siriani d’Antiochia, Maroniti e bizantini) a mezza voce costantemente all’inizio e alla fine dei differenti uffici liturgici. Il Trisagion è diventata una preghiera molto frequente nel rito bizantino ed è entrata anche in frequente uso nella preghiera privata. Dai Bizantini si usavano le preghiere seguenti:

Trisagion («Santo Dio, Santo forte, Santo immortale, abbi pietà di noi») (3x)

«Gloria» («Gloria al Padre e al Figlio e al Santo Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli»)

«Santissima Triade» («Santissima Triade, abbi pietà di noi. Signore, placati di fronte ai nostri peccati. Sovrano, perdonaci le nostre iniquità. O Santo, visitaci nelle nostre infermità e guariscici per il tuo nome»)

Kyrie eleison (3x)

«Gloria»

«Padre nostro» + dossologia («Poiché tuoi sono il regno, la potenza, la gloria: del Padre, del Figlio e del Santo Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli»)

Kyrie eleison (12x)

«Gloria»

La traduzione italiana dei testi delle preghiere sopra citate è tratta da M.D. Artioli, ed., Anthologhion di tutto l’anno, I, 31-32. Trisagion è un canto innico. La sua prima testimonianza storica appare nel concilio di Calcedonia (451). Salvando ciò, la sua origine dovrebbe risalire a un’epoca ancora più remota. L’inno è rivolto a Dio senza una referenza esplicita alla Trinità. La prima parte dell’inno – l’esclamazione – secondo il proprio genere letterario si rivolge alla terza persona, ma la parte seconda – la preghiera – alla seconda persona. Presso i Bizantini si trova in una forma antichissima: Ἅγιος ὁ Θεός, Ἅγιος ἰσχυρός, Ἄγιος ἀθάνατος, ἐλέησον ἡμᾶς.

Il «Gloria» è una dossologia iniziale solenne antichissima che però, presso i Bizantini, con il tempo si è spostata subito dopo il Trisagion e al suo posto si è adottato un nuovo inizio solenne: «Benedetto sia il nostro Dio in ogni tempo, ora e sempre e nei secoli dei secoli».

La preghiera «Santissima Triade» è un sviluppo del Trisagion completato dal «Gloria». L’elemento Kyrie eleison dai Bizantini si è conservato in forma semplice e antica. Il «Gloria» che precede il «Padre nostro», sembra un elemento più recente. L’ultimo elemento è il «Padre nostro» e la dossologia con la menzione delle tre persone divine.

Risulta che Trisagion, triplice Kyrie eleison e «Padre nostro» con la dossologia, sono le preghiere fisse iniziali della tradizione siro-palestinese e dei Bizantini, e possiamo trovarle anche alla fine delle celebrazioni liturgiche nelle stesse tradizioni. Dopo le preghiere iniziali, i Bizantini recitano ancora dodici volte Kyrie eleison, pratica che negli altri riti non troviamo, e alla fine di nuovo in tutti e tre riti la dossologia «Gloria».

Cf. J. Mateos, «Prières initiales fixes des offices syrien, maronite et byzantin», 489-498; cf. Id., La célébration de la Parole dans la liturgie byzantine. Étude historique, 98-100; cf. S. Janeras, «Le Trisagion: une formule brève en liturgie comparée»; Id., Les byzantins et le trisagion christologique.

[198] Cf. Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 308; cf. Cat., 16, 78-89. L’acclamazione Κύριε ἐλέησον – «Signore abbi pietà», è una invocazione che si trova già nell’AT, specialmente nei salmi(p.e.: 4, 2; 6, 3; 9, 14; 25, 11 ecc.) ma anche nel libro di Isaia e Tobia, indirizzata a Dio.Nel NT è indirizzata a Cristo sotto una forma particolare in Mc 10, 47: «Abbi pietà di me, figlio di Davide». Dal IV sec. è costantemente presente nella liturgia specialmente in oriente. Questa invocazione deve essere considerato come una preghiera, un canto indipendente a lode di Cristo, della Trinità, come una di quelle dossologie la cui usanza era frequente dai primi secoli. Cf. F. Cabrol, «Kyrie eleison», 915

[199] Cf. Cat., 22, 56-57.

[200] Per δέησις – «supplica», «intercessione», «petizione», la preghiera dell’intercessione espressa a parole e rinforzata dal digiuno e delle lacrime, si intendeva come l’opposto della preghiera mentale. La petizione è anche la preghiera del diacono con la mano alzata durante la divina liturgia. Cf. PGL, 334. Dal XIX sec. la Δέησις di solito viene usata in contesto iconografico per identificare l’immagine di intercessione della composizione bizantina della Vergine Maria e Giovanni il Precursore in piedi su entrambi i lati del Cristo con le loro mani tese verso di lui. Cf. A.W. Carr, «Deesis», 599.

[201] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 452-453; cf. Cat., 30, 147-184.

[202] La συγχώρησις era il rito monastico del perdono fra il celebrante oppure superiore e i monaci e in genere si praticava alla fine dell’apodeipnon oppure del mesonyktikon. Facendo la metanìasi chiedeva a viceversa il perdono con le parole: «συγχορήσατε μοι τῷ ἁμαρτωλῷ (il typikon di San Saba aggiunge: εἴ τι ἥμαρτον λόγῳ, ἔργῳ, διάνοιαν καὶ πάσῃ μου τῇ αἰσθήσει)». Nello Stoudios la synchoresis aveva luogo dopo ogni apodeipnon e portava il nome: ὁ διὰ χειρῶν σταυροειδὴς ἀσπασμός; i monaci per chiedere perdono si inclinavano incrociando le braccia. Cf. S. Pétridès, «Apodeipnon», 2586.

[203] Ep., 2, 81-85. Simeone oltre al Salmo 51 («50» secondo LXX) indica anche il Salmo 6, il primo dei salmi cosiddetti penitenziali (6; 32; 38; 51; 102; 130; 143). Cf. NJBC, 529, 34. Questa indicazione ci potrebbe dare la possibilità di ammettere che quando Simeone consiglia di recitare «due o tre salmi» (cf. Cat., 30, 147-184) oppure «altri salmi» (Cat., 22, 62-70) probabilmente intendeva i salmi penitenziali, anche perché la preghiera aveva un carattere penitenziale.

[204] Evagrio nel suo De oratione (98 e 169-171) afferma che nelle tentazioni, piuttosto che i salmi, sono più efficaci le preghiere giaculatorie cioè corte, intense e con le lacrime. Cf. I. Hausherr, Les leçons d’un contemplatif; O. Clément, The Roots of Christian Mysticism, 187-191; Špidlik, OCA206, 303-310.

[205] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 394; cf. Cat., 26, 20-24.

[206] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 453; cf. Cat., 30, 185-188.

[207] Si tratta del suono della tavola di legno usata nei monasteri bizantini al posto della campana. Cf. PGL, 933, B2. Dai Greci a differenza dei Latini al posto delle campane si usava una tavola lunga, o bastone quadrato chiamato σηματήριον oppure σημάντρον con piccoli fori su entrambe le estremità. Si colpisce con un martello di ferro o di legno. Cf. H. Leclercq, «Cloche, clochette. Chez les grecs», 1970.

[208] Il giorno del monaco studita cominciava poco dopo la mezzanotte, perché alla settima ora della note, più o meno all’una di notte secondo il conteggio delle ore odierno, già si cominciava l’officium del mattutino. Cf. J. Leroy, «La vie quotidienne du moine studite», 30-31.

[209] Vie, 28, 1-10.

[210] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 396; cf. Cat., 26, 69-70.

[211] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 403-404. Riportiamo la citazione anche nell’originale poiché è riassuntiva e contiene i punti principali di tutto ciò che si è detto in questo capitolo: «εἴσελθε σιωπῶν μηδενὶ μηδαμῶς ὁμιλῶν εἰς τὸ κελλίον σου, καί κλείσας τάς θύρας ἐπιλαβοῦ πρῶτον τοῦ βιβλίου, καί ἀναγνούς ὡσεί τρία φύλλα προσεχῶς ἐν αὐτῷ στῆθι εἰς προσευχήν, ἡσύχως ψάλλων καί προσευχόμενος τῷ Θεῷ ὡς παρά μηδενός ἀκουόμενος. Στῆθι δέ γενναίως ἐπισυνάγων σου τοὺς λογισμοὺς καί μὴ ἐῶν ῥέμβεσθαι αὐτοὺς ἀλλαχοῦ, σφίγξον σου τἁς χεῖρας, ἕνωσόν σου τοὺς πόδας ἐπίσης ἀσαλεύτους ἐν βάσει μιᾷ, καί τοὺς μὲν ὀφθαλμοὺς μῦσον τοῦ μὴ πρὸς ἄλλο τι βλέπειν καὶ τὸν νοῦν διασκίδνασθαι, τὸν δὲ νοῦν αὐτὸν καὶ ὅλην τὴν καρδίαν ἆρον εἰς οὐρανοὺς καὶ Θεόν, ἐκεῖθεν μετά δακρύων καὶ στεναγμῶν τὸν ἔλεον ἐκκαλούμενος. Ἔστωσάν σοι δὲ ψαλμοὶ τεταγμένοι παρὰ τοῦ πνευματικοῦ σου πατρός, ὅσοι ῥήματα μετανοίας καὶ κατανύξεως φέρουσι καὶ ὅσοι τῇ δυνάμει ἐξικανοῦσι καὶ τῇ προθέσει σου. Δεῖ γάρ σε μετρεῖν τῇ τε ἰσχύϊ καὶ τῇ ἀνδρείᾳ σου τὴν τε τῶν ψαλμῶν ὑμνῳδίαν καὶ τὸ πλῆθος τῆς γονυκλισίας καὶ τὸν χρόνον τῆς στάσεως, ἵνα μὴ τὴν συνείδησιν ἕξῃς εἰς ἔλεγχόν σου λέγουσαν· «Ἔτι ἦν σοι δύναμις τοῦ στῆναι καὶ ὑμνῆσαι καὶ Θεῷ ἐξομολογήσασθαι». Πρὸς τούτοις ἔστωσάν σοι καὶ εὐχαί καὶ αὗται τεταγμέναι πρωΐας καὶ ἑσπέρας, ἐξομολόγησιν ἔχουσαι πρὸς Θεόν. Καὶ τὴν εὐχὴν συντελέσας ἀνάγνωθι πάλιν μικρόν, εἶτα ἐπιλαβοῦ καὶ τοῦ ἐργοχείρου σου»; Cat., 26, 271-292.

[212] R.F. Taft, La liturgia delle ore, 427. Cf. A. Schmemann, Per la vita del mondo.

[213] Cf. Éth., 4, 769-805.

[214] Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce, 182; cf. Cap., 3, 72. Sull’argomento vedi anche: A. Golitzin, «Liturgy and Mysticism», 179; Id., «The Body of Christ».

[215] Cf. Cat., 30, 220-235.

[216] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 455; cf. Cat., 30, 253-257.

[217] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 452-453; cf. Cat., 30, 171-172; Da ἱλαρός, ά, όν – allegro, gioioso. Cf. LSJ, 306; Lampe nota, l’espressione τὰς ἱλαρίους ἡμέρας, che San Teodoro Studita (Epp., 2, 147, PG 99, 1460C) usa per esempio per esprimere il carattere gioioso dei giorni della Quaresima. Cf. PGL, 673, 2.

[218] Simeone nel Cap., 3, 20 precisa che si tratta di τοῦ φόβου τῆς αἰωνίου κολάσεως – il timore, oppure la paura della punizione, del castigo eterno. Cf. PGL, 764-765, 1f. L’espressione di Simeone sopra citata va letta, secondo noi, nel contesto di poter ottenere la vita eterna, sulla base delle parole di Gesù: «καὶ ἀπελεύσονται οὗτοι εἰς κόλασιν αἰώνιον, οἱ δὲ δίκαιοι εἰς ζωὴν αἰώνιον (Mt, 25, 46)», e dunque come una spinta e motivazione positiva cioè, che aiuti la partenza verso «la vita eterna». Infatti questo φόβος non racchiude la persona, ma la inizia alla gioia.

[219] Cap., 3, 19.

[220] L’espressione πόνος – «la fatica», «la sofferenza», «il dolore». Nel nostro caso si tratta della sofferenza e del dolore legati alla lotta e al combattimento spirituale. Cf. PGL, 1121.

[221] Cap., 3, 20.

[222] Cf. Hymn., 47, 15-18.

[223] Cf. Cap., 3, 20.

[224] Cf. Hymn., 22, 183-189.

[225] Simeone usa tre parole per esprimere la gioia. La prima è la χαρά – che è la gioia come tale, la gioia spirituale, la gioia di Dio. Ad essa si oppone la gioia del mondo (PGL, 1512-1513, 2-3). L’altra parola è l’ἀγαλλίασις – l’esultanza, la gioia intensa e calorosa soprattutto spirituale che si percepisce come contentezza profonda. Ε’ un frutto: di carità, di visita del Signore, di virtù, di vera visione, di grazia, di conversione. E’ la gioia dei santi (PGL, 6). E alla fine, l’εὐφροσύνη – la gioia, la contentezza, appartenente piuttosto all’evo futuro che dura in eterno, che l’anima possa sperimentare dopo la morte e risurrezione, di cui godono gli angeli. Spesso si riferisce a Gesù risorto – la gioia eterna (PGL, 578).

[226] Simeone il Nuovo Teologo, Inni, 24-25; cf. Hymn., 1, 139-140.

[227] Cf. Simeone il Nuovo Teologo, «Prière mystique», 14-15.

[228] Lἀμεριμνία è «la libertà dalle preoccupazioni mondane e materiali raggiunta attraverso una fede salda e incrollabile nel Dio provvidente e “amico degli uomini”. Il significato di questo termine è stato fissato dai Padri a partire dalle parole che Gesù stesso rivolge ai suoi discepoli: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete […]. Di tutte queste cose si preoccupano i pagani. Il Padre vostro sa che ne avete bisogno!” (Mt 6, 25-32). Per Climaco l’assenza di preoccupazioni è l’opera principale dell’esicasta (cf. La scala 272,12), che è chiamato a “rimanere libero” per potersi dedicare a Dio alla preghiera con cuore indiviso (cf. Ibid. 29,19)». Cf. L. D’Ayala Valva, «Glossario», 516; cf. PGL, 86. Simeone riassume l’insegnamento della tradizione monastica su l’ἀμεριμνία in tre brani dei suoi Capitoli e gli dà una sfumatura più positiva che negativa. Infatti incoraggia all’attività esteriore con una attenzione interiore ai pensieri preoccupanti per non lasciarli entrare nel cuore. Cf. Cap., 1, 80-82; cf. P. Miquel, Lessico del deserto, 60-78.

[229] Éth., 11, 206-211.

[230] Éth., 11, 212-220.

[231] Il verbo προσέχω – «prestare attenzione a» oppure «essere attenti per poter partecipare a» – in genere si riferisce alla interpretazione della Scrittura. Nel contesto liturgico si riferisce alla lettura del Vangelo, specialmente durante la divina liturgia in cui προσέχομεν si usa per avvertire gli ascoltatori a essere attenti perché si comincia leggere la lettura attraverso la quale parla il Verbo. Cf. PGL, 1169, 3; la προσοχή – è l’attenzione a se stessi. Suo sinonimo è la sobrietà – νῆψις. Dagli autori monastici la sobrietà – νῆψις viene utilizzata per indicare la condizione della mente che si trova nella piena padronanza delle proprie facoltà e che, a sua volta, è necessaria per la preghiera, per il discernimento, per la custodia del cuore e per la lotta contro i pensieri cattivi. Cf. L. D’Ayala Valva, «Glossario», 523; cf. PGL, 1180, 1; 913, 5.

[232] Éth., 11, 230-238.

[233] Éth., 11, 241-259.

[234] Éth., 11, 189-195.

[235] La θλῖψις è l’afflizione, della quale Dio non è fonte e ha la sua origine nel peccato. Si afferma che essa è un compagno inevitabile dei doni spirituali. Cf. PGL, 653, 1a.

[236] Cf. Hymn., 55, 1-15.

[237] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 456; cf. Cat., 30, 301-302.

[238] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 457; cf. Cat., 30, 315-317.

[239] Cf. Cat., 30, 332-334.

[240] Il termine ἐπίσκεψις si conosceva nell’ambiente monastico perché era legato al gesto caritativo della visita ai malati e ai bisognosi, ma anche la visita ai monaci fatta dal loro superiore è chiamata con la stessa parola. L’ἐπίσκεψις in genere significa la «visita di colui che provvede». Cf. PGL, 531. Ἐπίσκεψις è anche il titolo appropriato alla Madre di Dio Protettrice. Cf. A. Vaccaro, Dizionario dei termini liturgici bizantini e dell’Oriente cristiano, 154.

[241] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 250-251; cf. Cat., 9, 157-171.

[242] Cf. Éth., 10, 648-658.

[243] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 365; cf. Cat., 22, 197-201.

[244] Simeone il Nuovo Teologo, La visione della luce, 137; cf. Cap., 1, 83.

[245] L’espressione «conosci te stesso» si trova anche nell’Inno precedente. Cf. Hymn., 21, 310-311, 390-392. Il concetto socratico di Γνῶθι σεαυτόν – «prendere coscienza di ciò che costituisce il “me” psicologico e morale» è il concetto che p.e. da San Basilio si usa nel senso di strumento per distinguere le cose dannose che causano le malattie all’anima da quelle che sono salutari e giovano alla salute spirituale (Hom., 3, PG 31, 197-218). Cf. L. de Bazelaire, «Connaissance de soi», 1516-1517. «Conoscere se stesso», «essere attento a se stesso» oppure «essere attenti al cuore» sono espressioni conosciute nella spiritualità orientale. San Basilio dice che si è attenti a se stessi per essere attenti a Dio (Hom., 7, PG 31, 213d-216). Cf. T. Špidlik, La Spiritualité de l’Orient Chrétien, 110-111.

[246] Le parole di Cristo «μόνους φιλῶν τοὺς ἐμὲ ἀγαπῶντας» ricordano le parole della preghiera del sacerdote alla fine della divina liturgia di San Giovanni Crisostomo: «Ὁ εὐλογῶν τοὺς εὐλογοῦντάς σε, Κύριε, καὶ ἁγιάζων τοὺς ἐπὶ σοὶ πεποιθότας». Cf. J. Goar, Euchologion, 68, 188.

[247] Simeone il Nuovo Teologo, Inni, 121; cf. Hymn., 22, 208-213.

[248] Simeone il Nuovo Teologo, Inni, 112-113; cf. Hymn., 390-439. Menziona il serpente come esempio – come il serpente eietta il veleno, così l’uomo deve saper vomitare la cattiveria; il cavallo è l’esempio di corsa sulla via giusta e in nessun modo verso la femmina; il gatto l’esempio dell’agguato al topo spirituale che però non ruba e non rapisce ciò che non gli appartiene; il cane del padrone come esempio dello sfogarsi con ira contro i lupi e seguire le tracce andando per le vie del Signore finche non raggiunga la porta divina e non ritorni indietro; poi c’è la lepre, il cervo, il passerotto grazioso ecc.

[249] La grande cura per il bene spirituale dei suoi monaci che erano in uno stato decadente è evidente in tanti passi delle sue Catechesi in cui Simeone esprime tante preoccupazioni per migliorare la vita nel monastero e la vita di ogni monaco che a lui era stato affidato. Si preoccupa p.e. del possibile inganno e della falsità possibili nelle relazioni dei monaci con le persone dal di fuori (Cat., 7, 395-430), dell’ipocrisia dei monaci concentrati solo sulle «cose che passano» (Cat., 7, 395-430), dell’indifferenza verso le cose spirituali (Cat., 3, 37-165).

[250] Simeone il Nuovo Teologo, Inni, 239; cf. Hymn., 43, 145-150.

[251] Simeone il Nuovo Teologo, «Le due “Preghiere di ringraziamento a Dio”», 70; cf. Euch., 2, 286-296

[252] Il verbo ἀσφαλίζω – «salvaguardo me stesso, sto alla guardia di me stesso» (253, 2); invece il singolare presente indicativo del verbo ἐπισκέπτομαι, da ἐπισκέπτω significa «cerco di, tengo conto di, prendo in considerazione, ho la cura per» (cf. PGL, 531, B1-3). L’infinitivo aoristo attivo προσχεῖν da προέχω significa «tengo davanti» cioè fuori di qualcosa o qualcuno, in modo da proteggere, difendere sempre me stesso. Cf. LSJ, 542.

[253] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 459; cf. Cat., 31, 12-27.

[254] Cf. Ep., 1, 80-120. Secondo San Basilio l’obbedienza al volere di Dio deve essere pronta e totale, perché una sia pur minima trasgressione potrebbe far correre il rischio di compromettere tutti gli sforzi ascetici precedenti e vanificare i risultati. In questo senso per Basilio tutti i peccati si equivalgono, perché tutti sono una trasgressione del precetto divino e allora non ha senso la classifica di peccati grandi e piccoli. Cf. Reg. fus., 29 (PG 31, 989D-991C). Vediamo che San Simeone è sulla stessa linea.

[255] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 460; cf. Cat., 31, 20-23. Simeone è molto attento a ciò che nasce nell’interno del cuore ascoltando la Scrittura e crede che sia il Signore che parla. Cf. Eth., 11, 239-259. Abbiamo già visto l’importanza della lettura della Scrittura per la preparazione alla preghiera stessa.

[256] I Padri della Chiesa affermano che solo Dio è colui che è beato veramente, mentre la beatitudine dell’uomo consiste nella partecipazione alla beatitudine di Dio. «Nelle “beatitudini” i credenti videro l’immagine di una “scala” che sale verso le altezze di Dio: la Scala del Paradiso. La vita terrestre è un’ascensione dalla terra al cielo. Ogni persona che “aspira alla felicità eterna potrà riconoscere nelle beatitudini i gradini di una scala privilegiata”, afferma Gregorio di Nissa.» Cf. P. Meloni, «Le Beatitudini evangeliche nella visione dei Padri della Chiesa», 178. Anche Simeone nelle ultime righe della Catechesi 31 afferma che le Beatitudini sono i gradini delle virtù circoscritte che portano a vedere il Signore e ottenere il regno dei cieli «che è lo Spirito Santo». Cf. Cat., 31, 155-167.

[257] Cf. NA27, 11-12.

[258] Il testo di Simeone rassomiglia molto al Discorso sull’ascesi di San Basilio (cf. Ascet. disc., PG 31, 647-652), che comincia con le parole: «Stai bene attento, monaco, a non peccare». Cf. Basilio Magno – al., Sentenze spirituali, 51-56.

[259] Abbiamo già visto sopra che la tristezza – λύπη è uno degli otto logismoi di Evagrio che ha la capacità di avvelenare l’anima e quindi come tale non desiderato. Simeone, seguendo la linea patristica di San Basilio (cf. Reg. br., 192, PG 31, 1212A), la usa anche nel senso positivo come «dolore dell’anima causato dal peccato» come nel nostro caso, oppure dal peccato degli altri. Il verbo λυπέω, cioè «rattristarsi, addolorarsi», si usa anche in senso positivo. Cf. PGL, 178.

[260] La parte θυμικός – «irascibile» dell’anima è il principio attivo, irrazionale e passionale nell’anima sensibile dell’uomo (cf. Ambig., PG 91, 198D). La parte irascibile secondo Dionigi (C.h., 2, 4, PG 3, 141C) è presente anche nelle creature irrazionali perciò è chiamata «animale». Cf. PGL, 657.

[261] L’ἀμνησικακία è la capacità dell’uomo di non ricordare il male. Cf. PGL, 89.

[262] Simeone il Nuovo Teologo, Le Catechesi, 463-464; Cf, Cat., 31, 126-138.

[263] Cf. Cat., 30, 253-273

[264] Cf. I. Hausherr, «Introduction», 59-60.

[265] Cf. J. Darrouzès, «Introduction», 23-24.

[266] Simeone il Nuovo Teologo, Inni, 314-316; cf. Hymn., 58, 370-400